Serva
di Dio
Maria Cecilia Baij O.S.B. (1694-1766)
VITA DI SAN GIUSEPPE
Libro I – Capitolo XV
S. Giuseppe cresce nell’amore verso Dio e il prossimo
Suo amore per Dio – Il nostro Giuseppe cresceva a meraviglia nell’amore verso
il suo Dio, in modo tale che si struggeva tutto al solo nominarlo, e aveva sempre
più acceso il desiderio di fare cose grandi per gloria del suo Dio e aspettava
con desiderio intenso che arrivasse il tempo nel quale, secondo le promesse fattegli
dall’Angelo, egli si sarebbe impiegato tutto per il servizio di Dio, e perciò
diceva sovente al suo Dio: «O Dio di Abramo, d’Isacco e di Giacobbe, o Dio
mio, quando arriverà quel tempo felice in cui io starò tutto impiegato
per Te? Quando si adempirà la tua promessa? Il mio cuore arde di desiderio
di impiegarmi presto tutto per Te. Ascolta le mie suppliche ed esaudisci i miei desideri».
Un giorno il Santo stava al Tempio, e supplicava in tal modo il suo Dio, quando udì
la voce del suo amato bene che nell’intimo del cuore gli disse: «Giuseppe,
mio servo ed amico, sta’ di buon animo, perché in breve resterai consolato
e resterà adempito il tuo desiderio». Alla dolcezza di queste parole,
fu tanto il giubilo che provò il Santo, che ne andò in estasi, dove
gli fu rivelato da Dio, come in breve avrebbe anche ottenuto la grazia di avere una
compagnia, con la quale egli avrebbe potuto trattare e parlare di Dio e dei misteri
divini che a lui erano stati più volte rivelati, secondo la promessa fattagli
dall’Angelo nel sonno, che il suo Dio gli avrebbe dato una creatura con la quale
egli avrebbe potuto trattare e narrare le meraviglie dell’onnipotenza divina. Nello
stesso tempo che Dio gli rivelava questo, gli fece anche intendere le sublimi virtù
di quella persona che gli aveva destinato per trattare con sé, ma per allora,
non gli fu manifestato altro. Ritornato dall’estasi tutto consolato nell’anima e
tutto allegro per il favore avuto, Giuseppe si umiliò davanti il suo Dio,
l’adorò e lo ringraziò affettuosamente, e, riconoscendo il suo nulla,
diceva al suo Dio: «O Dio mio, immenso, incomprensibile, e chi sono io che
tanto mi favorisci? E come la tua immensa grandezza si degna trattare con me, verme
vilissimo, e fare a me grazie così grandi? Che Tu ti sia inchinato a trattare
con i Profeti, con i Patriarchi, è cosa ben grande, ma con me poi, vilissimo
schiavo tuo, è una cosa da restare estatico per la meraviglia. Oh! Dio mio,
come corrisponderò a tanta tua bontà, a tanta degnazione, a tanto amore?
Mio Dio, eccomi tutto tuo, fa’ di me quello che a Te più piace. Io non ho
altro da donarti che tutto me stesso ed ogni momento della mia vita; io intendo donarmi
di nuova a Te, e se potessi avere in mia libertà i cuori di tutte le creature,
li donerei tutti a Te, e li sacrificherei tutti al tuo amore. Mio Dio immenso, infinito,
ineffabile, incomprensibile, ricevi la piccola offerta del tuo vile servo e schiavo,
Giuseppe, che di cuore tutto si dona a Te». Così il nostro Giuseppe
si umiliava nei favori che riceveva, e si mostrava grato al suo Dio dei benefici,
riconoscendo il tutto dalla divina bontà e generosità, e niente per
suo merito, che si chiamava creatura vilissima e indegna. Uscito dal Tempio dopo
aver ricevuto un così grande favore dal suo Dio, se ne andò alla sua
bottega e qui di nuovo rese grazie a Dio; si mise a lavorare tutto assorto, e per
quel giorno non fu capace di prendere cibo. La notte seguente poi, l’Angelo gli parlò
nel sonno e si congratulò con lui del favore ricevuto, assicurandolo anche
che in breve avrebbe avuto quel tanto che lui molti anni prima, gli aveva promesso
da parte di Dio. L’esortò a continuare a rendere grazie a Dio del grande beneficio
che gli avrebbe fatto. Svegliatosi, il santo Giovane rese nuovamente grazie a Dio,
invitando tutte le creature a lodare il suo Dio col Santo Davide, e a benedirlo con
i tre fanciulli Babilonesi; e faceva questo, non solo quando riceveva qualche favore
particolare, ma quotidianamente, mentre il suo spirito godeva molto nel recitarle,
e poi ringraziava il suo Dio che avesse dato alle sue creature il modo di benedirlo
e lodarlo così bene. li Santo Giovane stava poi aspettando le grazie promesse
con tutta quiete, e tutto rimesso alla divina disposizione, le bramava, ma la sua
brama non era impaziente, né mai andò investigando cosa alcuna, né
si poneva mai a pensare quale cosa sarebbe stata, quella che da Dio gli sarebbe stata
data quale compagnia e in che cosa si sarebbe dovuto applicare per servizio del suo
Dio. Il nostro Giuseppe non ricercò mai niente di tutto questo, ma tutto quieto
e tranquillo aspettava le promesse divine, sicurissimo che il suo Dio avrebbe fatto
tutto con somma provvidenza e con infinito amore. Questo sì che andava spesso
replicando: «Oh! Che bella sorte sarà la mia, di trattare con una creatura
che mi sarà data da Dio per discorrere delle sue grandezze, della sua bontà,
del suo infinito amore, delle sue divine perfezioni; e questa creatura si degnerà
di trattare con me, non sdegnerà la mia viltà, la mia povertà,
la mia bassezza, la mia indegnità! Quanto sei buono, mio Dio! Quanto bene
assecondi i desideri di chi si fida di Te, e tutto in te si confida!». Il Santo
diceva questo lodando e ringraziando sempre il suo Dio, e ricevendo tutto il bene
dalle sue divine mani e riconoscendo il tutto da Dio.
Suo amore per il prossimo – A misura che in San Giuseppe cresceva l’amore
verso il suo Dio, andava anche crescendo l’amore verso il suo prossimo; e si struggeva
tutto quando sapeva che c’era qualche povero bisognoso e non lo poteva soccorrere,
perciò lo raccomandava caldamente a Dio perché l’avesse provveduto.
Molte volte si privava anche del necessario, per sovvenire i poveri; e quando gli
veniva dato il denaro del lavoro che aveva fatto, subito ne dava la maggior parte
ai poveri bisognosi. Le persone afflitte poi, le compativa tanto, che supplicava
Dio per loro con tanta premura affinché le consolasse, e perseverava nella
preghiera fin tanto che sapeva che Dio le aveva esaudite. Avrebbe voluto provvedere
ai bisogni di tutti, tanto spirituali quanto temporali, e diceva al suo Dio: «Dio
mio, Tu già vedi la mia povertà e la mia insufficienza, e che non posso
fare al mio prossimo quel bene che vorrei; perciò Tu che sei ricco di misericordia
e sei tutta carità e tutto amore, soccorri ai bisogni di tutti, consola gli
afflitti, sovvieni i bisognosi perché tu puoi tutto. Godo, mio Dio, di essere
io povero e insufficiente, perché tu sei sommamente ricco e puoi tutto; per
cui io ti domando ciò che io non so né posso fare». Dio godeva
molto di queste espressioni del suo servo fedele e non lasciava di esaudirlo nelle
sue premurose domande; e Giuseppe gli si mostrava grato nel ringraziarlo continuamente
anche da parte di quelli che ricevevano il beneficio. Lo stesso faceva verso gli
infermi, supplicando continuamente per la loro salute corporale e molto più
per la salute spirituale. Li visitava, li consolava, li animava a soffrire con pazienza
l’infermità che Dio inviava loro, e questo ufficio lo faceva con i poveri;
ma con quelli di qualche riguardo e che possedevano ricchezze, non si accostava,
perché diceva che lui era povero e non si arrischiava trattare altro che con
i poveri suoi pari; e per quelli pregava e caldamente li raccomandava, cosicché
non lasciava di beneficarli, benché non ci trattasse, usando con tutti la
sua perfettissima carità.
Sua santa vita – Il nostro Giuseppe continuò in questo tenore di vita
per più anni, crescendo a meraviglia nell’amore verso il suo Dio e il prossimo,
e nella pratica di tutte le virtù, in modo tale che si rendeva mirabile, non
solo agli occhi degli uomini, ma degli Angeli stessi. Tanta era la sua purezza ed
innocenza, la sua umiltà, la carità, il disprezzo di tutte le cose
caduche e terrene, e il disprezzo e il basso sentimento che aveva di se stesso, umiliandosi
non solo al cospetto del suo Dio, ma anche al cospetto di tutte le creature, le quali
per vili e abiette che fossero, considerava tutte maggiori di sé e guardava
tutte con grande carità ed amore. Compativa tutti e pregava per tutti, desiderando
per tutti ogni vero bene e lo domandava di cuore al suo Dio con grande insistenza.
Per le solennità poi che si celebravano nel Tempio, il nostro Giuseppe, si
vedeva assistere a tutte le funzioni tutto giulivo, e con tanta devozione; non si
tratteneva già a rimirare cose curiose come facevano tutti gli altri, ma con
gli occhi fissi a terra ed il cuore a Dio, stava tutto assorto; e in questo tempo
Dio si degnava di illuminare la sua mente, facendogli capire misteri altissimi, deliziandosi
l’anima sua nel suo Dio e godendo dei divini favori perché Dio con larga mano
ricompensava il suo servo fedele che per amore suo si privava di tutte le soddisfazioni
che in tal congiuntura gli altri si solevano prendere, e così si andava rendendo
sempre più gradito al suo Dio, e capace dei divini favori.