Serva
di Dio
Maria Cecilia Baij O.S.B. (1694-1766)
VITA DI SAN GIUSEPPE
Libro I – Capitolo V
L’infanzia di S. Giuseppe
I primi passi – Il nostro Giuseppe, crescendo ogni giorno di più nell’amore
verso il suo Dio e nella cognizione delle divine perfezioni, bramava di arrivare
ad essere perfetto e santo per potere in qualche modo assomigliare al suo Dio nella
santità e corrispondere al suo infinito amore. Perciò desiderava di
arrivare presto a camminare per poter impiegare anche il suo corpo in ossequio al
suo Dio e fargli, anche esternamente, quelle dimostrazioni d’amore e di sottomissione.
Dio gradiva molto i desideri del nostro Giuseppe e li esaudiva, e così arrivò
in breve a camminare.
Le prime parole – Il nostro Giuseppe incominciò molto presto a parlare
e a camminare e le prime parole che proferì furono il nominare il suo Dio,
ammonito così dall’Angelo nel sonno. La mattina che parlò, appena svegliato,
disse: «Dio mio!». Fu inteso dai suoi genitori che, stupiti ed attoniti,
si riempirono di giubilo, godendo che il loro figliolo incominciasse a parlare e
godendo molto di più che le sue prime parole fossero dirette a Dio, come invocandolo
in suo aiuto e chiamandolo suo. Il nostro Giuseppe proferiva spesso questa
parola e con ragione, perché essendosi egli donato tutto a Dio, Dio era tutto
suo; e quando sentiva dire dai suoi genitori, che Dio si era chiamato il Dio di Abramo,
di Isacco e di Giacobbe, egli soggiungeva: «E di Giuseppe» – e lo diceva
con tanta grazia, in quella così tenera età, che i suoi genitori ne
godevano molto, e per ascoltarlo, gli dicevano spesso queste parole; ed era tanto
il sentimento con cui il fanciullo le diceva, che sembrava, come infatti era, che
Dio fosse tutto il suo bene e lo scopo di tutti i suoi affetti e desideri, e che
non avesse altro pensiero ed amore che per il suo Dio. Perciò si vedeva esultare
e giubilare quando lo sentiva nominare, e i suoi genitori spesso glielo nominavano
con grande affetto e riverenza, per apportare al loro figliolo questa consolazione.
Offerte e suppliche – I primi passi che il nostro Giuseppe formò furono
da lui stesso offerti a Dio, supplicandolo della grazia che in tutti i suoi passi
Egli rimanesse glorificato e mai offeso, come fece anche delle sue parole, ammaestrato
così dall’Angelo. Dio ascoltò le sue suppliche e le esaudì perché,
tanto nelle parole come nei passi e in tutte le sue opere, restò sempre glorificato
e mai offeso o disgustato. In tutte le sue azioni ebbe poi il nobile esercizio di
guardare sempre il cielo ed invocare il suo Dio, supplicandolo del suo aiuto e della
sua santa grazia nell’azione che faceva, affinché fosse secondo il suo divino
beneplacito; e questo era nel cibarsi, nell’andare a riposare, nel parlare e nel
camminare. E poiché in quella tenera età non gli era permesso di fare
quelle azioni virtuose che lui bramava, gli offriva il suo desiderio e quelle azioni
indifferenti che sono comuni a tutti per conservare la vita, come il mangiare, il
bere, il dormire, il ricrearsi. Il nostro Giuseppe impreziosiva tutte queste azioni
con la retta intenzione, facendo tutto per amore del suo Dio, e per amore dello stesso,
si privava spesso di quello che più gli piaceva, ammaestrato così dal
suo angelo in quella tenera età, perché altro non poteva fare per il
suo Dio, che tanto amava; e spesso gli si offriva tutto in dono, rinnovando quegli
atti che già fece quando fu presentato al Tempio. Sua madre, poi, vedendo
come il figlio avesse molte capacità, lo andava istruendo insegnandogli vari
atti di affetto verso Dio, come praticavano gli Ebrei, ed il nostro Giuseppe mostrava
molto gusto nell’ascoltarli e li praticava mirabilmente con ammirazione della madre
e di chi lo udiva.
Spirito dì preghiera – Quando poi camminava speditamente, spesso si
nascondeva a pregare con le mani sollevate al cielo, facendo atti di ringraziamento
a Dio, perché tanto lo beneficava, e stava ore intere inginocchiato a terra.
Era meraviglioso vedere quel piccolo fanciullo in tale posizione, ma faceva più
meraviglia vedere come il suo spirito si deliziasse nella contemplazione delle perfezioni
divine e ben si notava anche esternamente mentre il suo volto appariva tutto rubicondo
e gli occhi sfavillanti, dimostrando con questo che si deliziava con il suo Creatore,
e che gli influssi della grazia ricolmavano la sua anima. La madre, che con destrezza
si metteva in un luogo dove il figlio non la potesse vedere, lo sentiva spesso esclamare:
«O Dio di bontà infinita, quanto mi hai beneficato e perciò quanto
ti devo!». E diceva tutto questo balbettando, ma con il cuore infiammato d’amore
verso il suo Dio. La madre che lo udiva, accompagnava il figlio con atti d’amore
e di ringraziamento, e si scioglieva in lacrime di tenerezza per vedere il suo figliolo
tanto favorito da Dio e arricchito di tanti doni.
Sospira il Messia – Gli fu poi manifestato dai suoi genitori come Dio aveva
promesso di mandare al mondo il Messia, che si aspettava con desiderio, e che gli
antichi Patriarchi bramavano tanto; questo gli fu anche insinuato dall’Angelo nel
sonno, così il nostro Giuseppe si accese di un vivo e ardente desiderio di
questa venuta e ne porgeva calde suppliche a Dio, perché si fosse degnato
di accelerarne i tempi. Da questo momento tutte le sue preghiere tendevano a questo
fine e Dio udiva con gusto le suppliche dell’innocente Giuseppe compiacendosene molto,
e di questo gliene dava una chiara testimonianza perché, quando egli gli porgeva
queste suppliche, Dio gli riempiva il cuore di giubilo e di consolazione, per cui
il nostro Giuseppe si animava ancora di più nel fare la richiesta, e così
avanzava nell’amore verso il suo Dio e nelle suppliche premurose.
Pena per le offese a Dio – Quando in casa accadeva qualche cosa per la quale
Dio potesse restare disgustato – e questo capitava fra le persone di servizio per
la loro fragilità – allora sì che il nostro Giuseppe si faceva vedere
tutto afflitto e mesto, e piangeva amaramente; e poiché a quella tenera età
non poteva riprenderli, dimostrava però con il pianto quanto fosse grande
il suo dolore. La madre, che si accorgeva di questo, gli domandò un giorno
perché piangesse tanto e si affliggesse, ed egli rispose con gran sentimento:
«Tu mi hai più volte insegnato quello che devo fare per piacere a
Dio e quello che si deve fuggire per non disgustarlo. Ora vedendo che nella nostra
casa si disgusta, non vuoi che io mi affligga e pianga?». Questo disse
alla madre, perché da lei era già stato più volte istruito a
fuggire le offese divine, ed anche perché lei non arrivasse a comprendere
i doni che Dio gli aveva partecipato, come l’uso della ragione e la chiara cognizione
delle divine offese per le quali egli molto si affliggeva, mentre capiva come Dio
meritava di essere amato, onorato e non offeso, e che le colpe disgustavano molto
il suo Dio, che egli tanto amava. Inteso questo, la madre procurava di stare molto
vigilante, affinché Dio non fosse offeso da nessuno della sua casa e riprendeva
aspramente i trasgressori, tanto che il nostro Giuseppe, con il suo comportamento,
fu occasione perché la casa dei suoi genitori si potesse chiamare piuttosto
scuola di virtù, vivendo tutti con un’esatta osservanza della
legge divina.
Prudenza della madre – La madre, poi, era molto accorta, e prudente nel tenere
nascosto quanto il figlio le diceva, e quanto in lui scorgeva di doni e di grazie
soprannaturali; né si dimenticò mai di quanto le disse l’Angelo del
Signore in sogno, e cioè che suo figlio avrebbe visto il Messia e avrebbe
conversato con lui; perciò non si faceva grande meraviglia nel vederlo tanto
favorito da Dio, e si impiegava tutta nel lodare e ringraziare la generosità
di Dio, tanto grande verso il suo Giuseppe. A volte lo guardava con grande tenerezza
di affetto, lacrimando per la consolazione che sentiva nel pensare che suo figlio
avrebbe avuto la bella sorte, che non avevano potuto avere tanti Patriarchi e Profeti,
di vedere venuto al mondo il Messia promesso; e spesso diceva al figlio: «Figlio
mio, beato te!», – invidiando santamente la sua felice sorte. Il nostro
Giuseppe le domandò una volta perché gli dicesse questo. La saggia
madre gli rispose: «Ti dico questo, perché so che il nostro Dio ti
ama molto», – celandogli il mistero. Giuseppe nel sentire queste parole,
alzava le mani al cielo, esclamando: «Oh, sì, sì, che mi ama
il mio Dio!». E qui si infiammava tutto nel volto, esultando per la gioia
e lacrimando per la dolcezza. Poi aggiungeva: «Ed io lo amo? Poco lo amo!
Ma lo voglio amare molto più di quello che lo amo; e nel crescere che farò
negli anni e nelle forze, crescerò anche nell’amore del mio Dio».
E fu così perché, a misura che andava crescendo nell’età, cresceva
anche nell’amore.
Istruzione patema – I suoi genitori, vedendo poi che il figliolo era tanto
capace, incominciarono ad istruirlo nelle lettere, e questo lo fece il proprio padre
perché egli era molto dotto nella Legge, e non volle consegnare ad altri il
figlio perché fosse istruito, perché frequentando gli altri non venisse
a perdere quello spirito che Dio gli aveva comunicato. Così il nostro Giuseppe
incominciò ad imparare a leggere e gli riusciva mirabilmente, in modo che
suo padre non ebbe mai occasione di riprenderlo.
Aveva appena tre anni che già incominciava a leggere con molta consolazione
dei suoi genitori e a suo profitto. Si esercitava nella lettura della Sacra Scrittura
e nei Salmi di Davide, che il Padre poi gli spiegava. Era molta la consolazione che
il nostro Giuseppe sperimentava nel leggere e nel sentirsi spiegare dal padre quel
tanto che leggeva, ed in questo esercizio ci mise tutto il suo studio, non tralasciando
però mai i soliti esercizi di orazione e preghiere a Dio, e spendeva tutto
il suo tempo in questo esercizio, cioè nel pregare, studiare e leggere, avendo
per ogni cosa il suo tempo assegnato.
Sua ammirabile pazienza – Non fu mai visto, benché fanciullo, né
adirato, né impaziente, ma conservava sempre una serenità di volto
ed una somma quiete, nonostante molte volte Dio permettesse che gliene capitasse
l’occasione, essendo maltrattato dalle persone di casa in assenza dei suoi genitori;
e il nostro Giuseppe soffriva tutto con pazienza ed allegrezza. Il demonio spesso
si ingegnava ad istigare le persone di servizio in casa, perché lo maltrattassero
per vederlo perdere la bella virtù della sofferenza; ma questo non gli riuscì
mai, perché il nostro Giuseppe era tanto immerso con il pensiero nell’amore
del suo Dio e tanto godeva della sua presenza nella sua anima, che non c’era cosa,
per grande che fosse, che turbasse la pace del suo cuore e la serenità del
suo spirito. Il demonio fremeva molto nel vedere tanta virtù in Giuseppe,
e fremeva molto di più perché non si poteva accostare a lui con le
tentazioni, tenendolo Dio lontano; ma tanto fece che un giorno lo precipitò
per una scala della casa, permettendolo Dio per esercizio di virtù al nostro
Giuseppe e per maggior confusione del nemico infernale. Vedendosi il fanciullo così
precipitato, chiamò Dio in suo aiuto, e Dio non tardò a soccorrerlo
liberandolo da ogni male. Da questo Giuseppe ebbe occasione di riconoscere la grazia
del suo Dio e ringraziarlo, e il demonio partì confuso.
Sua vita raccolta – Non fu poi mai visto, nonostante quella tenera età,
fare cose fanciullesche, né mai si curò di trattare con altri fanciulli
suoi pari, stando sempre ritirato in casa, applicato allo studio e all’orazione,
non perdendo mai tempo. Prestava poi un’esatta obbedienza ai suoi genitori, non tralasciando
mai di fare quel tanto che da loro gli era ordinato. Tutto il suo divertimento stava
nel trattenersi spesso a guardare il cielo, perché sapeva che lì abitava
il suo Dio; e gli inviava caldi sospiri supplicandolo di mandare presto nel mondo
il Messia promesso.
Imitazione dei Patriarchi – Portava poi un grande affetto al Patriarca Abramo,
Isacco e Giacobbe e al Profeta Davide, e spesso supplicava suo padre di narrargli
la vita che essi avevano condotto, con il desiderio di imitarli; poiché sapeva
che erano stati tanto amati e favoriti dal suo Dio e il padre lo compiaceva e gli
narrava la vita, ora di uno, ora dell’altro. Il nostro Giuseppe lo stava ad ascoltare
con molta attenzione e poi diceva: «Questi sono stati amici e favoriti del
nostro Dio e questi dobbiamo imitare nelle loro virtù». E sentendo come
il Padre Abramo camminava sempre alla presenza di Dio, come lo stesso gli aveva ordinato
se voleva essere perfetto, procurò di imitarlo perfettamente. Il nostro Giuseppe
era appena giunto all’età di sette anni, che era già capace di tutte
le virtù che questi Patriarchi avevano esercitato, e per quanto si estendevano
le sue forze, si applicava ad imitarli nella fede e nella confidenza ed amore verso
il suo Dio; così il nostro Giuseppe cresceva nelle virtù e si rendeva
sempre più gradito a Dio.
Lode a Dio – Sentendo poi come il santo Davide lodava il suo Dio sette volte
al giorno in modo speciale, anch’egli lo volle praticare, e supplicò il suo
angelo perché lo avesse svegliato per tempo, per potere lodare il suo Creatore
anche nelle ore notturne. Sapeva già varie cose a mente, a lode del suo Dio,
e le ripeteva spesso, sia di giorno che di notte con molto gusto del suo spirito
e Dio non mancava di illuminarlo sempre di più ed accrescere in lui i suoi
doni. Nel tempo stesso che lo stava lodando, era così acceso d’amore verso
il suo Dio che, molte volte, nonostante fosse notte, apriva la finestra della sua
stanza e si metteva a guardare il cielo, e qui dava adito al suo cuore perché
divampasse le fiamme verso la sua sfera e diceva: «Beato colui che avrà
la sorte di vedere con i propri occhi il Messia promesso! Beato chi avrà la
fortuna di servirlo e di trattare con lui! Che sorte sarà la sua!».
E diceva questo con tanto ardore che restava estatico per molto tempo, acceso da
un vivo desiderio di poterlo servire e prestargli tutto l’onore e il servizio.
Amore per i poveri – Nel petto di Giuseppe ardeva poi un grande amore verso
il prossimo e bramava di giovare a tutti, perciò diceva spesso ai suoi genitori
che distribuissero delle elemosine ai poveri bisognosi e che non avessero riguardo
di conservarle per lui, perché si accontentava di essere povero, purché
gli altri non avessero patito; e i suoi genitori non mancavano di assecondare il
suo desiderio, facendo larghe elemosine ai poveri, essendo già anche loro
inclini nell’usare grande carità verso i bisognosi.
Sua purezza verginale – Il nostro Giuseppe era già arrivato all’età
di sette anni con questo tenore di vita che abbiamo detto, avendo conservato sempre
un illibato candore ed innocenza in modo tale che, non solo non diede mai un minimo
disgusto ai suoi genitori, ma nemmeno fece mai alcuna azione che non fosse stata
di sommo gusto e compiacimento del suo Dio; anzi, quanto più cresceva negli
anni, tanto più gli si rendeva gradito operando sempre con maggiore perfezione.
Oltre all’amore che aveva per la purezza, che Dio gli aveva infuso in modo mirabile,
questa virtù gli fu anche molto raccomandata dal suo angelo, quando una volta
nel sonno gli fece un grande elogio, soggiungendogli che questa virtù era
molto cara al suo Dio ed il nostro Giuseppe se ne invaghì molto di più
e propose di conservarla per tutto il tempo della sua vita; e perché potesse
eseguire questo, supplicava il suo Dio perché gli avesse dato la grazia di
poterlo fare. Propose anche di fuggire tutte le occasioni pericolose, perché
il suo ammirabile candore non avesse mai patito alcun danno e infatti l’eseguì
con tutto lo studio immaginabile, custodendo tutti i suoi sentimenti con grande rigore
e specialmente gli occhi che teneva per lo più fissi a terra o rivolti al
cielo. Dal suo aspetto si conosceva bene quanto fosse grande la purezza della sua
anima e anche del suo corpo, tanto che pareva un angelo vestito di carne mortale.
La madre più volte osservò lo splendore nel suo volto, ed anche suo
padre; da questo conoscevano bene quanto grande fosse la purezza e l’innocenza del
loro figliolo e come Dio si compiaceva di abitare nella sua purissima anima per mezzo
della sua grazia; questo si notava quando il nostro Giuseppe terminava la preghiera,
e che da solo a solo aveva trattato con il suo Dio.
Cura dei suoi genitori – In queste occasioni i suoi genitori si sentivano
riempire l’anima di un’insolita consolazione e di un amore riverenziale verso il
loro figlio, guardandolo sempre più come un tesoro e un dono del Cielo. Non
tralasciavano però di esercitare su di lui quell’autorità propria dei
genitori verso i loro figli, e spesso provavano come fosse obbediente ai loro cenni,
ed egli si mostrava obbedientissimo in tutto.
Sua mortificazione – Il nostro Giuseppe era molto incline al digiuno e alle
asprezze, ma quando i suoi genitori glielo proibivano, egli si sottometteva alla
loro volontà con tutta la rassegnazione, e non replicava mai in alcuna cosa.
Quando desiderava fare digiuni e veglie domandava a loro il permesso con tanta sottomissione,
che sembrava non glielo sapessero negare, tanto era il modo che aveva per accattivarseli;
e quando gli negavano il permesso, lo facevano con pena, perché non potevano
contraddirlo.
Carità ai poveri – Molte volte ancora, il padre gli dava dei soldi
perché desse l’elemosina ai poveri che gliela domandavano; ed allora la prendeva
con tanta sottomissione ed umiltà, come se quella elemosina l’avessero fatta
a lui stesso, e ben presto la dispensava ai poveri non trattenendo mai presso di
sé alcuna cosa. Quando vedeva qualche povero venire a casa sua a domandare
la carità, egli andava dalla madre e gliela domandava come per sé,
con tanta sottomissione; la madre si meravigliava della virtù di suo figlio
e gliela faceva largamente. Era poi tanto grande il gusto che il nostro Giuseppe
aveva nel dare l’elemosina ai poveri, che si capiva bene nel suo volto, poiché
se vedeva un povero si affliggeva tutto e subito si rallegrava quando gli dava l’elemosina.
Invaghito delle virtù – Era già molto incline alla pratica di
tutte le virtù, ma se ne era molto più invaghito perché l’Angelo
gli parlava nel sonno e gli manifestava il pregio e valore delle virtù, e
come queste fossero molto care e di gusto al suo Dio. Non ci voleva altro perché
il nostro Giuseppe si innamorasse della virtù. Il solo sentire che erano gradite
al suo Dio, era sufficiente perché egli si mettesse a praticarle con tutto
l’impegno.