Cosa esige da noi la carità e l’unione fraterna
Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.
TRATTATO IV. DELL’UNIONE E CARITÀ FRATERNA
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CAPO V. Si comincia a dichiarare in particolare che cosa ricerchi da noi l’unione e carità fraterna, e quello che ci aiuterà a conservarla
1. La carità è paziente e benigna.
2. Si mostra tale nel compatire i difetti del prossimo e nell’aiutarlo.
3. La carità non è gonfia e superba.
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1. «La carità è paziente, è benigna: la carità non è astiosa, non è insolente, non si gonfia, non è ambiziosa, non cerca il proprio interesse» (I Cor 13, 4-5). Quello che ricerca l’unione e carità fraterna non è nientemeno che l’esercizio di tutte le virtù. Perché quello che la impedisce e le fa guerra è la superbia, l’invidia, l’ambizione, l’impazienza, l’amor proprio, l’immortificazione ed altre cose simili; onde per conservarci in essa abbiamo bisogno dell’esercizio delle virtù contrarie. Questo è quello ché ci insegna l’Apostolo S. Paolo in queste parole; e così non sarà necessario altro che andarle dichiarando. La carità è paziente; la carità è benigna. Queste due cose, cioè sopportare pazientemente e far bene a tutti, sono molto importanti e necessarie per conservar questa unione e carità di uno con l’altro. Perché come per l’una parte siamo uomini pieni di difetti e d’imperfezioni, abbiamo tutti assai in che esser compatiti; e come per l’altra siamo tanto deboli e tanto bisognosi, abbiamo necessità di chi ci aiuti e ci faccia del bene. E così l’Apostolo S. Paolo dice, che in questa maniera si conserverà la carità e si adempirà questo precetto di Cristo, cioè aiutandoci e sollevandoci l’un l’altro. «Portate gli uni i pesi degli altri, e così adempirete la legge di Cristo» (Gal. 6, 2).
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S. Agostino (S. AUG. De Div. quaest. l. 83, q. 71, n. 1; PLIN. H. N. l. 8, c. 32) sopra queste parole apporta una buona similitudine, che fa al nostro proposito. Scrivono, dice egli, i naturalisti che i cervi, quando vogliono passar a nuoto qualche fiume, o tratto di mare, per andare a cercar pascolo in qualche isola, si dispongono e accomodano in questa maniera, che avendo le teste molto pesanti per cagione di quelle loro corna, l’un dietro l’altro si mettono in una fila, e ciascuno per alleggerimento di fatica porta la testa appoggiata sopra la groppa di quello che gli va innanzi, e così si aiutano l’un l’altro. Di maniera che tutti vanno posatamente e portano la testa poggiata sopra uno dei compagni; solo il primo la porta in aria, sopportando quel travaglio per alleggerir quello degli altri. E acciocché questo ancora non abbia da travagliare soverchiamente, quando si sente stanco, si fa di primo ultimo, e quello che gli andava dietro succede nel suo ufficio per un altro pezzo; é così si vanno rimutando, sino ad arrivare in terra. In questo modo ci abbiamo noi da aiutar e sollevare l’uno l’altro: ciascuno ha da procurare di scaricar l’altro e di levargli il travaglio e la fatica quanto mai gli sia possibile. Questo ricerca la carità; e fuggire uno la fatica e lasciare la soma e il peso all’altro è mancamento di carità. Quanto più farai, tanto più meriterai. Questo è un fare più per te che per gli altri.
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