Meditazione: insistere sulla cosa di cui abbiam più bisogno

Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.

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TRATTATO V. DELL'ORAZIONE

 

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CAPO XV. Come s'intende che nell'orazione abbiamo da pigliare a petto quella cosa, della quale abbiamo maggiore necessità, e insistere in essa fin che l'abbiamo conseguita.

 

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1. Va assecondato qualunque buon sentimento.
2. Ciò si accorda col frutto particolare prefisso.
3. A questo frutto applicare anche l'esame particolare.
4. La meditazione è fontana che tutto innaffia.
5. Meditando trattieniti con pausa negli atti buoni.
6. Danno del contrario.
7. Vantaggio di tal pratica.

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1. Non vogliamo dire per questo che sempre abbiamo da attendere ad una cosa nell'orazione; perché quantunque la nostra particolare e maggiore necessità sia l'umiltà, o altra cosa simile, possiamo bene nell'orazione occuparci negli atti e nell'esercizio di altre virtù. per esempio, ti si porge l'occasione di un atto di conformarti alla volontà di. Dio in ciò che egli vorrà e ordinerà di te; trattieniti in esso quanto potrai, che questa sarà buonissima orazione e molto bene impiegata, né ti leverà questo l'armi di mano per farti forte in genere d'umiltà; che anzi per questa ti darà maggiore aiuto. Ti si porge occasione di un atto di gratitudine e riconoscimento grande dei benefizi che hai ricevuti da Dio, così generali, come particolari; trattieniti in questo quanto ti sarà possibile; che ben è ragione che ogni giorno rendiamo grazie al Signore per i benefizi ricevuti, e specialmente per averci tirati alla religione. Ti si porge occasione di concepire un odio e dolore grande dei tuoi peccati, e un fermo proponimento di morire più tosto mille volte che offendere mai più Dio; trattieniti in questo, che è uno dei buoni e dei più utili atti nei quali ti puoi esercitare nell'orazione. Ti si porge occasione di far un atto di amor di Dio, di concepire zelo e desiderio grande della salvezza delle anime e brama di esporti a qualsivoglia travaglio e fatica per esse; trattieniti in questo. E possiamo anche trattenerci nell'orazione in chiedere a Dio grazie così per noi stessi, come per i nostri prossimi e per tutta la Chiesa, che è una molto principale parte dell'orazione.

In tutte queste cose ed altre simili ci possiamo trattenere nell'orazione, e sarà orazione molto buona: e così vediamo i Salmi, i quali sono una perfettissima orazione, pieni di una infinità d'affetti differenti. Perciò Cassiano e l'abate S. Nilo (CASSIAN. coll. 9, c. 7; S. NILUS in Biblioth. patr. t. 7) dissero che l'orazione è una campagna piena di fiori, e una ghirlanda tessuta di molti fiori di odori tutti diversi. «Ecco l'odore del figliuol mio è come l'odore d'un campo ben fiorito e benedetto dal Signore» (Gen. 27, 27). E in questa varietà vi è un'altra utilità, 'ed è che suole aiutare a renderci più facile l'orazione, e per conseguenza a poter durare e perseverare in essa più lungamente; perché il replicare sempre una medesima cosa suole cagionare fastidio; mentre la varietà diletta e trattiene.

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Due avvertimenti per far bene l’orazione

Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.

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TRATTATO V. DELL'ORAZIONE

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CAPO XIV. Di due avvertimenti, i quali ci aiuteranno grandemente a far bene l'orazione e a cavar frutto da essa.

 

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1. L'orazione è mezzo per il nostro profitto.
2. Autorità della Scrittura e dei Padri.
3. E rimedio generale per ogni necessità spirituale.
4. Prima di arare prevedere il frutto da cavare.
5. Pratica di ciò.
6. Da qualunque meditazione puoi cavare lo stesso frutto.

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1. Per far bene l'orazione e per cavar da essa il frutto che si conviene, per la prima cosa ci aiuterà grandemente il persuaderci a tenere fermo questo fondamento, che l'orazione non è fine, ma mezzo che pigliamo pel nostro profitto e perfezione. Sicché non ci dobbiamo fermare nell'orazione, come in termine e fine; perché la nostra perfezione non sta nell'avere grande consolazione, particolare tenerezza, o alta contemplazione; ma nell'acquistare una perfetta mortificazione e vittoria di noi stessi e delle nostre passioni e appetiti, riducendoci, quanto però ci sia possibile, alla perfezione di quel felice stato della giustizia originale nel quale fummo creati, quando la carne e l'appetito stavano totalmente soggetti e conformi alla ragione, e la ragione a Dio. E abbiamo da pigliare l'orazione come mezzo per arrivare a questo. Come nella fucina il ferro diventa molle col fuoco, per potersi lavorare e piegare e farsene quel che si vuole; così ha da essere nell'orazione. Ci si rende molto dura e molto difficile la mortificazione, il rompere la nostra propria volontà, il sopportare quel travaglio e quel sinistro incontro che ci si presenta? Bisogna fare ricorso alla fucina dell'orazione, e ivi col calore e col fuoco della divozione e coll'esempio di Cristo si va mollificando il cuore, per poterlo lavorare e accomodare a tutto quello che sarà di bisogno per servire maggiormente a Dio. Questo è l'ufficio dell'orazione, e questo è il frutto che abbiamo da cavare da essa; e per questo sono fatti i gusti e le consolazioni che il Signore in essa ci vuol comunicare. Non sono fatte le consolazioni per fermarci in esse; ma per potere con maggior prontezza e speditezza correre per la strada della virtù e perfezione.

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Meditazione: quelli che non riescono a discorrere con l’intelletto

Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.

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TRATTATO V. DELL'ORAZIONE

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CAPO XIII. Si soddisfa al lamento di quelli che dicono, che non possono o non sanno meditare né discorrere con l'intelletto

 

 

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1. Spesso il discorso pregiudica l'affetto.
2. Da considerazioni comuni spesso affetti molto elevati. 
3. E grazia maggiore l'affetto che non il discorso. 
4. Esempio.

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1. Con questo si risponde ad un lamento molto comune di alcuni, i quali si rammaricano, dicendo che non possono o non sanno discorrere nell'orazione, perché non si presentano loro considerazioni onde potersi stendere sui punti, ma subito se ne restano in secco. Non accade pigliarsi di ciò fastidio alcuno, perché, come abbiamo detto, questo negozio dell'orazione consiste più in affetti e desideri della volontà, che in discorsi e speculazioni dell'intelletto. Anzi notano qui i maestri della vita spirituale, che bisogna avvertire che la meditazione dell'intelletto non sia soverchia, perché questo suole impedire assai il movimento e l'affetto della volontà, che è la cosa principale. E specialmente viene questo movimento ed affetto impedito di più, quando uno si trattiene in considerazioni sottili e delicate. E la ragione è naturale; perché è cosa chiara che se una fontana non ha più che una vena d'acqua, e vi sono molti canali; quanto più acqua correrà per uno di essi, tanto meno ne correrà per gli altri. Ora la virtù dell'anima è finita e limitata e quanto più ne scorre per il canale dell'intelletto, tanto meno ne scorrerà per quello della volontà.

E così vediamo per esperienza che se l'anima sta con divozione e sentimento, e l'intelletto si distrae con qualche speculazione o curiosità; subito il cuore si secca e si estingue quella divozione. Il che avviene perché la fontana va smaltendo l'acqua per l'altro canale dell'intelletto e perciò viene a restare secco quello della volontà. Onde dice Gersone (GERSON, De mont. contempl. prolog.) che di qui procede che quelli che non sono dotti, alcune, anzi molte volte sono più divoti e riescono meglio nell'orazione che i dotti; perché si attuano meno per mezzo dell'intelletto, non occupandosi, né distraendosi in speculazioni, né in curiosità; ma procurano subito con considerazioni facili e semplici di muovere e affezionare la volontà. E quelle considerazioni ordinarie e famigliari li muovono più e fanno maggior effetto in essi, che non. fanno in altri le alte e sottili. Come vedemmo in quel santo cuoco, di cui abbiamo di sopra fatta menzione (Tratt. 3, c. 9, n. 3), il quale dal fuoco materiale che adoperava prendeva occasione di ricordarsi del fuoco eterno, ed era uomo di tanta divozione, che aveva dono di lagrime nelle sue operazioni.

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Meditazione: importanza degli atti e affetti della volontà

Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.

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TRATTATO V. DELL'ORAZIONE

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CAPO XII. Di quanta importanza sia il trattenerci negli atti e affetti della volontà.

 

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1. Negli affetti è la perfezione dell'orazione.
2. Qui sia tutto il nostro studio

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1. E di tanta importanza il trattenerci e il far pausa negli atti ed affetti della volontà, e lo stimano tanto i Santi e i maestri della vita spirituale, che dicono che in questo consiste la buona e perfetta orazione, e ancora quella che è chiamata contemplazione; quando cioè l'uomo non cèrca più colla meditazione incentivi d'amore, ma gode dell'amore trovato e desiderato, e si riposa in esso come nel termine della sua investigazione e del suo desiderio, dicendo colla Sposa dei sacri Cantici: «Ho trovato quello che l'anima mia ama: già lo tengo, e non lo lascerò più» (Cant. 3, 4). E questo è quello che ivi dice ancora la medesima Sposa: «Io dormo, e il mio cuore veglia» (Ibid. 5, 2); perché nella perfetta orazione l'intelletto sta come addormentato, avendo lasciato il discorso e la speculazione, e la volontà sta vegliando e liquefacendosi nell'amore del suo Sposo. E piace tanto allo Sposo questo sonno nella sua Sposa, che comanda che la lascino quietare in esso e non la risveglino fino a tanto ch'ella ne gusterà: «Io vi scongiuro, o figliuole di Gerusalemme, pei caprioli e pei cervi dei campi, che non rompiate il sonno della diletta e non la facciate vegliare fino a tanto che ella il voglia» (Ibid. 3, 5).

Di maniera che la meditazione e tutte le altre parti che costituiscono l'orazione sono ordinate e indirizzate a questa contemplazione, e sono come tanti scalini per i quali abbiamo da salire ad essa. Così dice S. Agostino in un libro chiamato da lui Scala del Paradiso (S. AUG. Scal, parad.). «La lettura cerca; la meditazione trova; l'orazione chiede, ma la contemplazione gusta e gode di quello che è stato cercato, chiesto e trovato. È apporta quel luogo del Vangelo: «Cercate e troverete; picchiate e vi sarà aperto», (Matth. 7, 7) soggiungendo: «Cercate leggendo e troverete meditando; bussate orando e vi sarà aperto contemplando» (S. AUG. loc. cit.).

E così avvertono i Santi, e l'apporta Alberto Magno (ALB. MAGN. De adhaerendo Deo, c. 9), che questa è la differenza che corre fra la contemplazione dei fedeli cattolici e quella dei filosofi gentili; che la contemplazione dei filosofi tutta è ordinata a perfezionar l'intelletto colla cognizione delle verità conosciute, e così si ferma nell'intelletto, perché questo è il suo fine, cioè il sapere e il conoscere sempre più; ma la contemplazione dei cattolici e dei Santi, della quale trattiamo adesso, non si ferma nell'intelletto, ma passa avanti a dilettare e a muovere la volontà e ad infiammarla ed accenderla nell'amor di Dio, come lo significano quelle parole della sacra Sposa: «L’anima mia s'è liquefatta subito che il mio Diletto ha parlato» (Cant. 5, 6). E notò molto bene questa cosa S. Tommaso (S. THOM. 2-2, q. 180, a. 1 et 7), il quale trattando della contemplazione dice che, sebbene la contemplazione essenzialmente consista nell'intelletto, nondimeno la sua ultima perfezione sta nell'amore e nell'affetto della volontà. Di maniera che l'intento e il fine principale della nostra contemplazione ha da essere l'affetto della volontà e l'amor di Dio.

 

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Meditazione: il frutto da ricavare

Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.

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TRATTATO V. DELL'ORAZIONE

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CAPO X. Di altri beni e utilità che sono nella meditazione.

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1. Gli affetti del cuore frutto dell'orazione.
2. Quindi non vada tutto in discorsi.
3. Il discorso è mezzo, non fine.
4. Alla cognizione segua l'affetto.
5. Quali saranno questi affetti?
6. Quanto valerci del discorso?

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1. «Si accese dentro di.me il cuor mio e un fuoco divampò nelle mie considerazioni» (Ps. 38, 4). In queste parole ci dichiara il profeta Davide il modo che abbiamo da tenere nell'orazione, giusta la spiegazione che ne apportano molti dottori e Santi (S. HIERON. Brev. in Ps. 38; S. GREG. Moral. l. 23, c. 11), i quali dichiarano questo luogo del fuoco della carità ed amor di Dio e del prossimo, che colla meditazione delle cose celesti s'accendeva e ardeva nel petto del reale Profeta. Il mio cuore dice egli, si riscalda, e tutto dentro di sé si accende. Questo è l'effetto dell'orazione. Ma come prese questo calore, come si accese questo fuoco colà dentro nel cuore? Sai come? colla meditazione. Questo è il mezzo e lo strumento per accendere questo fuoco. Di maniera che la meditazione, dice S. Cirillo Alessandrino, è come il batter coll'acciarino la pietra focaia, acciocché n'esca fuoco. Col discorso e colla meditazione dell'intelletto hai da battere codesta dura pietra del tuo cuore, sin a tanto che s'accenda nell'amor di Dio e in desiderio dell'umiltà, della mortificazione e delle altre virtù; e non t'hai da fermare sinchè non abbi cavato ed acceso in esso questo fuoco.

2. Benché la meditazione sia molto buona e necessaria, non se ne ha però da andar tutta l'orazione in discorsi e considerazioni dell'intelletto, né ci abbiamo da fermar ivi; perché questo sarebbe più studio che orazione; ma tutte le meditazioni e considerazioni che faremo hanno da esser prese da noi come mezzo per eccitare ed accendere nel nostro cuore gli affetti e i desideri delle virtù, perché la bontà e santità della vita cristiana e religiosa non consiste nei buoni pensieri e nell'intelligenza di cose sante, ma nelle virtù sode e vere, e specialmente negli atti e nelle operazioni di esse, nelle quali, come dice S. Tommaso (S. Th 1-2, q. 3, a. 2), sta l'ultima perfezione della virtù. Onde in questo principalmente abbiamo noi da insistere e occuparci mentre facciamo orazione.

 

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Di altri beni e utilità che sono nella meditazione

Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.

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TRATTATO V. DELL'ORAZIONE

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CAPO X. Di altri beni e utilità che sono nella meditazione.

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1. Dalla meditazione nasce la divozione.
2. Qual è la vera pratica dell'orazione.
3. Vantaggi della meditazione.

 

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   1. Un altro bene e utilità grande dice S. Tommaso che è nella meditazione; cioè, che da essa nasce la vera devozione, cosa tanto importante nella vita spirituale e tanto desiderata da tutti quelli che camminano per la via di essa. Devozione non è altro che una prontezza e prestezza della volontà ad ogni cosa buona: onde uomo devoto è quegli che sta pronto e disposto ad ogni bene. Ora S. Tommaso (S. THOM. 2-2, q. 82, a. 3) dice che due cagioni vi sono di questa devozione; una estrinseca e principale, che è Dio; un'altra intrinseca dalla parte nostra, che è la meditazione; perché codesta volontà pronta alle cose del servizio di Dio nasce dalla considerazione e meditazione che fa l'intelletto; atteso che questa è quella che dopo la grazia di Dio muove ed accende cotesto fuoco nel nostro cuore. Di maniera che non sta la 1era devozione e il fervore di spirito nella dolcezza e gusto sensibile, che provano e sentono alcuni nell'orazione; ma nell'avere una volontà pronta e disposta a tutte le cose del servizio di Dio. E questa è la devozione che dura e persevera, ché l'altra presto finisce; perché consiste in certi affetti di devozione sensibili, che nascono dal subito desiderio che uno ha di qualche cosa appetibile e amabile, e molte volte procede da complessione naturale, dall'avere un certo temperamento dolce ed un cuore tenero e che subito si muove a sentimento e a lagrime; e tosto che questa devozione è esausta si sogliono seccare i buoni proponimenti. Questo è un amor tenero, fondato in gusti e consolazioni sensibili. Mentre dura quel gusto e quella devozione sarà uno molto diligente e puntuale, e amico del silenzio e del ritiramento; ma subito che cessa, ogni cosa è finita. Per contrario, quei che vanno fondati nella verità per mezzo della meditazione e considerazione, convinti e disingannati colla ragione, perseverano e durano nella virtù. E benché manchino loro i gusti e le consolazioni sensibili, sono sempre i medesimi di prima, perché dura in loro il principio del loro fervore, che è la ragione che li convinse e li mosse.
   Questo è amor forte e virile; e da ciò si vengono a conoscere i veri servi di Dio e quelli che hanno fatto profitto; non dai gusti né dalle sensibili consolazioni. Si suoI dire che le nostre passioni sono come certi cagnolini che abbaiano, e nel tempo della consolazione tengono le bocche turate; a ciascuna getta Dio il suo pezzo di pane, e con ciò se ne stanno quiete né domandano cosa alcuna; ma finito o tolto questo pane della consolazione, abbaia l'una e abbaia l'altra: e allora così si vede quel che ciascuno è. Si sogliono anche paragonare i gusti e le consolazioni sensibili ai beni mobili, i quali si consumano presto, e le virtù sode ai beni stabili, i quali si conservano e durano, e perciò sono di maggior estimazione.

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Bene e utilità grande della meditazione

Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.

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TRATTATO V. DELL'ORAZIONE

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CAPO IX. D'un bene e utilità grande che abbiamo da cavare dalla meditazione; e come si ha da fare per cavarne gran frutto

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1. Come cavar frutto dalla meditazione.
2. Gran differenza da meditare a meditare.
3. Esempio dell'Emorroissa

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   1. Molto buona cosa è nell'orazione esercitarci in affetti e desideri della volontà; del che in breve tratteremo; bisogna però che questi affetti e desideri vadano ben fondati in ragione; perché l'uomo è ragionevole e vuol essere guidato dalla ragione e per via d'intelletto. Onde una delle principali cose alla quale si ha da ordinare e indirizzare la meditazione ha da essere il restare molto disingannati, molto asso dati nella verità, molto convinti e molto fermi in quello che è espediente per noi. E questo ha da essere uno dei principali frutti che dobbiamo procurar di cavare dall'orazione; e si deve ben riflettere a questo punto, perché è molto principale in questa materia. Specialmente bisogna che nei principi la persona si eserciti più in questo, per poter camminare con miglior fondamento e rimaner ben persuasa della verità. Per potere dunque meglio cavar questo frutto dalla meditazione, acciocché essa ci sia di profitto, bisogna che non si faccia superficialmente, né correndo, e nemmeno lentamente e con languidezza, ma con impegno e con molta attenzione e posatezza.
   Hai da meditare e considerare molto adagio e con molta quiete la brevità della vita e la fragilità e vanità delle cose del mondo, e come colla morte ogni cosa ha da finire; acciocché così tu venga a dispregiare tutte queste cose di qua e a porre tutto il tuo cuore in quello che ha da durare eternamente. Hai da considerare e ponderar molte volte quanto vana cosa sia la stima e l'opinione degli uomini, che tanta guerra ci fa; poiché non ti dà né ti toglie niente; né questa ti può fare migliore né peggiore; acciocché tu venga a dispregiarla è a non fare conto; e così di tutto il resto. In questa maniera la persona si va disingannando e convincendo e risolvendosi in quello che le conviene, e si va facendo uomo spirituale. Si va elevando sopra di sé, come dice il profeta Geremia (Ierem, Thren, 3, 8), e facendo un cuor generoso e disprezzatore di tutte le cose del mondo; e viene a dire con S. Paolo: «Quel che prima tenevo per guadagno, ora lo tengo per perdita e per spazzatura, per guadagnar Cristo» (Philip. 3, 8).

 

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Della necessità della meditazione

Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.

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TRATTATO V. DELL'ORAZIONE

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CAPO VIII. Della necessità della meditazione

 

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1. E principio d'ogni buon sentimento.

2. La sua mancanza principio d'ogni male.

3. Credi all'inferno e vivi male?

 

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1. Ugo di S. Vittore dice che l'orazione non può esser perfetta se non la precede o non l'accompagna la meditazione (HUGO DE S. VICT. De modo oranti, c. 1). Ed è dottrina di sant'Agostino, il quale dice che l'orazione senza la meditazione è tiepida (S. AUG. Scala Parad. c. 11). E lo provano molto bene; perché se l'uomo non si esercita in conoscere e considerare la miseria e debolezza sua propria, se ne resterà ingannato e non saprà chiedere nell'orazione quello che gli conviene, né lo chiederà col dovuto calore. Molti, per non conoscere se stessi e per non considerare i loro difetti, stanno molto ingannati e presumono di sé quel che non presumerebbero se si conoscessero; onde attendono nell'orazione ad altre cose differenti da quelle delle quali hanno bisogno. Se dunque vuoi saper orare e chiedere a Dio quello che ti conviene, esercitati in considerare i tuoi difetti e le tue miserie; e in questa maniera saprai quello che hai da chiedere; e considerando e conoscendo la tua gran necessità, lo chiederai con calore e come lo devi chiedere; nella guisa che fa il povero bisognoso, il quale conosce bene la necessità e povertà sua.

S. Bernardo, trattando di questo punto e avvertendoci che non dobbiamo salire alla perfezione volando, ma camminando, dappoichè, come egli dice: «nessuno d'un tratto diventa sommo: col salire e non già col volare si raggiunge la cima della scala», soggiunge che il camminare e salire alla perfezione si ha da fare con questi due piedi, meditazione e orazione; «perché la meditazione ci mostra quel che ci manca, e l'orazione l'impetra. La meditazione ci mostra la strada; e l'orazione ci conduce ad essa. Colla meditazione infine conosciamo i pericoli che ci sovrastano; e coll'orazione li evitiamo e ci liberiamo da essi» (S. BERN. Serm. 1 de S. Andrea, n. 10). Quindi S. Agostino viene a dire che la meditazione è principio di ogni bene (S. AUG. in lib. Sent.): perché chi considera quanto Dio è buono in se stesso, e quanto buono e misericordioso è stato verso di noi, quanto ci ha amati, quanto ha fatto e patito per noi; subito s'accende nell'amore di tanto buon Signore: e chi considera bene le sue colpe e miserie, viene ad umiliarsi e a dispregiarsi: e chi considera quanto male ha servito Dio e quanto grandemente l'ha offeso, si reputa degno di qualsivoglia travaglio e castigo. E in questa maniera colla meditazione viene l'anima ad arricchirsi di tutte le virtù.

Per questo ci è raccomandata tanto nella Sacra Scrittura la meditazione. Beato l'uomo che medita giorno e notte nella legge del Signore, dice il profeta Davide. «Questo tale sarà come l'albero piantato lungo la corrente dell'acque, il quale a suo tempo darà il suo frutto» (Ps. 1, 3). E «beati coloro che osservano le istruzioni del Signore: con tutto il cuore cercano Lui» (Ps. 118, 2). Questi che meditano quanto Iddio ci ha detto nella Scrittura, questi sono quelli che lo cercano di tutto cuore, e il meditar che ciò fanno, questo è quello che li stimola a cercarlo in tal modo. E così questo a Dio chiedeva il Profeta per osservare la sua legge: «Dammi intelletto, ed io attentamente studierò la tua legge e la osserverò con tutto il mio cuore» (Ps. 118, 34). E per contrario dice: «Se la mia meditazione non fosse stata la tua legge, allora forse nella mia afflizione sarei perito» (Ps. 118, 92), cioè nelle mie angustie e nei miei travagli, come dichiara S. Girolamo (S. HIER. Brev. in Ps. 118). E così una delle maggiori lodi della meditazione e considerazione che mettono i Santi, o assolutamente la maggiore, è che ella è una grande aiutatrice di tutte le virtù e di tutte le opere buone. «Sorella della lettura, nutrice dell'orazione, direttrice dell'azione e del pari perfezionatrice di ogni cosa» (GERSON, De medit. p. 3), la dice il Gersone.

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Dell’orazione mentale ordinaria

Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.

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TRATTATO V. DELL'ORAZIONE

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CAPO VII. Dell'orazione mentale ordinaria

 

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1. Il metodo d'orazione negli Esercizi di S. Ignazio.

2. Esercizio delle tre potenze.

3. E usato dai Santi ed è scevro d'illusioni.

4. La ragione ne conferma l'utilità e la sicurezza.

 

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1. Lasciata da parte l'orazione specialissima e straordinaria, giacché non possiamo né insegnare né dichiarare quello ch'ella è, né come sia fatta, né è in mano nostra avere il dono di essa, né da Dio ci viene comandato che l'abbiamo, né ci domanderà conto di questa cosa; tratteremo ora dell'orazione mentale ordinaria e comune, la quale si può in qualche modo insegnare, e arrivarvi a forza di fatiche e indirizzi, aiutati dalla grazia del Signore. Fra le altre grazie e benefici, che il Signore ci ha fatti nella Compagnia, questo è stato uno molto particolare, che ci ha dato il metodo di orazione che abbiamo da tenere, approvato dalla Sede Apostolica, nel libro degli Esercizi spirituali del nostro S. P. Ignazio, come consta dal Breve che è nel principio di esso. In questo Papa Paolo III, dopo aver fatto esaminare molto esattamente i detti Esercizi, li approva e conferma, dicendo che sono molto utili e salutiferi, ed esorta grandemente tutti i fedeli ad esercitarsi in essi.

Il Signore comunicò al nostro Santo Padre questo modo d'orazione, ed egli lo comunicò a noi altri collo stesso ordine, col quale il Signore lo comunicò a lui; onde abbiamo ad aver gran fiducia in Dio che per questa strada e modo proposto da Sua Divina Maestà ci aiuterà e farà delle grazie; poiché con esso guadagnò il nostro Santo Padre e i suoi compagni, e successivamente altri molti; e insieme con questo comunicò al Santo l'idea e il disegno della Compagnia che egli aveva a fondare, come egli stesso disse. E così non abbiamo da cercar altre vie né altri modi straordinari d'orazione, ma procurare di conformarci a questo modello che i vi abbiamo, come buoni e veri figliuoli.

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Si conferma la dottrina sui due tipi di orazione

La beata Anna Maria Taigi, sposa romanaEsercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.

 

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TRATTATO V. DELL'ORAZIONE

 

 

 

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CAPO VI. Si dichiara e si conferma maggiormente questa dottrina

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1. Prima Giacobbe che lotta, poi Israele che vede.

2. Lettera del P. Mercuriano.

3. I tre gradini, via purgativa, illuminativa, unitiva.

 

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1. Per maggior conferma e dichiarazione di questa dottrina avvertono qui i Santi e i maestri della vita spirituale che, per arrivare a quell'orazione e contemplazione alta che dicevamo, vi bisogna gran mortificazione delle nostre passioni, e che l'uomo si fondi prima molto bene nelle virtù morali e si eserciti lungo tempo in esse; altrimenti dicono che in vano pretenderà di salire a codesta contemplazione e di far professione di essa. «Bisogna, dicono, che vi sia un Giacobbe che lotti; prima di esservi un Israele che veda Dio e dica: Ho veduto Dio faccia a faccia» (S. GREG. Moral. l. 6, c. 37; S. BERN. Serm. 46 in Cant. n. 7-8; S. THOM. 2-2, q. 182, a. 3). Bisogna che prima tu sii lottatore molto gagliardo e che vinca le tue passioni e male inclinazioni, se vuoi arrivare a quell'unione intima con Dio.

Dice il Blosio (BLOS. in tab. spir. § 4, Append. 1) che colui che vuole arrivare ad un grado molto eccellente dell'amor divino, e non procura con gran diligenza di correggere e di mortificare i suoi vizi e di scacciare da sé l'amore disordinato delle creature, è simile a uno che, essendo ben carico di piombo e di ferro e avendo legate le mani e i piedi, voglia salire in cima di un alto albero. E così questi maestri danno per avvertimento ai direttori delle cose spirituali, che prima di trattare di questa contemplazione con quelli che vogliono dirigere, hanno da fare opera, che i loro discepoli attendano prima a mortificare molto bene tutte le loro passioni e ad acquistare gli abiti delle virtù della pazienza, dell'umiltà e dell'ubbidienza, e che in ciò s'esercitino assai. Il che chiamano essi vita attiva, la quale ha da precedere la contemplativa. Essendo che, per mancamento di questo, molti, che non hanno camminato con questi passi, ma hanno voluto salire alla contemplazione senza ordine, dopo molti anni d'orazione si trovano molto vuoti di virtù, impazienti, iracondi, superbi; che subito che sono tocchi in alcuna di queste cose, vengono a prorompere con impazienza in parole disordinate e sconce, colle quali fanno assai bene manifesta la loro imperfezione e poca mortificazione.

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