P. TIMOTEO
CENTI O. P.
LA BEATA IMELDA LAMBERTINI
VERGINE DOMENICANA
CON STUDIO CRITICO E DOCUMENTI INEDITI
VI
IL SEPOLCRO DELLA B. IMELDA
Riavutesi dallo sbigottimento
provato alla vista di tanto prodigio – che era insieme una bella lezione impartita
dall’Amico dei piccoli al loro rigorismo – le Suore di Valdipietra, coadiuvate certamente
dalla Casa Lambertini, pensarono a dare al corpo della novizia una degna sepoltura.
La collocarono in un’arca di marmo, decorata con quattro colonnine, internata in
una nicchia vicino alla porta della Chiesa in un angolo del loro Chiostro.
Nello sfondo della nicchia, due scene dipinte ricordarono ai posteri il grande avvenimento.
La prima faceva vedere la Beata, tutta vestita di bianco, genuflessa davanti all’altare,
circondata dalle consorelle stupite; la seconda scena rappresentava la stessa Beata
in atto di ricevere la Sacra Ostia da un sacerdote in cotta e stola. Sopra il sepolcro
c’era raffigurato il gruppo della Crocifissione con la Vergine, S. Giovanni Evangelista
e S. Maria Maddalena ai piedi della croce.
Una iscrizione in volgare spiegava: “Miracolo di una giovane, fatto nel Monastero
di S. Maria Maddalena, che fu dell’anno 1333, la quale avea nome Suor Imelda de’
Lambertini. Che essendo giovinetta, non in età di comunicarsi, stando detta
giovane avanti l’altare, venne la sacrata Ostia dal Cielo, e fu comunicata per man
del sacerdote, e subito spirò, in presenza di molte Suore e altre persone,
e fu sepolta in questa Arca” (1).
Le religiose, entrando ed uscendo di Chiesa, avevano continuamente sotto gli occhi
la loro santa consorella.
Volendo poi commemorare annualmente il prodigio, scrissero o fecero scrivere nel
loro grande Martirologio in pergamena, in margine agli elogi dei Santi Nereo e Achilleo
il 12 Maggio, le seguenti parole: “Obiit Soror Imelda de Lambertinis, cui in
vita hostia de celo sibi demissa a sacerdote accepta communicata fuit coram multis”
le quali parole tradotte suonano: “Morte di Suor Imelda Lambertini, alla quale
in vita fu comunicata una sacra Ostia discesa dal cielo, alla presenza di molti”
(2).
Trattandosi di un miracolo, si comprende l’accortezza di riferirsi ai testimoni oculari;
più tardi, quando gli scrittori cominceranno a parlare della Beata, si citeranno
invece il Martirologio ed il Sepolcro di Imelda come le memorie più attendibili
e più antiche del prodigio.
Verso la piccola Suora, morta così santamente, si rivolse ben presto la devozione
delle consorelle e di coloro che frequentavano il Monastero; si cominciò ad
invocarla per ottenere grazie e favori. Suor Imelda mostrò, con la sua benevola
intercessione, di essere partecipe della gloria celeste.
Coll’andar del tempo, fu composta in suo onore anche un’Antifona. che le Suore cantavano
nel giorno anniversario della sua morte e poi anche il 24 Febbraio per commemorare
la sua Traslazione, di cui appresso si dirà.
“Vergine gloriosa, Sposa di Cristo Imelda – diceva l’Antifona – preziosissima
fra le perle, chiara per la potenza dei prodigi, ascolta le preci che effondiamo
al tuo cospetto; fa’ che possiamo unirci al coro eterno dei beati; e con le tue preghiere
assistici nelle calamità che da ogni parte ci stringono”.
Al versetto seguiva quest’Oremus: “Ti preghiamo, o Signore, perchè
l’intercessione della tua Beata Vergine Imelda ci protegga da ogni avversità;
affinchè per il suo intervento noi possiamo ricevere, prima di morire, con
vera penitenza e sincera confessione, il Sacramento del Corpo e del Sangue di nostro
Signore Gesù Cristo. Amen ” (3).
Nella Chiesa esterna di S. Maria Maddalena, cioè fuori del coro, fu posto
il ritratto della Beata vestita da novizia domenicana, con le mani incrociate sul
petto, in atto di supplice adorazione (4).
Di questi ricordi si alimentò per molti anni il culto della Beata Imelda,
che però non ebbe mai fuori di Bologna grande popolarità. Le cause
di questa sobrietà nel tributare i sacri onori alla Lambertini vanno ricercate
nella purtroppo tradizionale noncuranza dell’Ordine Domenicano, nel poco fervore
eucaristico ed anche nella piccola età della Beata, la quale, per santa che
fosse, dava sempre l’impressione d’una bambina; si aveva scrupolo a collocarla tra
le altre grandi Sante.
Nel 1582 circa, un padre Servita di S. Giuseppe (già S. Maria Maddalena),
ricordando in alcune memorie il prodigio eucaristico avvenuto in Convento, conclude
col dire che Imelda bisognerebbe chiamarla una “devota monialis” cioè
una monaca devota, piuttosto che beata! (5).
Anche il domenicano P. Ludovico da Prelormo, che, nella seconda metà del Cinquecento,
visitò il sepolcro della Lambertini, riportandone, come egli si esprime, “gran
contentezza” non si sente ancora il coraggio di chiamarla beata e parla semplicemente
di “una giovinetta Suora” detta “Suor Imelda de’ Lambertini”
(6).
Per fortuna, la decisione di simili faccende non spetta agli storici, anche se bene
intenzionati, come quelli da noi sinora citati.
La solenne Traslazione delle Reliquie della Beata, avvenuta appunto nella stessa
epoca (seconda metà del Cinquecento) col consenso e l’intervento della Curia
Vescovile di Bologna, prova come il culto della Lambertini avesse già fatto
grandi passi. Nello stesso anno 1582 non si dubitò di inserire il nome della
Beata Imelda nel Catalogo dei Santi e Beati della città (7).
Purtroppo la predetta Traslazione, se fu incentivo al culto, rimase il primo anello
di una lunga catena di sciagure per le più antiche memorie imeldine.
Già nel 1566 le Suore Domenicane di Valdipietra, obbligate da S. Pio V, avevano
cambiata residenza per andare in Via Galliera dove erano i Padri Serviti. Questi
vennero di mala voglia a stare in S. Maria Maddalena di Valdipietra, portandosi dietro
anche il titolo della loro Chiesa, dedicata a S. Giuseppe. Le Monache fecero altrettanto.
Leggendo i documenti che si riferiscono a questo infausto trasloco, ci si rende conto
come sia stato per allora impossibile pensare ad una decorosa traslazione delle Ossa
della B. Imelda. Le Suore infatti dovettero portarsi dietro le tavole degli altari,
le vetrate, le grate e tutte le loro masserizie; vien fatto di credere che se lasciaron
le mura fu perchè s’avvidero che eran troppo pesanti (8).
Rimase però in tutte il desiderio vivissimo di avere nella nuova dimora in
Via Galliera – di cui alcune erano scontente e ne davan tutta la colpa alla Priora,
come avviene in simili frangenti – rimase, dico, il desiderio di avere il Corpo della
loro santa Consorella. Tanto fecero, che finalmente, sedici anni dopo, quando “per
le varie vicende delle persone e delle cose erano spente o mitigate le temute amarezze”
(9), ottennero di recuperare le amate spoglie della piccola Beata.
Dopo diverse trattative e dietro presentazione di alcuni documenti, in cui risultava
che Suor Imelda de’ Lambertini aveva fama di santa, la Curia di Bologna ne autorizzava
la traslazione (10).
Nella festa dell’Apostolo, S. Mattia, 24 Febbraio 1582, si portarono nel Convento,
detto ormai di S. Giuseppe dei Padri Serviti fuori Porta Saragozza, il Canonico Alfonso
Paleotti, fratello del Cardinale Gabriele e poi successore del medesimo nella sede
episcopale di Bologna, in qualità di delegato arcivescovile, i Conti Cornelio
e G. Cesare Lambertini, in rappresentanza della Famiglia, il P. Pietro da Rimini
O. P., Confessore delle Suore Domenicane di Via Galliera.
Entrati nel Chiostro, e fatto aprire il grande coperchio dell’arca di marmo, si fu
sorpresi di trovarvi dentro diversi scheletri. Fu quindi necessario chiamare subito
il celebre anatomista bolognese Giulio Cesare Aranzio, perchè separasse le
ossa della Beata dalle altre, introdotte non si sa come, nel medesimo sepolcro (11).
L’Aranzio si mise all’opera e, separate le ossa di persone adulte, restarono circa
trentatrè pezzi che, per la loro fragilità e piccolezza, mostrarono
di appartenere al corpo di una fanciulla di circa tredici anni. Dalle poche ossa
fu all’Aranzio possibile rilevare che la Beata, pur essendo morta in tenera età,
tanto che non le era ancora spuntato il dente cosiddetto del giudizio, fu però
di statura molto slanciata. Ecco le uniche notizie giunte sino a noi intorno alla
fisionomia esterna di Imelda Lambertini.
Forse molte bambine amerebbero conoscere il colore dei suoi capelli, quello dei suoi
occhi, le fattezze dei suo visino delicato. Su tutte queste cose, tanto poco necessarie
per la vita eterna, e neppure utili per nutrire una profonda e vera devozione alla
Beata, non possiamo dir nulla. Ciascuno quindi se la immagini come vuole, salvo la
statura che l’Aranzio definì “molto slanciata e non comune”.
Le ossa della Beata, discriminate al lume della scienza anatomica, e riposte in una
cassettina di legno dorato, furono trasferite il 1° Marzo successivo nel Monastero
delle Suore Domenicane di Via Galliera, accolte con quella gioia che ognuno può
immaginare.
Le Monache se le portarono nella loro Chiesa, interna tra le altre sacre Reliquie
e curarono che si dipingesse una tela per ricordare il prodigio. Sulla cassetta,
chiusa con due chiavi, affidate una alla Priora, l’altra ad una Suora Custode, preferibilmente
del casato Lambertini, si leggevano queste semplici parole: B. Imelda Lambertini.
Nel 1599, volendo le Suore far meglio conoscere la Santa, chiesero licenza all’Arcivescovo
di Bologna il Card. Alfonso Paleotti, lo stesso che in qualità di delegato
arcivescovile aveva presieduto alla traslazione del 1582, perchè concedesse
licenza di esporre le Reliquie nella Chiesa esterna per la festa della Santa Titolare
Maria Maddalena, quando cioè si notava una maggiore affluenza di fedeli.
L’Arcivescovo Paleotti fu assai lieto di aderire alle istanze che le Suore gli fecero
per mezzo del Padre Inquisitore Stefano da Cento O. P. Non appena questi gli ebbe
accennata la cosa, “Sua Signoria Illustrissima subito, da sè stesso,
raccontò il miracolo e quanto gli fu detto mentre quelle ossa (della Beata)
erano a S. Giuseppe, e più volte replicò che esso teneva la Imelda
per Beata” (12). Lo stesso Cardinale Paleotti approvò l’iscrizione, composta
dal P. Inquisitore, da porsi in tale occasione presso la cassa.
L’iscrizione diceva: “Ossa della B. Imelda Lambertini Monaca di S. Maria Maddalena,
alla quale, orando con intenso desiderio di ricevere il Santissimo Sacramento, vietatogli
per essere di minore età, apparve miracolosamente l’Ostia consacrata con molta
meraviglia degli astanti, e raccolta dal Sacerdote sopra la patena e comunicatala,
subito rese l’anima al Signore nell’anno 1333 (13).
* *
*
Il lettore che ha avuta
lo costanza di seguirci sin qui e che, arrivato a questo punto, non volesse più
saperne delle vicende toccate ai resti mortali della Beata, può saltare diverse
pagine o anche chiudere il libro, chè noi non gli serberemo rancore. Ma tra
i nostri lettori ci potrebbe essere qualcuno che, affezionatissimo alla Beata, vuol
sapere tutte le notizie a lei spettanti, sia essa viva o morta, e quindi rimarrebbe
dolorosamente sorpreso se noi lasciassimo una lacuna che verrebbe di fatto ad essere
storica. Per questo lettore ed anche per la nostra Beata, siamo costretti a frugare
ancora nei nostri e negli altrui sudati quaderni di memorie.
Le ossa dei Santi, pochi eccettuati, oltre che essere fonte di innumerevoli benefici,
sembrano dotate del dono della instabilità. La devozione dei fedeli si rivolge
con trasporto a ciò che rimane di palpabile e visibile dei beati comprensori
e si manifesta col dono di nuove e più ricche urne per le loro reliquie. Queste,
a guisa di frutti appetitosi che ad un fanciullo toccasse più d’una volta
di travasare, finiscono con l’assottigliarsi ad ogni cambio di recipiente.
Anche le ossa della nostra Beata non dormirono mai. La vecchia urna, dei 1582, non
piacque più nel 1783 al Marchese Piriteo Malvezzi, che, devotissimo com’era
della piccola Beata, ne offrì un’altra più preziosa. Si volle che anche
questa seconda traslazione avesse luogo il 24 Febbraio con gran pompa e solennità.
Portata nella Chiesa esterna del Monastero, la cassetta delle Reliquie fu collocata
stabilmente in un altare dedicato alla B. Imelda (14).
Pareva che la sistemazione dovesse essere definitiva, invece, pochi anni dopo, e
precisamente nel 1799, le Suore furono scacciate dal Monastero in nome della libertà
che la Rivoluzione francese, come tutte le rivoluzioni, diceva di voler ridonare.
Anche le Reliquie della nostra Beata esularono per breve tempo nel Monastero domenicano
di S. Guglielmo, dove molte religiose si erano rifugiate.
In seguito la cassetta delle Ossa fu data in deposito al Marchese Piriteo Malvezzi
Lupari, che fece devota istanza al “Cittadino Arcivescovo di Bologna” Cardinale
Andrea Gioannetti, per esporle convenientemente nella sua Chiesa patronale di S.
Sigismondo, fino a che non fosse stato possibile dare alle medesime altra sistemazione
(15).
“Là esse rimasero quasi ignorate fino al 1880 – scrive il P. Tommaso
Alfonsi O. P. – Quell’anno, ricorrendo la decennale della parrocchia (16), il decano
Don Mareggiani, fatta modellare in cera dal giovane artista Cesare Bettini una graziosa
immagine della B. Imelda figurata distesa, vestita da novizia domenicana, nel sonno
della morte, ma col sorriso della vita eterna sulle labbra, le ripose debitamente
autenticate, sotto quella immagine, in una nicchia sotto il pulpito della Chiesa,
riccamente ornata. In quella occasione il prof. Angelini dipinse nella volta della
Chiesa la gloria della Beata Imelda” (17).
Finalmente il 6 Settembre del 1927, in occasione del Congresso Eucaristico Nazionale,
in cui furono tributate alla Beata solenni onoranze, fu ornata di nuovi e più
preziosi marmi la nicchia che accoglie le S. Ossa, e le medesime deposte, insieme
alla statua di cera, entro una nuova urna di cristallo, donata dalle Beniamine dell’Azione
Cattolica Italiana, che vanno liete di avere la B. Imelda per loro patrona.
In questa chiesuola, quieta e raccolta, situata a pochi passi dalla Università
di Bologna, riposano, ancor oggi, le Sacre Ossa della B. Imelda Lambertini, sfuggite
alla edacità degli anni e alla avida pietà dei devoti.
NOTE
(1) La iscrizione dai noi
riportata è quella fornitaci dal manoscritto esistente alla Biblioteca Estense
di Modena (Campori N-8 1/4) ed appartiene al sec. XVI. È però anteriore
alla traslazione della Beata.
Della medesima abbiamo altre due trascrizioni mutile all’inizio. La descrizione più
completa del sepolcro si trova nell’Atto Notarile della Traslazione. Vedi Appendice
I, 3.
(2) Vedi Appendice, I, 2.
(3) SCARSELLI F., Memorie intorno alla vita ed al culto della B. I. Lambertini,
Modena, Bibl. Estense, Ms. Campori M. 4/7, f. 167-168.
(4) Sotto il Ritratto della Beata, fu posta nel 1601 la celebre iscrizione, tante
volte riportata dagli scrittori della Beata, dovuta ai Lambertini. «B. Imelda
Lambertina virgo – Claris orta natalibus – Clara magis praecoci vitae sanctimonia
– Cum divino Sacramento Eucharistiae – Incensa desiderio Propter aetatis imbecillitatem
– Vixdum enim xj annos egerat – Ad Sacratiss. Eius mensam accedere vereretur – In
pias preces lacrimasque effusas – Divina prorsus ope recreari meruit – Hostia coelitus
demissa – Post cuius sumptionem feliciter expiravit – Anno Domini MCCCXXXIII. = Eius
Ossa permultos iam annos hic tumulata – Monialibus Ord. Praed. quae hinc – in – D.
Mariae Magdalenae intra Urbem migrarunt – Efflagitantibus – Concedentibusque huius
aedis Fratribus – Eo relata sunt – A. D. MDLXXXII Cal. Martii – Gens Lambertina ad
piam gentilis suae memoriam – Et posteritatis exemplum Lapidem hunc posuere A. D.
MDCI.»
(5) Modena, Bibl. Estense, Ms Campori 8 1/4.
(6) Vedi Appendice, II, 2.
(7) « In certo foglio stampato… intitolato INDEX EPISCOPORUM ECCL. BON. EX
HISTORIIS C. SIGONII, G. PALEOTI CARD. EP. IUSSU EXCERPTUS (Bononiae, Typ. Alex.
Benacci 1582), si legge quanto è stato ripetuto sul fine dell’ARCHIEPISCOPALE
BONONIENSE del medesimo Cardinale» (MELLONI, II, 323).
Il titolo esatto del Catalogo, nella ristampa cui accenna il Melloni, è il
seguente: CATALOGUS SANCTORUM ET BEATORUM QUI AUT CIVES AUT EPISCOPI BONONIENSES
FUERUNT QUORUM MEMORIA CIRCITER ANNOS INFRA NOTATOS DESCRIBITUR. Della B. Imelda
è scritto: – 1333. B. Ymelda de Lambertini. Ex Martyrologio Monialium S.
Marie Magdalene.
(8) Roma, Arch. Generale Ord. Servorum B. Mariae Virginis, Cod. Cart. 247, f. 75.
Si dà la copia autentica dello strumento notarile che autorizzava il passaggio
del Monastero delle Suore ai Serviti e viceversa. Rog. del Not. M. Antonio Balzami,
31 Maggio 1566.
(9) MELLONI II, 90.
(10) Vedi Appendice, pagg. 99. ss.
(11) « Ond’io… questo caso confrontando con altri simili casi, avvenuti in
altri Monisteri, e segnatamente in quello dì S. Agnese di Bologna, ove nell’arca
della B. Diana d’Andalò riposte furono alcune Suore morte in concetto di santità,
mi sono indotto a pensare che la molteplicità e confusione dei corpi nel sepolcro
della B. Imelda sia piuttosto opera delle Suore che de Padri Serviti, e che i molti
corpi in esso trovati fossero appunto di varie suore d’eminente bontà; avvegnachè
per l’incuria e rozzezza dei secoli passati non sia rimasta memoria dei loro nomi»,
MELLONI II, 93.
(12) L’originale di questa lettera, citata dal MELLONI (II, 98) è a Modena
nella Raccolta Campori da noi spesso ricordata.
(13) MELLONI II, 99.
(14) Bologna, Arch. Arcivescovile, R-55/68, f. 31 ss.
(15) La lettera del Marchese con relativo Rescritto è nello stesso Archivio
Arcivescovile e nella medesima raccolta sopra citata.
(16) Ricorrenza festiva in uso belle chiese di Bologna, in occasione della quale
queste si restaurano e si abbelliscono.
(17) ATTONSI, Op. cit. p. 194.