Vita della Beata Imelda Lambertini, cap. V

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P. TIMOTEO
CENTI O. P.

LA BEATA IMELDA LAMBERTINI

VERGINE DOMENICANA

CON STUDIO CRITICO E DOCUMENTI INEDITI






V

IL MARTIRIO DI SUOR IMELDA

Se la recentissima santa
Maria Goretti non avesse dovuto affrontare il martirio per salvaguardare la sua verginità,
forse nessuno si sarebbe mai occupato di lei; nessuno si sarebbe accorto che in quella
povera bimba, ignara di catechismo, c’era un’anima di capacità eccezionali.
Ma è bastato un episodio per rivelarla al mondo. In quell’episodio si compendia
tutta la spiritualità e la santità della Goretti.

Lo stesso si può dire della Beata Imelda Lambertini; è anch’essa una
Santa dalla biografia minuscola, racchiusa in un fatto singolare, unico, senza il
quale non ci sarebbe motivo di ricordarla.

A causa dell’incendio del Libro delle Matricole, non sappiamo quanto tempo ella stesse
in noviziato; ma sembra meno di un anno. Eppure era già molto avanti nella
vita della grazia se la troviamo così piena di ardente pietà verso
Gesù Sacramentato.

L’amore cerca l’Amato, e Suor Imelda si struggeva di potersi unire a Gesù
nella Santa Comunione. Il Signore permise che ella non fosse compresa, riservandole
così un nuovo genere di martirio.

Noi poveri mortali, che ci agitiamo per mille passioni terrene, possiamo a stento
comprendere la torturante inquietudine che mette nel cuore dell’uomo l’amore di Dio.
Ma i santi, che ne hanno f atta la felice esperienza, ci parlano di ardori insopportabili,
di desideri incontenibili e di vera tortura.

S. Filippo Neri, con tutta la sua allegria, si ebbe rotte le costole dal suo cuore
irrequieto; S. Caterina da Siena, più d’una volta credette di non farcela
più e di dover soccombere sotto i dardi brucianti della carità divina;
e potremmo continuare con altri mille esempi di cui abbonda la agiografia cattolica.

Nè dobbiamo dimenticare, prevenendo una facile obbiezione, che anche l’infanzia
è capace di eroismi nell’amore di Dio. Lo Spirito del Signore soffia dove
vuole e sa adattarsi alla capacità dei piccoli; anzi il Vangelo ci insegna
che l’infanzia è una vera calamita all’effusione dello Spirito Santo (1).

La posizione di Suor Imelda di fronte al gran Mistero Eucaristico si spiega solo
con la sovrana libertà – che sembra talvolta un capriccio – con cui Dio si
manifesta alle anime predilette.

Toccata misteriosamente dalla grazia, la piccola Suora avvertiva, più delle
sue consorelle, e forse anche del Cappellano Frate Aldovrando, la presenza-reale
di Gesù nell’Ostia consacrata e sentiva una fame irresistibile del pane celeste.
Il desiderio di ricevere Gesù fu certamente nutrito ed acuito dalla quotidiana
assistenza alla S. Messa e dalle lunghe soste ai piedi del Tabernacolo. In preda
ad un sentimento indefinibile, che era insieme tortura e delizia, sospirava e piangeva,
prigioniera ella stessa del grande Prigioniero d’amore.

Bisognava convincere i superiori a non negarle la S. Comunione, ma la cosa non era
facile perchè Suor Imelda era ritenuta troppo piccola per potervi essere ammessa;
e pare che, alla fine, lei non avesse mostrato nessuna singolarità per meritare
che si facesse uno strappo alla regola: quale miracolo di semplicità doveva
essere la sua vita!

Le leggi della Chiesa non sono matematiche, e non vi è al mondo istituzione
che sia tanto umana e materna nell’applicarle quanto gelosa nel custodirle. Nel caso
nostro poi, neppure si trattava di una legge vera e propria, ma solo di una di quelle
consuetudini, che spesso si sostituiscono alla legge e che, nemmeno a farlo apposta,
finiscono col soppiantarla e godono maggior rispetto. Era invalso ormai l’uso di
non comunicare i bambini che non avessero raggiunti almeno i tredici anni.

Sarebbe bastata un po’ di comprensione, un po’ di intuizione soprannaturale, un po’,
se volete, dì quella che i filosofi chiamano epichèia, per concedere
a Suor Imelda di accostarsi alla S. Mensa nonostante la tenera età; ma questa
intuizione, Dio permettendolo, fece difetto nel Confessore e nelle Suore di Valdipietra,
come farà difetto in molti confessori di S. Caterina da Siena, altra celebre
affamata del Pane di vita.

Eccoci alla grande prova riserbata alla piccola novizia domenicana, la quale, specialmente
nei giorni della Comunione generale, sentiva ingigantirsi nel cuore la sua avidità
già così grande, così potente e incompresa.

I forti desideri che Dio pone nel cuore degli uomini sono la profezia degli avvenimenti
futuri, perchè “il nostro Salvatore, desiderando di farci partecipi della
gloria celeste, ci ispira di chiedere le cose medesime che promette di concederci”
(2).

A Suor Imelda, dopo avere chissà quante volte importunati il Sacerdote e le
Suore, con preghiere e con lacrime, che forse furono attribuite ad un capriccio da
ragazzi, non rimase che importunare Gesù.

Nei monasteri e nei conventi domenicani, il giorno della Comunione generale era come
una piccola Pasqua. E non capitava molto frequente, ma solo una quindicina di volte
all’anno (3). Tutte le Suore dovevano confessarsi per sistemare le loro anime e,
nello stesso tempo, davano assetto al loro corpo col tagliarsi i capelli e ripulirsi
il capo.

Questi preparativi non furono trascurati nel monastero di Valdipietra il giorno 11
Maggio 1333; Imelda capì che l’indomani sarebbe stato un giorno di pianti,
e si sarà addormentata col nodo alla gola; era la sua ultima notte!

Secondo i computi più sicuri, il 12 Maggio di quell’anno cadeva la Vigilia
dell’Ascensione e c’erano le Rogazioni (4). La liturgia ha come tema dominante l’invito
alla preghiera che non si arrende. È interessante seguire la S. Messa, mettendosi
nei piedi dì Suor Imelda che assiste all’officiatura col cuore in tumulto.

La celebrazione del Divin Sacrificio era preceduta da un caldo appello al Signore
ed ai suoi Santi col canto delle Litanie; seguiva l’Introito: “Dal suo tempio
santo il Signore ha esaudita la mia preghiera e il mio grido è giunto al suo
orecchio”.

Nell’Oremus, si chiede al “Signore Onnipotente, nella cui bontà unicamente
si confida, di essere protetti da ogni avversità”.

Il brano di Vangelo è proprio quello che ci voleva, e nessuno riuscirebbe
a trovarne di meglio. “Se qualcuno di voi ha un amico e va a trovarlo, a mezzanotte
e gli dice: – Amico, prestami tre pani… Se colui dal di dentro risponde: – Non
importunarmi; l’uscio è chiuso… non posso alzarmi per darti i tre pani.
Io vi dico che se egli non si levasse a darglieli perchè è suo amico,
pure si alzerà per l’insistenza e gli darà quanto ha bisogno.

Anche io vi dico: Chiedete, e vi sarà dato; cercate e troverete; picchiate
e vi sarà aperto. Perchè chi chiede, riceve; chi cerca trova, e a chi
picchia sarà aperto.

E chi è quel padre tra voi che al figlio, il quale domanda del pane, gli dà
invece una pietra? Oppure un serpente se chiede del pesce, uno scorpione, se chiede
un uovo? Se dunque voi, che siete cattivi, sapete trattar bene i vostri figlioli,
quanto più il Padre Celeste darà lo Spirito Santo a coloro che glielo
domandano?” (5).

La conclusione pratica era consolante per Suor Imelda: il Signore vuole essere importunato
prima di accontentarci, ma la paterna bontà sua non può negare i beni
celesti, se la cattiveria umana sa concedere i beni che svaniscono.

L’Amico di Imelda era precisamente dentro la piccola dimora dalla porticina serrata.
Finita la Comunione delle Suore, pareva averle sussurrato: “Son chiuso qui dentro…
non posso! “.

Ma Suor Imelda, col cuore pieno di confidenza e con tutto l’empito dell’anima sua
innamorata, rinnovò l’assalto al Cuore di Gesù.

E l’Amico finalmente rispose!

* *
*

Dopo la solenne Ufficiatura,
la Chiesetta di S. Maria Maddalena, ancora redolente di incenso e di preghiera, era
rimasta deserta; solo gli Angeli vegliavano attorno al Tabernacolo e con essi la
piccola novizia.

Ad un tratto, apparve in alto un’Ostia scintillante che si fermò sul capo
della fanciulla, che inginocchiata piangeva nel fervore dell’estasi beata.

Le Suore non si erano più occupate di Suor Imelda: ma riunite che furono in
Refettorio, si accorsero che ella mancava. “Vai un po’ a vedere dove è
Suor Imelda” – disse la Priora ad una Suora.

Quella va, la cerca in ogni angolo del monastero e finalmente la trova ai piedi del
Tabernacolo nell’atteggiamento estatico, avvolta negli splendori dell’Ostia radiosa.

Torna di corsa dalla Priora e racconta concitata ciò che ha visto. Il desinare
viene interrotto; le Suore si precipitano in Chiesa, accendono i ceri e si dispongono
intorno alla Beata, mentre il Cappellano, in cotta e stola, si inginocchia presso
Suor Imelda e, con la patena in mano, attende che l’Ostia miracolosa scenda sino
a lui.

Finalmente egli ha capito e, ricevuta la S. Ostia nella patena, non esita un istante
a comunicare Suor Imelda.

La piccola novizia chiuse gli occhi, strinse al petto verginale il suo tesoro e si
accasciò sul pavimento: era morta di gioia e d’amore (6).

NOTE

(1) «Riconosciamo
che nessun uomo è incapace del mistero divino, poichè anche la piccola
età fu adatta alla gloria del martirio». S. LEONE M., Discorsi, Ediz.
Cantagalli, Siena 1940, 103.

(2) S. BEDA Ven., Omelia al Vangelo delle Rogazioni, Lc XI, 5.13.

(3) Constitutiones Sororum, ed. cit., 341.

(4) CAPPELLI A., Cronologia e Cronografia e Calendario Perpetuo, 2a ed. ristamp.,
Milano 1952.

(5) Vangelo di S. Luca, XI, 5-13.

(6) Vedi Appendice, II.








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