Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.
TRATTATO III. DELLA RETTITUDINE E PURITÀ D’INTENZIONE CHE DOBBIAMO AVERE NELLE OPERE NOSTRE
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CAPO XIV. Di tre gradi di perfezione, per i quali possiamo salire a gran purità d’intenzione e a grande e perfetto amor di Dio.
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2. Ecco la solitudine in mezzo al mondo!
3. Rinunziare anche all’affetto per se stesso.
4. Piacere a Dio senza nemmeno riflettere al compiacimento che ha Dio di noi.
5. Con questo l’anima si trasforma in Dio.
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Il primo è, quando uno intende e cerca solamente la gloria di Dio; di maniera che nelle cose che fa tutta la sua contentezza e gusto è in Dio, e nell’adempiere e fare la sua divina volontà, dimentico di tutte le altre cose del mondo.
Dice S. Bernardo: Vuoi tu un buon contrassegno per conoscere se ami assai Dio e se vai crescendo in quest’amore, nel modo però che di qua si può conoscere? Guarda se v’è qualche cosa fuori di Dio che ti possa consolare e dar gusto, e per questa via conoscerai quanto profitto hai fatto e quanto sei cresciuto nell’amore di Dio. Fintanto che v’è qualche cosa creata, egli dice (S. BERN. Tract. de inter. domo, c. 40, n. 83) che mi dà consolazione e gusto, veramente non ardisco dire che l’amor di Dio è in me molto ardente e infervorato.
Questo è quello che dice ancora S. Agostino (S. AUG. Confes. l. 10, c. 29): «Ti ama meno, Signore, colui che insieme con te ama qualche altra cosa, la quale non ama per te». Non sarà quest’amore molto singolare, né molto eccellente, come era l’amore di quella santa regina, la quale nel mezzo delle sue pompe e del suo fasto reale diceva: Signore, tu sai bene che non mi ha dato gusto né la corona, né la maestà, né lo strascico reale: neppure nei banchetti del re Assuero né in altra cosa alcuna ho avuta consolazione sino al giorno d’oggi, ma solo in te, Signore Dio d’Abramo (Esth. 14, 18).
Questo è perfetto e singolare amore.
2. S. Gregorio, prendendo alla lettera quelle parole di Giobbe, che la volgata traduce: «coloro che si costruiscono delle solitudini» (Iob, 3, 14), dice che si costruisce delle solitudini colui che è tanto staccato e a1ienato da tutte le creature, e in tal maniera ha perduto l’amore e l’affezione a tutte le cose della terra, che quantunque si trovi in mezzo a quante ricreazioni e trattenimenti sono nel mondo, ad ogni modo si trova solo; perché queste cose non gli danno gusto né consolazione. Questo tale ha edificato per sé una solitudine, perché ha posto tutto il suo gusto in Dio; e così non trova divertimento né consolazione in alcun altra cosa (S. GREG. Moral c. 30, n. 58).
Anche di qua lo proviamo, che quando uno ha un amico, nel quale ha posta tutta la sua affezione, e lo perde, ancorché abbia molta compagnia d’altra gente, sente solitudine e gli pare d’essere affatto solo senza di lui; perché quegli era di cui esso gustava. Ora nello stesso modo colui che ha posto tutto il suo amore e gusto in Dio e ha scacciato da sé l’affetto di tutte le creature, benché stia in consorzio di molta altra gente e si trovi fra tutte le ricreazioni e i trattenimenti del mondo, si vede solo; perché non gusta di quelle cose, ma solamente di quello che ama.
Quelli che sono arrivati a questo termine, dice lo stesso S. Gregorio nel luogo citato, godono grandissima quiete e tranquillità nelle anime loro. Non v’è cosa che li inquieti o cagioni loro dispiacere; né le cose avverse li turbano, né le prospere li fanno diventar valli; non fanno alzar loro la cresta, né cagionano in essi contentezza o allegrezza vana. perché, come non amano, né sono affezionati a cosa alcuna del mondo; così non si inquietano, né interiormente. si cambiano d’affetti al variar di esse e dei loro successi, né da questi dipendono, perché non li stimano niente. Sai tu, dice S. Gregorio, chi era arrivato a questo termine ed aveva edificata per sé questa solitudine? Colui che diceva: Una cosa ho chiesta al Signore, questa cercherò e procurerò, cioè d’abitare sempre nella casa del Signore; perché non v’è altra cosa da cercare né da desiderare né in cielo, né in terra, se non voi, o Signore. E adesso la mia aspettazione quale è, se non tu, o Signore? (Ps. 26, 4; 38, 8). A questo anche era arrivato quel Santo abate Silvano, di cui leggiamo che quando usciva dall’orazione, gli parevano tanto vili ed abbiette tutte le cose della terra, che alzava le mani e si copriva gli occhi per non vederle, dicendo fra se stesso: «Chiudetevi, occhi miei, chiudetevi e non guardate cosa del mondo, perché non è in esso cosa degna da essere guardata» (De vitis Patr. l. 5, libel. 3, n. 15). Lo stesso leggiamo del nostro Santo Padre Ignazio, che quando alzava il cuore a Dio e mirava il cielo, diceva: «Oh quanto basse e vili mi paiono tutte le cose del mondo quando io miro il cielo!» (RIDAD. l. I, c. 2).
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3. Il secondo grado può essere quello che reca il glorioso S. Bernardo nel trattato dell’amor di Dio; cioè quando uno vive dimentico non solo di tutte le cose esteriori, ma anche di se stesso, non amando sé se non in Dio, per Dio e per fare la volontà di Dio (S. BERN. Tract. de dilig. Deo, c. 9). Abbiamo da stare tanto dimentichi di noi medesimi e di ogni nostra utilità e interesse, e abbiamo da amare tanto puramente e perfettamente Dio, che nei beni che riceveremo dalle sue mani, così di grazia, come di gloria, ogni nostro gusto e diletto sia, non pel bene e utilità nostra, ma perché in questo si adempie la volontà e il gusto di Dio; come fanno appunto i Beati in cielo, ove più si rallegrano dell’adempimento della volontà di Dio, che della grandezza della gloria loro. Amano tanto e sì puramente Dio, e sono tanto trasformati in lui e tanto uniti colla sua volontà, che la gloria che hanno e la buona sorte che è toccata loro, non l’amano tanto pel bene e l’utilità che ad essi ne risulta, né per la contentezza che ne ritraggono, quanto perché Dio ne gusta egli stesso, e perché quella è la volontà sua. In questo modo abbiamo noi altri da amar Dio, dice S. Bernardo. Così faceva colui che diceva: «Date lode al Signore, perché egli è buono» (Ps. 117, 1). Non diceva, perché è buono per me, ma perché è buono. Diversamente da quell’altro, di cui si dice dallo stesso Profeta in altro luogo: «Ti loderà, quando tu gli avrai fatto del bene» (Ps. 48, 18); ma ama e loda Dio, perché è buono in se stesso, perché Dio è quegli che è, per l’infinita bontà sua.
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4. Il terzo ed ultimo grado di perfezione e d’amor di Dio dice S. Bernardo (S. BERN. Serm. 103 de diver. n. 4) che è quando uno è tanto dimentico di se stesso, che in quel che fa non guarda se Dio si compiace di lui, ma sta tutto immerso nel dar gusto a Dio e in fare quel che è grato alla Divina Maestà Sua e in desiderare che Dio si compiaccia e gusti dell’opera che egli fa. Di maniera che solamente fa conto del gusto, compiacimento e beneplacito di Dio, senza ricordarsi né far conto di sé più che se non fosse del mondo né stesse in esso. Questo è purissimo e perfettissimo amor di Dio. Quest’amore veramente è monte, monte di Dio, alto, fertile, abbondante, cosa di grande e sublime perfezione, ché questo vuol dire monte di Dio, una cosa molto eccellente e di somma grandezza (S. BERN. loc. cit.). «Chi salirà al monte del Signore?» (Ps. 23, 3). «Chi mi darà ali come di colomba, e volerò ed avrò riposo?» (Ps. 54, 6). Ohimè, dice il glorioso S. Bernardo, che in questo esilio non posso dimenticarmi affatto di me! «Infelice me! Chi mi libererà da questo corpo di morte?» (Rom. 7, 24) Chi mi libererà da questa prigionia? «Signore, lo stato mio è violento, prendi il patrocinio di me» (Isa. 38, 14). Quando, o Signore, morrò io a me del tutto, e vivrò solamente a te? «Misero me, il mio pellegrinaggio è prolungato! (Ps. 119, 5) Quando sarà che io venga e mi presenti dinanzi alla faccia di Dio? (Ps. 41, 2) Quando sarò io liberato da questo esilio? quando, Signore, sarò io unito e trasformato in voi per amore? affatto alienato e dimentico di me e fatto uno spirito stesso con voi? e che io non ami più cosa alcuna in me, né per me, né per grazia mia, ma ogni cosa in voi e per voi? Questa perfezione è più tosto cosa del cielo che della terra (S. BERN. loc. cit.).
E così il Profeta diceva: «Mi internerò nella, possanza del Signore; della sola giustizia tua, o Signore, mi ricorderò» (Ps. 70, 16). Quando il servo buono e fedele entrerà nel gaudio del suo Signore e sarà inebriato dall’abbondanza del suo amore, allora sarà tanto assorto e trasformato in Dio, che non si ricorderà di se stesso. «Quando egli apparirà, saremo simili a lui; perché lo vedremo qual egli è» (I Io. 3, 2). Allora saremo simili a Dio e la creatura si conformerà al Creatore. perché, come la Scrittura dice, che Dio fece tutte le cose per se medesimo (Prov 16, 4), cioè per sua gloria, così allora ameremo puramente Dio e non ameremo noi stessi, né altra cosa alcuna se non in Dio. «Non tanto ci darà gusto, dice S. Bernardo, o la cessata nostra necessità, o la raggiunta nostra felicità, quanto il vedere adempita in noi e per noi la sua volontà» (S. BERN. loc. cit.). Tutta la nostra allegrezza consisterà, non nel nostro gaudio, ma nel gaudio e gusto di Dio. Questo è entrare nel gaudio di Dio.
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5. Esclama molto bene S. Bernardo: «O amor santo e casto, o dolce e soave affetto, o purità e rettitudine grande d’intenzione! Perciò più pura e più purificata, perché non è rimasta in essa mescolanza alcuna di cosa propria; perciò più soave e più dolce, perché tutto quello che in essa si sente è divino. Questo è deificarci e trasformarci in Dio» (S. BERN. l. c.). E questo è quello appunto che dice S. Giovanni, che allora saremo simili a Dio.
Apporta il Santo tre similitudini per dichiarare come saremo allora deificati e trasformati in Dio. Come una gocciola d’acqua gettata in una quantità grande di vino perde tutte le proprietà e qualità sue, e piglia il colore e il sapore del vino; e come un ferro infocato e fatto bragia nella fucina non pare più ferro ma fuoco; e come l’aria, quando riceve la luce del sole, si trasforma talmente in luce, che pare che essa sia la stessa luce; cosi, dice, noi altri. nella beatitudine perderemo affatto le qualità e proprietà nostre, e resteremo tutti deificati e trasformati in Dio, e quello che ivi ameremo sarà Dio, e per Dio (S. BERN. l. c.). Altrimenti come s’adempirebbe quello che dice il glorioso Apostolo S. Paolo, che allora «Dio sarà tutto in tutti» (I Cor 15, 28), se vi restasse qualche cosa propria del nostro? Non sarà ivi cosa alcuna nostra; perché la mia gloria e il mio gusto sarà il gusto e la gloria di Dio, non la mia. «Tu sei la mia gloria e colui che innalzi il mio capo» (Ps. 3, 3). Non ci fermeremo né ci riposeremo nel nostro bene, ma tutto il nostro riposo e gaudio sarà in Dio.
Perciò, sebbene di qua non possiamo arrivare a tanto, abbiamo nondimeno da procurare di fissar gli occhi in questo; perché quanto più saliremo in alto e ci avvicineremo a questo, tanto sarà maggiore la nostra perfezione ed unione con Dio. E cosi il Santo conchiude: Questa è, Padre eterno, la volontà del vostro Figliuolo, questo fu quello che egli vi chiese nella sua orazione quando stava per partire da questa vita; che come egli è una stessa cosa con voi, cosi noi altri siamo una cosa medesima con voi e con lui con unione d’amor perfetto. Questo è il termine, questa è là consumazione, questa è la perfezione, questa è la pace, questo è il gaudio del Signore, questo è il gaudio dello Spirito Santo, questo è il silenzio nel cielo (S. BERN. Tract. de contempl. Deo, c. 4, n. 10). Questo è il termine e l’ultima perfezione alla quale possiamo arrivare.