«Procreazione
Responsabile»
di Lino Ciccone
1. Introduzione PERCHÉ ANCORA OGGI QUESTO PROBLEMA?
Sono passati più
di 25 anni da quando un Papa, Paolo VI, pubblicò un’Enciclica tutta dedicata
al problema della procreazione responsabile, la «Humanae Vitae»(25
luglio 1968). Il fatto fece notizia. Occupò la prima pagina di giornali, radio
e notiziari televisivi, di mezzo mondo. E questo non per un giorno solo.
Ma a questa entusiasmante
diffusione non si abbinò, troppe volte, una buona qualità dell’informazione.
Alle masse, e non alle masse soltanto, l’Enciclica arrivò quasi solo come
«no alla pillola». Inoltre i media si presentarono come cassa di risonanza
a quei teologi che espressero pubblicamente il loro dissenso dall’Enciclica. Risultato:
non solo all’esterno, ma anche all’interno della comunità ecclesiale, si creò
in moltissimi l’illusione di conoscere la dottrina proposta nella «Humanae
Vitae», mentre in realtà si era conosciuto solo una sua caricaturale
deformazione. Si crearono pure confusioni a non finire. Danni seri, dunque.
Le conseguenze
si pagano ancora oggi, dopo 25 e più anni. Nei confronti della dottrina della
Chiesa in tema di procreazione responsabile, persiste una diffusa ignoranza;
persistono paurose confusioni; persiste il dissenso. E questo anche
dopo che quella dottrina è stata ripresa, e approfondita, in numerosi interventi
del Magistero della Chiesa.
Appare perciò necessaria una presentazione chiara e semplice dei punti essenziali
della genuina dottrina della Chiesa, in tema di procreazione responsabile.
Tanto più
che in questi anni sono venuti più chiaramente in luce per tutti, i veri termini
e la vera portata che ha il problema nel contesto sociale e culturale del nostro
tempo. È problema di coppia, certamente. Ma non è solo questo. Pensato
riduttivamente come nulla più che diminuzione delle nascite, il problema lo
vediamo chiamato in causa intrecciato con problemi sociali e politici, a livelli
nazionali e internazionali. Si pensi specialmente alla fame nel mondo e allo
sviluppo dei popoli poveri, al problema demografico e a quello ecologico.
Sono problemi
in cui la posta in gioco è altissima. Al limite, è la stessa sopravvivenza
dell’umanità sulla terra a essere messa in questione. E la minoranza ricca
e sazia dell’umanità ha mostrato sempre più chiaramente quale via di
soluzione intende perseguire: non una seria revisione dell’attuale iniqua ripartizione
tra i popoli dei beni della terra attraverso un nuovo ordine economico internazionale,
ma soffocando con ogni mezzo la crescita demografica della maggioranza povera dell’umanità.
Paesi poveri sono stati inondati da tonnellate di contraccettivi, molti hanno dovuto
attuare la sterilizzazione coatta, specialmente sulle donne, e perfino imporre l’aborto
in caso di gravidanza dopo il secondo figlio.
Questa cosiddetta
«pianificazione familiare», o «Family Planning», viene imposta
dai Paesi ricchi a quelli poveri come condizione per la concessione di aiuti.
Alla luce di questi
fatti si può cogliere meglio quali gravissime conseguenze ci sarebbero
state se nel 1968 Paolo VI avesse dato l’avallo della sua autorità morale,
la più alta oggi nel mondo, alla liceità della contraccezione. La Chiesa
sarebbe apparsa ai Paesi poveri come alleata e complice di quelli ricchi in queste
nuove e ciniche forme di oppressione. I Paesi poveri sono in gran parte non cristiani;
la Chiesa avrebbe compromesso a lungo ogni credibilità di tutta la sua azione
evangelizzatrice.
Inoltre: la diffusione
e legalizzazione della contraccezione ha costituito il vero punto di svolta nel cammino
verso la liberalizzazione dell’aborto. E questa, a sua volta, ha aperto la via alla
pretesa legittimità della sperimentazione su embrioni umani, e la sta aprendo
alla legittimazione dell’eutanasia. Un vero cammino di morte, con decine di milioni
di vittime innocenti ogni anno. E la Chiesa ne sarebbe stata complice.
Si comprende anche,
infine, il valore incalcolabile delle scelte di comportamento sessuale dei coniugi:
la scelta di seguire, oppure di rifiutare, la via proposta dal Magistero della Chiesa,
è un contributo reale, anche se non misurabile, a rafforzare la cultura di
morte oppure a favorire la costruzione di quella che Paolo VI, a chiusura dell’Anno
Santo 1975, felicemente indicò come «civiltà dell’amore».
Che
cosa è cambiato negli ultimi anni
Ma in questi 25
anni il nostro problema ha conosciuto un’evoluzione anche a livello di coppia. Il
problema era come regolare onestamente la fecondità della coppia; oggi, nei
Paesi ricchi, è piuttosto come rifiutarla efficacemente. Il modello
di famiglia vistosamente dominante è quello di sposi con un solo figlio, o
al massimo due. Ciò significa che l’attività procreativa è nulla
più che una specie di breve parentesi all’interno di una intera vita coniugale
volutamente infeconda.
Qualunque siano
le ragioni che lo spiegano, il fatto sta a indicare evidentemente un esteso oscurarsi
del valore del procreare. Guardando poi ai mezzi a cui si ricorre per non avere figli,
mezzi che includono anche l’aborto, appare chiaro l’eclissi di ogni riferimento a
Dio nella procreazione. Dio semplicemente non c’entra. L’uomo si ritiene padrone
e arbitro insindacabile nel decidere se trasmettere o no il dono della vita, e padrone
della vita stessa.
Questo atteggiamento
è certo conseguente alla dominante concezione materialista della vita. Ma
ha trovato potenti incentivi in alcuni fatti verificatisi dopo il 1968. In particolare:
il rapido estendersi negli Stati di una legittimazione giuridica dell’aborto; la
comparsa e il diffondersi delle tecniche di riproduzione artificiale; la larga disponibilità
di embrioni in fase iniziale di sviluppo, per i ricercatori, che non esitano a farne
vere e proprie cavie.
Di «procreazione
responsabile» rimane solo la parola. In realtà non si può
parlare più di «pro-creazione»: escludendo il Creatore, la si
riduce a semplice «riproduzione». E di «responsabilità»
vera non rimane nulla: a chi rispondere, tolto di mezzo Dio?
Dunque quella
attuale è una situazione che reclama più che mai l’urgenza di proiettare
su questa realtà la luce della verità offerta dal Magistero della Chiesa.
Uno
sguardo d’insieme alla dottrina della Chiesa
Prima di presentare
i punti essenziali della dottrina della Chiesa sulla procreazione responsabile, è
utile una specie di sguardo d’insieme, in alcuni suoi aspetti.
a) Dove
si trova esposta questa dottrina? Oltre a numerosi discorsi, messaggi a congressi,
dichiarazioni e altri tipi di interventi, sono tre i documenti scritti, particolarmente
solenni, in cui si trova esposta la dottrina della Chiesa sulla procreazione responsabile:
1. la Costituzione
pastorale «Gaudium et Spes»del Concilio Vaticano II (8 dicembre
1965), nel capitolo dedicato al matrimonio;
2. l’Enciclica «Humanae Vitae»(25 luglio 1968);
3. L’Esortazione apostolica post-sinodale «Familiaris Consortio» (21
novembre 1981).
A queste tre fonti
principali bisognerebbe aggiungere una particolare serie di discorsi di Giovanni
Paolo II. Si tratta della parte finale di una lunga e organica catechesi, svolta
dal Papa nelle Udienze del mercoledì, tra il settembre 1979 e il novembre
1984, su «L’amore umano nel piano divino». L’ultima parte è dedicata
a un’attenta rilettura della «Humanae Vitae». Valorizzando prospettive
e concezioni in parte originali e inconsuete, esposte nelle parti precedenti, il
Pontefice mette in maggior evidenza le motivazioni su cui poggia la dottrina dell’Enciclica.
Ma l’impossibilità di abbinare brevità e chiarezza nel riassumerne
i contenuti, suggerisce di non andare oltre questa semplice segnalazione, omettendo
ogni sua utilizzazione in questa sede.
b) Un’impostazione
costante. In ognuno di questi documenti, la soluzione del problema viene fondata
su una ben precisa concezione di uomo, di amore, di sessualità, di procreazione.
Questo lungo cammino
è necessario perché viviamo in una società in cui esistono concezioni
tra loro diverse su quelle realtà. E proprio di qui deriva la diversità
di soluzioni a uno stesso problema. L’affermazione della liceità della contraccezione,
come pure della sterilizzazione e dell’aborto, è logicamente conseguente a
una concezione di uomo, di amore ecc., ben lontana da quella che sta alla base del
messaggio cristiano, messaggio di verità e di salvezza, da cui altrettanto
logicamente consegue la condanna morale di quei comportamenti.
c) Due
livelli nella procreazione responsabile. Nella dottrina della Chiesa sulla procreazione
responsabile vengono chiaramente distinti due livelli: uno deliberativo, o progettuale,
e uno esecutivo od operazionale.
Il primo si ha
quando una coppia di sposi si pone l’interrogativo se dare o no inizio al processo
generativo di un figlio. Il problema morale da risolvere è chiarire a quali
condizioni la decisione è onesta.
Il secondo livello
riguarda il comportamento sessuale della coppia mirante a dare attuazione alla scelta
compiuta. Il problema da risolvere è chiarire quale comportamento sia eticamente
ammissibile e quali no.
I due livelli
sono tanto distinti, e così esigenti di particolare attenzione, che del primo
si è occupato il Concilio nella «Gaudium et Spes», e del
secondo la «Humanae Vitae».
Due
grandi parti nella dottrina della Chiesa.
La soluzione data
dal Magistero ai due livelli del problema ora accennati, costituisce la parte più
strettamente dottrinale degli insegnamenti della Chiesa in tema di procreazione
responsabile. Viene offerto alla coscienza un aiuto prezioso nello scoprire la verità
di ciò che è bene e ciò che è male in questo ambito.
In sostanza viene formulata una valutazione, fondata e motivata, di alcuni comportamenti
coniugali, considerati in se stessi. Vengono dichiarati leciti, oppure illeciti,
a seconda che rispettano oppure calpestano i valori che sono in gioco.
Ma quella verità
chiede di essere vissuta. E a doverla vivere sono delle persone concrete, uomini
e donne sposi. E non è cosa facile. La Chiesa che non è solo «maestra»
ma anche, e prima ancora, «madre», offre perciò indicazioni operative
per aiutare le persone a capire, ad accogliere e a vivere la dottrina, cioè
la verità a loro proposta. È questa la parte pastorale degli
insegnamenti della Chiesa.