PIO
XII
L’ANGELICO
PASTORE
amico e
benefattore degli Ebrei
Un’utile
opera di divulgazione storica
su una sicura base scientifica
di Agostino Marchetto
Con la presente pubblicazione
(Pierre Blet, S.J., Pie XII et la Seconde Guerre mondiale d’après les archives
du Vatican, Librairie Académique Perrin, 1997, p. 336) il P. Blet compie una
utilissima opera di divulgazione storica, sulla sicura base scientifica degli “Actes
et Documents du Saint Siège relatifs à la Seconde Guerre mondiale”
(Libreria Ed. Vaticana, Città del Vaticano, 1965-1981, in 11 tomi e 12 volumi).
Sono così ora offerte, in pubblicazione unica, abbordabile, le conclusioni
riassuntive della generosa e preziosa ricerca d’archivio dei PP. R. Graham, A. Martini
e B. Schneider, oltre che dello stesso P. Blet. Essa illustra l’atteggiamento e l’azione
di Papa Pacelli e della Santa Sede durante la terribile ultima guerra.
“Questa documentazione
fa vedere – e lasciamo qui la parola all’Autore – la situazione nella quale la guerra
mise il papa, con le informazioni più o meno complete che gli pervengono,
i ricorsi che si fanno alla sua influenza morale e religiosa, che alcuni immaginano
illimitata e che ciascuno cerca di utilizzare nell’interesse della propria causa,
i suoi sforzi per salvare ciò che lo può ancora essere, conservando
l’imparzialità tra le parti in lotta, i suoi passi per sviare il flagello,
i tentativi per contenerlo e, quando fu scatenato a scala europea (e) poi mondiale,
i suoi sforzi per addolcire le sofferenze e soccorrere le vittime” (p. 9).
Dopo aver menzionato
i limiti dell’analisi di un qualsiasi archivio (“anche il più completo
non rende giammai conto della realtà totale”, per esempio), l’Autore
conclude che questi documenti risultano però essere la sorgente essenziale
e insostituibile della storia della Santa Sede durante la II Guerra mondiale. Il
P. Blet continua peraltro il suo dire facendo una constatazione ben triste, e cioè
“l’esperienza dei quindici anni trascorsi dall’apparire dell’ultimo volume (dei
citati “Actes”) mostra che il contenuto, se non l’esistenza stessa di questa
pubblicazione, sono ancora sfuggiti a molti di coloro che parlano e scrivono sulla
Santa Sede durante l’ultima guerra”.
E proprio da tale constatazione
è nata l’idea del presente volume, che cerca di illustrare il loro contenuto.
In effetti, essendo ciascuno degli undici tomi che compongono l’opera preceduto da
una introduzione dalla quale risulta l’essenziale dei documenti presentati, l’Autore
ora qui le riprende, sia pur sinteticamente, alleggerendo altresì il libro
suo dell’apparato di riferimento alle fonti. Si limita di fatto a indicare all’inizio
di ogni suo capitolo i volumi nei quali tali documenti sono pubblicati. Così
il P. Blet utilizza il lavoro dei suoi antichi colleghi, dei quali egli è
il solo sopravvissuto, citandone altresì qualche contributo scientifico posteriore
agli “Actes” , con richiamo infine a collezioni di storia diplomatica (Documenti
diplomatici italiani, Documents on British Foreign policy, Foreign Relations of the
United States, Diplomatic papers, Akten zur deutschen Auswaertigen Politik ó
1918-1945) e a qualche “diario” di protagonisti della storia contemporanea,
insieme a talune opere particolarmente importanti o significative. Il tutto è
compiuto, in nota, all’inizio di ogni capitolo.
Essi portano i seguenti
titoli: la diplomazia vaticana contro la guerra; Pio XII, Roosevelt e Mussolini;
il Papa e la Chiesa di Germania; la Chiesa nella Polonia invasa; al tempo del Reich
trionfante; dalla guerra europea alla guerra mondiale; leggi e persecuzioni razziali;
la deportazione in Slovacchia e in Croazia; la Romania e l’Ungheria; la sorte della
Città eterna; gli affari di Francia e ultimi combattimenti e destino dei popoli.
Non possiamo naturalmente
qui seguire l’Autore nel dipanarsi del suo procedere, ma desideriamo ugualmente offrire
al lettore qualche conclusione, traendo lo spunto dal riassunto finale della valida
ricerca, fornitoci nell’ultima parte dell’opera (p. 317-326).
Da essa risulta evidente
che Pio XII fece tutto il possibile per allontanare anzitutto il pericolo della guerra:
passi segreti diplomatici, discorsi solenni, appelli patetici ai popoli e ai loro
governanti, insistendo affinché fosse evitata ogni provocazione, specialmente
tra Polonia e Germania, fino al famoso, estremo, appello: “Nulla è perduto
con la pace, tutto può esserlo con la guerra”. Vi è poi illustrazione
della sua “politica” nel tempo della guerra: assecondare le occasioni per
incamminare di nuovo i popoli verso la conclusione di una pace onorevole per tutti
e intanto sollevarli dalle terribili ferite, già inflitte o che saranno inferte
in avvenire. Intanto la sua prima preoccupazione fu di trattenere l’Italia dall’entrare
in battaglia. Al tempo stesso trasmise a Londra le proposte dei generali tedeschi
che volevano liberarsi di Hitler, ma chiedevano garanzie per una pace onorevole per
il loro Paese. Su questa linea giunse a prevenire Francia ed Inghilterra dall’attacco
tedesco contro Belgio, Olanda e Lussemburgo. Una volta realizzatasi poi la invasione,
la condannò, servendosi dei telegrammi di condoglianza ai tre loro sovrani.
Lo fece per imparzialità, che giudica le cose secondo verità e giustizia,
non per neutralità.
Anche per questo rifiutò
di accedere al desiderio di una sua dichiarazione a favore dei soldati italiani e
tedeschi impegnati nella battaglia contro la Russia sovietica e tolse gli scrupoli,
pur con un cammino specialmente studiato, ai cattolici americani a proposito dell’aiuto
che il loro governo si proponeva di fornire alla Russia.
Per la Polonia, ci si
pose la questione di una dichiarazione pubblica, mentre già l’Enciclica Summi
Pontificatus aveva evocato il passato eroismo e le attuali sofferenze della nazione
polacca. Tardini scrisse al riguardo: “di fronte a una condanna solenne, la
potenza occupante appesantirà ancor più la sua mano sulle vittime e
proibirà quel poco di bene che la Santa Sede può ancora fare loro”.
Si ripiegò così su una lettera a Ribbentrop, firmata dal Card. Maglione,
che non fu nemmeno accettata. Finalmente nel suo discorso ai Cardinali del 2 Giugno
1943 Pio XII esaltò le sofferenze del momento e le glorie passate della Polonia,
ricevendo dagli alti Dignitari di quella Chiesa locale l’espressione della più
calorosa riconoscenza.
A proposito della persecuzione
contro i Giudei, in risposta agli appelli al soccorso, da più parti giunti,
pur regnando “incertezza sulla loro sorte, con l’andare del tempo i sospetti
di un tragico destino divennero più pesanti”. In effetti, in data 5/5/43,
la Segreteria di Stato “riassumeva in una breve, ma impressionante nota, i comunicati
che pervenivano sulla sorte dei Giudei: si parlava di campi della morte, di vittime
rinchiuse a centinaia in camere, dove morivano per l’azione dei gas o stipati in
vagoni ermeticamente chiusi”. E ci si domandava “quale fosse la esatta
portata di tali informazioni che lasciavano i governi alleati, e molti degli stessi
ambienti giudaici, esitanti su ciò che si doveva credere e su ciò che
si poteva fare”.
Per il Natale del 1942,
Pio XII aveva, intanto, denunciato tutte le crudeltà della guerra in corso,
la violazione delle convenzioni internazionali, evocando “le centinaia di migliaia
di persone che, senza colpa propria alcuna, a volte unicamente in ragione della loro
nazionalità o razza, sono destinate alla morte”.
Sull’argomento il Papa
tornò nel giugno (il 2) seguente, del 1943 dunque, ancora con vivi accenti,
ma non era ó è vero ó quella condanna “esplicita”
che certuni volevano egli fulminasse. E il Vescovo di Roma se ne giustifica, quasi,
spiegando che ogni parola delle sue pubbliche dichiarazioni “doveva essere considerata
e pesata con una serietà profonda nello stesso interesse di coloro che soffrono”.
Siamo al nocciolo della questione dei cosiddetti “silenzi” di Pio XII,
perché egli ormai si attesta su questa riserva di fondo, anche se la gravità
di una tale decisione gli era apparsa in tutta la sua drammaticità già
in antecedenza. Egli così scriveva, infatti, il 20 febbraio 1941: “Là
dove il papa vorrebbe gridare alto e forte, è sfortunatamente l’attesa e il
silenzio che gli sono sovente imposti; là dove egli vorrebbe agire ed aiutare,
ecco la pazienza e l’aspettativa (che si impongono)”. E più tardi (il
3 marzo 1944) affiderà allo scritto, un’altra volta, il suo dramma: “Con
frequenza è doloroso e difficile decidere ciò che la situazione comanda:
una riserva e un silenzio prudenti, o al contrario una parola franca e un’azione
vigorosa”.
Il Rev. P. Blet cerca
di sondare, a questo punto, i motivi che stanno alla base dell’atteggiamento di Pio
XII, e li trova, all’esterno, in una formula lapidaria della Croce Rossa (“le
proteste non servono a niente e possono rendere un pessimo servizio a chi si pensa
di aiutare”) e in una considerazione del Dipartimento di Stato (“La sola
maniera dì aiutare i Giudei è vincere la guerra”). L’Autore, a
conferma, cita anche R. M. W. Kempner, antico delegato degli U.S.A. al Consiglio
del Tribunale di Norimberga, il quale così si esprime: “Ogni tentativo
di propaganda della Chiesa cattolica contro il Reich di Hitler non sarebbe stato
soltanto un suicidio provocato, come l’ha dichiarato attualmente Rosenberg, ma avrebbe
affrettato l’esecuzione dì ancor più Giudei e preti”. In questo
modo si fa intravedere anche la preoccupazione del Papa per i cattolici tedeschi.
Ma mentre vi era un’apparenza
di silenzio in pubblico, la Segreteria di Stato “pungolava” Nunzi e Delegati
Apostolici, in Slovacchia e Croazia, in Romania e Ungheria, specialmente, a intervenire
presso governi ed episcopati per suscitare una azione di soccorso, la cui efficacia
fu riconosciuta anche dalle Organizzazioni giudaiche e il cui frutto uno storico
israeliano, Pinchas Lapide, non teme di valutare attorno alle 850.000 (ottocentocinquantamila)
vite salvate.
A questo punto il P.
Blet affronta l’argomento della “resa incondizionata” esigita dagli Alleati
e che tanto pregiudicò l’azione della Santa Sede, anche se Pio XII non intendeva
certo farsi avvocato di una “pace zoppa”. Il Papa pensava che tale condizione
alleata non poteva che “prolungare inutilmente le rovine e i massacri”.
Ma c’era altresì
la questione orientale, noi la chiameremmo.
E la Polonia già
faceva appello a Pio XII per un intervento presso gli Alleati occidentali contro
le pretese della Russia sovietica… Ma a Yalta, nonostante le intenzioni iniziali
di Roosevelt e di Churchill, la Polonia e l’Europa Orientale furono abbandonate al
potere sovietico.
Intanto però ancora
continuava la guerra sicché Pio XII continuò nel proprio sforzo di
alleviarne almeno le sofferenze. E qui il P. Blet riesce felicemente, pur in breve
spazio, a dare un quadro impressionante di tale opera, dell’attività cioè
caritativa ed umanitaria della Santa Sede. Era il segno che malgrado la “secolarizzazione”
della società, la Chiesa cattolica rimaneva cosciente della sua azione umanitaria,
intimamente legata alla sua missione religiosa. E detta azione, coordinata anche
con altre forze “umanitarie” (quali il Comitato Internazionale della Croce
Rossa o le diverse Organizzazioni giudaiche), andò a tutte le vittime della
guerra, senza distinzione di nazionalità, di razza, di religione o di partito.
Di fronte a tutti gli
ostacoli la Santa Sede mostrò una tenacia ostinata e una perseveranza degna
della nobiltà delle finalità che essa si era prefisse, e cioè,
in termini pacelliani, “rendere la guerra più umana, addolcirne i mali
e soccorrerne e consolarne le vittime”.
Nel maggio 1952, Pio
XII osò porre la seguente questione: “che cosa avremmo dovuto fare che
non abbiamo fatto?”. E Papa Pacelli si dichiarò cosciente, per evitare
la guerra, per alleggerirne le sofferenze, per diminuire il numero delle vittime,
“d’aver compiuto tutto ciò che egli aveva creduto poter fare”.
Il P. Blet conclude,
a sua volta, così: “Per quanto sia possibile ai documenti di penetrare
i cuori, essi conducono alla stessa conclusione”. Ma aggiunge, citando giudizi
di Montgomery e de Gaulle, in fondo sulla “altezza di visione pacelliana, sopra
gli interessi opposti e le rivali passioni”, che essa “renderà sempre
arduo il compito di comprendere la politica e la personalità di Papa Pio XII”.
Una bibliografia sui
documenti editi e su memorie e saggi scelti, oggi disponibili, precede l’utile indice.
Tratto da L’OSSERVATORE
ROMANO 16-17 febbraio 1998
Alcuni
tra i maggiori studiosi di questo argomento
(P. Pierre Blet s.j., P. Peter Gumpel s.j., Eduardo Rivero,
Antonio Gaspari)
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Bibliografia
ragionata su “Pio XII e gli Ebrei”