LA
SANTA MESSA
di P. Martino de Cochem O.M.C.
Capitolo V
NELLA SANTA MESSA GESÙ RINNOVA LA SUA NASCITA
La Chiesa
cattolica canta per tutta la terra il dolce mistero della nascita di Cristo. “In
quel giorno la soavità scenderà dalle montagne e le colline stilleranno
latte e miele”. Nel giorno di Natale, Colui che è la sorgente di ogni
dolcezza, ha addolcito tutto portando dal Cielo la vera gioia, ha annunciato la pace
agli uomini di buona volontà, ha consolato gli afflitti; in breve, col suo
felice avvento ha riempito l’universo di benedizione.
Quale immensa gioia provò l’eterno Padre quella notte in cui vide nascere,
dalla Vergine Maria, il Figlio amatissimo che Egli aveva generato prima di tutti
i secoli! Che delizia fu per il Figlio avere una Madre in terra e un Padre nel Cielo!
Che felicità per lo Spirito Santo quando Colui per il quale era unito a Dio
Padre da tutta l’eternità, con il legame di un indissolubile amore, si incarnò
con la sua cooperazione e riunì in una stessa persona la natura divina e l’umana.
Di quale soavità non foste inondata voi, o Maria, quando, nel contemplare
Gesù, pensaste che Egli non era soltanto Figlio vostro, ma ancora Figlio di
Dio! Quanto furono privilegiati gli uomini di allora che poterono vedere coi loro
occhi quel Bambino di benedizione! quanto dovettero essere lieti e commossi quei
pastori ai quali gli angeli annunciarono la sua nascita! E come si affrettarono ad
andare a Betlemme per adorarlo! Chi potrà descrivere la felicità dei
pii israeliti al giungere di questo giorno affrettato dai loro desideri, all’annuncio
che fu dato loro da Simeone e da Anna che la promessa così lungamente attesa
era finalmente compiuta? La loro felicità e incommensurabile e degna di considerazione,
ma la nostra sorpassa la loro, poiché ogni giorno possiamo contemplare con
gli occhi della fede il dolce Bambino Gesù e partecipare continuamente alla
gioia della sua nascita! “Le parole del Vangelo e delle profezie ci infiammano
talmente – dice un santo papa – che ci sembra di onorare la nascita del Salvatore,
non come un avvenimento ormai passato, ma come se fosse attuale, perché noi
pure riceviamo l’annuncio degli angeli ai pastori: “Ecco che vi annuncio una
grande gioia: oggi è nato il Salvatore”. Tutti i giorni, volendo, possiamo
assistere a questa beata nascita nella santa Messa, nella quale è rinnovata
e continuata. Questa è pure la dottrina di santa Ildegarda: “Quando il
pane e il vino sono cambiati nel Corpo e nel Sangue di nostro Signore – dice nelle
sue Rivelazioni – la nascita del Salvatore appare come in uno specchio”.
Questa testimonianza conferma le mie parole e prova sufficientemente che il Cielo
prende viva parte a questo grande atto, compiuto ormai da duemila anni. Desiderate
sapere da chi e come nasce Gesù Cristo? Ascoltate san Girolamo: “I sacerdoti
chiamano Gesù Cristo alla vita per mezzo delle loro labbra consacrate “.
E come se il santo Dottore dicesse che Gesù Cristo nasce dalle labbra del
sacerdote quando pronuncia le parole della consacrazione. Il papa Gregorio XIII afferma
la stessa cosa, quando raccomanda ai sacerdoti prima di salire all’altare di dire:
“Voglio celebrare la santa Messa e formare il Corpo e il Sangue di nostro Signor
Gesù Cristo”. La Chiesa fa ancora di più quando ci ordina di cantare
il cantico che gli angeli fecero echeggiare nella notte di Natale: “Gloria a
Dio in cielo e pace in terra agli uomini di buona volontà”. Non sembra
anche a voi di ricevere, come i pastori, il messaggio dei celesti spiriti? “Vi
annuncio una grande gioia: oggi è nato il Salvatore. Troverete il Bambino
avvolto nelle fasce e coricato in una mangiatoia”. Immaginate che il vostro
angelo custode vi dica: “Rallegrati, figlio mio, il Salvatore sta per nascere
nuovamente per la tua salute e lo vedrai sotto la forma della santa Ostia”.
Ma anche se il vostro angelo non vi parlasse così, la fede vi insegna che
il fatto è questo. Che fortuna per voi se ci credete fermamente! E quale immensa
gioia vi è riservata se vi comporterete con il divino Fanciullo come coloro
che furono degni di contemplarlo con gli occhi del corpo! Nelle antiche leggende
si racconta di un santo personaggio che di tanto in tanto, quando il SS. Sacramento
era sull’altare o innalzato fra le mani del sacerdote, lo vedeva prendere la forma
di un piccolo fanciullo. Nella Vita dei Padri leggiamo la relazione di un
fatto simile che avvenne durante la Messa di un sacerdote chiamato Plego. Ma ciò
che allora appariva agli occhi carnali, può essere percepito ogni giorno dal
nostro occhio spirituale e dappertutto, dove si dice la santa Messa. San Luigi informato
di un prodigio di questo genere che si ammirava in quei giorni nei dintorni di Parigi,
rispose alle persone che lo esortavano ad andarlo a vedere: “Possono andarci
quelli che non credono, io vedo Gesù vivente tutti i giorni alla Messa”.
Cito questa risposta, ispirata a una fede profonda, per mostrarvi che noi possediamo
Gesù presente sull’altare, presente dico, non in una maniera immaginaria o
puramente spirituale, ma realmente e corporalmente. Insomma lo stesso Gesù
che è nato dalla santa Vergine a Betlemme e che i Re Magi hanno adorato. Gli
accidenti soltanto ci impediscono di vederlo fisicamente, ma il nostro occhio interiore,
rischiarato dalla fede, squarcia il velo e ci convince della reale presenza. Le ragioni
per le quali Gesù si nasconde sono molte; la principale è quella di
farci esercitare molto la fede e procurarci così un’ occasione di merito.
E per confermarci in questa stessa fede, in molte circostanze si è mostrato
ai cristiani ed anche ai giudei ed agli idolatri.
Prodigi che rivelano la presenza reale di Gesù nel sacramento dell’altare
Alberto Kranz racconta che Carlo Magno aveva combattuto molti anni contro
i Sassoni, per il desiderio di strapparli all’idolatria. Questi barbari vinti ed
anche battezzati erano pur sempre eccitati all’apostasia dal loro capitano Wittikindo.
Per la dodicesima volta, l’imperatore compariva in Sassonia con numerose truppe:
era in tempo di quaresima e quando giunse la Pasqua comandò a tutta la sua
armata di prepararsi devotamente per ricevere la Comunione. La festa fu celebrata
al campo imperiale con molta pietà. Wittikindo aveva un gran desiderio di
vedere la magnificenza del culto cristiano e per raggiungere il suo scopo lasciò
i suoi abiti preziosi, si copri di cenci e andò da solo al campo chiedendo
l’elemosina come un mendicante qualunque. In tal modo il Venerdì santo poté
osservare che l’imperatore e i suoi soldati visibilmente contriti digiunavano rigorosamente
e pregavano con fervore. Li vede poi confessarsi e prepararsi alla Comunione. Il
giorno di Pasqua assistette alla Messa e quando il sacerdote fu arrivato alla Consacrazione,
Wittikindo vide fra le sue mani un bambino incomparabilmente bello e si sentì
preso da un’ineffabile dolcezza. Per tutta la funzione non cessò di guardare
il celebrante e quando i soldati andarono alla santa Comunione vide con grande meraviglia
che ognuno di loro riceveva un bambino che, però, da qualcuno andava con grande
gioia, mentre non voleva andare da altri dibattendosi con le mani e con i piedi,
benché fosse costretto a sottomettersi.
Il capitano Wittikindo non poteva riaversi dalla meraviglia che questo inaudito mistero
gli suscitava. Dopo la funzione usci dalla chiesa, si confuse coi poveri e tese la
mano a quelli che uscivano dal luogo santo. L’imperatore dava ad ognuno qualche cosa,
ma quando fu davanti a Wittikindo, uno dei suoi servi, che l’aveva riconosciuto dal
dito storpio, l’avverti: “Perché il capo dei Sassoni si nasconde sotto
l’apparenza di un mendicante?”, esclamò Carlo. Wittikindo si spaventò
al pensiero di essere accusato di spionaggio e rispose subito: “Sire, non interpretate
male la mia condotta; se ho agito così è stato all’unico fine di assistere
liberamente alle funzioni dei cristiani”. “Che hai visto?”, soggiunse
l’imperatore. “Un prodigio tale di cui non ho mai sentito parlare e che non
so neanche spiegare”. Raccontò allora quello di cui era stato testimone
il Venerdì santo, quello che aveva visto alla Messa di Pasqua e domandò
il significato di un fatto così straordinario. L’imperatore, meravigliato
che Dio avesse accordato, ad un pagano indurito, una grazia così insigne,
negata a tanti santi, quella cioè di vedere il Bambino Gesù nell’Ostia,
gli spiegò il motivo della tristezza del Venerdì santo e del digiuno,
della confessione e della Comunione. Questa spiegazione toccò talmente il
cuore di Wittikindo che abiurò il paganesimo e dopo essersi fatto istruire,
ricevette il Battesimo. Non contento di tutto questo condusse con sé dei sacerdoti
che a poco a poco convertirono al cristianesimo il Ducato di Sassonia.
questa storia è bene indicata per ravvivare la nostra fede nella presenza
reale di Gesù nell’Ostia. Gesù Cristo rende invisibile ai nostri occhi
prevaricatori la sua bellezza ma non già agli occhi di Dio e dell’esercito
celeste. Ad ogni Messa Egli appare in un tale splendore che la SS. Trinità
ne riceve una gloria infinita e la beata Vergine Maria, gli angeli e i santi ne provano
gioia ineffabile, come ha rivelato Gesù Cristo al beato Alano de La Roche.
Adorazione degli angeli
Quando gli angeli vedono Gesù nell’Ostia, si inginocchiano umilmente
davanti a Lui e lo adorano con lo stesso rispetto che ebbero davanti alla mangiatoia,
compiendo per la seconda volta la profezia applicata da san Paolo al mistero di Natale:
“quando Dio introdusse sulla terra il suo Figliolo, disse: “Lo adorino
tutti gli angeli”. Questi celesti spiriti, presi da un santo timore, come canta
la Chiesa nel Prefazio, si uniscono in una comune allegrezza per lodare e celebrare
la maestà divina. Uniamoci a loro ed esaltiamo il dolce Gesù che ad
ogni Messa rinnova lo stesso mistero per farcene più largamente partecipi.
Nessun essere umano potrebbe degnamente spiegare una così sublime verità
e solo la scienza degli angeli sarebbe sufficiente, perché essi soli vedono
le delizie che la celebrazione della Messa procura a tutto il Cielo. Per noi è
impossibile concepire la gioia che ne prova la divinità.
La SS. Trinità, senza acquistare, né perdere niente di se stessa, attinge
tutta la sua bellezza dall’unione delle sue tre Persone distinte in una comune essenza.
Lo Spirito Santo dice della Sapienza increata, cioè del Figliolo di Dio: “Essa
è lo splendore della luce eterna, lo specchio senza macchia della maestà
divina, l’immagine della sua bontà”. Questo specchio da tutta l’eternità
è davanti agli occhi del Padre, che si contempla gustando una felicità
infinita. Egli si vede quale è attualmente e quale rimarrà eternamente,
cioè il Signore grande, glorioso, sapiente, onnipotente, bello e ricco e tutto
ciò in un grado infinito. La contemplazione incessante della sua fedele immagine
è per Lui un godimento così soave, così perfetto che costituisce
da solo la sua completa beatitudine. Questo stesso specchio immacolato fu posto nuovamente
sotto i suoi occhi alla nascita di Gesù, perché Egli è ricoperto
dalla più nobile natura umana, adorno di ogni virtù e sfavillante di
tutte le perfezioni. A questa vista, il Padre celeste provò, a nostro modo
di dire, nuove delizie alle quali fece partecipare tutta la corte celeste. Ed è
perciò che i celesti spiriti, nella notte di Natale, cantarono un inno così
melodioso che la terra ne fu rapita ed i pastori trasalirono di allegrezza. E ripetendo
Gloria in excelsis i cori celesti si affrettarono verso Betlemme, si prostrarono
davanti al neonato ed adorarono la sua divinità. Quello che è successo
visibilmente una volta sola si rinnova ogni giorno sull’altare dove il Figlio unico
di Dio nasce dalle parole del sacerdote e si fa di nuovo uomo. Non si crea certamente
un nuovo Gesù, ma si moltiplica la presenza reale di Gesù Cristo. La
sua umanità, riprodotta in virtù della transustanziazione si trova
lì dove non era prima e resta realmente sotto le specie della santa Ostia,
finché le specie si conservano incorrotte. Dico finché si conservano
incorrotte, perché quando cominciano a corrompersi Gesù Cristo si ritira.
Ciò è tanto vero che se Gesù Cristo non esistesse che sotto
queste specie e queste fossero distrutte, Egli sparirebbe con esse e non ci sarebbe
più Gesù né in Cielo né in terra.
L’Eucaristia glorifica il Padre
Quando il Verbo fatto carne nasce di nuovo per mezzo delle parole del sacerdote,
quando questo specchio di giustizia è innalzato dalle mani del sacerdote e
presentato a Dio dal celebrante e dal popolo, quali saranno le gioie e le delizie
che risentirà il Padre celeste? Lingua umana non può descriverle, perché
la nostra intelligenza non è in grado di comprenderle, ma certamente non sono
inferiori a quelle che Egli gustò nella notte di Natale, perché tanto
nell’uno che nell’altro caso ha sotto gli occhi Colui del quale ha detto: “Questi
è il mio Figlio diletto nel quale ho posto tutte le mie compiacenze”
Ma ecco la differenza: Gesù di Betlemme era ricoperto di una carne mortale,
mentre nella santa Ostia il suo glorioso corpo, adorno delle sue sacre piaghe, come
da cinque pietre preziose, è immortale. A Betlemme nacque corporalmente, mentre
sull’altare nasce in maniera mistica e reale insieme.
Queste delizie sorpassano tutte quelle che l’Altissimo gusta nelle lodi degli angeli,
nelle adorazioni dei santi, nelle buone opere degli uomini, essendo la santissima
umanità di Cristo, unita ipostaticamente alla divinità, la sola capace
di onorare ed amare la SS. Trinità, secondo la sua infinita amabilità.
Possono darcene un’idea le parole che nostro Signore disse a santa Matilde: “Io
solo so e comprendo perfettamente come mi immolo ogni giorno sull’altare, per la
salute dei fedeli, cosa che non possono comprendere interamente né i Cherubini,
né alcun’altra potenza celeste”. Sì, soltanto Gesù Cristo
conosce quanto il suo amore e la sua oblazione quotidiana siano graditi a Dio nella
Messa. Egli compie questo doppio ministero di amante e di vittima con una suprema
soavità ed una compiacenza che sorpassa ogni intendimento. L’intero cielo
ammira con occhi pieni di sorpresa e con cuore estasiato, senza poter misurare l’estensione
della gioia divina. E poiché questo si riproduce ogni giorno, ad ogni ora,
chi potrà calcolare l’incommensurabile effetto di tante migliaia di Messe?
O mio Dio, la tua felicità mi rapisce e i miei desideri si riducono ad uno:
che tanta felicità non sia mai turbata dall’indifferenza di coloro che assistono
a questo augusto Sacrificio! O Gesù, ti prego di volere, ad ogni Messa, amare
e letificare, per me, la SS. Trinità e di supplire sovrabbondantemente all’amore
che ho trascurato di testimoniarle e alla gioia che avrei dovuto procurarle.
L’Eucaristia, fonte di frutti salutari
Vediamo ora quali salutari frutti riceve il mondo peccatore dalla nuova nascita
di nostro Signore. Isaia profetizzava così la venuta del Messia: “Ci
è nato un Bambino, ci è stato dato un figlio”. Possiamo dire lo
stesso, dopo ogni consacrazione: “Ci è stato dato un Bambino!”.
Che ricco dono! Che dono prezioso! Questo Bambino è veramente il Figlio del
Padre onnipotente, viene da un lontano paese di gioia, dal celeste paradiso, fertile
in delizie. Egli ci porta immense ricchezze: la grazia e la misericordia divina,
la purezza, il perdono e la remissione delle pene, il miglioramento della vita, il
favore di una buona morte, l’accrescimento della gloria celeste, il beneficio del
nutrimento temporale, una protezione sicura contro il peccato e lo scandalo e tutte
le divine benedizioni. Egli è pronto a prodigare questi tesori a tutti quelli
che ascoltano la Messa con pietà.
Consideriamo attentamente il testo di Isaia e vi troveremo un altro insegnamento.
Il profeta dice chiaramente: “Ci è nato un Bambino, ci è dato
un figlio”. Che cosa significano queste parole applicate alla nascita sacramentale
di Gesù, se non che Egli diviene nostra proprietà con tutto quello
che è, con tutto ciò che possiede e con tutto quello che opera sull’altare?
Così sono nostri l’onore, le azioni di grazie, le soddisfazioni, gli omaggi
che Egli offre alla Santissima Trinità. Che immensa consolazione, dunque,
è per colui che ascolta la Messa, il sapere che non solamente gli appartiene
il santo Sacrificio, ma lo stesso Gesù! Se nella notte di Natale foste stati
nella grotta di Betlemme, certamente avreste preso il Bambino Gesù nelle braccia,
lo avreste offerto al suo eterno Padre e innalzandolo verso di Lui, lo avreste pregato
di abbassare sopra di voi, per amore di questo diletto Figlio, i suoi sguardi di
misericordia. Dubitate forse che non vi avrebbe ricolmato delle sue grazie? No, ebbene
fate altrettanto alla Messa, specialmente nell’Avvento e nelle feste di Natale; recatevi
in spirito all’altare, prendete Gesù fra le braccia e offritelo al Padre suo.
Annientamento di Gesù nella S. Eucaristia
Resta ancora da trattare un punto importantissimo e cioè che il Salvatore
nasce sull’altare in una maniera mistica e prende una forma tanto umiliante da meravigliare
il Cielo e la terra.
La sua prima Incarnazione e la sua prima nascita sono descritte da san Paolo in termini
chiari: “Fratelli miei – dice il grande apostolo – dovete avere i medesimi sentimenti
che ebbe Gesù Cristo. Egli, essendo in forma di Dio, non ha ritenuto come
un’usurpazione questa sua uguaglianza, eppure si è annientato prendendo la
forma di servo, divenendo simile agli uomini e giudicato all’esterno come uomo. Si
è abbassato e si è fatto obbediente fino alla morte e alla morte di
Croce”
Chiunque rifletta sulla nascita mistica del Salvatore vi troverà un’umiliazione
ancora più grande. Perché se a Betlemme era simile agli altri bambini,
o meglio se aveva la forma del più bello dei bambini, sull’altare si annienta
sotto le apparenze del pane. Chi mai sentì parlare di un tale abbassamento?
Gesù Cristo può dire veramente col profeta re: “Sono un verme
della terra e non uomo, oggetto di scherno per gli uomini, di disprezzo per il popolo”.
Chi bada a questa minima particella? Chi l’adora? Chi gli rende gli onori divini?
Ohimè! quasi nessuno! quanto e come nostro Signore si abbassa, come si sottrae
agli onori che sono dovuti alla sua presenza! Dov’è la sua gloria, la sua
onnipotenza? Dove l’imponente maestà che fa tremare la corte celeste? Vi ha
rinunciato per abbandonarsi al disprezzo. Egli è il Verbo di Dio e non può
articolare una parola; ha creato il firmamento e non può muovere né
il piede, né la mano; l’universo stesso non può contenerlo e si è
rinchiuso come prigioniero in una piccola Ostia! Nel Cielo è assiso su di
un trono abbagliante, sui nostri altari è giacente, legato come l’agnello
del sacrificio. Quale annientamento! Incomparabile amore che ha ridotto in questo
stato l’amante dell’anima umana. Ma questo non è tutto: si assoggetta alla
volontà di ogni sacerdote e non soltanto di quelli pii, ma anche degli indifferenti
e dei tiepidi e si abbandona fra le loro mani fino al punto che essi possono disporre
di Lui a loro piacere. Grande meraviglia! Non rifiuta di essere benedetto da loro,
benché, come dice san Paolo: “L’inferiore riceve la benedizione del superiore”.
Come mai Gesù Cristo, infinitamente superiore al sacerdote, consente di essere
benedetto da lui? E un fatto che il sacerdote benedice la santa Ostia fino a quindici
volte dopo la Consacrazione, proprio quando è divenuta il vero Corpo e il
vero Sangue del Salvatore,! quando Giovanni incontrò Gesù sulle rive
del Giordano esclamò: “Io devo essere battezzato da te, e tu vieni a
me?”. Grande e tremenda lezione per i sacerdoti! Essi dovrebbero dire al Salvatore:
“Signore Gesù, sono io che ho bisogno di essere benedetto da te e tu
vuoi ricevere la benedizione di un peccatore!”. Non certo come uomo il sacerdote
traccia il segno della croce sulla santa Ostia, ma egli pronuncia la benedizione
di Dio Padre. Non è sorprendente che Dio si serva di un uomo per benedire
il più santo degli olocausti! Perché il Salvatore si umilia così?
Ascoltate ed ammirate. Una delle ragioni principali è quella di disarmare
la collera di Dio e di allontanare il castigo che minaccia il peccatore. Non vi è
miglior mezzo per placare il proprio nemico che umiliarsi davanti a lui, implorando
il suo perdono. Ne abbiamo un notevole esempio a proposito dell’empio Acab. Elia
annunciò a questo principe che il Signore, giusto vendicatore dei delitti
suoi e della sua famiglia, lo avrebbe punito con morte violenta insieme alla moglie
e ai suoi bambini, che nessuno di loro sarebbe stato sepolto e che i loro corpi sarebbero
stati divorati dai cani. A questa notizia Acab si stracciò gli abiti reali,
si rivestì di cilicio, si copri con un sacco grossolano e si allontanò
a testa bassa. Allora Dio disse ad Elia: “Hai visto come Acab si è umiliato
davanti a me?”. “Sì”, rispose il profeta. Il Signore riprese:
“Giacché si è umiliato per me, non gli farò male durante
la vita e soltanto alla sua morte mi vendicherò sulla sua famiglia”.
Se questo empio re di cui, secondo la testimonianza dei Libri santi non e mai esistito
uno simile” è riuscito, con la sua umiltà, a far sì che
l’onnipotente Iddio revocasse la terribile. sentenza pronunciata contro di lui, che
cosa Gesù, così umiliato sugli altari, non otterrà mai dal Padre
celeste? Lo stato in cui si riduce per i peccatori che, per la malizia e l’orgoglio,
hanno meritato un giusto castigo, non è mille volte più commovente
di quello di Acab? Si spoglia delle vesti di gloria, per nascondersi sotto le apparenze
della santa Ostia, come sotto un duro cilicio: non si allontana con la testa china,
ma sull’altare sta in atteggiamento di un verme della terra e, dal fondo del cuore,
scongiura il Padre suo, con grida supplichevoli, di perdonarci e risparmiarci. Davanti
a un tale spettacolo Dio non dirà dunque ai suoi angeli: `Avete visto come
il Figlio mio si è umiliato al mio cospetto?”. E gli angeli risponderanno:
“Sì, o Signore e noi siamo confusi per tanto abbassamento!”. “Poiché
mio Figlio si è così annientato per amore dei peccatori, – aggiungerà
il Padre celeste – io riterrò la mia collera e per quanto grandi siano le
iniquità degli uomini non procederò con rigore verso di loro”.
Non c’è dubbio, se Dio giusto risparmia la vita del colpevole o non lo punisce
per i suoi delitti, questo avviene perché il reo ha assistito alla santa Messa
e partecipato così all’ammenda del Salvatore, umiliato per lui. Cristiani,
siate riconoscenti a quest’adorabile vittima e ditele dal fondo del cuore: “O
dolcissimo Gesù, ti siano rese lodi e onore, per l’amore che a ciascuna Messa
ti fa scendere dal Cielo, per quell’amore che cambiando il pane e il vino, nella
tua Carne e nel tuo Sangue, ti tiene schiavo sotto queste umili apparenze, disarma
la collera del Padre tuo e ci ottiene la remissione delle pene dovute ai nostri peccati!
Ti ringraziamo dal fondo del cuore, per questo inestimabile Sacrificio; ti lodiamo,
ti esaltiamo, ti benediciamo, ti glorifichiamo con tutte le nostre forze e preghiamo
il celeste esercito di unirsi a noi, per supplire all’insufficienza delle nostre
azioni di grazie. Ti supplichiamo ancora di aprire gli occhi del nostro spirito,
affinché, conoscendo sempre meglio questo dolce mistero, possiamo più
degnamente onorarlo ed applicarlo alla nostra salute”.
Testo tratto
da: P. Martino de Cochem O.M.C., La Santa Messa, Milano 1937/3, pp. 71-82.