Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.
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TRATTATO V. DELL'ORAZIONE
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CAPO XXV. Quanto convenga pigliare alcuni tempi straordinari per darsi più all'orazione
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CAPO XXVI. Del frutto che abbiamo da cavare da questi esercizi.
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1. Migliorarci nelle azioni ordinarie.
2. Emendare i nostri difetti più abituali.
3. Uscirne cambiati.
4. Acquistare qualche particolare virtù.
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1. In tre cose principalmente abbiamo da metter gli occhi, affine di cavarle per frutto dagli esercizi. La prima è rinnovarci in quelle cose ordinarie che facciamo ogni giorno e perfezionarci in esse; perché tutto il nostro profitto e la nostra perfezione consiste nel far queste cose ordinarie ben fatte, come abbiamo detto a suo luogo. Né si pensi alcuno, che il far gli esercizi sia per starcene ivi ritirati otto o dieci giorni, e per far orazione per molto tempo. Non è per questo che si fanno gli esercizi; ma perché l'uomo abbia da uscir da essi con aver preso un buon abito a far meglio la sua orazione e a osservar le addizioni e i documenti che si danno per farla come si deve; con aver preso un buon abito a far bene i suoi esami, a udire o dir bene la santa Messa e l'ufficio divino, a far con frutto la lettura spirituale; e così di tutto il resto. Per questo effetto si disoccupa uno per quel tempo dalle altre occupazioni, per attuarsi e per esercitarsi in far bene queste cose, acciocché così esca fuori rinnovato e avvezzo a farle poi in quel modo in cui le ha fatte in quel tempo.
E così dice il nostro Santo Padre che in tutto il tempo che dureranno gli esercizi si faccia l'esame particolare sopra l'osservanza delle addizioni e sopra il far con diligenza ed esattezza gli esercizi spirituali, notando i mancamenti che si faranno circa l'uno e l'altro, acciocché la persona resti abituata e avvezza a fare per l'avvenire tutte queste cose molto bene. E replica questo molte volte, come quegli che ben conosceva la grande utilità che ne può provenire. E non solamente circa gli esercizI spirituali, che è la cosa principale e quel che ha da dar forza e spirito a tutto il resto; ma circa tutti gli altri esercizi ed occupazioni esteriori ha da uscir uno dagli esercizi molto approfittato, cavando da essi lena per far meglio per l'avvenire il suo ufficio e i suoi ministeri, e per osservare meglio le sue regole. Di maniera, che il frutto degli esercizi non è per quei giorni soli, ma principalmente per dopo. Onde quando uno esce dagli esercizi si ha da vedere il frutto di essi nelle opere ed azioni sue.
2. La seconda cosa che dobbiamo procurare di cavare dagli esercizi è vincerci e mortificarci in alcune cose nocive e in alcune imperfezioni che abbiamo. Fissi ciascuno gli occhi in quelle cose, nelle quali suole più ordinariamente inciampare, o essere cagione che altri inciampino offendendosi e scandalizzandosi di esse, e procuri di uscire dagli esercizi emendato da quelle, e allora avrà fatto molto buoni esercizi; ché per questo particolarmente sono istituiti e questo è il fine di essi. Onde il titolo che mette il nostro Santo Padre negli esercizi è questo: Meditazioni spirituali per vincere l'uomo se stesso e per ordinare la sua vita e i suoi affetti a maggior servizio di Dio Signor nostro. Di maniera che l'uomo deve procurare di uscire dagli esercizi mutato e cambiato in un altro uomo, come disse Samuele a Saulle (I Reg. 10, 6) ovvero «in uomo perfetto», come dice S. Paolo (Eph. 4, 13). In sostanza bisogna che dalle sue azioni apparisca che ha fatto gli esercizi. Onde se prima era amico di parlare e di perdere tempo, si veda che è diventato amico del silenzio e del ritiramento; se prima era amico delle delicatezze e delle sue comodità, si veda che è divenuto amico della mortificazione e della penitenza; se prima nel parlare. usava parole mortificative, non le usi più; se prima era negligente e rilassato nell'osservanza delle regole e non faceva conto delle cose piccole, sia per l'avvenire molto ubbidiente e molto puntuale e faccia conto ancora delle cose molto piccole e minute, e che colla grazia del Signore non faccia errore né mancamento alcuno apposta. Perché se la persona ne ha da restare colle medesime cose pregiudiziali e coi medesimi difetti e mancamenti, e ha da uscirsene il medesimo che era prima, a che servono gli esercizi?
S. Ambrogio racconta di un giovinetto una cosa che già che la dice egli la potremo dire noi altri ancora. Era stato questi molto dissoluto, ed essendogli occorso di fare un lungo viaggio, in quel tempo mutò vita. Ritornato poi alla patria s'incontrò colla sua mala pratica di prima; e perché se ne passava di lungo, senza farne conto alcuno, essa, meravigliata, e pensandosi che non l'avesse conosciuta, se gli accostò e gli disse: lo sono colei; ed egli rispose: Ma io non sono colui. Abbiamo da mutarci e cambiarci in modo, da poter dire con l'Apostolo: «Vivo io, non più io, ma Cristo è quegli che vive in me» (Gal 2, 20). E questo dice S. Ambrogio che è quello che disse Cristo nostro Redentore: «Chi vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso» (Matth. 16,24; Luc. 9, 23), Quegli, dice il Santo (S. AMBR. De poenit. l. 2, c. 10, n. 97) nega se stesso, il quale si cambia in un altro uomo e procura di non esser più quegli che soleva essere. Si narra nella Vita di S. Francesco Borgia che, dopo avere accompagnato il corpo della defunta imperatrice a Granata, ove il Signore gli diede gran lume e gli fece conoscere la vanità del mondo con quello spettacolo della morte che teneva presente, ritornato alla corte disse, che gli pareva di trovare la corte cambiata. Ed era che si era mutato e cambiato egli stesso con la cognizione e il disinganno che Dio gli aveva dato, e con averlo Sua Divina Maestà illuminato in quello in cui lo aveva illuminato e disingannato. Ora in questa guisa abbiamo noi altri da uscire dagli esercizi col nuovo lume e la nuova chiarezza, che il Signore ci suole comunicare in essi.
3. La terza cosa, nella quale abbiamo da metter gli occhi per cavarla dagli esercizi, e che viene in conseguenza da quello che abbiamo detto, è l'acquisto di qualche virtù, o di qualche cosa di perfezione, particolarmente di quella della quale abbiamo maggior bisogno; perché lo sradicare i vizi serve a questo effetto di piantarvi le virtù. «Due cose, dice quel sant'uomo, specialmente ci aiutano a fare una grande emendazione; cioè il ritirarci con violenza da quelle cose, alle quali la natura viziosamente c'inchina; e lo studiarci ferventemente d'acquistare quel bene, del quale l'uomo ha maggiore bisogno» (De Imit. Christi, 1. 1, c. 25, n. 4). Della prima abbiamo già parlato; e questa seconda è quella di cui ci rimane a dire.
Il direttorio degli esercizi, trattando del modo che abbiamo da tenere noi altri quando ci ritiriamo a farli avverte che nella prima di queste due cose non se ne ha da andare tutta la prima settimana: per questa dice bastano due o tre giorni, acciocché vi sia tempo e comodità di passare ad altre meditazioni, dalle quali possiamo cavar un frutto di maggior perfezione. E fra gli altri avvertimenti che mette ivi per questo effetto, uno è che di tempo in tempo ci pigliamo a petto alcune regole principali, nelle quali pare che stia tutta la perfezione che possiamo desiderare; come quella che dice che, «siccome gli uomini mondani, che seguono le cose del mondo, amano e cercano con gran diligenza gli onori, la fama e il gran nome sopra la terra, come li ammaestra il mondo; così coloro, che nello spirito camminano e seguono davvero Cristo nostro Signore, amano e ardentemente desiderano le cose del tutto a queste contrarie» (Reg. 11, Summ. Epit. 206, § 2). Pigliati a petto in alcuni esercizi l'acquistare questa perfezione e l'arrivare a questo di umiltà, di gustare tanto dei disprezzi, dei disonori, delle ingiurie e delle false testimonianze, quanto gustano i mondani dell'onore e della riputazione; e con ciò con assoluta padronanza potrai da te di scacciare certe frenesie e vanità, che ci sogliono passar per la mente, di essere riputati e stimati, chi nelle sue lettere e dottrina, chi nel suo ufficio, chi nei ministeri e negozi che tratta; cose che inquietano e impediscono grandemente il profitto spirituale.
4. Un'altra volta pigliati a petto quella regola che dice: «Tutti si sforzino di avere l'intenzione retta non solo nello stato della propria vita, ma anche in tutte le cose particolari, intendendo sinceramente di servire e sempre piacere in quelle alla Divina Bontà per se stessa, e per la carità e benefici tanto singolari, con i quali ci ha prevenuto, piuttosto che per timore di pene o speranza di premi» (Reg 17, Summ. Epit. 175, § 1). Procura di arrivare a questa purità d'intenzione, di non cercare il tuo interesse in cosa alcuna,non nel poco, non nel molto, non nelle cose temporali e nemmeno nelle eterne, ma di cercare in ogni cosa puramente la volontà e la gloria di Dio, dimentico affatto di te stesso e di ogni tua utilità e comodità. Pigliati un'altra volta a petto l’acquisto di una conformità alla volontà di Dio, ricevendo tutte le cose che ti occorreranno, così grandi come piccole, in qual si sia modo, e per qual si sia via o mezzo che vengano, come venute dalla mano di Dio. A queste e ad altre cose simili di perfezione abbiamo da volgere gli occhi quando ci ritiriamo a fare questi esercizi, e non fermarci sino ad averle conseguite.