L’esercizio della presenza di Dio

Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.

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TRATTATO VI. DELLA PRESENZA DI DIO

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CAPO I. Dell'eccellenza di questo esercizio e dei gran beni che sono in esso.

 

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1. Anticipazione del cielo.
2. Famigliare agli antichi Patriarchi.
3. Efficace per evitare il peccato.
4. Dalla sua mancanza vengono tutti i peccati.
6. Raccomandato dai Santi.5. E mezzo compendioso per la perfezione.

 

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1. «Cercate il Signore e fatevi forti, cercate sempre la sua faccia», dice il profeta Davide (Ps. 104, 4). La faccia del Signore dice S. Agostino (S. AUG. Enarr. in Ps. 104, n. 3) che è la presenza del Signore; e così cercare la faccia del Signore sempre è camminar sempre alla presenza di Dio, volgendo il cuore a lui con desiderio e con amore. Eschio nell'ultima centuria, e lo apporta anche il glorioso S. Bonaventura (S. BONAV. De exter. etc. l. 3, c. 26), dice che lo star sempre in questo esercizio della presenza di Dio è cominciare ad esser di qua beati; perché la beatitudine dei Santi consiste in veder Dio perpetuamente, senza giammai perderlo di vista. Ora giacché in questa vita non possiamo veder Dio chiaramente, né com'egli è, perché questo è proprio dei beati; almeno imitiamoli nel modo nostro e secondo quello che comporta la nostra fragilità cercando di star sempre riguardando, riverendo e amando Dio. Di maniera che, come Dio Signor nostro ci creò per avere a stare eternamente alla sua presenza nel cielo ed ivi goderlo; così volle che avessimo qui in terra un ritratto e un saggio di quella beatitudine, camminando sempre alla sua presenza, contemplandolo e riverendolo sebbene all'oscuro. «Vediamo adesso attraverso di uno specchio per enimma, ma allora faccia a faccia» (I Cor 13, 12). Adesso lo vediamo e contempliamo per mezzo della fede come per mezzo di uno specchio; dipoi lo vedremo alla scoperta e a faccia a faccia. Quella vista chiara, dice Isichio, è il premio e la gloria e beatitudine che aspettiamo; questa altra oscura è merito, per mezzo del quale abbiamo da arrivare a conseguir quella. Ma in fine al modo nostro imitiamo i Beati, procurando di non perdere mai Dio di vista nelle nostre operazioni, come gli angeli santi, i quali sono mandati per nostro aiuto, per nostra custodia e nostra difesa, si occupano in tal maniera in questi ministeri in pro nostro che mai non perdono Dio di vista; come disse l'angelo Raffaele a Tobia: «Sembrava veramente che io mangiassi e bevessi con voi: ma io mi valgo di un cibo e di una bevanda che non possono essere veduti dagli uomini» (Tob. 12, 19). Stanno gli angeli santi del continuo come nutrendosi e sostentandosi di Dio. «Vedono sempre il volto del Padre mio, che è. nei cieli» (Matth. 18, 10), così noi, dice Gesù; sebbene mangiamo, beviamo, trattiamo e negoziamo cogli uomini, e pare che ci occupiamo e tratteniamo in questo; abbiamo nondimeno da procurare che non sia questo il nostro cibo né il nostro trattenimento, ma un altro invisibile che gli uomini non vedono; cioè lo star sempre riguardando ed amando Dio e facendo la sua santissima volontà.

2. Grand'esercizio fu quello che praticarono quei Santi e Patriarchi dell'antica legge in ordine a questo punto del camminar sempre alla presenza di Dio. «Io antivedeva sempre dinanzi a me il Signore, perché egli sta alla mia destra, affinché io non sia smosso» (Ps. 15, 8). Non si contentava il reale Profeta di lodar Dio sette volte il giorno; ma sempre procurava di tenerlo presente. Era tanto continuo questo esercizio in quei Santi, che era anche comune linguaggio loro il pregiarsi di questo, soliti di spesso dire: «Vive il Signore, al cospetto del quale io sto» (III Reg. 17, 1; IV Reg, 3, 14).

Sono grandi i beni e le utilità che risultano dal camminar sempre alla presenza di Dio, considerando che egli ci sta guardando; e perciò lo procuravano tanto quei Santi, perché questo basta a fare che uno sia molto ben regolato e molto composto in tutte le sue azioni. Dimmi un poco, qual è quel servo che dinanzi agli occhi del suo padrone non proceda con molta puntualità? Ovvero qual servo si trova tanto sfacciato, che alla presenza del padrone non faccia quello che esso gli comanda, o ardisca d'offenderlo sotto i suoi occhi? Ovvero qual sarà quel ladro a cui basti l'animo di rubare, mentre vede che il giudice gli sta guardando alle mani? Ci sta guardando Dio, il quale è nostro giudice ed è onnipotente, che può far che la terra si apra e che l'inferno inghiottisca chiunque lo fa sdegnare contro di sé, e alcune volte l'ha fatto. Or chi ardirà di muoverlo a sdegno? E così S. Agostino (S. AUG. Solil. c. 14) diceva: Quando io, Signore, considero attentamente che mi state sempre guardando e vegliando sopra di me notte e giorno, con tanta cura, come se in cielo e in terra voi non: aveste altra creatura da governare che me solo; quando considero bene che tutte le mie operazioni, pensieri e desideri sono patenti e chiari dinanzi a voi, mi riempio tutto di timore e mi copro di vergogna. Certo ci mette in grand'obbligo di viver giustamente e rettamente il considerare che facciamo tutte le cose dinanzi agli occhi del Giudice, che vede il tutto e a cui nessuna cosa si può celare. Se la presenza d'un uomo grave ci fa star composti, che farà la presenza di Dio?

3. S. Girolamo sopra quello che Dio dice di Gerusalemme per mezzo del profeta Ezechiele (Ezech. 22, 12): «Tu ti sei dimenticata di me», dice che il ricordo di Dio esclude tutti i peccati (S. HIERON. Comm. in Ezech. 22, 12). Lo stesso dice S. Ambrogio (S. AMBR. Offic. l. 1, c. 26, n. 124); e in altro luogo dice S. Girolamo che è tanto efficace mezzo la memoria di Dio e il camminar alla presenza sua, che se considerassimo che Dio è presente e che ci sta guardando, non ardiremmo mai dì far cosa che gli dispiacesse (S. HIERON. in Ezech. 8, 12; Loc. cit. col. 82). Alla peccatrice Taide bastò questo solo per lasciare la sua mala vita e andarsene all'eremo a far penitenza, come abbiamo detto di sopra. Diceva il santo Giobbe: «Non sta egli attento a tutti i miei andamenti e non conta egli tutti i miei passi?» (Iob, 31, 4); e chi ardirà mai di peccare, né di far cosa mal fatta?

4. Per contrario tutto il disordine e tutta la rovina dei tristi nasce dal non ricordarsi che Dio è presente e che li sta guardando, secondo quello che tante volte replica la Scrittura divina in persona degli, uomini cattivi: «E tu hai detto: Non c'è, chi mi veda» (Isai. 47, 10). «Egli non vedrà il nostro fine» (Ierem. 12, 4). E cosi notò, come s'è visto, S. Girolamo sopra quel cap. 22 di Ezechiele, ove il Profeta, riprendendo Gerusalemme di molti suoi vizi e peccati, viene a conchiudere che la cagione di tutti essi era l'essersi dimenticata di Dio. E questa stessa cagione nota la Scrittura in molti altri luoghi. Come un cavallo senza freno si va a precipitare, e una nave senza chi la governi si va a perdere; così levato via questo freno, l'uomo se ne va dietro ai suoi appetiti e alle sue passioni disordinate. Non tiene Dio dinanzi ai suoi occhi, dice il Profeta Davide, non lo considera presente dinanzi a sé; e perciò le vie sue, cioè le sue operazioni, sono macchiate di colpa in ogni tempo (Ps. 9, 25).

5. Il rimedio che S. Basilio in molti luoghi dà contro tutte le tentazioni e i travagli, e contro tutte le cose e occasioni che ci si possono presentare, è la presenza di Dio. Onde se vuoi un mezzo breve e compendioso per acquistare la perfezione, il quale contenga e rinchiuda in sé la forza e l'efficacia di tutti gli altri mezzi, questo è desso, e per tale lo diede Dio ad Abramo: «Cammina alla mia presenza, e sii perfetto» (Gen. 17, 1). In questo, come in altri luoghi della sacra Scrittura, l'imperativo si piglia pel futuro, per significare l'infallibilità del successo.

È cosa tanto certa che sarai perfetto se andrai sempre riguardando Dio e se starai avvertito che egli ti sta guardando, che da quest'ora ti puoi tenere per tale. Perché, come le stelle dall'aspetto del sole, che hanno presente, e in cui stanno rivolte, traggono lume per risplendere dentro e fuori di sé; e virtù per influire nella terra (*Quello che qui l'autore dice delle stelle, bisogna intenderlo dei pianeti. Quanto all'influsso poi delle stelle e dei pianeti sulla terra, è credenza antica, della quale fece suo pro anche Dante nella Divina Commedia. – Nota degli Editori); così gli uomini giusti, i quali sono come stelle nella Chiesa di Dio, dall'aspetto di Dio, dal mirarlo presente e dal volgere il loro pensiero e desiderio a lui, traggono lume, col quale nell'interiore, che Dio vede, risplendono con vere e sode virtù, e nell'esteriore, che vedono gli uomini, risplendono con ogni decenza e onestà; e ritraggono virtù e forza per edificare e santificare altri. Non è cosa nel mondo che esprima tanto propriamente la necessità che abbiamo di star sempre alla presenza di Dio, quanto questa. Guarda la dipendenza che. ha la luna dal sole, e la necessità che ha di star sempre rimpetto ad esso. La luna da sé non ha lume; ha solo quello che riceve dal sole, secondo l'aspetto col quale lo guarda; e opera nei corpi inferiori secondo il lume che riceve dal sole; e così i suoi effetti crescono e scemano secondo ch'ella stessa va crescendo e scemando; e quando si pone dinanzi alla luna qualche cosa che le impedisca l'aspetto e la vista del sole, subito nello stesso punto s'eclissa e perde la sua luce, e con essa ancora gran parte dell'efficacia di operare che aveva mediante il lume che riceveva dal sole. Lo stesso accade nell'anima rispetto a Dio, che è il sole.

6. Perciò i Santi ci esortano a questo esercizio. S. Ambrogio e S. Bernardo, trattando della continuazione e perseveranza che deve essere in noi intorno ad esso, dicono: «Come non vi può essere momento, nel quale l'uomo non goda della bontà e misericordia di Dio; così non vi ha da esser punto né momento, nel quale non abbia Dio presente nella sua memoria» (S. AMBR. De dignit. cond. hum. c. 2 ; S. BERN. Medit. c. 6, n. 17). E in altro luogo dice lo stesso S. Bernardo: In tutte le sue operazioni e in tutti i suoi pensieri ha da procurare il religioso di ricordarsi che ha Dio presente: e tutto il tempo che non pensa a Dio ha egli da tenerlo per perduto (S. BERN. Spec. mon.; Loc. cit. col. 1177). Mai non si dimentica Dio di noi altri: sarà ben di ragione che noi altresì procuriamo di non mai dimenticarci di lui. S. Agostino sopra quelle parole del salmo XXXI: «Terrò fissi gli occhi miei sopra di te» (Ps. 31, 8), dice: «Non leverò, o Signore, gli occhi miei da te; perché tu non levi mai i tuoi da me» (S. AUG.in PS. 31, enarr. 2, n. 21). Sempre li terrò fermi e fissi in te, come faceva il Profeta: «Gli occhi miei sempre rivolti al Signore» (Ps. 24, 15). S. Gregorio Nazianzeno diceva: Tanto spesso e tanto frequente ha da esser il ricordarci di Dio, quanto il respirare, e anche più (S. GREG. NAZ. Orat. 27, n. 4). perché siccome ad ogni momento abbiamo necessità di respirare, per rinfrescar il cuore e per temperare il calore naturale, così abbiamo necessità di ricorrere in ogni momento a Dio coll'orazione, per raffrenare il disordinato ardore della concupiscenza, che, ci sta stimolando e incitando al peccare.