Le regole del cattolicismo schietto (reg. 1 e 13)

«Le
regole del cattolicismo schietto
»

Commento alle
Regole per sentire nella Chiesa

degli Esercizi Spirituali di S. Ignazio di Loyola

di P. Maurizio Meschler
S.I.






elmo



PARTE
PRIMA

Principii
fondamentali riguardanti la fede
– I

1. Rispetto alla
fede S. Ignazio scrive: «Messo da parte ogni proprio giudizio dobbiamo
tenere l’animo preparato e pronto ad obbedire in tutte le cose alla vera sposa di
Cristo Signore nostro, che è la nostra santa Madre, la Chiesa gerarchica»
(Reg. 1). E più innanzi: «Per raggiungere in ogni cosa la verità,
dobbiamo tenere sempre fermo, che il bianco che vedo, io creda essere nero, se così
lo definisca la Chiesa gerarchica: credendo che tra lo sposo, Cristo signore nostro
e la Chiesa sposa sua vi sia il medesimo spirito che ci governa e regge nelle cose
che spettano alla salute dell’anima nostra; perocché quel medesimo spirito
e quel medesimo Signore che diede i dieci comandamenti regge e governa la santa nostra
Madre Chiesa» (Reg. 13).

Con queste parole anzitutto viene rimosso e condannato il principio fondamentale
del protestantesimo e del razionalismo e di ogni altra setta contraria alla fede,
che cioè l’opinione privata ed il sentimento privato ovvero la propria ragione
siano l’unica norma valevole nelle cose della fede; per lo contrario viene riconosciuto
ed affermato il principio fondamentale del cattolicismo, che in tutto ciò
che riguarda la fede decide la sola autorità della Chiesa. In verità
noi non crediamo immediatamente alla Chiesa, ma a Dio. Non possiamo credere, se non
quel che Dio ha rivelato e perché Dio lo ha rivelato. Il motivo della nostra
fede altro non è che Dio: cioè l’autorità, l’onniscienza, la
veracità di un Dio rivelante. Or quel che Dio ha rivelato non sappiamo altrimenti
con certezza, se non per mezzo della Chiesa. Essa attinge il contenuto della rivelazione
dalla S. Scrittura e dalla Tradizione, che sono le fonti della nostra fede;
ma la regola unica immediata della fede è per noi la Chiesa in virtù
del suo magistero infallibile. Or questo appunto ci distingue da tutte le sètte,
le quali in conseguenza del loro sistema, se Dio pietosamente non intervenga col
lume e con la forza della sua grazia, non sono neppur capaci di fare rettamente un
atto di fede: prima perché non possiedono l’intero deposito della fede; poi
perché non accettano il fondamento storico della fede; in fine perché
il motivo della loro fede non è l’autorità di Dio, ma il loro proprio
modo di vedere.

Ma come credere che il bianco ch’io vedo, si nero, se la Chiesa così definisce?
Non è questo un opprimere l’intelletto umano? Non è una pretensione
insopportabile della Chiesa, una scandalosa esagerazione dei suoi diritti?

Dalle stesse parole di S. Ignazio si deduce che la nostra sommessione alla Chiesa
in cose di fede deve avere un suo termine proprio, perché del tutto cieca
non può mai essere, particolarmente rispetto ai motivi di credibilità.
Noi sappiamo assai bene, per qual ragione diamo alla Chiesa la nostra adesione, quand’essa
ci propone a credere alcuna cosa come rivelata da Dio, se pure la nostra fede è
retta ed illuminata. È officio proprio della Chiesa di trasmetterci ed annunciarci
infallibilmente non solo quel che Dio ha rivelato, ma anche il modo come la verità
rivelata dev’essere da noi intesa. Nella Chiesa ci soggettiamo a Dio, anche quando
non si giunge a vedere, se la verità rivelata proposta è in se stessa
così ovvero altrimenti. E però l’oscurità non riguarda i motivi
fondamentali della fede, ma solo la naturale evidenza dell’oggetto rivelato. Or questo
è proprio, anzi sostanziale di ogni atto di fede. Non crediamo, perché
vediamo e sappiamo, ma perché Dio lo dice e ci dà guarentigia della
verità del suo detto. L’atto cieco dell’accogliere tocca adunque l’evidenza
della cosa rivelata, non il fatto della rivelazione, né l’autorità
della Chiesa che ci presenta con certezza la cosa rivelata.



Inoltre le parole alquanto singolari del Santo sono solamente un modo di dire, quasi
a maniera di esempio e di similitudine. Null’altro intendono di fatto, se non di
insistere sulla prontezza nostra nelle cose di fede; null’altro in sostanza significano,
se non che dobbiamo avere animo grande verso Dio e verso la Chiesa, facendo della
nostra sommessione incondizionata il nostro punto di onore. La Chiesa sa molto bene
a che si estendano i suoi diritti rispetto le cose della fede, né quei diritti
adopera a caso, ma con riguardo e prudenza: per lo meno finora non ci ha mai imposto
cosa alcuna fuor di ragione. Se dunque ci comanda di credere questo o quello, essa
è nel suo diritto, e noi nulla possiamo fare di meglio, che ubbidirle.



Del resto nelle parole di S. Ignazio, per quanto a prima vista possano apparire
singolari, si nasconde una verità profonda. Il Signore ha concesso l’infallibilità
alla Chiesa soltanto, non all’occhio mio, non al mio intelletto, non all’intelletto
di qualsivoglia altro mio pari al mondo. Come dunque ardiremo affermare contro Dio
e contro la Chiesa, che quanto a noi sembra retto, sia poi retto veramente? Quanti
al mondo patiscono d’occhi e non distinguono l’un colore dall’altro! Che possono
far di meglio costoro, se non credere a quel che dicono gli altri, sebbene essi veggano
il contrario? Similmente avviene dell’intelletto. Quante volte gli occhi dell’intelletto
ci hanno ingannato! È verità irrepugnabile, che il motivo, onde noi
aderiamo alla verità rivelata, cioè la veracità di Dio e l’impossibilità
di un inganno da parte sua, è molto più sodo e sicuro che non qualsivoglia
altra cognizione o persuasione naturale; esso ci offre una sicurezza di tal natura,
quale non ci può essere data da nessun’altra dimostrazione degli scienziati.
Ben pesato ogni cosa, le parole del Santo rimangono nel loro valore e nella loro
verità.

Però queste parole non solo richiedono la più ampia prontezza di volontà
rispetto alla fede, ma suggeriscono inoltre i migliori e più appropriati motivi
a tal fine. S. Ignazio chiama la Chiesa la sposa di Cristo. Ed essa tale
di fatto, e fin che rimane sposa di Cristo e non é da lui ripudiata, non può
errare in cose di fede. Ora Cristo non è sposo infedele, ed il primo indispensabile
vincolo che lo unisce alla Chiesa, che anzi è il fondamento di tutti gli altri,
è la fede vera ed immutabile. Senza ciò la Chiesa non potrebbe essere
sposa di Cristo.

Più ancora. Quel medesimo Spirito, Spirito di verità che procede
dal Padre e dal Figliuolo
(
1), che vive ed inabita
nel vero e reale corpo di Cristo, vive pure ed inabita nel corpo mistico di lui,
la Chiesa. Le fu dato da Cristo e rimane in lei e le insegna ogni verità (
2). Questo Spirito adunque, che al
medesimo tempo è in Cristo e nella Chiesa, non può contraddirsi, né
essere nell’uno verità, nell’altra errore. Ciò che la Chiesa insegna,
insegna lo Spirito Santo e chi resiste alla Chiesa, resiste allo Spirito Santo; come
fu detto degli Ebrei: Voi resistete sempre allo Spirito Santo (
3).

Inoltre la Chiesa è madre nostra, madre buona, fedele e santa, la quale vuole
seriamente il bene dei suoi figliuoli.

Come può dunque sottrarre ai suoi figliuoli l’unico bene che è la verità
ed offrir loro, non la verità santificante della fede, ma il pane della bugia?
La madre pel suo figliuolo fa le veci del catechista, del parroco, quasi dissi del
Papa; ed il bambino le si affida senza riserva e la segue, perché è
persuaso, ch’essa è premurosa per lui, che vuole unicamente il suo bene, e
che quanto fa, fa per ordine e disposizione di Dio. Come dunque il Signore, verità
e bontà eterna, può permettere, che il fedele sia ingannato nella sua
fiducia e dalla sua stessa madre sia spinto all’errore e perda il bene di quella
fede che sola può salvare?

Finalmente la Chiesa nostra è la Chiesa gerarchica, come S. Ignazio
si esprime, e questo è un nuovo motivo che ci i spinge alla sommessione verso
lei ed alla prontezza di volontà nelle cose della fede. La nostra Chiesa non
è, come le sètte, un composto d’individui pari nel diritto, senza consecrazione,
senza missione; non è una mostra permanente di mode religiose sempre cangianti
e di novità sempre diverse: non è una babele in confusione e rovina,
dove l’uno non intende più l’altro. La nostra Chiesa è un organismo
mirabile, potente e vario insieme, di poteri istituiti da Dio; la sua origine va
fino a Cristo, e le sue doti divine dell’unità, dell’infallibilità,
dell’immutabilità, della perennità empiono di riverenza ogni spirito
serio e riflessivo e lo determinano alla sommessione della fede. Tutto questo è
racchiuso in quelle parole tanto semplici e tanto dolci di S. Ignazio che la
nostra Chiesa è la Chiesa gerarchica.

Ora il primo e più importante dovere del cattolicismo è credere. La
fede è la prima cosa che Iddio domanda dall’uomo (
4), è il primo passo dell’uomo verso Dio,
e Dio non permette regresso. La fede è la radice della giustificazione, il
principio e la fonte di tutta la vita spirituale, il fondamento indispensabile di
ogni virtù, perfino della speranza e della carità (
5); dalla fede sgorga tutta la vita soprannaturale (6). Dobbiamo dunque stimare la fede
sopra ogni altra cosa.

Nell’esercizio della fede dobbiamo mettere la gioia nostra, perché la fede
torna di tanto onore a Dio; perché Dio tanto la raccomanda e la ricompensa;
perché essa è il più santo bisogno e il massimo bene dell’anima
nostra; perché innalza il nostro intelletto, lo estende e lo introduce in
un mondo di verità, delle quali naturalmente non abbiamo sentore alcuno; perché
infine corrobora il tesoro delle nostre cognizioni naturali e le conferma con nuova
guarentigia e con maggior sicurezza. Dobbiamo dunque credere volentieri e con allegrezza
d’animo e non punto ammettere il principio di credere il meno che torni possibile.
Non dobbiamo accontentarci di accettare esplicitamente soltanto le verità
definite; il così fare andrebbe contro l’insegnamento del Concilio Vaticano (
7). Dobbiamo accogliere le verità
di fede nel complesso di quelle presupposizioni o conseguenze, che necessariamente
vi sono congiunte. E come si pratica in ogni altra virtù, così pure
nella fede, e massimamente nella fede, dobbiamo procedere con generosità.
E perché no? Forse perché siamo uomini istruiti? Ma la fede del dotto
e dell’ignorante non è sostanzialmente diversa. I professori e gli scienziati
non hanno particolari privilegi rispetto alla fede. Per lo contrario in forza dei
loro studi e della loro maggiore penetrazione in cose di scienza dovrebbero credere
più alacremente di ogni altro, e non già sentirsi quasi impacciati
da non si sa qual peso, appena la Chiesa in materia di fede fa loro qualche ingiunzione.
Perché tanta prudenza, tanta riservatezza, tanti dubbi rispetto alla Chiesa
ed a Dio, mentre siamo si facili a prestar fede agli uomini? Si chiede consiglio
a profeti, ai quali Dio non ha parlato, e si trasanda la Madre in Israello (
8), mentre pure essa sola dev’essere
consultata su tutto ciò che appartiene alla fede.

Da professori increduli, da scribacchiatori di romanzi e di articoli da giornale,
da avventurieri delle scienze naturali ci lasciamo imporre ogni sorta di enormità
e viviamo contenti; ma la Chiesa infallibile bisogna proprio toccarla, palparla,
maneggiarla con le dita, e come si fa delle monete, bisogna voltare e rivoltare l’articolo
di fede due e tre volte ed esaminarlo col microscopio e metterlo perfino nel crogiuolo,
nel dubbio non forse sia moneta falsa. È il giudizio toccato ai Giudei. Essi
sprezzavano il vero Messia; ai falsi Messia correvano dietro. E furono tratti in
errore e spinti a rovina.

NOTE


1 Giov. XV, 26.

2 Giov. XIV, 16, 17, 26.

3 Att. VII, 51.

4 Hebr. XI, 6.

5 Hebr. XI, 1.

6 Gal. III, 11.

7 Constit. de Fide Cath. «Quoniam vero satis non
est, haereticam pravitatem devitare, nisi ii quoque errores diligenter fugiantur,
qui ad illam plus minusve accedunt; omnes officii monemus, servandi etiam Constitutiones
et Decreta, quibus pravae eiusmodi opiniones, quae isthic diserte non enumerantur,
ab hac Sancta Sede proscriptae et prohibitae sunt.» (Denz. Schön. 3045;
«Ma poiché non è sufficiente evitare la perversità dell’eresia,
se non si pone molta attenzione a fuggire anche quegli errori che le sono più
o meno prossimi, ricordiamo a tutti il dovere di osservare anche le costituzioni
e i decreti, con i quali la Santa Sede ha prescritto e proibito quelle opinioni perverse,
che qui non sono espressamente elencate.» Traduzione tratta da Conciliorum
Oecumenicorum Decreta
, ed. bilingue, Bologna: EDB, 1991, p. 811.)

8 2 Sam. XX, 19.





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