«L’anima
di ogni apostolato»
di
Dom Jean-Baptiste Gustave Chautard
Capii
che solo l’amore spinge all’azione le membra della Chiesa e che, spento questo amore,
gli apostoli non avrebbero più annunciato il vangelo, i martiri non avrebbero
più versato il loro sangue
(S.Teresa del Bambino Gesù)
Parte quinta*
Alcuni
principi ed avvisi per la vita interiore
–
I – Alcuni consigli per la vita interiore degli uomini d’azione
Portare il mio
caro lettore ad ammettere che la tesi ricordata in questo volume è convincente,
sarebbe già un risultato buono ma insufficiente. Il vero fine di questo libro
sta nello spingere l’anima a dire: Io voglio vivere sempre di più questa
tesi.
Bisogna quindi
dire fraternamente all’uomo di azione, all’apostolo che ha letto queste pagine: La
tua approvazione della tesi rimarrà pressoché sterile, se non è
unita a precise risoluzioni d’intensificare la tua vita interiore.
Questa quinta
parte serve quindi ad aiutarlo a ritemprarsi nelle disposizioni necessarie affinché
la vita interiore fecondi sempre di più le sue opere.
Convinzioni
Lo zelo non è
efficace se l’azione di Gesù Cristo non vi si unisce.
Gesù è
l’agente principale, noi siamo solamente i suoi strumenti.
Gesù Cristo
non benedice le opere dell’uomo che confida solo nei propri mezzi.
Gesù Cristo
non benedice le opere basate unicamente sull’attività naturale.
Gesù Cristo
non benedice le opere in cui l’amor proprio prende il posto dell’amore divino.
Guai a colui che
rifiuta di lavorare per l’opera a cui Dio lo chiama!
Guai a chi s’impegna
nell’azione senza esser sicuro della volontà di Dio!
Guai a colui che
nelle opere vuol condursi senza dipendere veramente da Dio!
Guai a colui che,
nell’esercizio dell’azione, non usa i mezzi per conservare o ricuperare la vita interiore!
Guai a colui che
non sa ordinare la vita interiore e la vita attiva in modo che questa non abbia da
nuocere a quella!
Principi
I Principio –
Non dedicarsi ad un’opera per pura inclinazione naturale, ma consultare Dio allo
scopo di potersi assicurare che si agisce sotto l’ispirazione della sua grazia e
per manifestazione moralmente certa della sua volontà.
II Principio –
È imprudente e dannoso rimanere troppo tempo in un periodo di eccessive occupazioni
che metterebbero l’anima in uno stato incompatibile con gli esercizi essenziali della
vita interiore. Bisogna allora, specialmente per i sacerdoti e per i religiosi, applicare
anche alle opere più sante le parole: Strappalo e gettalo via da te
(Mt. 5, 29).
III Principio
– Allo sregolato debordamento della vita attiva bisogna imporre, se necessario anche
con la violenza, un regolamento che determini l’impiego abituale del tempo, stabilito
col consiglio di un saggio sacerdote di esperienza e di vita interiore.
IV Principio –
Per il bene personale e per quello degli altri, bisogna innanzitutto coltivare la
vita interiore. Quanto più si è occupati, tanto più c’è
bisogno di questa vita e dunque tanto più se ne deve essere assetati e si
devono usare i mezzi perché questa sete non rimanga un desiderio sterile sfruttato
abitualmente dal demonio per addormentare le anime e mantenerle nell’illusione.
V Principio –
Se accade che l’anima venga a trovarsi, per autentica volontà di Dio, molto
occupata e quindi nell’impossibilità morale di prolungare i suoi esercizi
di pietà, essa possiede un termometro infallibile che le indica se davvero
si mantiene nel fervore. Se effettivamente ha sete di vita interiore, se con tutta
la sua buona volontà approfitta di tutte le occasioni per compierne le pratiche
essenziali, allora essa può restare in pace e far sicuro affidamento sulle
grazie speciali che Dio serba per lei: in esse troverà la forza sufficiente
per progredire nella vita spirituale.
VI Principio –
Finché l’uomo di azione non giunge a conservarsi nel raccoglimento e nella
dipendenza dalla grazia che devono accompagnarlo ovunque, egli si trova in uno stato
insufficiente di vita interiore. Per questo indispensabile raccoglimento non occorre
sforzo alcuno: basta un’abituale occhiata che parta più dal cuore che dalla
mente, uno sguardo sicuro, retto, penetrante per discernere se, nell’azione, si rimane
sotto l’influenza di Gesù.
Avvisi pratici
1. Scolpirsi bene
in mente che l’anima non può progredire nella vita interiore, senza il regolamento
sopraccennato e senza la ferma volontà di attenervisi abitualmente, in particolare
riguardo all’ora della sveglia rigorosamente stabilita.
2. A base della
vita interiore, come elemento indispensabile, mettere la preghiera del mattino. Chi
ha ben deciso di fare a qualsiasi costo la sua mezz’ora di orazione mattutina, ha
già fatto metà del cammino, dice santa Teresa. Senza la preghiera,
la giornata passerà quasi necessariamente nella tiepidezza.
3. La Messa, la
Comunione, la recita del Breviario e le funzioni liturgiche sono miniere incomparabili
di vita interiore, che vanno sfruttate con fede e fervore sempre crescenti.
4. Come la meditazione
e la vita liturgica, anche l’esame particolare e quello generale devono condurre
all’abituale custodia del cuore, per la quale viene realizzata l’unione del vigilate
e dell’orate. Restando attenta a tutto ciò che accade nel suo interno e alla
presenza della Ss.ma Trinità in lei, l’anima acquista l’istinto di ricorrere
a Gesù in tutte le circostanze, ma soprattutto quando prevede il pericolo
di dissiparsi o di indebolirsi.
5. Ne deriva il
bisogno di pregare incessantemente con le Comunioni spirituali e le giaculatorie,
che sono ben facili da fare, se lo si vuole davvero, anche in mezzo alle occupazioni
più assorbenti, e che sono piacevolmente variabili, adattandole ai bisogni
speciali del momento, alle circostanze attuali, ai pericoli, alle difficoltà,
alla rilassatezza, alle delusioni, eccetera.
6. Un devoto studio
della Sacra Scrittura, soprattutto del Nuovo Testamento, deve trovare il suo posto
ogni giorno o per lo meno più volte alla settimana, nella vita di un sacerdote.
– La lettura spirituale del pomeriggio è un dovere quotidiano che un’anima
generosa deve ben guardarsi dal trascurare. La mente ha bisogno di porsi alla presenza
delle verità soprannaturali, dei dogmi generatori della pietà e delle
conseguenze morali che ne derivano e che tanto facilmente si dimenticano.
7. In virtù
di questa custodia del cuore che ne sarà come la preparazione remota, la confessione
settimanale sarà sicuramente pregna di sincera contrizione e di vero dolore
e caratterizzata da un fermo proposito che diventerà sempre più leale
e risoluto.
8. Il ritiro spirituale
annuale è utilissimo ma insufficiente; il ritiro mensile (di una giornata
intera o almeno di mezza), fatto allo scopo di rimettere l’anima in equilibrio, è
quasi indispensabile all’uomo di azione.
–
II – L’orazione, elemento indispensabile della vita interiore e
perciò dell’apostolato
Un vago desiderio
di vita interiore, formulato dopo un’affrettata lettura di un libro, non può
dare alcun risultato. È necessario che questo desiderio si radichi in una
risoluzione precisa, ardente e pratica.
Molti uomini d’azione
mi hanno chiesto di avere un facile mezzo per realizzare il loro proposito di vita
interiore, esponendo alcune risoluzioni generali. Rispondere a tale desiderio equivarrebbe
ad aggiungere una specie di appendice a questo volume.
Rispondo tuttavia
volentieri; sono infatti persuaso da una parte che l’uomo di azione, sia esso sacerdote
o laico, non potrà veramente approfittare della lettura di ciò che
finora ho scritto, se non è ben deciso a consacrare ogni mattina un po’ di
tempo all’orazione mentale; e d’altra parte ritengo che, se il sacerdote vuol progredire
nella vita interiore, non può trascurare di servirsi della vita liturgica
e di esercitarsi nella custodia del cuore.
Credo sia più
pratico adottare, nell’esporre questi tre punti, la formula della risoluzione personale.
Non pretendo d’introdurre un nuovo metodo di orazione, ma cerco di utilizzare l’essenziale
dei metodi migliori.
Risoluzione di orazione
1
Voglio
essere fedele all’orazione del mattino.
1. È necessaria
questa fedeltà?
Sacerdote! Negli
esercizi spirituali della mia ordinazione ho udito queste gravi parole: Sacerdos
alter Christus! Ho allora capito che, se non vivo specialmente di Gesù,
non sono affatto un sacerdote secondo il suo Cuore, non sono affatto un’anima sacerdotale.
Come sacerdote, io devo vivere nell’intimità di Gesù, Egli lo esige
da me: Non vi chiamerò più servi, ma vi chiamerò amici
(Gv. 15, 15).
Ma la mia vita
con Gesù Principio, Mezzo e Fine, si sviluppa nella misura in cui Egli è
la Luce della mia intelligenza e di tutti i miei atti interni ed esterni, l’Amore
regolatore di tutte le affezioni del mio cuore, la Forza nelle mie prove, lotte e
fatiche, l’Alimento di quella Vita soprannaturale che mi fa compartecipe della vita
stessa di Dio. Ebbene, questa vita con Gesù, assicurata dalla mia fedeltà
all’orazione, è senza questo mezzo moralmente impossibile.
Come oserei offendere
con un rifiuto il Cuore di Colui che mi offre questo mezzo di vivere in amicizia
con Lui?
Altro aspetto
importante, benché privativo, della necessità della mia orazione: secondo
l’economia del piano divino, essa è efficace contro i pericoli inerenti alla
mia debolezza, ai miei rapporti col mondo, a certi miei doveri.
Se prego, sono
come rivestito di un’armatura di acciaio e sono invulnerabile alle frecce del nemico;
ma se la tralascio, ne sarò certamente colpito. Perciò molte colpe,
che io non avverto o avverto a mala pena, mi saranno imputate nella loro causa.
O orazione
o gravissimo pericolo di dannazione per il sacerdote a contatto col mondo,
dichiarava senza esitazioni il pio, dotto e prudente padre Desurmont, uno dei più
sperimentati predicatori di esercizi agli ecclesiastici.
Per l’apostolo,
non c’è via di mezzo tra il progressivo pervertimento e la santità
(se non acquisita, almeno desiderata e ricercata soprattutto con l’orazione quotidiana),
diceva a sua volta il cardinale Lavigerie.
Ogni Sacerdote
può applicare alla sua orazione queste parole ispirate dallo Spirito Santo
al Salmista: Se la tua legge non fosse stata la mia meditazione, io sarei già
morto nell’afflizione (Ps. 118, 92). Questa legge arriva fino al punto di obbligare
il sacerdote a riprodurre in sé lo spirito di Nostro Signore.
Un sacerdote vale
quanto la sua orazione.
Vi sono due categorie di sacerdoti:
1. I sacerdoti
la cui risoluzione è così decisa, che la loro orazione non potrebbe
essere ritardata nemmeno da pretesti di convenienza, di occupazioni, eccetera. Solamente
un caso rarissimo di forza maggiore potrà farla rinviare ad un altro momento
della mattinata, ma nulla di più.
Questi veri sacerdoti
si preoccupano di ottenere buoni risultati dalla loro orazione e vogliono ch’essa
sia distinta dal ringraziamento della Messa, dalla lettura spirituale e più
ancora dalla preparazione di una predica. Essi desiderano efficacemente la santità;
finché persevereranno così, la loro salvezza è moralmente certa.
2. I sacerdoti
che, avendo preso solo una mezza risoluzione, rinviano la loro orazione e perciò
la tralasciano facilmente, snaturandone il fine oppure non imponendosi nessun vero
sforzo per riuscirvi. Conseguenze: fatale tiepidezza, sottili illusioni, coscienza
addormentata o falsata… un cammino che scivola verso l’abisso.
E io, a quale
delle due categorie voglio appartenere? Se esito a scegliere, è segno che
ho fallito i miei esercizi spirituali.
Tutto si connette.
Se tralascio la mia mezz’ora di orazione, finirà che perfino la Santa Messa
– e quindi la mia Comunione – diventeranno presto senza frutti personali e potranno
essermi imputate di peccato; la recita penosa e quasi macchinale del mio Breviario
non sarà più calda e gioiosa espressione della mia vita liturgica.
Poca vigilanza, mancanza di raccoglimento e quindi niente più giaculatorie,
niente più lettura spirituale, ahimé!; apostolato sempre meno fecondo;
nessun esame leale delle mie colpe e tanto meno esame particolare; confessioni per
abitudine e talvolta dubbie… in attesa del sacrilegio!
La rocca, sempre
meno difesa, è abbandonata all’assalto di una legione di nemici; dapprima
si aprono solo brecce… ma ben presto crollano le rovine.
2. Che cosa dev’essere
la mia orazione?
Ascensio mentis
in Deum. Tale ascesa – dice San Tommaso – essendo un atto della ragione
non speculativa ma pratica, presuppone gli atti della volontà.
L’orazione mentale
è dunque un vera fatica, soprattutto per gli incipienti. Fatica per staccarsi
un momento da ciò che non è Dio. – Fatica per restare mezz’ora fissi
in Dio e riuscire a prendere un nuovo slancio verso il bene. – Fatica senza dubbio
penosa all’inizio, ma che voglio accettare con generosità. – Fatica che però
sarà ben presto coronata dalla più grande consolazione che si possa
avere sulla terra: la pace nell’amicizia e nell’unione con Gesù.
L’orazione
– dice Santa Teresa – non è che un colloquio amichevole in cui l’anima parla,
cuore a cuore, con Colui dal quale si sente amata.
Colloquio cordiale.
Sarebbe un’empietà supporre che Dio, il quale, ben più che impormi
questa conversazione, me ne infonde il bisogno e spesso l’attrattiva, non voglia
anche facilitarmela. Anche se da molto tempo l’ho abbandonata, Gesù mi ci
richiama teneramente e mi offre un’assistenza speciale per questo linguaggio della
mia fede, della mia speranza e della mia carità che dovrà essere la
mia orazione, come la chiama il Bossuet.
Vorrò forse
resistere a questo appello di un Padre che invita anche il figlio prodigo ad ascoltare
la sua Parola, a intrattenersi familiarmente con Lui, ad aprirgli il mio cuore e
ad ascoltare i battiti del suo?
Colloquio semplice.
Sarò spontaneo: parlerò dunque a Dio da tiepido, da peccatore, da dissipatore
oppure da fervoroso. Con l’ingenuità di un fanciullo, gli esporrò il
mio stato d’animo e non parlerò se non il linguaggio che esprime sinceramente
ciò che sono.
Colloquio pratico.
Il fabbro non immerge il ferro nel fuoco per renderlo ardente e luminoso, ma perché
diventi malleabile. Così l’orazione deve illuminare la mia intelligenza e
riscaldare il mio cuore, ma solo affinché l’anima mia diventi così
flessibile da poter essere martellata, perdendo i difetti o la forma dell’uomo vecchio
e ricevendo le virtù o la forma di Gesù Cristo.
Il mio colloquio
dunque punterà ad elevare la mia anima fino alla santità di Gesù,
affinché Egli la possa modellare a sua immagine. Tu, o Signore Gesù,
tu formi e plasmi il mio cuore con la tua mano dolcissima e misericordiosissima,
ma anche fortissima (S. Agostino).
3. Come farò
la mia orazione?
Per tradurre in
pratica la definizione e lo scopo, mi atterrò a questo metodo logico:
– Porrò
la mia mente, ma soprattutto la mia fede e il mio cuore, davanti a nostro Signore
che m’insegna una verità o una virtù.
– Ecciterò
la mia sete di adeguare la mia anima all’ideale intravisto.
– Deplorerò
tutto ciò che gli si oppone.
– Prevedendo gli
ostacoli, mi deciderò a superarli.
– Chiederò
con insistenza la grazia efficace per riuscirvi, ben convinto che da solo non concluderei
nulla.
Come un viaggiatore
spossato, ansante, cerco di dissetarmi; alla fine… Video: scopro una fonte.
Ma essa zampilla su un’erta roccia… Sitio: più contemplo quell’acqua
limpida, che mi permetterebbe di continuare il viaggio, più si accentua in
me il desiderio di dissetarmi, nonostante gli ostacoli… Volo: ad ogni costo
voglio raggiungere quella sorgente e mi sforzo di arrivarci, ma purtroppo devo constatare
la mia impotenza… Volo tecum: arriva una guida, che non aspetta altro che
io le chieda di aiutarmi; essa mi conduce anche nei passaggi più scabrosi;
ben presto posso dissetarmi a lunghi sorsi. Così le acque vive della grazia
zampillano dal Cuore di Gesù.
La mia lettura
spirituale della sera, elemento così prezioso di vita interiore, ha riacceso
il mio desiderio di fare all’indomani l’orazione… Prima di coricarmi, considero
sommariamente, ma in modo chiaro e preciso, il soggetto dell’orazione2, come pure il frutto specifico
che desidero ricavarne, ed eccito davanti a Dio il desiderio di profittarne.
L’ora della meditazione
è venuta3. Voglio staccarmi dalla
terra, costringere la mia immaginazione a rappresentarmi una scena viva e parlante
che io sostituisco alle mie preoccupazioni, alle mie distrazioni, eccetera4. Rappresentazione rapida
e a grandi linee, ma abbastanza convincente da commuovermi e gettarmi alla presenza
di quel Dio, la cui attività tutta amorosa vuol avvolgermi e penetrarmi. Ed
eccomi in relazione con un Interlocutore Vivente5, Adorabile e Amabile.
Dapprima adoro
profondamente; ciò s’impone da sé. Seguono poi atti di annientamento,
di contrizione, di fedeltà, di preghiera umile e fiduciosa, affinché
sia benedetto questo colloquio col mio Dio6.
Video
Colpito dalla
vostra viva presenza, o Gesù, e quindi liberato dall’ordine puramente naturale,
vado a cominciare il mio colloquio col linguaggio della fede, più fecondo
delle analisi della mia ragione. A questo scopo, leggo o richiamo alla mente, con
cura, il punto da meditare; lo riassumo e concentro in esso la mia attenzione.
O Gesù,
siete Voi che mi parlate e m’insegnate questa verità; voglio dunque ravvivare
e accrescere la mia fede su ciò che Voi mi presentate come cosa assolutamente
certa, perché fondata sulla vostra Veracità.
E tu, o anima
mia, ripeti continuamente: lo credo; ripetilo con sempre maggior forza. Come un bimbo
che recita la lezione assegnata, ripeti moltissime volte che tu abbracci questa dottrina
e le sue conseguenze per la tua eternità7. O Gesù, questo è vero, assolutamente
vero, perciò lo credo. Voglio che questo raggio di sole della Rivelazione
sia come il faro della mia giornata. Rendete la mia fede più ardente; ispiratemi
un vigoroso desiderio di vivere questo Ideale e una santa collera contro tutto ciò
che gli è contrario. Voglio divorare questo alimento di verità e assimilarmelo.
Ma se, dopo alcuni
minuti passati nell’eccitare la mia fede, rimango inerte davanti alla verità
che mi si presenta, non insisterò oltre. Vi esporrò filialmente, o
mio buon Maestro, il dolore che provo per questa mia impotenza e Vi pregherò
di supplirvi.
Sitio
Dalla frequenza
e soprattutto dal vigore dei miei atti di fede, vera partecipazione ad un raggio
dell’Intelletto divino, dipenderà il grado di esultanza del mio cuore, linguaggio
della carità affettiva.
Sia che nascano
da sé sia che vengano eccitati dalla mia volontà, gli affetti sono
fiori che la mia anima di fanciullo sparge ai piedi di Gesù che parla: atti
di adorazione, riconoscenza, amore, gioia, adesione alla volontà divina e
distacco da tutto il resto, avversione, odio, timore, collera, speranza, abbandono.
Il mio cuore sceglie
uno o più di questi sentimenti, se ne impregna, Ve li manifesta, o Gesù,
e Ve li ripete molte volte, teneramente e lealmente, ma con tutta semplicità.
Se la mia sensibilità
mi offre il suo aiuto, io l’accolgo, poiché mi può essere utile anche
se non è necessario. Un’affezione calma ma profonda è più sicura
e più feconda delle emozioni superficiali. Queste ultime non dipendono da
me e non sono mai il termometro della vera e fruttuosa orazione. Quello che è
sempre in mio potere e che importa soprattutto, è lo sforzo per scuotere il
torpore del mio cuore e fargli ripetere: Mio Dio, voglio unirmi a Voi; voglio
annientarmi dinanzi a Voi; voglio cantare la mia gratitudine e la mia gioia di compiere
la vostra volontà. Non voglio più mentire dicendovi che Vi amo e che
detesto tutto ciò che Vi offende, eccetera.
Benché
mi sia sinceramente sforzato, può talvolta accadere che il mio cuore rimanga
freddo ed esprima fiaccamente le sue affezioni. Allora, o Gesù, vi esprimerò
umilmente la mia desolazione e il mio desiderio; prolungherò volentieri i
miei gemiti, nella convinzione che, lamentandomi così dinanzi a Voi per questa
mia sterilità, acquisterò uno speciale diritto ad unirmi agli affetti
del vostro divino Cuore in un modo efficacissimo, sebbene nell’aridità, nel
buio e nel freddo.
Quant’è
bello, o Gesù, l’Ideale che scorgo in Voi! Ma la mia vita è in armonia
con questo Esemplare perfetto? Compio questa indagine sotto il vostro sguardo profondo,
o divino Interlocutore che, se ora siete tutto misericordia, sarete invece tutto
giustizia quando v’incontrerò nel giudizio particolare, in cui con un solo
sguardo scruterete i più segreti moventi dei minimi atti della mia esistenza.
Vivo di questo Ideale? Se morissi in questo istante, o Gesù, non trovereste
la mia condotta in piena antitesi con esso?
Su quali punti
desiderate, o Maestro Buono, che io mi corregga? Aiutatemi a scoprire dapprima gli
ostacoli che m’impediscono di imitarvi, poi le cause interne o esterne e le occasioni
prossime o lontane delle mie mancanze.
La vista delle
mie miserie e delle mie difficoltà, o mio Redentore, obbliga il mio cuore
ad esprimervi confusione, dolore, tristezza, rimpianti amari, sete ardente di migliorare,
offerta generosa e senza riserve di tutto il mio essere. Voglio piacere a Dio
in tutto8.
Volo
Mi avanzo maggiormente
nella scuola del volere.
È il linguaggio
della carità effettiva. Gli affetti hanno fatto nascere in me il desiderio
di correggermi; ne ho individuato gli ostacoli; ora tocca alla mia volontà
di dire: voglio toglierli. O Gesù, il mio ardore nel ripetervi
questo voglio, dipende dal mio fervore nel ripetere: credo, amo, mi pento,
detesto.
Se talvolta questo
voglio non scaturisce con quell’energia che speravo, o mio amato Salvatore,
deplorerò questa debolezza della mia volontà e, lungi dallo scoraggiarmi,
non mi stancherò di ripetervi quanto desidero partecipare alla vostra generosità
nel servizio del Padre celeste.
Alla mia risoluzione
generale di lavorare per la mia salvezza e per amare Dio, unisco la risoluzione di
applicare la mia orazione alle difficoltà, alle tentazioni ed ai pericoli
della giornata. Ma soprattutto avrò cura di ritemprare con amore più
ardente quel proposito9 che è oggetto del
mio esame particolare (difetto da combattere o virtù da praticare); lo fortificherò
con motivi che attingerò dal Cuore del Maestro e, da abile stratega, individuerò
i mezzi capaci di assicurarne l’esecuzione, prevedendo le occasioni e preparandomi
alla lotta.
Se intravedo uno
specifico pericolo di dissipazione, d’immortificazione, di umiliazione, di tentazione,
una decisione grave eccetera, mi dispongo per quel momento alla vigilanza, alla lotta
e soprattutto all’unione con Gesù e al ricorso alla Madonna.
Nonostante tutte
queste precauzioni, potrà capitarmi di cadere ancora; ma che differenza tra
queste cadute di sorpresa e le altre! Via gli scoraggiamenti!, perché so che
Dio è glorificato dal mio continuo ricominciare per rendermi più risoluto,
più diffidente di me stesso, più sollecito nel ricorrere a Lui. Solo
a questo prezzo potrò riuscire.
Volo tecum
Obbligare
uno storpio a camminare bene è meno assurdo che voler riuscire senza di Voi,
o mio Salvatore (S. Agostino). Le mie risoluzioni non sono forse rimaste sterili
perché l’ io posso tutto non è derivato dall’ in
Colui che mi dà forza? 10. Arrivo dunque al punto
della mia orazione che, sotto certi aspetti, è il più importante: la
supplica o il linguaggio della speranza.
Senza la vostra
grazia, o Gesù, io non posso far nulla. Questa grazia non la merito a nessun
titolo, ma so che le mie insistenze, lungi dallo stancarvi, costituiranno la misura
del vostro soccorso, se esse riflettono la mia sete di essere vostro, la diffidenza
di me stesso e la mia fiducia illimitata, direi folle, nel vostro Cuore. O bontà
infinita, imitando la cananea del Vangelo (Mt. 15,22-29), mi prosterno ai vostri
piedi e con la sua insistenza, tutta speranza e umiltà, Vi chiedo non qualche
briciola, ma una vera partecipazione a quel banchetto di cui avete detto: Il
mio cibo è fare la volontà del Padre mio.
Divenuto per grazia
membro del vostro Corpo mistico, io partecipo alla vostra vita e ai vostri meriti,
e prego per mezzo vostro, o Gesù. O Padre santo, io prego per il Sangue divino
che grida misericordia; potrete Voi respingere la mia preghiera? È il grido
del mendicante quello che elevo a Voi, o Ricchezza inesauribile: Esaudiscimi,
perché io sono misero e povero (Ps. 85, 1). Rivestitemi della vostra
forza e glorificate la vostra potenza nella mia debolezza. La vostra bontà,
le vostre promesse e i vostri meriti, o Gesù, e per contro la mia miseria
e la mia confidenza, sono i soli titoli della mia supplica per ottenere, mediante
la mia unione con Voi, la custodia del cuore e la forza in questo giorno.
Se sopraggiunge
un ostacolo, una tentazione, un sacrificio da imporre ad una qualche mia facoltà,
il testo o il pensiero che io prendo come mazzetto spirituale mi farà respirare
il profumo di preghiera che ha circondato le mie risoluzioni e, nel momento critico,
alzerò nuovamente il grido della supplica efficace. Quest’abitudine, frutto
della mia orazione, ne sarà pure la pietra di paragone: dai loro frutti
li riconoscerete.
Quando sarò
giunto a vivere di fede e di sete abituale di Dio, solo allora il lavoro del Video
potrà essere talvolta soppresso, perché il Sitio e il Volo
scaturiranno fin dal principio dell’orazione, che trascorrerà tutta nel produrre
affetti e offerte, nel confermare la mia risoluta volontà e nel mendicare
– direttamente da Gesù o da Maria Immacolata, dagli Angeli o dai Santi – una
unione più intima e più costante con la divina volontà.
*
* *
Il santo Sacrificio
mi aspetta: l’orazione mi ci ha preparato. La mia partecipazione al Calvario, in
nome della Chiesa, e la mia Comunione saranno come una continuazione della mia orazione
11. Nel ringraziamento estenderò
le mie richieste agl’interessi della Chiesa, alle anime affidatemi, ai defunti, alle
mie opere, a parenti, amici, benefattori, nemici, eccetera.
La recita delle
varie ore del mio caro Breviario, in unione con la Chiesa, per Essa e per me, le
frequenti e fervorose giaculatorie, le comunioni spirituali, l’esame particolare,
la visita al SS.mo Sacramento, la lettura spirituale, il Rosario, l’esame generale
eccetera, verranno a segnare il mio cammino, a ravvivare le mie forze e conservare
lo slancio del mattino, affinché nulla nella mia giornata sfugga all’azione
del Signore. Grazie a questo slancio, il ricorso a Gesù, dapprima frequente
e poi abituale, direttamente o per mezzo di sua Madre, farà cessare le contraddizioni
tra la mia ammirazione per la sua dottrina e la mia vita emancipata, tra la mia pietà
e la mia condotta.
A questo punto
debbo trattenere il mio cuore che, nel suo desiderio di essere veramente utile agli
uomini di azione, vorrebbe dedicare una risoluzione speciale all’esame particolare.
Cedendo a questo
pensiero, infatti, temo di allungare troppo il mio libro. Eppure dalla lettura di
san Cassiano, di parecchi Padri della Chiesa, come pure di sant’Ignazio, di san Francesco
di Sales e di san Vincenzo de’ Paoli, impariamo che l’esame particolare e quello
generale sono corollari necessari della meditazione e si connettono alla custodia
del cuore.
D’accordo col
suo direttore, l’anima s’è decisa a prendere di mira più direttamente,
nella meditazione e nel corso della giornata, quel tal difetto o quella tale virtù,
sorgente principale di altri difetti o virtù.
Numerosi sono
i cavalli che tirano il carro e l’occhio li controlla tutti costantemente. Ma al
centro dell’attracco ve n’è uno su cui si concentra l’attenzione dell’auriga:
se difatti quello va troppo a destra o troppo a sinistra, tutti gli altri si sbandano.
L’analisi dell’anima
mediante l’esame particolare, per constatare se c’è progresso, regresso o
stazionarietà su un punto ben determinato, non è che un elemento della
custodia del cuore.
–
III – La vita liturgica, sorgente di vita interiore e perciò
di apostolato
Risoluzione di
vita liturgica
Mediante la Messa,
il Breviario e le altre funzioni liturgiche, in qualità di membro o ambasciatore
della Chiesa, voglio unirmi sempre più alla sua vita e quindi rivestirmi sempre
più di Gesù, anzi di Gesù Crocifisso, specialmente se sono suo
ministro.
1. Che cos’è
la Liturgia?
O Gesù,
siete Voi quello che io adoro come centro della Liturgia; siete Voi che date unità
a questa Liturgia che posso così definire: il culto pubblico, sociale
e ufficiale reso dalla Chiesa a Dio, oppure: l’insieme dei mezzi che
la Chiesa ci ha dato – specialmente nel Messale, nel Rituale e nel Breviario – e
di cui essa si serve per esprimere la sua religione verso l’adorabile Trinità,
come pure per istruire e santificare le anime.
O anima mia, è
nel seno stesso dell’adorabile Trinità che tu devi contemplare l’eterna Liturgia
con la quale le tre Persone si celebrano a vicenda la vita divina e la santità
infinita, in quell’inno ineffabile della generazione del Verbo e della processione
dello Spirito Santo: Sicut erat in principio…
Ma Iddio ha voluto
esser glorificato anche fuori di sé. Crea gli Angeli ed il Cielo risuona delle
loro acclamazioni: Sanctus, Sanctus, Sanctus; crea il mondo visibile
e questo manifesta la sua potenza: I cieli narrano la gloria di Dio.
Apparve Adamo;
in nome della creazione, egli cominciò l’inno della lode, eco dell’eterna
Liturgia. Abele, Noè, Melchisedech, Abramo, Mosè, il Popolo di Dio,
Davide e tutti i santi dell’antica Legge la cantano a gara. La Pasqua israelitica,
i sacrifici e gli olocausti, il culto solenne reso a Jahvé nel suo tempio,
le danno una forma ufficiale. Ma tutto questo non fu che un inno imperfetto, soprattutto
dopo la caduta: Non è affatto bella la lode pronunciata dal peccatore
(Eccl. 15, 9).
Voi solo, o Gesù,
Voi solo siete l’inno perfetto, poiché Voi siete la gloria vera del Padre.
Nessuno può glorificare degnamente il Padre vostro se non per mezzo vostro:
Per Lui, con Lui e in Lui, a Te Dio Padre onnipotente, sia reso ogni onore
e gloria12. Voi siete l’anello di
congiunzione tra la Liturgia terrena e la Liturgia celeste, alla quale associate
più direttamente i vostri eletti. La vostra incarnazione è giunta ad
unire, in un modo sostanziale e vivente, l’umanità e l’intera creazione alla
Liturgia divina. È un Dio che loda Dio: lode piena e perfetta che ha il suo
vertice nel Sacrificio del Calvario.
Prima di abbandonare
la terra, o Divino Salvatore, avete istituito il Sacrificio della Nuova Legge per
rinnovare la vostra immolazione ed avete anche istituito i Sacramenti per poter comunicare
la vostra vita alle anime.
Ma avete lasciato
alla vostra Chiesa la cura di circondare questo Sacrificio e questi Sacramenti con
simboli, cerimonie, esortazioni, preghiere, eccetera, perché meglio onorasse
il mistero della Redenzione, ne facilitasse la comprensione ai suoi figli, li aiutasse
a trarne maggior profitto ed eccitasse nelle loro anime un rispetto misto a timore.
A questa stessa
Chiesa avete dato la missione di continuare fino alla fine dei secoli la preghiera
e la lode che il vostro Cuore non ha mai cessato d’innalzare al Padre vostro durante
la vita mortale e che incessantemente gli offre tuttora nel Tabernacolo e negli splendori
della gloria celeste.
Con l’amore di
Sposa che ha per Voi e con la sollecitudine di Madre che il vostro Cuore ha trasfuso
in Lei per noi, la Chiesa ha soddisfatto a questo suo duplice compito. Così
si sono formate quelle meravigliose raccolte che contengono tutti i tesori della
Liturgia.
D’altronde, la
Chiesa unisce la sua lode a quella resa a Dio in Cielo dagli Angeli e dagli eletti;
in tal modo essa si prepara a quella che sarà la sua eterna occupazione.
Questa lode e
questa preghiera della Chiesa si divinizza unendosi a quella dell’Uomo-Dio e la liturgia
della terra si fonde con quella delle Gerarchie celesti nel Cuore di Gesù,
facendo eco a quell’eterna lode che scaturisce da quel focolare di amore infinito
che è la Ss.ma Trinità.
2. Che cos’è
la vita liturgica?
Le leggi della
vostra Chiesa, o Signore, esigono a rigore da me solo la fedele osservanza dei riti
e l’esatta pronunzia delle parole.
Ma senza dubbio
Voi desiderate che la mia buona volontà vi offra di più. Volete che
la mia mente e il mio cuore approfittino delle ricchezze nascoste nella Liturgia
per unirmi più intimamente alla vostra Chiesa e per giungere quindi ad unirmi
più strettamente a Voi.
Attirato dall’esempio
dei vostri servi più fedeli, o mio Buon Maestro, voglio sedere con sollecitudine
nel ricco banchetto al quale la Chiesa m’invita, sicuro di trovare nell’Ufficio divino,
nelle formule, nelle cerimonie, collette, epistole, Vangeli eccetera, che accompagnano
l’augusto Sacrificio della Messa e l’amministrazione dei Sacramenti, un nutrimento
tanto sano quanto abbondante per lo sviluppo della mia vita interiore.
Alcune riflessioni
sull’idea-madre che abbraccia gli elementi liturgici e sui frutti dai quali si riconosceranno
i miei progressi, mi preserveranno dall’illusione.
*
* *
Ogni rito sacro
può essere paragonato ad una pietra preziosa; ma quei riti che si riferiscono
alla Messa e all’ufficio, a qual valore e splendore vengono innalzati, se io so incastonarli
in quel meraviglioso insieme formato dal ciclo liturgico!13
Mantenuta per
tutto un periodo sotto l’influsso di un Mistero, nutrita da ciò che la Scrittura
e la Tradizione hanno di più istruttivo e di più affettivo su questo
soggetto, orientata costantemente verso un medesimo ordine di idee, la mia anima
deve necessariamente subire l’influenza di una tale attenzione e trovare, nei sentimenti
suggeritile dalla Chiesa, un nutrimento tanto sostanziale quanto saporito per approfittare
della grazia speciale che Dio riserva ad ogni periodo, ad ogni festa di questo ciclo.
Il mistero non
soltanto giunge a penetrarmi come una verità che viene assimilata con la meditazione,
ma afferra tutto quanto il mio essere, coinvolgendo anche le mie facoltà sensibili
per eccitare il mio cuore e determinare la mia volontà. Non si tratta più
di un semplice memoriale del passato, un semplice anniversario, ma di un fatto che
ha il carattere di un avvenimento presente di cui la Chiesa fa un’attuale applicazione
e al quale partecipa realmente.
Nel tempo natalizio,
per esempio, festeggiando presso l’altare la venuta del Divino Infante, la mia anima
può ripetere: Oggi Cristo è nato, oggi è apparso il Salvatore;
oggi cantano gli Angeli sulla terra14.
In ogni periodo
del ciclo liturgico, il Messale ed il Breviario mi manifestano un nuovo raggio dell’amore
di Colui che è per noi ad un tempo Re, Maestro, Medico, Consolatore, Salvatore
e Amico. All’altare come a Betlemme, a Nazaret come sulle sponde del lago di Tiberiade,
Gesù vi si manifesta come Luce, Amabilità, Tenerezza, Misericordia,
ma vi si mostra soprattutto come Amore personificato perché è la sofferenza
personificata, l’agonizzante del Getsemani e il Riparatore del Calvario.
Così la
liturgia dà alla vita eucaristica il suo pieno sviluppo e la vostra Incarnazione,
o Gesù, che ha ravvicinato Dio a noi, mostrandocelo visibile in Voi, continua
a renderci l’identico servizio ad ogni mistero che festeggiamo.
In tal modo, per
mezzo della Liturgia, io partecipo alla vita della Chiesa e a quella vostra, o Gesù.
Con essa assisto ogni anno a tutti i misteri della vostra vita nascosta, pubblica,
sofferente e gloriosa, con essa ne raccolgo i frutti. Inoltre, le feste periodiche
della Madonna e dei Santi che meglio hanno imitato la vostra vita interiore, mettendomi
sott’occhio i loro esempi, mi danno un aumento di luce e di forza per riprodurre
in me le vostre virtù e infondere nelle anime dei fedeli lo spirito del vostro
Vangelo.
Come potrei io
realizzare nel mio apostolato quel desiderio di san Pio X, cioè far sì
che, con la mia azione, i fedeli giungano a partecipare attivamente ai santi Misteri
ed alla preghiera pubblica e solenne della Chiesa, che è, come dice questo
Papa, la sorgente principale ed indispensabile del vero spirito cristiano15, se io stesso passo accanto
ai tesori della Liturgia, senza nemmeno sospettarne le meraviglie?
Per dare maggiore
unità alla mia vita spirituale e unirmi sempre più alla vita della
Chiesa, tenderò a collegare alla Liturgia, per quanto è possibile,
i miei altri esercizi di pietà. Per esempio, per la mia meditazione sceglierò
un soggetto che si riferisce al periodo o alla festa del ciclo liturgico; a seconda
dei tempi, nelle mie visite al Ss.mo Sacramento m’intratterrò più volentieri
con Gesù Bambino, Gesù sofferente, Gesù glorioso, Gesù
vivente nella sua Chiesa, eccetera. Anche le letture private sul Mistero o sulla
vita del santo di cui si onora la memoria, daranno il loro contributo a questo piano
di spiritualità liturgica.
O Maestro adorabile,
preservatemi dalle contraffazioni della vita liturgica; esse sono dannose ad ogni
vita interiore, soprattutto perché diminuiscono la lotta spirituale.
Preservatemi da
una pietà che faccia consistere questa vita liturgica soltanto in godimenti
poetici o in un affascinante studio di archeologia religiosa, oppure che tenda al
quietismo e ai suoi derivati, cioè all’indebolimento di tutto ciò che
muove la vita interiore: timore, speranza, desiderio della salvezza e della perfezione,
lotta contro i difetti e lavoro per acquistare la virtù.
Datemi la convinzione,
o Signore, che in questo secolo di occupazioni assorbenti e pericolose, la vita liturgica,
per quanto perfetta essa sia, non può dispensare dall’orazione mattutina.
Allontanate da
me il sentimentalismo ed la bigotteria che fanno consistere la vita liturgica nelle
impressioni e nelle emozioni, lasciando quindi la volontà in balìa
della fantasia e della sensibilità.
Certo, voi non
volete affatto che io rimanga insensibile a tutto quanto la Liturgia contiene di
bello e di poetico. Tutto il contrario! Con i suoi canti e le sue cerimonie, la Chiesa
infatti si rivolge appunto alle facoltà sensibili col fine di penetrare più
profondamente le anime dei suoi figli, di presentare meglio alle loro volontà
i veri beni, e di innalzarli più sicuramente, più facilmente e più
completamente verso Dio.
Posso dunque assaporare
tutta l’inalterabile e salutare freschezza dei dogmi messi in rilievo dalla Liturgia;
posso lasciarmi commuovere dinanzi allo spettacolo pieno di maestà di una
Messa solenne; posso gustare le preghiere dell’assoluzione o i riti così commoventi
del Battesimo, dell’Estrema Unzione, delle esequie, eccetera.
Ma non devo mai
dimenticare che tutte le risorse offerte dalla sacra Liturgia non sono altro che
mezzi per giungere al fine unico dell’intera vita interiore: far morire l’uomo vecchio,
perché al suo posto possiate vivere e regnare Voi, o Gesù.
Avrò pertanto
la vera vita liturgica quando, penetrato di spirito liturgico, utilizzerò
la Messa, le preghiere e i riti ufficiali per aumentare la mia unione con la Chiesa,
e così progredire nella partecipazione alla vita interiore di Gesù
Cristo, e perciò alle sue virtù, riflettendola meglio agli occhi dei
fedeli.
3. Spirito liturgico
Questa vita liturgica,
o Gesù, presuppone una speciale attrattiva per tutto ciò che ha relazione
con il culto.
Questa attrattiva,
ad alcuni Voi la date gratuitamente. Altri invece sono meno privilegiati; ma se ve
la domandano aiutandosi con lo studio e la riflessione, l’otterranno.
La meditazione,
che io farò più tardi sui vantaggi della vita liturgica, accrescerà
in me la sete di acquistarla a qualunque costo. Mi fermo ora a considerare i caratteri
che distinguono questa vita e le danno un posto importante nella spiritualità.
Unirsi anche da
lontano al vostro Sacrificio, con la Chiesa, mediante il pensiero e l’intenzione;
fondere la propria preghiera con la preghiera ufficiale e continua della vostra Chiesa,
è cosa ben grande, o Gesù! Il cuore del semplice battezzato vola in
tal modo più sicuramente verso Dio, perché portato dalle vostre lodi,
adorazioni e azioni di grazie, dalle vostre riparazioni e domande16.
Secondo le parole
di san Pio X, prendere parte attiva e cooperare ai sacri Misteri e alla preghiera
pubblica e solenne, con una assistenza pia ed illuminata, con la brama di trar profitto
dalle feste e dalle cerimonie, o meglio ancora col servire la Messa rispondendo alle
sue preghiere, oppure prestando il proprio concorso alla recita o al canto degli
uffici, è infatti il mezzo per entrare in comunicazione più diretta
col pensiero della nostra Chiesa, e per attingere il vero spirito cristiano alla
sua sorgente principale ed insostituibile17.
Quale nobile missione,
o Santa Chiesa, in virtù dell’ordinazione sacerdotale o della professione
religiosa, in unione con gli Angeli e i Beati, in qualità di vostro titolato
ambasciatore, presentarsi ogni giorno davanti al trono di Dio per esprimere la preghiera
ufficiale!
Ma quale dignità
incomparabilmente più sublime ancora e al di sopra di ogni espressione, allorché,
qual ministro consacrato, io divengo un altro Voi stesso, o mio divino Redentore,
amministrando i Sacramenti e specialmente celebrando il santo Sacrificio!
Primo principio.
– Come membro della Chiesa, devo essere convinto che, quando partecipo da cristiano18 ad una cerimonia liturgica,
io sono unito a tutta la Chiesa, non solo mediante la Comunione dei Santi, ma anche
in virtù di una cooperazione reale ed attiva ad un atto di religione che la
Chiesa, Corpo mistico di Gesù Cristo, offre a Dio come società; devo
anche esser convinto che, per mezzo di tale unione, la Chiesa facilita maternamente
la formazione della mia anima nelle virtù cristiane19.
La vostra Chiesa,
o Gesù, forma una società perfetta i cui membri, strettamente uniti
tra loro, sono destinati a formare una società ancor più perfetta e
più santa: quella degli eletti.
Come cristiano,
io sono membro di questo Corpo di cui Voi siete il Capo e la vita. Così Voi
mi considerate, o divino Salvatore; e io vi procuro una gioia speciale quando, presentandomi
a Voi, vi considero come mio Capo e considero me stesso come una pecorella di questo
ovile di cui Voi siete l’unico Pastore e che racchiude nella sua unità tutti
i miei fratelli della Chiesa militante, purgante e trionfante.
Il vostro Apostolo
m’insegna questa dottrina che mi dilata l’anima ed allarga il mio spirito quando
dice: Come in un sol corpo noi abbiamo molte membra, così noi, sebbene
molti, formiamo un unico corpo in Cristo e individualmente siamo l’uno membro dell’altro
(Rm. 12, 4-5). Come il corpo – dice altrove – è uno ma ha molte membra,
e tutte le membra del corpo, sebbene molte, formano un sol corpo, così è
di Cristo (1 Cor. 12, 12).
Questa è
l’unità della vostra Chiesa indivisibile nel suo insieme e nelle sue parti,
tutta intera nel suo insieme e tutta intera in ciascuna delle sue parti20, unita nello Spirito Santo,
unita a voi, o Gesù, e, mediante questa unione, introdotta nell’unica ed eterna
società del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo21.
La Chiesa è
l’assemblea dei fedeli che, sotto il governo di una medesima autorità, sono
uniti dalla medesima fede e dalla medesima carità, e tendono al medesimo fine,
cioè all’incorporazione in Cristo, con i medesimi mezzi che si riassumono
nella grazia, i cui canali ordinari sono la preghiera ed i Sacramenti.
La grande preghiera,
il canale preferito della grazia, è la preghiera liturgica, la preghiera della
Chiesa, più potente della preghiera dei privati ed anche delle associazioni,
per quanto potenti e raccomandate dal Vangelo siano la preghiera individuale e quella
associativa22.
Incorporato alla
vera Chiesa, figlio di Dio e membro di Cristo per il Sacramento del Battesimo, io
acquisto il diritto di partecipare agli altri Sacramenti, ai divini uffici, ai frutti
della Messa, alle indulgenze ed alle preghiere della Chiesa; posso beneficiare di
tutte le grazie e di tutti i meriti dei miei fratelli.
Per mezzo del
Battesimo, io sono segnato da un carattere indelebile che mi deputa al culto di Dio
secondo il rito della religione cristiana23. Per la consacrazione
battesimale, io divengo membro del Regno di Dio e faccio parte della stirpe eletta,
del regale sacerdozio, della nazione santa24.
Perciò
io partecipo come cristiano al ministero sacro, benché in un modo remoto e
indiretto, per mezzo delle mie preghiere, della mia parte di offerta, del mio contributo
al sacrificio della Messa e alle funzioni liturgiche, moltiplicando i sacrifici spirituali
con la pratica delle virtù, come raccomanda San Pietro, compiendo ogni cosa
per piacere a Dio e unirmi a lui, e facendo del mio corpo un’Ostia viva, santa e
gradita a Dio25. È questo che mi
fate intendere, o santa Chiesa, quando dite ai fedeli per mezzo del sacerdote: Pregate,
fratelli, affinché il mio e vostro sacrificio… Dice ancora il sacerdote
nel Canone: Ricordati, o Signore, di tutti i presenti, per i quali noi ti offriamo,
od essi stessi ti offrono, questo sacrificio di lode. E poco dopo: Accetta
placato, o Signore, questa offerta della sottomissione nostra e di tutta la tua famiglia26.
Invero la Sacra
liturgia è talmente l’opera comune di tutta la Chiesa, cioè del sacerdote
e del popolo, che il mistero di questa unità vi è sempre presente realmente
per la forza indistruttibile della Comunione dei Santi proposta alla nostra fede
dal Simbolo degli Apostoli. Il divino Ufficio e la Santa Messa, che sono la parte
principale della Liturgia, non si possono celebrare senza che tutta la Chiesa vi
sia associata e misteriosamente presente27.
Così nella
Liturgia tutto si fa in comune, a nome di tutti, a vantaggio di tutti: tutte le preghiere
vengono dette al plurale.
Da questo stretto
legame, che unisce tutti i membri tra loro mediante la stessa fede e la partecipazione
ai medesimi Sacramenti, nasce nelle anime quella carità fraterna che è
il segno distintivo di coloro che vogliono essere imitatori di Gesù Cristo
e camminare alla sua sequela: Dall’amore che avrete gli uni per gli altri,
conosceranno che siete miei discepoli (Gv. 13, 35). E questo vincolo fra i
membri della Chiesa si rafforzerà tanto più, quanto più essi
parteciperanno, mediante la Comunione dei Santi, alla grazia ed alla carità
del Capo che comunica a loro la vita soprannaturale e divina.
Tali verità
sono il fondamento della vita liturgica e questa, a sua volta, mi ci riconduce continuamente.
Quale amore per
voi, o santa Chiesa di Dio, accende nel mio cuore questo pensiero: io sono vostro
membro, sono membro di Cristo! Quale amore m’infonde per tutti i cristiani, perché
sono tutti miei fratelli e tutti insieme formiamo una sola cosa in Cristo! Quale
amore per il mio divino Capo Gesù Cristo!
Nulla di ciò
che vi riguarda potrebbe lasciarmi indifferente; sono triste se vi vedo perseguitata,
mi rallegro nel conoscere le vostre conquiste e i vostri trionfi.
Quale gioia quando
penso che, nel santificarmi, contribuisco ad accrescere la vostra bellezza e lavoro
per la santificazione di tutti i figli della Chiesa, miei fratelli, ed anche per
la salvezza della grande famiglia umana!
O Chiesa santa
di Dio, per quanto dipende da me, voglio che voi diventiate più bella, più
santa e più numerosa, poiché la bellezza del vostro insieme risulta
dalla perfezione di ciascuno dei vostri figli, fusi in quella stretta solidarietà
che fu l’idea principale della preghiera di Gesù dopo la Cena ed il vero testamento
del suo Cuore: Affinché siano una cosa sola! Affinché siano compiuti
nell’unità! (Gv. 17, 21, 23).
O Chiesa, Madre
mia, quanta stima sento in me per la vostra preghiera liturgica! Essendo io vostro
membro, essa è anche la mia preghiera, ma lo è soprattutto quando vi
assisto o vi coopero. Tutto ciò che voi avete è mio e tutto quello
che è mio vi appartiene.
Una goccia d’acqua
da sé non è nulla; ma se è unita al mare, partecipa alla sua
potenza ed alla sua immensità; altrettanto accade alla mia preghiera unita
alla vostra. Agli occhi di Dio, per il quale tutto è presente ed il cui sguardo
abbraccia il presente, il passato ed il futuro, essa fa una sola cosa con quel concerto
di lodi che la Chiesa, dalla sua fondazione sino alla fine dei tempi, eleva al trono
dell’Eterno.
Voi, o Gesù,
volete che la mia preghiera sia, sotto certi aspetti, utilitaristica, bisognosa e
interessata; ma, stabilendo l’ordine delle domande del Pater Noster, mi avete
insegnato quanto desiderate che la mia pietà sia in primo luogo consacrata
lodare Dio28 e che, lungi dall’essere
egoista, gretta e isolata, mi faccia abbracciare nelle mie suppliche tutti i bisogni
dei miei fratelli.
Con la vita liturgica,
facilitatemi questa pietà elevata e generosa che, senza danno della lotta
spirituale, dà a Dio, e largamente, la lode; pietà caritatevole, fraterna
e cattolica che abbraccia tutte le anime e s’interessa di tutte le sollecitudini
della Chiesa.
O Santa Chiesa,
è vostra missione generare continuamente nuovi figli al vostro divino Sposo
e di crescerli fino alla misura della pienezza dell’età di Cristo
(Ef. 4, 13). Ciò vuol dire che avete ricevuto, e con abbondanza, i mezzi per
raggiungere questo fine. L’importanza che attribuite alla Liturgia prova la sua efficacia
per iniziarmi alla lode divina e sviluppare i miei progressi spirituali.
Nella sua vita
pubblica, Gesù parlava come uno che ha autorità (Mt. 7,
29): così parlate anche voi, o Chiesa, Madre mia. Depositaria del tesoro della
Verità, avete coscienza della vostra missione; dispensatrice del Sangue redentore,
conoscete tutte le risorse di santificazione che il divino Salvatore vi ha confidato.
Voi non vi rivolgete
alla ragione dicendole: esamina, studia!, ma fate appello alla mia fede
dicendomi: Abbi fiducia in me! Non sono forse tua madre? Che altro desidero
se non di vederti ogni giorno crescere nella rassomiglianza al divino Modello? Chi
conosce il Cristo meglio di me, sua Sposa? Dove troverai meglio lo spirito del tuo
Redentore, se non nella Liturgia, autentica espressione dei miei pensieri e dei miei
desideri?
Sì, o Madre
santa ed amata, mi lascerò condurre e formare da voi con la semplicità
e la fiducia di un fanciullo, dicendo a me stesso: È con mia Madre che
prego; sono le sue stesse parole ch’ella mette sul mio labbro per impregnarmi del
suo spirito e trasfondere nel mio cuore i suoi sentimenti.
Con voi adunque,
o Santa Chiesa, io gioirò: gaudeamus, exultemus; con voi gemerò:
ploremus; con voi darò lode: confitemini Domino; con voi implorerò
misericordia: miserere; con voi spererò: speravi, sperabo; con
voi amerò: diligam. Mi associerò con ardore alle richieste che
formulate nelle vostre ammirabili preghiere, affinché le salutari emozioni,
che volete far sgorgare dalle parole e dai sacri riti, penetrino più profondamente
nel mio cuore, lo rendano più docile alle ispirazioni dello Spirito Santo
e arrivino a fondere la mia volontà con quella di Dio.
Secondo principio.
– Quando, in una funzione liturgica, io agisco come rappresentante della Chiesa29, Dio desidera che gli
esprima la mia virtù di religione avendo coscienza del mandato ufficiale dal
quale vengo onorato e desidera che faccia progressi in tutte le virtù, unendomi
in tal modo sempre di più alla vita della Chiesa.
In qualità
di rappresentante della vostra Chiesa, affinché in suo nome ed a nome di tutti
i suoi figli io offra incessantemente a Dio, per vostro mezzo, o Gesù, il
sacrificio della lode e della supplica, io sono persona pubblica che è
voce dell’intera Chiesa, secondo la felice espressione di San Bernardino da
Siena30 .
In ogni funzione
liturgica deve pertanto realizzarsi nella mia persona come uno sdoppiamento, simile
o quello che avviene in un ambasciatore. Nella sua vita privata, questi è
un privato cittadino come gli altri; ma quando, rivestito delle insegne della sua
carica, egli parla od agisce in nome del suo Principe, egli diventa nello stesso
istante il rappresentante e, sotto certi aspetti, la persona stessa del suo Sovrano.
Altrettanto mi
accade quando compio le mie funzioni liturgiche. Al mio essere individuale si aggiunge
una dignità che mi riveste di una missione pubblica; allora io posso e debbo
considerarmi come delegato ufficiale di tutta la Chiesa.
Se prego, se recito
il mio ufficio, anche da solo, non lo faccio più soltanto a mio nome. Le formule
che uso non me le sono scelte, ma è la Chiesa che me le pone sulle labbra31. È perciò
la Chiesa che prega per mia bocca, parla ed agisce per mezzo mio, come il Re parla
ed agisce per mezzo del suo ambasciatore. Allora io sono veramente la Chiesa tutta
intera, come ben scrisse San Pier Damiani32. Per mezzo mio, la Chiesa
si unisce alla divina Religione di Gesù Cristo e rivolge alla Ss.ma Trinità
l’adorazione, il ringraziamento, la riparazione e la supplica.
D’altronde, se
ho una certa coscienza della mia dignità, non potrò incominciare il
mio Breviario, per esempio, senza che si operi nel mio essere un’azione misteriosa
che m’innalza al di sopra di me stesso, al di sopra del corso naturale dei miei pensieri,
per gettarmi in pieno nella convinzione di essere come il mediatore tra il Cielo
e la terra33.
Che sciagura se
dimenticassi queste verità! I Santi ne erano penetrati e ne vivevano34. Dio si aspetta che io
me ne ricordi, quando compio una funzione. La Chiesa, con la vita liturgica, mi aiuta
continuamente a non dimenticare mai che sono un suo rappresentante, e Dio esige che
a questo titolo corrisponda nella pratica una vita esemplare35.
O mio Dio, infondetemi
una profonda stima per questa missione che la Chiesa mi confida!
Quale stimolo
vi troverei contro la mia viltà nella lotta spirituale! Ma datemi anche il
sentimento della mia grandezza di cristiano e concedete che io abbia verso la vostra
Chiesa un animo di fanciullo, affinché possa approfittare largamente dei tesori
di vita interiore accumulati nella santa Liturgia.
Terzo Principio.
– Come sacerdote, quando consacro l’Eucaristia ed amministro i Sacramenti, debbo
ravvivare la mia convinzione che sono ministro di Gesù Cristo e perciò
alter Christus, e ritenere per certo che dipende da me il saper trovare, nell’esercizio
delle mie funzioni, le grazie speciali per acquistare le virtù necessarie
al mio sacerdozio36.
I vostri fedeli,
o Gesù, formano un sol Corpo, ma in quel Corpo le membra non svolgono tutte
la stessa funzione (Rom. 12, 4): esistono infatti varietà di doni
(1 Cor. 12, 4).
Avendo Voi voluto
lasciare visibilmente alla Chiesa il vostro Sacrificio, le avete pure affidato un
sacerdozio il cui scopo principale consiste nel continuare la vostra immolazione
sull’Altare, nel distribuire il vostro Sangue mediante i Sacramenti e nel santificare
il vostro Corpo mistico infondendogli la vostra vita divina.
In qualità
di sommo Sacerdote, Voi avete decretato da tutta l’eternità di scegliermi
e consacrarmi come vostro ministro, allo scopo di esercitare il vostro sacerdozio
per mezzo mio37. Mi avete comunicato i
vostri poteri per compiere, con la mia cooperazione38 un’opera più grande della creazione dell’universo,
cioè il miracolo della transustanziazione, e mediante questo prodigio, restare
l’Ostia e la religione della vostra Chiesa.
Come comprendo
le espressioni entusiastiche usate dai Santi Padri per celebrare la grandezza della
dignità sacerdotale!39 Le loro parole mi costringono
logicamente a considerarmi, in virtù della comunicazione del vostro sacerdozio,
come un altro Voi stesso: Sacerdos alter Christus.
E c’è davvero
indentificazione tra Voi e me, perché la vostra Persona e la mia sono talmente
unite, che queste parole: Questo è il mio Corpo; questo è il
calice del mio Sangue, le fate vostre nell’istante in cui io le pronuncio40. Io vi presto le mie labbra,
per poter dire senza mentire: mio Corpo, mio Sangue41.
Basta che io voglia
consacrare, perché lo vogliate anche Voi; la vostra volontà è
fusa con la mia. Nell’atto più grande che possiate fare quaggiù, la
vostra anima è legata alla mia. Vi presto ciò che ho di più
mio, la mia volontà: e la vostra si fonde subito con la mia.
Voi agite talmente
per mezzo mio che, se invece di dire sulla materia del sacrificio: Questo è
il mio Corpo, osassi dire: Questo è il Corpo di Gesù Cristo,
la consacrazione sarebbe invalida.
L’Eucaristia siete
Voi stesso, o Gesù, sotto le apparenze del pane. Ed ogni Messa viene a mettere
in piena luce ai miei occhi che il sacerdote siete Voi stesso, o Sacerdote Unico,
sotto le apparenze di un uomo che Voi avete scelto come vostro ministro42.
Alter Christus!
Io sono chiamato a rivivere queste parole ogni volta che amministro gli altri Sacramenti.
Voi solo potete dire come Redentore: Io ti battezzo; io ti assolvo, esercitando
così un potere tanto divino quanto quello di creare. Ebbene, anch’io pronunzio
queste medesime parole e gli Angeli vi assistono, più riverenti che non al
Fiat che fecondò il nulla43, poiché esse, o
meraviglia!, sono capaci di formare Dio in un’anima e produrre un figlio di Dio che
partecipa alla vita intima della divinità.
In ogni funzione
sacerdotale mi sembra di sentirmi dire: Figlio mio, come potresti pensare che,
avendoti fatto alter Christus per questi divini poteri, io possa tollerare
che nella tua condotta abituale tu sia un senza-Cristo o addirittura un contro-Cristo?
Ma come! Nell’esercizio di queste funzioni tu operi identificandoti con Me, e un
momento dopo Satana verrebbe a prendere il mio posto per fare di te, con il peccato,
una specie di anticristo o ti addormenterebbe sino al punto di farti volontariamente
dimenticare l’obbligo d’imitarmi e di lavorare per ërivestirti di me’, secondo
l’espressione del mio Apostolo?
Absit!
Quando la tua fragilità è la sola causa delle tue quotidiane mancanze,
sùbito pentite e riparate, tu puoi contare sulla mia misericordia. Ma accettare
a sangue freddo un partito preso d’infedeltà e poi tornare senza rimorso alle
tue sublimi funzioni, ciò equivarrebbe certamente a provocare la mia collera!
Tra le tue
funzioni e quelle del sacerdozio dell’antica Legge c’è un abisso. Eppure,
se i miei profeti minacciavano Sion a causa dei peccati del popolo e dei governanti,
ascolta quanto avvenne per la prevaricazione dei sacerdoti: ëIl Signore ha scatenato
il suo furore, ha sparso la furia della sua ira, ha gettato il fuoco su Sion, che
ne è stata divorata fino alle fondamenta. (…) E questo è accaduto
per le iniquità commesse dai suoi sacerdoti’ (Lam. Ger., 4, 11-13).
Per questo,
con quanto vigore la mia Chiesa proibisce al sacerdote di salire l’altare e di conferire
i Sacramenti, se gli rimane sulla coscienza anche un solo peccato mortale! Per mia
ispirazione, la Chiesa va oltre e ti obbliga all’alternativa tra la pietà
o l’impostura. Devi deciderti a vivere di vita interiore; altrimenti, dall’inizio
alla fine della Messa, mi esprimerai ciò che non pensi e mi domanderai ciò
che non desideri. Spirito di compunzione e di purificazione delle minime colpe e
perciò custodia del cuore; spirito di adorazione e perciò di raccoglimento;
spirito di fede, di speranza e di carità, e perciò direzione soprannaturale
della condotta esteriore e delle tue azioni: tutto questo è intimamente legato
alle parole sacre ed alle cerimonie.
Mi rendo conto,
o Gesù, che indossare i paramenti sacri senza essere risoluto a sforzarmi
di acquistare le virtù ch’essi simboleggiano, sarebbe una specie di ipocrisia.
D’ora innanzi voglio che genuflessioni, segni e formule non siano più un vano
simulacro che nasconde il vuoto, la freddezza, l’indifferenza per la vita interiore,
aggiungendo alle mie mancanze quella di una menzognera rappresentazione in faccia
all’Eterno.
O Signore, fate
che un santo timore s’impadronisca di me, ogni volta che mi accosto ai vostri tremendi
misteri e mi rivesto dei paramenti liturgici. Fate che le preghiere con cui accompagno
questo atto, le formule del Messale e del Rituale, così piene di unzione e
di forza, mi esortino a scrutare il cuore per vedere se è veramente in armonia
col vostro, o Gesù, desiderando lealmente e efficacemente d’imitarvi con la
vita interiore.
Via i sotterfugi,
o anima mia! Essi mi farebbero credere che basti essere alter Christus soltanto
nelle funzioni sacre e che per il resto, purché non sia un anticristo, possa
dispensarmi dal lavorare per rivestirmi di Gesù.
Dato che sono
non solamente ambasciatore di Gesù Cristo crocifisso, ma anche un altro Lui
stesso, come potrei pretendere di adagiarmi in una pietà comoda ed accontentarmi
di virtù civili?
Invano cercherei
di persuadermi che il claustrale sia tenuto più di me a sforzarsi d’imitare
Gesù acquistando la vita interiore. Sarebbe un grave errore basato su di una
confusione.
Per tendere alla
santità, il religioso si obbliga a usare certi mezzi, come i voti di obbedienza
e di povertà e l’osservanza della regola. Come sacerdote non sono tenuto a
questi mezzi, ma sono tenuto a perseguire e a realizzare l’identico scopo, e a maggior
titolo dell’anima consacrata alla quale non sia stata affidata la distribuzione del
Sangue divino44.
Me sventurato,
dunque, se mi cullassi in una illusione senza dubbio colpevole, giacché per
dissiparla mi basterebbe ricorrere all’insegnamento della Chiesa e dei suoi Santi;
illusione la cui falsità mi apparirebbe alle porte dell’eternità.
Me sventurato,
se non sapessi approfittare delle mie funzioni per riconoscere le vostre esigenze,
o se rimanessi sordo alla voce che mi fanno udire i sacri oggetti che mi circondano:
altare, confessionale, fonte battesimale, vasi, tessuti ed ornamenti sacri. Imitamini
quod tractatis45. Purificatevi, perché
portate i vasi del Signore (Is. 52, 12). Offrono a Dio incenso e pane,
pertanto devono essere santi (Lev. 20, 6).
Sarei ancor meno
scusabile se restassi sordo a questi richiami, o Gesù, perché ognuna
delle mie funzioni è occasione di una grazia attuale che mi offrite per modellare
l’anima mia a vostra immagine e somiglianza.
È la Chiesa
che richiede questa grazia; è il suo cuore sollecito di rispondere alla vostra
attesa, che ha cura di me come della pupilla dell’occhio; è essa che, prima
della mia ordinazione, mi ha fatto risaltare le gravi conseguenze della mia identificazione
con Voi:
Imponi,
o Signore, al mio capo l’elmo della salvezza (…) Cingimi col cingolo della purezza
(…) affinché mi perdoni tutti i miei peccati. Fa ch’io aderisca sempre ai
tuoi comandi e non permettere che mi separi mai da Te, eccetera. Non sono più
solo a rivolgere queste richieste in mio favore, ma sono tutti i veri fedeli, tutte
le anime fervorose a Voi consacrate, tutti i membri della gerarchia ecclesiastica,
che fanno propria la mia povera preghiera. È il loro grido che si leva verso
il vostro trono; è la voce della vostra Sposa quella che vi giunge. E se i
vostri ministri, essendo risoluti a conseguire la vita interiore, adeguano i loro
cuori alle loro funzioni, queste suppliche rivolte da loro in nome della vostra Chiesa
vengono sempre esaudite da Voi.
Anziché
escludermi con la mia negligenza volontaria dai suffragi che io indirizzo al Padre
vostro per la comunità dei fedeli, in occasione Messa e nell’amministrazione
dei Sacramenti, io voglio approfittare di tali grazie, o Gesù. Ad ogni mio
atto sacerdotale aprirò pienamente il mio cuore alla vostra azione e allora
Voi vi infonderete i lumi, le consolazioni e le energie che, nonostante gli ostacoli,
mi permetteranno d’identificare i miei giudizi, affetti e deliberazioni ai vostri,
come il sacerdozio m’immedesima con Voi, o Sacerdote Eterno, quando per mio mezzo
vi rendete Vittima sull’altare, o Redentore delle anime.
*
* *
Riassumo in poche
parole i tre princìpi
dello spirito liturgico.
Cum Ecclesia.
– Quando mi unisco alla Chiesa come semplice cristiano, questa unione m’invita a
penetrarmi degli stessi suoi sentimenti.
Ecclesia.
– Quando impersonifico la Chiesa stessa in qualità di ambasciatore presso
il trono di Dio, ancor più fortemente sono incitato a far mie le sue aspirazioni,
per essere meno indegno di rivolgermi alla Maestà tre volte santa e per esercitare
con la mia preghiera ufficiale un apostolato più fecondo.
Christus.
– Ma quando, con la partecipazione al Sacerdozio di Cristo, io sono alter Christus,
quali parole potranno mai tradurre i vostri richiami, o Gesù, affinché
io assimili sempre di più la vostra divina rassomiglianza, manifestandovi
così ai fedeli e trascinandoli alla vostra sequela con l’apostolato dell’esempio?
4. Vantaggi della
vita liturgica
a) La Liturgia
favorisce la permanenza del soprannaturale in tutte le mie azioni
Quanta difficoltà
provo, o mio Dio, ad agire ordinariamente per un motivo soprannaturale! Spinto da
Satana e dalle creature, il mio amor proprio sottrae continuamente la mia anima e
le sue facoltà alla dipendenza da Gesù che vive in me.
Quante volte lungo
la giornata, questa purità di intenzione, la sola che può rendere meritevoli
le mie azioni e fecondo il mio apostolato, viene viziata per mancanza di vigilanza
o di fedeltà! Solamente a prezzo di continui sforzi io posso, con l’aiuto
divino, ottenere che la maggior parte dei miei atti abbiano la grazia come principio
vivificatore che li diriga a Dio come a loro fine.
Per questi sforzi
mi è indispensabile la meditazione. Ma quale differenza quando questi sforzi
si esercitano in seno alla vita liturgica! La meditazione e la vita liturgica sono
due sorelle che si aiutano a vicenda. La meditazione che faccio prima della Messa
e prima del Breviario mi getta nel soprannaturale. La vita liturgica mi fornisce
il mezzo di passare la giornata nella mia meditazione46.
Alla vostra scuola,
o santa Chiesa, quanto mi diventa facile acquistare l’abitudine di rendere al mio
Creatore e Padre il culto che gli è dovuto! Sposa di Colui che è l’adorazione,
l’azione di grazie, la riparazione e la mediazione per eccellenza, attraverso la
Liturgia Voi mi comunicate quella sete che Gesù Cristo aveva di glorificare
il Padre suo. Dare gloria a Dio: ecco il fine primario che vi siete proposta nello
stabilire la liturgia.
Non è forse
vero che, se io vivo della vita liturgica, sarò tutto impregnato della virtù
di religione, dal momento che tutta la Liturgia altro non è che la pratica
continua e pubblica di questa virtù, la più eccellente dopo quelle
teologali?
Manifestando la
dipendenza da Dio di tutte le mie facoltà, la pietà, la vigilanza e
la lotta spirituale possono svilupparsi se io utilizzo i lumi della fede. Ma quanto
ha bisogno il composto umano di esser aiutato dall’insieme di tutte le sue facoltà,
per fissare lo spirito ai beni eterni, rendere il cuore entusiasta e avido di profitto
spirituale, ed eccitare la volontà a domandare con frequenza questi beni e
perseguirli senza tregua!
La Liturgia prende
tutto quanto il mio essere. Con un complesso di cerimonie, di genuflessioni, inchini,
simboli, canti, testi indirizzati agli occhi, alle orecchie, al sentimento, all’immaginazione,
all’intelligenza e al cuore, essa mi orienta tutto intero verso Dio; essa mi ricorda
che tutto in me – os, lingua, mens, sensus, vigor – tutto deve riferirsi a
Dio.
Tutto ciò
di cui la Chiesa si serve per rappresentarmi i diritti di Dio e i suoi titoli a ricevere
il mio culto di filiale omaggio e di appartenenza totale, tutto sviluppa in me la
virtù di religione e quindi lo spirito soprannaturale.
Nella Liturgia
tutto mi parla di Dio, delle sue perfezioni, dei suoi benefìci; tutto mi riconduce
a Dio; tutto mi dimostra la sua Provvidenza che incessantemente mi offre i mezzi
per la mia santificazione attraverso prove, soccorsi, avvertimenti, incoraggiamenti,
promesse, lumi e persino minacce.
Così la
Liturgia mi mantiene in continuo colloquio con Dio e mi fa manifestare la mia religione
sotto le forme più diverse.
Se mi dedico a
questa formazione liturgica col desiderio di trarne profitto, come mai, dopo i numerosi
e ripetuti esercizi quotidiani richiesti dalle mie funzioni di ecclesiastico, la
virtù della religione non metterebbe in me più profonde radici? Come
mai non dovrei giungere ad un’abitudine, ad uno stato d’animo e perciò alla
vera vita interiore?
*
* *
La Liturgia, che
scuola della presenza di Dio, anzi della presenza del nostro Dio qual’è stata
manifestata dall’Incarnazione! O meglio, è una scuola di presenza di Gesù
e della Carità.
L’amore si alimenta
con la conoscenza dell’amabilità dell’essere amato, con le prove di amore
ch’egli ci ha dato, ma soprattutto con la sua presenza, dice S. Tommaso.
La Liturgia ci
riproduce, ci spiega e ci applica le diverse manifestazioni della vita di Gesù
Cristo in mezzo a noi; ci mantiene in un’atmosfera soprannaturale e divina, continuando
– per così dire – la vita di nostro Signore, e manifestando in tutti i misteri
l’amabilità e la tenerezza del suo cuore.
Attraverso la
Liturgia siete Voi stesso, o mio Gesù, che continuate la vostra grande lezione
e la vostra grande manifestazione d’amore. Io vi comprendo sempre di più,
ma non al modo dello storico, cioè attraverso il velo dei secoli, né
come spesso vi conosce il teologo, cioè attraverso le ardue speculazioni,
voi siete del tutto vicino a me. Siete sempre presso di me, siete sempre l’Emmanuele,
il Dio-con-noi, con la vostra Chiesa e perciò con me. Voi siete uno con
cui ogni membro della vostra Chiesa vive e che la Liturgia mi porta a mettere in
ogni circostanza in primo piano, come modello e scopo del mio amore.
Col ciclo delle
feste, con le lezioni prese dal vostro Vangelo e dagli scritti dei vostri Apostoli,
con i raggi meravigliosi con cui essa illumina i vostri Sacramenti ma soprattutto
l’Eucarestia, la Chiesa vi fa vivere in mezzo a noi e ci fa udire i battiti del vostro
Cuore.
Credere che Gesù
vive e vuole agire in me, se non ci pongo ostacoli: quale leva di vita soprannaturale
mi fornisce la meditazione di questa verità! Ma il nutrirmi frequentemente
del dogma della grazia, con i mezzi vari e sensibili che mi offre la Liturgia lungo
la giornata; nutrirmi di Gesù che prega, che agisce con ognuno dei membri
di cui Egli è la vita, che supplica per loro e perciò anche per me:
tutto questo significa mantenermi sotto l’influsso del soprannaturale, significa
vivere in unione con Gesù e stabilirmi nel suo amore.
Tutte le forme
di amore – di compiacenza, di benevolenza, di elezione, di speranza – splendono nelle
mirabili collette, nei salmi, nelle cerimonie e nelle preghiere, penetrandomi l’anima.
Come renderà
forte e generosa la mia vita interiore questo modo di rappresentarmi Gesù
vivo e sempre presente! E quando, per vivere del soprannaturale, dovrò compiere
un atto di distacco o di abnegazione, o dovrò mantenere un obbligo difficile,
o dovrò sopportare una sofferenza o un’ingiuria, oh, allora la lotta spirituale,
la virtù e la prova perderanno il loro aspetto doloroso e ripugnante se, invece
di vedere la nuda croce, io ci vedrò attaccato Voi, o mio Salvatore, che,
mostrandomi le vostre piaghe, mi chiedete quel sacrificio come prova del mio amore!
Che prezioso appoggio
mi dà inoltre la Liturgia, ripetendomi che il mio amore non va esercitato
da solo! Non sono solo a lottare contro il naturalismo che tenta continuamente d’impantanarmi.
Preoccupandosi della mia incorporazione in Cristo, la Chiesa mi segue maternamente,
mi fa partecipare a tutti i meriti di milioni di anime con cui sono in comunione
e che parlano l’identico mio linguaggio ufficiale di amore, e mi rincuora assicurandomi
che il Paradiso e il Purgatorio sono con me per incoraggiarmi ed assistermi.
*
* *
A mantenere le
azioni dell’anima mia rivolte verso Dio, nulla contribuisce quanto il ricordo dell’eternità.
Tutto nella Liturgia
mi richiama i Novissimi. Le espressioni vita eterna, cielo,
inferno, morte, nei secoli dei secoli, e altre
equivalenti, vi ritornano frequentemente.
I suffragi, gli
uffici per i defunti, le esequie, mi mettono dinanzi agli occhi la morte, il giudizio,
le ricompense e i castighi senza fine, il prezzo del tempo e le purificazioni indispensabili
da farsi quaggiù o in Purgatorio per entrare in Cielo.
Le feste dei Santi
mi parlano della gloria di coloro che mi hanno preceduto in questa vita, mostrandomi
la corona che mi è riservata se io cammino sulle loro orme e seguo i loro
esempi.
Con queste lezioni,
la Chiesa mi grida continuamente: O anima cara, se vuoi restare fedele alla
tua divisa, pensa all’eternità; Dio sia in tutto, sempre e dovunque.
O divina Liturgia,
io dovrei parlare di tutte le virtù per riconoscere tutti i benefici di cui
ti sono debitore. In grazia dei passi scelti della Scrittura che presenti continuamente
al mio sguardo, in grazia dei riti e dei simboli che mi rivelano i divini misteri,
la mia anima si trova costantemente sollevata dalla terra ed orientata a volte verso
le virtù teologali, a volte verso il timore di Dio, l’orrore del peccato e
dello spirito del mondo, verso il distacco, la compunzione, la fiducia o la gioia
spirituale.
b) La Liturgia
mi aiuta potentemente a conformare
la mia vita interiore a quella di Gesù Cristo
Tre sono i sentimenti,
o mio adorato Maestro, che dominano nel vostro Cuore: una dipendenza totale dal Padre
vostro e perciò una perfetta umiltà; una carità ardente ed universale
per gli uomini; lo spirito di sacrificio.
Umiltà
perfetta. – Nel venire in questo mondo, o Signore, Voi diceste: Padre, eccomi
pronto a compiere la vostra volontà (Eb. 10, 5-7). Nel Vangelo ricordate
spesso che tutta la vostra vita intima si riassume nell’incessante desiderio di piacere
in ogni cosa al Padre vostro47. Obbediente fino alla
morte e alla morte di croce (Fil. 2, 8), siete la stessa obbedienza, o Gesù.
Ed anche ora obbedite ai vostri sacerdoti, poiché alla loro parola voi discendete
sulla terra: il Signore ha obbedito alla voce di un uomo (Gios. 10, 14).
A quale scuola
mi mette la Liturgia per farmi imitare la vostra sottomissione, se il mio cuore aderisce
ai minimi riti con il desiderio di formarsi allo spirito di dipendenza da Dio, doma
senza debolezze questo io avido di libertà, e piega il mio giudizio
e la mia volontà, che sono sempre portati a non imitare quello spirito fondamentale
che Voi, o mio Gesù, siete venuto ad insegnare con i vostri esempi, ossia
il culto della divina volontà!
Ogni volta che
costringo la mia personalità a cancellarsi per obbedire alla Chiesa come a
Voi stesso, quale esercizio prezioso per la formazione dell’anima mia! E quando dovrò
piegare il mio orgoglio nelle circostanze più difficili, quali effetti produrrà
questa fedeltà alle minime prescrizioni delle rubriche!48
Ma c’è
di più. Ricordandomi la certezza della vostra vita in me e la necessità
della vostra grazia per formulare meritoriamente anche un solo pensiero, la Liturgia
combatte quella presunzione e quello spirito di sufficienza che potrebbero distruggere
l’intera mia vita interiore. Le parole per Dominum nostrum, che concludono
quasi tutte le preghiere liturgiche, mi ricordano, qualora lo dimentichi, che da
solo non posso far nulla, assolutamente nulla, se non peccare o compiere atti senza
merito. Tutto m’infonde la necessità di ricorrere con frequenza a Voi; tutto
mi ripete che Voi esigete da me questo ricorso supplichevole, affinché la
mia vita non devii verso miraggi ingannatori.
Mediante la Liturgia,
la Chiesa insiste con sollecitudine per persuadere i suoi figli della necessità
della supplica; fa della Liturgia una vera scuola di preghiera e perciò di
umiltà. Con le sue formule, con i Sacramenti e i sacramentali, essa m’insegna
che tutto mi viene dal vostro prezioso Sangue, e che il grande mezzo per raccoglierne
i frutti è quello di unirmi con umile preghiera al vostro ardente desiderio
di applicarceli.
O Gesù,
fate che io approfitti di queste continue lezioni, per accrescere il vivissimo sentimento
della mia piccolezza e per convincermi che, in quell’Ostia che è il vostro
Corpo mistico, io non sono che un’umile particella e che, nell’immenso concerto di
lodi che voi dirigete, io non sono che una debole voce.
Fate pure che,
grazie alla Liturgia, io capisca sempre meglio che soltanto per mezzo dell’umiltà
posso rendere sempre più pura questa particella e sempre più limpida
questa voce.
Carità
universale. – Il vostro Cuore, o Gesù, ha esteso a tutti gli uomini la sua
missione redentrice.
Al sitio
che voi gridaste al mondo spirando e che continuate a far sentire dall’Altare, dal
Tabernacolo e persino dal seno della vostra gloria, deve corrispondere nell’anima,
anche in quella del semplice cristiano, un vivo desiderio di prodigarsi per i fratelli,
una sete ardente per la salute di tutti gli uomini e per la diffusione del Vangelo,
un grande zelo per favorire le vocazioni sacerdotali e religiose, e insistenti preghiere
perché i cristiani comprendano l’estensione dei loro doveri e le anime consacrate
la necessità della vita loro interiore.
Ma tali desideri
devono infiammare ben di più l’anima dei vostri ministri: a loro i riti ricordano
che hanno ricevuto da Voi un posto d’onore nel vostro Corpo mistico, affinché
v’incorporino il maggior numero possibile di anime; ricordano che sono corredentori
e mediatori, i quali devono piangere tra il vestibolo e l’altare (Gl.
2, 17) i peccati del mondo, e devono santificarsi non solo per se stessi, ma anche
per poter santificare gli altri, formare, istruire e guidare le anime e far circolare
in esse la vostra vita: Io santifico me stesso, affinché anch’essi siano
santificati (Gv. 17, 19).
O santa Chiesa
del Redentore, Madre di tutti i miei fratelli vostri figli, come si può vivere
della vostra Liturgia senza partecipare agli slanci provati dal Cuore del vostro
Sposo divino per la salute delle sue creature e per la liberazione delle anime che
gemono nel Purgatorio?
È vero
che io beneficio di una parte privilegiata dei frutti della Messa che celebro e del
Breviario che recito. Ma Voi volete che la parte principale vada innanzitutto all’insieme
delle anime di cui siete sollecita: … che Ti offriamo per la tua santa Chiesa
cattolica49. Voi usate mille mezzi
per dilatare il mio cuore e per conformare la mia vita interiore a quella di Gesù.
O amata vita liturgica,
accrescete il mio filiale amore per la Santa Chiesa e per il Padre comune dei fedeli.
Rendetemi più devoto e più sottomesso ai miei superiori gerarchici
e più unito a tutte le loro sollecitudini. Aiutatemi a non dimenticare che
Gesù vive in ognuno di coloro con i quali io sono in contatto quotidiano e
che Egli li porta nel suo cuore. Fate che io irraggi su di loro indulgenza, sostegno,
pazienza e premura, in modo da riflettere la mansuetudine del dolce Salvatore. Mantenetemi
nella convinzione che io non posso andare in Cielo se non per mezzo della Croce;
che le mie lodi, le mie adorazioni, i miei sacrifici e tutti gli altri atti non hanno
valore per il Cielo se non in virtù del Sangue di Gesù; che questo
Cielo debbo guadagnarmelo in collaborazione con tutti i cristiani, poiché
è con tutti gli eletti che dovrò godermelo continuando con loro, per
mezzo di Gesù e per tutta l’eternità, il concerto di lodi al quale
sono già associato qui sulla terra.
Spirito di sacrificio.
– O Gesù, sapendo che l’umanità non poteva essere salvata se non col
sacrificio, Voi avete trasformato tutta la vostra vita terrena in una perenne immolazione.
Identificato con
Voi, sacerdote con voi nel celebrare la Messa, o divino Crocifisso, voglio essere
Ostia con Voi. In Voi tutto gravita attorno alla vostra Croce; in me tutto graviterà
attorno alla mia Messa. Essa sarà il centro ed il sole delle mie giornate,
come il vostro Sacrificio è l’atto centrale della Liturgia.
Richiamandomi
incessantemente il pensiero del Calvario, per mezzo dell’altare e del Tabernacolo,
il pensiero del Calvario, la Messa sarà per me una scuola di spirito di sacrificio.
Facendomi partecipare ai sentimenti della vostra Chiesa, essa me ne comunicherà
i vostri, o Gesù, e così si realizzeranno in me le parole di S. Paolo:
Abbiate in voi stessi gli stessi sentimenti di Gesù Cristo (Fil.
2, 5) e quelle che mi vennero dette nel giorno della mia ordinazione: Imitate
le cose che trattate50.
Messale, Rituale
e Breviario mi ricordano nei modi più vari, perlomeno con gl’innumerevoli
segni di croce, che dopo il peccato il sacrificio è diventato la legge dell’umanità
e che esso non ha alcun valore se non è unito al vostro. Perciò, o
mio divino Redentore, io vi renderò ostia per ostia; farò di me stesso
un’immolazione totale, fusa con l’immolazione da Voi operata una volta sul Golgota
e rinnovata tante volte quante sono le Messe che ogni momento si succedono senza
interruzione nel mondo intero.
La Liturgia mi
faciliterà questa oblazione di me stesso e mi farà contribuire maggiormente
a completare le sofferenze che mancano alla vostra Passione, a vantaggio del vostro
Corpo mistico ch’è la Chiesa51.
Darò il
mio contributo a questa grande ostia fatta dei sacrifici di tutti i cristiani52. E quest’ostia salirà
al cielo per espiare i peccati del mondo e far discendere sulla Chiesa militante
e purgante i frutti della vostra Redenzione.
Così io
avrò la vera vita liturgica. Difatti, o Gesù crocifisso, rivestirmi
di voi, unirmi fattivamente al vostro Sacrificio realizzando l’olocausto di me stesso
per mezzo del rinneghi se stesso, è appunto questo il fine al
quale vuole condurmi la vostra Chiesa, o mio Salvatore, infondendomi i vostri sentimenti
attraverso le sue preghiere e le sue sante cerimonie, introducendo nel mio cuore
ciò che in Voi dominava tutto: lo spirito di sacrificio53.
Così io
diventerò una di quelle pietre vive e prescelte che, levigate dalla prova
– levigata dai colpi del salutare scalpello e dalle innumerevoli battute del
martello del fabbro54 – sono destinate a partecipare
alla costruzione della celeste Gerusalemme.
c) La vita
liturgica mi fa vivere la vita del Cielo
La nostra
patria è nei Cieli, diceva san Paolo (Phil. 2, 5). Ma dove potrei imparare
a realizzare questo programma più facilmente che nella Liturgia? Questa Liturgia
della terra non è forse l’imitazione della Liturgia celeste descritta dal
prediletto san Giovanni nella sua Apocalisse? Quando canto o recito il mio ufficio,
che altro faccio se non compiere quella stessa funzione che gli Angeli si ritengono
onorati di svolgere davanti al trono dell’Eterno? Anzi, la dossologia di ogni Salmo
o di ogni inno e la conclusione di ogni orazione non mi gettano forse in adorazione
davanti alla Ss.ma Trinità?
Le innumerevoli
feste dei Santi mi fanno vivere come nell’intimità dei miei fratelli del Paradiso,
che mi proteggono e pregano per me. Le feste della Beatissima Vergine mi ricordano
che io ho lassù una buonissima ed onnipotente Madre, la quale non si darà
pace finché non mi vedrà salvo ai suoi piedi nel Regno del Figlio suo.
È mai possibile
che tutte queste feste, che i misteri del nostro dolcissimo Salvatore – il Natale,
la Pasqua e soprattutto l’Ascensione – non m’infondano quella nostalgia del Cielo
considerata da san Gregorio come un pegno di predestinazione?
5. Pratica della
vita liturgica
O buon Maestro,
vi siete degnato di farmi conoscere che cosa è la vita liturgica. Come potrei
ora addurre le esigenze del mio ministero come pretesto per sottrarmi allo sforzo
che mi domandate per praticarla? Sicuramente mi rispondereste che compiere le funzioni
religiose secondo i vostri desideri, non richiede più tempo che compierle
meccanicamente. Mi ricordereste l’esempio di tanti vostri servi, come il beato padre
Perboyre, i quali, benché da Voi incaricati di continue ed assorbenti
occupazioni fino ad un grado davvero intenso, erano tuttavia elette anime liturgiche.
a) Preparazione
remota
Fate, o mio buon
Salvatore, che il mio desiderio di vita liturgica si manifesti attraverso un grande
spirito di fede per tutto ciò che si riferisce al culto divino.
I vostri Angeli
e i vostri Santi vi vedono faccia a faccia; nulla può distogliere il loro
spirito dalle auguste cerimonie che costituiscono uno degli elementi della loro indescrivibile
gioia. Ma io, ancora sottoposto a tutte le debolezze della natura umana, come potrò
mantenermi alla vostra presenza, quando vi parlo assieme alla Chiesa, se voi non
sviluppate in me quel dono della fede che ho ricevuto nel Battesimo?
Spero di non considerare
mai le funzioni liturgiche come un servizio da sbrigare il più presto possibile
o da sopportare per incassarne gli onorari. Spero che non oserò mai parlare
al Dio tre volte santo o compiere i riti con quella mancanza di rispetto che avrei
vergogna di manifestare verso il più umile dei servi. Non vorrò mai
scandalizzare proprio con ciò che dovrebbe edificare. Eppure, se cominciassi
col non vigilare più su me stesso riguardo lo spirito di fede, come prevedere
dove potrei arrivare?
Mio Dio, se fossi
già su questa china, degnatevi di trattenermi, o piuttosto datemi una fede
talmente viva che, colpito dell’importanza che hanno veramente ai vostri occhi gli
atti liturgici, io abbia la gioia di sentire nuovamente la loro sublimità
entusiasmare sempre più la mia volontà.
Come potrei avere
il minimo spirito di fede, se non avessi nessuno zelo nel conoscere e osservare le
Rubriche? I più bei pensieri sulla Liturgia non potrebbero scusare la mia
negligenza davanti a Voi, mio Dio. Non importa se non provo alcuna attrattiva naturale
per quest’opera; mi basta che la mia obbedienza vi sia gradita e che sappia ch’essa
mi sarà di gran profitto. Nei miei ritiri, non mancherò mai di esaminarmi
su questo punto riguardo al Messale, al Rituale e al Breviario.
La vostra Chiesa,
o Gesù, per il suo culto ha specialmente utilizzato la ricchezza dei Salmi.
Se io ho lo spirito liturgico, nei versetti del Salterio la mia anima saprà
vedere Voi, raffigurato soprattutto nella vostra vita di dolore, saprà che
quell’intima parola, quei sentimenti che il vostro cuore rivolgeva a Dio durante
la vostra vita mortale, si trovano in molte belle composizioni profetiche che voi
avete ispirato al Salmista. In una mirabile sintesi anticipata, io vi troverò
i principali insegnamenti del vostro Vangelo.
Sotto quei veli
io intenderò la voce della Chiesa che continua la vostra vita di prova e,
nelle sofferenze e nei trionfi, manifesta a Dio sentimenti uguali a quelli del suo
Sposo divino: sentimenti dei quali ogni anima, in cui si manifesta la vostra vita,
può appropriarsi tanto nelle tentazioni, nei rovesci, nelle lotte, nelle tristezze,
negli scoraggiamenti, nelle delusioni, quanto nelle vittorie e nelle consolazioni.
Riservando alla
Sacra Scrittura una parte delle mie letture, svilupperò il gusto per la Liturgia
e faciliterò la mia attenzione alle parole55. La riflessione mi permetterà di scoprire
in ogni testo liturgico un’idea centrale intorno alla quale gravitano i diversi insegnamenti.
In tal modo, o
anima mia, quali armi potrai forgiarti contro l’instabilità della tua immaginazione,
soprattutto se saprai far tesoro dei simboli! La Chiesa li adopera per parlare ai
sensi un linguaggio che li cattura rendendo sensibili le verità rappresentate.
Nel giorno della ordinazione sacerdotale, essa mi ha detto: Riconoscete quello
che fate. Alle cerimonie, ai tessuti, agli oggetti, alle vesti sacre, a tutto,
la Chiesa mia Madre dà una voce significativa. Se non ho la chiave di questo
insegnamento, come potrò illuminare l’intelligenza e conquistare il cuore
dei fedeli che la Chiesa vuole attirare con un linguaggio tanto semplice quanto grandioso?
b) Preparazione
immediata
Prima di
pregare, disponi l’anima tua (Eccl. 18, 23). Immediatamente prima della Messa
e ad ogni ripresa del Breviario, farò un atto calmo ma energico di raccoglimento
per distogliermi da tutto ciò che non si riferisce a Dio e per fissare la
mia attenzione in Lui. Colui al quale sto per parlare è Dio.
Ma egli è
anche mio Padre. A quel timore reverenziale che prova perfino la Regina degli Angeli
quando parla al suo divino Figlio, io unirò la spontanea ingenuità
che dà un animo di fanciullo anche al vecchio che si rivolge alla Maestà
infinita.
Tale atteggiamento
semplice e ingenuo dinanzi al Padre mio, rifletterà schiettamente la mia convinzione
di esser unito a Gesù Cristo e di rappresentare la Chiesa, quantunque indegnamente,
e rifletterà anche la certezza di avere gli Spiriti della Milizia celeste
come compagni della mia preghiera: Alla presenza degli Angeli inneggerò
a Te (Ps. 137).
Questo, anima
mia, non è più per te il tempo di ragionare o di pensare, ma di tornare
con un animo di bambino. Quando eri appena giunto all’età della ragione, accettavi
tutto quanto di diceva tua madre come espressione di un’assoluta verità. Con
la stessa semplicità ed ingenuità, devi ora ricevere da tua Madre,
la Chiesa, quanto ti presenta come alimento della tua fede.
Com’è indispensabile
questo ringiovanimento dell’anima! Quanto più mi farò un’animo di fanciullo,
tanto più approfitterò dei tesori della Liturgia, mi lascerò
penetrare dalla poesia che ne promana, ed in uguale misura progredirà in me
lo spirito liturgico.
Allora la mia
anima entrerà facilmente in adorazione e ci resterà durante la funzione
(cerimonie, Breviario, Messa, Sacramenti, eccetera) alla quale prendo parte in qualità
di membro o ambasciatore della Chiesa, o come ministro di Dio.
Dal mio modo di
avviare l’adorazione dipendono in gran parte non solo il profitto e il merito dell’atto
liturgico, ma anche le consolazioni che Dio lega alla sua perfetta esecuzione e che
devono sostenermi nelle fatiche apostoliche.
Voglio dunque
adorare; con uno slancio della mia volontà, per rendere a Dio quest’omaggio,
voglio unirmi alle adorazioni dell’Uomo-Dio; più che sforzo della mente, sarà
uno slancio del cuore.
Lo voglio con
la vostra grazia, o Gesù; e questa grazia la chiederò ad esempio mediante
il Deus in adiutorium nel Breviario, e recitando diligentemente l’Introibo
nella messa.
Lo voglio; e quello
che Voi esigete da me è appunto questo volere filiale ed affettuoso, forte
ed umile, unito al vivo desiderio del vostro aiuto.
Se ottengo che
la mia intelligenza presenti alla fede begli orizzonti, oppure che la mia sensibilità
le offra qualche pia emozione, la mia volontà se ne avvantaggerà per
adorare con più facilità. Ma mi ricorderò sempre del principio
per cui l’unione con Dio sta, in ultima analisi, nella parte superiore dell’anima,
nella volontà. E quand’anche la sua sorte consistesse in tenebre ed aridità,
restando fredda e secca, questa facoltà prenderà il suo slancio appoggiandosi
unicamente sulla fede.
c) Compimento
delle funzioni liturgiche
Il compiere bene
le funzioni liturgiche è un dono della vostra munificenza, o mio Dio. Omnipotente
e misericordioso Iddio, alla cui generosità dobbiamo che i tuoi fedeli possano
servirti degnamente e lodevolmente…56.
Degnatevi di concedermi
questo dono, o Signore; durante l’atto liturgico voglio rimanere adoratore. Questa
parola riassume tutti i metodi.
La mia volontà
ha gettato e mantiene il mio cuore davanti alla Maestà di Dio. Io racchiudo
tutto il mio lavoro in quelle tre parole – digne, attente, devote – della
preghiera Aperi57, che esprimono molto bene
quale dev’essere l’atteggiamento del mio corpo, della mia intelligenza e del mio
cuore.
Digne. – Con il
contegno rispettoso, con la pronunzia esatta delle parole, pronunciandole con maggior
lentezza nelle parti principali, con la scrupolosa osservanza delle rubriche, con
il tono di voce, con la maniera di fare i segni di croce, le genuflessioni, eccetera,
il mio corpo manifesterà non solo che sono ben conscio della Persona alla
quale mi rivolgo, di ciò che dico e di quale apostolato posso talvolta esercitare58, ma anche che è
il mio cuore ad agire.
Nelle corti dei
sovrani terreni, anche i semplici servitori stimano grandi le minime cariche e prendono,
inconsciamente, un contegno maestoso e solenne. Questa distinzione, che si manifesta
nell’atteggiamento d’animo e nella dignità del comportamento nell’esercizio
delle funzioni, non potrò forse arrivare ad acquistarla, io che faccio parte
della guardia d’onore del Re dei re e del Dio di ogni maestà?
Attente. – Il
mio spirito sarà pieno di ardore per succhiare dalle parole e dai sacri riti
tutto ciò che potrà nutrire il mio cuore.
A volte la mia
attenzione si fermerà al senso letterale dei testi; sia seguendo ogni frase,
sia meditando a lungo per tutto il tempo della recita su di una parola che più
mi ha colpito, finché non sentirò il bisogno di scoprire in un altro
fiore il miele della devozione, in entrambi i casi io resto fedele al mens
concordet voci.
A volte la mia
intelligenza si occuperà del mistero del giorno o dell’idea principale del
tempo liturgico. Ma il suo ruolo resterà secondario, se paragonato a quello
della volontà, di cui sarà soltanto la provveditrice, per aiutarla
a mantenersi in adorazione o a ritornare a questo atteggiamento.
Anche se sopraggiungeranno
frequenti distrazioni, senza stizza né impacci né precipitazione, ma
soavemente, come tutto ciò che si fa col vostro aiuto, o Gesù, e fortemente,
come tutto ciò che vuol restare generosamente fedele a questo aiuto, io voglio
ritornare all’atto di adorazione.
Devote. – Questo
è il punto capitale. Tutto deve contribuire a rendere l’Ufficio e ogni funzione
liturgica un esercizio di pietà e perciò un atto del cuore.
La fretta
è la morte della devozione: parlando del Breviario e più ancora
della Messa, S. Francesco di Sales dà come principio questa massima. M’impongo
quindi di consacrare circa mezz’ora alla mia Messa, affinché non solamente
il Canone, ma anche tutte le altre parti vengano recitate piamente. Allontanerò,
senza pietà, qualunque pretesto per compiere alla svelta questo atto centrale
della mia giornata. Se l’abitudine mi fa troncare certe parole o cerimonie, mi sforzerò
di procedere con molta calma in queste parti difettose, anche esagerando nei tempi59.
Fatte le debite
proporzioni, estenderò questa risoluzione a tutte le altre funzioni liturgiche:
Sacramenti, benedizioni, sepolture, eccetera. Quanto al Breviario, avrò cura
di prevedere in quali momenti lo reciterò; giunto quel momento, mi ci atterrò
ad ogni costo. A qualunque prezzo, voglio che questa recita sia veramente una preghiera
del cuore.
Ah sì,
o mio divino Mediatore! Mantenete in me l’orrore della precipitazione, quando tengo
il vostro posto o agisco in nome della Chiesa. Persuadetemi che la precipitazione
paralizza quel gran sacramentale che è la Liturgia e m’impedisce di conservare
quello spirito di orazione senza il quale, pur sembrando un sacerdote molto zelante,
ai vostri occhi non potrò esser altro che un tiepido, o meno ancora. Scolpite
nella mia coscienza questa frase tanto terribile, capace di farmi tremare: maledetto
colui che compie con negligenza l’opera di Dio! (Ger. 48, 10).
A volte, con uno
slancio del cuore, abbraccerò in una sintesi di fede il senso generale dei
mistero ricordato dal ciclo liturgico e ne nutrirò la mia anima.
Altre volte compirò
un atto lungamente assaporato, un atto di fede o di speranza, di desiderio o di pentimento,
d’offerta o d’amore.
Altre volte invece
mi basterà un semplice sguardo: sguardo intimo e costante su un mistero, su
una perfezione di Dio, su uno dei vostri attributi, o Gesù, sulla vostra Chiesa,
sul mio nulla, sulle mie miserie e sui miei bisogni, sulla mia dignità di
cristiano, di sacerdote, di religioso; questo sguardo sarà del tutto diverso
dall’atto dell’intelligenza durante uno studio teologico; sarà uno sguardo
che accresce la fede, ma soprattutto l’amore; uno sguardo che è solo un pallido
riflesso della visione beatifica, certo, ma che realizza già su questa terra
quello che Voi avete promesso alle anime pure e ferventi: Beati i puri di cuore,
perché vedranno Dio (Mt. 5, 8).
Così ogni
cerimonia diventerà una rasserenante diversione, vero respiro di quella mia
anima che tendeva ad essere soffocata dalle occupazioni.
O sacra Liturgia,
qual balsamo fornisci alla mia anima con le diverse funzioni! Bel lungi dall’essere
una onerosa servitù, esse costituiranno una delle più grandi consolazioni
della mia vita.
Come potrebbe
essere altrimenti, dal momento che io, continuamente richiamato da te alla dignità
di figlio e ambasciatore della Chiesa, di membro e ministro di Gesù Cristo,
andrò sempre più rivestendomi di Colui che è la gioia degli
eletti?
Unendomi a Lui,
imparerò a trarre profitto dalle croci di questa vita mortale per seminare
le future messi della mia eterna felicità; con la mia vita liturgica, più
efficace di qualunque apostolato, avrò la coscienza di trascinare dietro di
me altre anime nella via della salvezza e della santità.
–
IV – La custodia del cuore, chiave di volta della vita interiore
e perciò essenziale per l’apostolato
Risoluzione di custodire
il cuore
Io voglio che
il mio cuore sia abitualmente sollecito di preservarsi da ogni macchia e di unirsi
sempre più al vostro Cuore, o Gesù, in tutte le mie occupazioni, conversazioni,
ricreazioni, eccetera.
L’elemento privativo,
ma indispensabile, di tale risoluzione mi fa rigettare ogni macchia nell’intenzione
e nel compimento dell’azione60.
Questa risoluzione
sarà il vero termometro del valore pratico della mia meditazione del mattino
e della mia vita liturgica, poiché la mia vita interiore sarà quella
che è la custodia del cuore: Custodisci con ogni cura il tuo cuore,
poiché da esso proviene la vita (Pv. 4, 23).
La meditazione
e la vita liturgica mi ridanno lo slancio per unirmi a Dio, ma è la custodia
del cuore che permette al viaggiatore di usufruire del nutrimento, preso prima del
cammino o nelle soste, per mantenersi sempre nella baldanzosa andatura iniziale.
Questa custodia
del cuore altro non è che la sollecitudine abituale, o almeno frequente, di
preservare tutti i miei atti, man mano che si presentano, da tutto ciò che
potrebbe viziare la loro intenzione o la loro esecuzione. Sollecitudine calma, spontanea,
senza sforzo, allo stesso tempo umile e forte, perché basata sul ricorso filiale
a Dio e sulla fiducia in tale ricorso.
Si tratta di un
lavoro più del cuore e della volontà che non della mente, la quale
deve rimanere libera per compiere i miei doveri. Ben lungi dall’intralciare la mia
azione, la custodia del cuore la perfeziona, regolandola secondo lo spirito di Dio
e adattandola ai miei doveri di stato.
Tale esercizio
voglio praticarlo ad ogni ora. Esso consisterà in uno sguardo gettato dal
cuore sulle azioni presenti e in un’attenzione moderata alle diverse parti di un’azione,
man mano che la compio. Sarà l’osservanza esatta dell’ age quod agis61. La mia anima, come vigile
sentinella, eserciterà la sua sollecitudine su tutti i movimenti del cuore,
su tutto ciò che accade nel mio interno: impressioni, intenzioni, passioni,
inclinazioni, insomma su tutti i miei atti interni ed esterni: pensieri, parole e
azioni.
Naturalmente questa
custodia del cuore esigerà un certo raccoglimento e non la si potrà
praticare se la mia anima è dissipata. Ma con la frequenza di questo esercizio
acquisterò a poco a poco l’abitudine che lo renderà facile.
Quo vadam
et ad quid?62 Cosa farebbe Gesù?
Come agirebbe al mio posto? Cosa mi consiglierebbe? Cosa mi chiede in questo momento?
Queste sono le domande che verranno spontaneamente alla mia anima avida di vita interiore.
Quando mi sentirò
portato ad avvicinarmi a Gesù per mezzo di Maria, la custodia del cuore rivestirà
allora un carattere maggiormente affettivo. Ricorrere a questa buona Madre diventerà
per il mio cuore un incessante bisogno.
Così si
realizzerà quel restate in Me ed Io in voi (Gv. 15, 4) che riassume
tutti i principi della vita interiore. Ciò che voi, o Gesù, esprimete
come frutto dell’Eucaristia – egli rimane in Me ed Io in lui – la mia
anima vuole ottenerlo con quella custodia del cuore che mi unirà a voi.
Rimane in
Me…: si, io mi considererò come veramente a casa mia nel vostro divino
Cuore, col diritto di disporre di tutte le vostre ricchezze usando gl’illimitati
tesori della grazia santificante e l’inesauribile miniera delle vostre grazie attuali.
…ed Io
in lui. Per mezzo della mia custodia del cuore, anche Voi, o mio amato Salvatore,
sarete veramente presente nell’anima mia. E affinché i miei sforzi tendano
ad assicurare l’esercizio continuo della vostra regalità sulle mie facoltà,
io veglierò per non compiere nulla al di fuori di voi, ma la mia ambizione
giungerà sino a voler mettere in ognuna delle mie azioni una forza d’amore
sempre più grande.
Il risultato della
mia custodia del cuore sarà l’abitudine all’interiore raccoglimento e alla
lotta spirituale, una vita laboriosa e regolata ed un incalcolabile aumento di meriti.
Così, o
Gesù, la mia unione indiretta con Voi per mezzo delle mie opere, cioè
per mezzo delle relazioni che avrò con le creature secondo la vostra volontà,
diverrà la continuazione dell’unione diretta con Voi per mezzo della meditazione,
della vita liturgica e dei Sacramenti. In entrambi i casi, questa unione procederà
dalla fede e dalla carità e si compirà sotto l’influsso della grazia.
Nell’unione diretta ho in mira Voi stesso e Voi solo, o mio Dio; in quella indiretta
invece mi applico ad altre cose, ma poiché lo faccio per obbedire a voi, queste
cose alle quali dedico la mia attenzione divengono mezzi voluti da Voi per unirmi
a Voi: nel lasciarvi, vi ritrovo! Siete sempre Voi quello che io cerco e sempre col
medesimo cuore, ma rimanendo nella vostra volontà, la quale è il solo
faro che la custodia del cuore mi fa sempre fissare per indirizzare la mia attività
al vostro servizio. In entrambi i casi posso dunque esclamare: Il mio bene
è aderire a Dio (Ps. 62, 28).
È pertanto
errato credere che, per unirmi a Voi, o mio Dio, io debba rinviare l’azione oppure
attendere che sia terminata. È errato supporre che certi lavori, per loro
natura o a causa del tempo in cui vanno eseguiti, possano dominarmi ed impacciare
talmente la mia libertà da impedirmi di unirmi a Voi. No, voi mi volete libero;
non volete che l’azione mi domini; volete che io ne sia il padrone e non lo schiavo.
A questo scopo, se sono fedele alla custodia del cuore, voi mi offrite la vostra
grazia.
Dal momento dunque
che il pratico senso soprannaturale, mediante i molteplici avvenimenti, le circostanze
e i particolari disposti dalla vostra Provvidenza, mi ha fatto capire che una tale
azione è davvero voluta da voi, non devo sottrarmene né compiacermene.
Devo incominciarla e continuarla, ma unicamente per fare la vostra volontà,
perché altrimenti l’amor proprio ne vizierebbe il valore e ne diminuirebbe
il merito63. Una volta capito ciò
che voi volete e come lo volete, o Gesù, se poi lo compio perché siete
voi che lo volete, la mia unione con voi non solo non diminuirà, ma anzi s’intensificherà.
1. Necessità
della custodia del cuore
Mio Dio, voi siete
la Santità stessa e quaggiù ammettete alla vostra intimità un’anima
solo nella misura in cui essa si applica per distruggere o evitare tutto ciò
che può macchiarla.
Pigrizia spirituale
nell’innalzare il mio cuore a voi, affetto disordinato per le creature, asprezze
ed impazienze, rancore, capricci, mollezza, ricerca delle comodità, facilità
a parlare (senza giusta ragione) dei difetti altrui, dissipazione, curiosità
senza alcun rapporto con la gloria di Dio, pettegolezzi, loquacità, giudizi
vani e temerari sul prossimo, vana compiacenza di sé, disprezzo per
gli altri, critica della loro condotta, ricerca della stima e della lode, sfoggio
di ciò che torna a proprio vantaggio, presunzione, ostinazione, gelosia, mancanza
di rispetto all’autorità, mormorazioni, mancanza di mortificazione nel
bere e nel mangiare, eccetera… che formicaio di peccati veniali, o almeno d’imperfezioni
volontarie, può invadermi e privarmi delle abbondanti grazie che mi avete
riservato da tutta l’eternità!
Che mai saranno
la meditazione e la vita liturgica, se non mi portano progressivamente a mantenere
la mia anima tanto raccolta da poter vegliare anche contro le mancanze di mera fragilità,
se non mi aiutano a rialzarmi con prontezza ogni volta che la mia volontà
comincerà a cedere, se non m’incitano in certi casi ad impormi una sanzione?
Se manca la custodia
del cuore, io posso paralizzare la vostra azione in me, o Gesù! Le Messe,
le Comunioni, le confessioni, gli altri esercizi di pietà, la speciale protezione
della divina Provvidenza per la mia eterna salvezza, la sollecitudine del mio Angelo
custode, perfino la vostra stessa materna vigilanza su di me, o Madre Immacolata,
tutto può essere paralizzato e reso sterile per colpa mia.
Se manco di buona
volontà nell’impormi quella violenza alla quale alludete, o Gesù, con
quelle parole – sono i violenti a conquistarselo (Mt. 11, 12) – Satana
cercherà senza posa di sorprendere il mio cuore per traviarlo ed indebolirlo,
e giungerà fino a pervertire la mia coscienza con l’illusione.
Alcune cadute
che tu, o anima mia, ritieni essere dovute a mera fragilità, forse agli occhi
di Dio sono già di più grave natura. Come potresti affermare il contrario,
se tu non pratichi l’esercizio della custodia del cuore e non tendi a realizzare
il programma di consacrare a Gesù l’intenzione di ogni azione?
Senza questa risoluzione
della custodia del cuore, non solo mi vado accumulando tremende e lunghe espiazioni
per il Purgatorio, ma, seppure evito ancora il peccato mortale, sono sulla china
che mi ci porta fatalmente. Non ci pensi, anima mia?
2. La presenza
di Dio, fondamento della
custodia del cuore
O Ss.ma Trinità,
se sono in stato di grazia, come spero, Voi abitate nel mio cuore con tutta la vostra
gloria, con tutte le vostre infinite perfezioni, come abitate nel Cielo, benché
nascosta sotto il velo della fede.
Non c’è
istante in cui non tenete l’occhio su di me per scrutare le mie azioni. La vostra
giustizia e la vostra misericordia operano continuamente in me. In risposta alle
mie infedeltà, talvolta mi ritirate le vostre grazie elette o cessate di disporre
maternamente degli avvenimenti che dovrebbero tornare a mio vantaggio, talvolta mi
colmate di nuovi benefici per richiamarmi a Voi.
Se la vostra abitazione
in me fosse la cosa più importante e la più degna di considerazione
ai miei occhi, starei io così spesso e per tanto tempo senza pensarci? Non
è forse dalla mancanza d’attenzione a questo fatto fondamentale della mia
esistenza, che provengono gli insuccessi che fino ad ora sono seguiti ai miei tentativi
di custodia del cuore?
Le giaculatorie,
succedendosi regolarmente lungo la giornata, avrebbero dovuto ricordarmi questa amorosissima
abitazione di Dio in me. Ti sei finora impegnata abbastanza, anima mia, nel ripetere
qualche giaculatoria, almeno una volta ogni ora? Hai approfittato abbastanza della
tua quotidiana meditazione e della tua vita liturgica, per rientrare di tanto in
tanto, anche solo per alcuni istanti, nel santuario intimo del tuo cuore, adorandovi
la Bellezza infinita, l’Immensità, l’Onnipotenza, la Santità, la Vita,
l’Amore, insomma il Bene supremo e perfetto che si degna di abitarvi e che è
il tuo Principio e il tuo Fine?
E le comunioni
spirituali? Che posto occupano nella mia giornata? Eppure esse sono in ogni momento
a mia disposizione, non solo per ricordarmi la presenza della Ss.ma Trinità,
ma anche per accrescere questa inabitazione divina con una nuova infusione del Sangue
redentore nella mia anima!
In che conto ho
tenuto finora questi tesori posti sulla mia via? Mi sarebbe bastato chinarmi per
raccogliere questi diamanti e ornarmene la corona. Come sono lontano da quelle anime
che, pur continuando i loro lavori o le loro conversazioni, ritornano al loro Ospite
divino migliaia di volte al giorno! Avendo preso questa abitudine, il loro cuore
è inchiodato là dove sta il loro tesoro.
3. La devozione
alla Madonna facilita
la custodia del cuore
O Immacolata Madre
mia, la parola del vostro Figlio sul Calvario mi ha costituito vostro figlio adottivo,
affinché voi mi aiutiate a conservare il mio cuore unito alla Ss.ma Trinità
per mezzo di Gesù.
Voglio che le
giaculatorie sempre più frequenti che vi rivolgerò mirino soprattutto
a questa custodia del cuore, allo scopo di purificarne le tendenze, le intenzioni,
gli affetti e le decisioni.
Non voglio più
ignorare questa vostra dolce voce: Fermati, figlio mio, risana il tuo cuore!
No, non è vero che in questo momento tu cerchi solamente la gloria di Dio!
Quante volte, durante le mie dissipazioni o le mie occupazioni sregolate, mi avete
rivolto questo materno invito e quante volte, ahimé, l’ho soffocato!
Madre mia, d’ora
innanzi ascolterò questo richiamo del vostro Cuore, e la mia fedeltà
vi risponderà con una decisione energica e integra. Forse non avrà
che la durata di un lampo, ma sarà sufficiente perché possa pormi l’una
o l’altra di queste domande: Per chi faccio l’azione che compio? E come agirebbe
Gesù al mio posto? Quando diventa un’abitudine, questa intima indagine
costituisce la custodia del cuore. Essa mi permetterà di mantenere le mie
facoltà e le loro tendenze, fin nei loro minimi dettagli, in un’abituale e
sempre più perfetta dipendenza da quel Dio che abita in me.
4. Come s’impara
la custodia del cuore
Io gemo nel vedere
che, durante il mio lavoro, resto estraneo alla presenza di Dio per lunghi intervalli
di tempo; gemo nel costatare che, durante questo tempo di vita esteriorizzata, mi
sfuggono molte mancanze.
Qualunque sia
lo stato dell’anima mia – mescolanza di fervore e imperfezioni oppure evidente tiepidezza
– voglio incominciare da oggi a rimediarvi esercitandomi nella custodia del cuore.
Durante la mia
orazione mattutina determinerò, ma risolutamente e chiaramente, un momento
del mio lavoro nel quale, pur compiendo con ardore l’opera voluta da Dio, mi sforzerò
di vivere il più perfettamente possibile di vita interiore, di custodia del
cuore, cioè di vigilanza sotto il vostro sguardo, o Gesù, ricorrendo
a voi come se avessi fatto voto di scegliere il più perfetto.
Cominciando con
non più di cinque minuti, al mattino e alla sera (64), punterò più
alla perfezione di questo esercizio che non alla sua durata; mi sforzerò di
compierlo sempre meglio e di agire in mezzo al lavoro, anche e soprattutto se assorbente,
imitando i santi nella purezza d’intenzione, nella custodia del cuore in tutte le
mie facoltà, nella generosità di condotta, insomma agendo come avrebbe
fatto Gesù stesso, se avesse compiuto l’identico lavoro.
Questo sarà
un tirocinio di vita interiore pratica; sarà una reazione alla mia abitudine
di dissiparmi e di svagarmi. Io desidero Gesù, voglio il suo Regno e voglio
che esso continui in me, durante il tempo delle occupazioni esteriori. Non voglio
più che l’anima mia sia come un corridoio aperto a tutti i venti mettendosi
nell’impossibilità di vivere unita a Gesù, ma voglio anzi che sia vigilante,
supplicante e generosa.
In quel breve
momento il mio occhio, senza sforzo ma con precisione, vigilerà sulle diverse
intenzioni della mia anima, che non si perdonerà nulla. La mia buona volontà
sarà a sua volta ardentemente decisa a non risparmiare nulla per vivere con
perfezione durante quel breve intervallo. Il mio cuore, da parte sua, sarà
risoluto a ricorrere con frequenza al Signore per mantenersi in questo esercizio
di santità.
Questo esercizio
sarà franco, cordiale e compiuto con espansione di animo. Per mantenermi alla
presenza di Dio e negare alle mie facoltà ed ai miei sensi tutto ciò
che sa di naturale, mi saranno certamente necessarie la vigilanza e la mortificazione.
Ma non mi accontenterò di questa parte privativa. Mirerò soprattutto
a temprare questo esercizio in una intensa carità che dia alle mie azioni
tutta la loro perfezione e tutto il loro valore, facendomi compiere con la massima
cura l’ age quod agis, dapprima con la purezza d’intenzione e poi con
un ardore, una impersonalità ed una generosità sempre crescenti.
Nell’esame generale
della sera (o a quello particolare, se prendo come argomento questo esercizio) farò
una rigorosa analisi di tali momenti di custodia del cuore più stretta, incondizionata
e fatta presso Gesù. Durante questo esercizio di custodia del cuore, cioè
di vita interiore unita alla vita attiva, se avrò constatato di non essere
stato abbastanza vigilante, fervente, supplichevole, amante, allora m’imporrò
per punizione una piccola penitenza: anche solo la privazione di un po’ di vino o
di frutta, senza farmi notare, oppure una breve preghiera a braccia in croce, o qualche
colpo di riga o d’un oggetto duro sulle dita.
Che meravigliosi
risultati produrrà questo esercizio! Che scuola di custodia del cuore! Che
nuove vedute su peccati ed imperfezioni di cui prima non sospettavo nemmeno l’esistenza!
Quest’istanti
benedetti a poco a poco irraggeranno virtualmente su quelli che li seguiranno. Tuttavia
li prolungherò solo se avrò quasi esaurito quanto posso intravedere
dell’orizzonte di santità, di perfezione d’esecuzione e d’intensità
d’amore.
Più che
alla durata, mirerò alla qualità. E la mia aspirazione a non limitarmi
a pochi minuti si accentuerà nella proporzione in cui avrò visto più
esattamente quel che io sono e ciò che Voi attendete da me, o Gesù.
A poco a poco, familiarizzandomi con questo salutare esercizio, ne contrarrò
il bisogno, ne acquisterò l’abitudine e Voi scoprirete all’anima mia, così
purificata, i segreti della vita di unione con Voi.
5. Condizioni
della custodia del cuore
La trama della
mia vita è quasi tutta più o meno macchiata. È proprio da questa
convinzione, dalla quale Satana cerca distrarmi, che nasce la diffidenza verso me
stesso e verso le creature. Questo fattore, innestato sul mio desiderio di appartenere
a Gesù, produrrà necessariamente:
– vigilanza sincera,
esatta, dolce, calma, fiduciosa nella grazia e basata sulla repressione della dissipazione
e degli eccessi della premura naturale;
– rinnovamento
frequente delle mie riflessioni;
– ricominciamenti
continui, pieni di fiducia nella misericordia di Gesù verso l’anima che lotta
veramente per arrivare alla custodia del cuore;
– certezza crescente
di non combattere da solo ma unito a Gesù che vive in me, a Maria mia Madre,
al mio Angelo custode e ai Santi;
– convinzione
che questi potenti alleati mi assistono in ogni istante purché io mantenga
questa custodia del cuore e non mi allontani dalla loro assistenza;
– ricorso cordiale
e frequente a tutti questi divini soccorritori, affinché mi aiutino a fare
ciò che Dio vuole e a farlo nel modo che vuole e perché
lo vuole.
Oh, come si trasformerà
la mia vita, o Gesù, se io conserverò il mio cuore unito a Voi! La
mia intelligenza potrà essere interamente applicata all’azione in corso; ma
voglio giungere ad effettuare in me, anche nelle occupazioni più assorbenti,
ciò che ho potuto constatare in anime estremamente occupate il cui cuore tuttavia
non cessava di respirare in Voi.
Se ho ben compreso
cosa sia la custodia del cuore, il respiro dell’anima mia nell’atmosfera di amore
che siete Voi, o Gesù, ben lungi dal diminuire la libertà d’azione
necessaria alle mie facoltà per compiere i doveri del mio stato, non farà
anzi che aumentarla, rendendo la mia vita serena, illuminata, forte e feconda.
Invece di essere
lo schiavo del mio orgoglio, del mio egoismo o della mia pigrizia, invece di gemere
sotto la schiavitù delle passioni e delle impressioni, io diventerò
sempre più libero. E di questa mia perfezionata libertà potrò
farvi, o mio Dio, frequenti omaggi di sottomissione. Così mi stabilirò
nella vera umiltà, fondamento senza il quale la vita interiore non sarebbe
che inganno; così svilupperò in me quello spirito fondamentale della
sottomissione – submissio ad Deum – che riassume tutta la vita intima
del Salvatore64.
Col partecipare
alla fiamma d’amore che vi rese, o Gesù, sempre così attento e docile
alla volontà del Padre vostro, io meriterò di partecipare in Cielo
a quella gloria di cui gioisce la vostra umanità in ricompensa della sua ammirabile
dipendenza di umiltà e d’amore: Cristo si fece obbediente fino alla
morte (…), perciò Dio lo ha esaltato (Fil. 2, 9).
–
V – L’apostolo ha bisogno di un’ardente devozione a Maria Immacolata
Come membro di
quell’Ordine Cistercense così strettamente consacrato a Maria, come figlio
di quel San Bernardo che per mezzo secolo fu apostolo incomparabile dell’intera Europa,
come potrei dimenticare che il santo abate di Chiaravalle attribuiva a Maria tutti
i suoi progressi nell’unione con Gesù e tutti i suoi successi nell’apostolato?
Tutti sanno quale
fu, in mezzo ai popoli e presso i re, in seno ai Concili e sul cuore dei Papi, l’apostolato
di colui che rimane il più illustre figlio del Patriarca San Benedetto. Tutti
esaltano la santità, il genio, la profonda scienza delle Sacre Scritture e
la penetrante unzione dell’ultimo Padre della Chiesa.
Ma ciò
che riassume maggiormente l’ammirazione dei secoli per questo santo Dottore, è
il titolo che gli venne decretato di Cytharista Mariae, Cantore di Maria;
egli non fu sorpassato da nessuno di coloro che hanno celebrato le glorie della Madre
di Dio.
San Bernardino
da Siena, san Francesco di Sales, Bossuet, sant’Alfonso e san Luigi Grignion de Montfort,
tutti attingono a piene mani dai tesori di san Bernardo, quando vogliono celebrarla
e trovare argomenti per sostenere quella verità messa in rilievo dal nostro
santo Dottore: Tutto ci viene per mezzo di Maria.
Vediamo,
o fratelli, con quali sentimenti di devozione ha voluto che noi onorassimo Maria
quel Dio che ha posto in lei la pienezza di ogni bene. Se c’è in noi qualche
speranza, qualche grazia, qualche pegno di salvezza, riconosciamo che tutto questo
ci viene da Colei che è ricolma di delizie. (…) Se togliete questo sole
che rischiara il mondo, non ci sarà più giorno. Se togliete Maria,
questa stella del mare, che rimarrà di questo nostro vasto mare, se non profonda
oscurità, ombra di morte e fitte tenebre? È dunque dal più intimo
dei nostri cuori, dal fondo stesso delle nostre viscere e dei nostri desideri, che
dobbiamo onorare la Vergine Maria, perché questa è la volontà
di Colui che volle ricevessimo tutto per mezzo di Lei65.
Fortificato da
questa dottrina, non esito a stabilire che l’apostolo, qualunque cosa faccia per
la sua salvezza, per il suo progresso spirituale e per la fecondità del suo
apostolato, rischia di costruire solo sulla sabbia, se la sua attività non
poggia su di una specialissima devozione alla Madonna.
1. Ne ha bisogno
per la vita interiore personale
L’apostolo non
è sufficientemente devoto verso sua Madre, se la sua fiducia in Lei è
priva di entusiasmo e se il culto che Le rende è quasi solo esteriore. Come
suo Figlio, la Vergine intuetur cor, guarda solamente ai nostri cuori,
e non ci considera come suoi veri figli se non a misura del vigore con cui il nostro
amore corrisponde al suo.
Cuore fermamente
convinto delle grandezze, dei privilegi e delle missioni di Colei che è ad
un tempo Madre di Dio e Madre degli uomini;
Cuore penetrato
da questa verità per cui la lotta contro i difetti, l’acquisto delle virtù,
il regno di Gesù Cristo nelle anime e perciò la sicurezza della salvezza
e della santificazione, sono in proporzione del grado di devozione verso Maria66;
Cuore dominato
dal pensiero che nella vita interiore tutto diventa più facile, più
sicuro, più soave e più rapido, quando si agisce con Maria67;
Cuore traboccante
di filiale fiducia, qualunque cosa avvenga, verso Colei di cui conosce per esperienza
le delicatezze, le premure, le tenerezze, le misericordie e le generosità68;
Cuore sempre più
infiammato di amore verso Colei ch’esso non separa da nessuna delle sue gioie, che
unisce a tutte le sue pene e per la quale passano tutti i suoi affetti.
Tutti questi sentimenti
riflettono bene il cuore di San Bernardo, modello dell’uomo di azione. A tutti sono
note le parole che sgorgarono dall’anima del santo Abate quando, spiegando ai suoi
monaci il passo evangelico Missus est, esclamava:
O tu che,
in mezzo al flusso e riflusso di questo mondo, ti accorgi che, invece di camminare
sulla solida terra, vai navigando in mezzo alle burrasche: se non vuoi morire nella
tempesta, tieni l’occhio fisso su questa stella. Se infuriano i venti delle tentazioni,
se urti contro gli scogli delle tribolazioni, guarda la stella, invoca Maria. Se
sei scosso dai marosi della superbia, dell’ambizione, della maldicenza, della gelosia,
guarda la stella, invoca Maria. Se la collera o l’avarizia o la cupidigia assalgono
la fragile imbarcazione dell’anima tua, eleva gli occhi a Maria. Se, accasciato dall’enormità
delle tue mancanze, confuso per le immonde piaghe della tua coscienza, spaventato
dall’orrore del Giudizio, ti senti assalito dalla tristezza e dalla disperazione,
pensa a Maria. Maria non sia mai lontana dal tuo labbro, mai lontana dal tuo cuore;
e per ottenere il suffragio delle sue preghiere non dimenticare mai l’esempio della
sua vita. Se la segui non ti perdi; se la preghi non disperi; se la contempli non
cadi in errore; col suo appoggio non cadi; sotto la sua protezione non temi; con
la sua guida non ti stanchi; se Ella ti è propizia raggiungerai il porto.
Essendo costretto
a limitarmi, ma volendo offrire ai miei confratelli nell’apostolato una sorta di
riassunto dei consigli di San Bernardo per arrivare ad essere veri figli di Maria,
credo di non poter fare di meglio che invitarli fraternamente a leggere con attenzione
quel così solido e prezioso scritto: La vie spirituelle à l’école
du Bienheureux Grignion de Montfort, scritto dal padre Lhoumeau69.
Assieme alle opere
di sant’Alfonso, i commentari del padre Desurmont, gli scritti del padre Faber e
del padre Giraud di la Salette, nessun altro libro meglio di questo del padre Lhoumeau
rieccheggia gli scritti di san Bernardo, del resto citati ad ogni passo. Solida base
teologica, unzione, carattere pratico, nulla manca per ottenere il risultato che
perseguiva incessantemente l’abate di Chiaravalle: plasmare cioè il cuore
dei suoi figli a immagine del suo e dare a loro l’antica caratteristica degli autori
cistercensi: il bisogno del ricorso abituale a Maria e la vita d’unione con Lei.
Termino con la
parola consolante che la illustre cistercense santa Geltrude, chiamata dal Guéranger
Geltrude la Grande, udì dalle labbra della Ss.ma Vergine: Il
mio amatissimo Gesù non va chiamato mio Figlio unigenito bensì mio
Primogenito. Lo concepii per primo nel mio seno, ma dopo di lui, o meglio per mezzo
di lui, ho concepito tutti voi perché diveniate suoi fratelli e miei figli,
adottandovi nelle viscere della mia materna carità. Nelle opere di questa
santa patrona delle Trappiste, tutto riflette lo spirito del padre san Bernardo,
riguardo alla vita di unione con Maria.
2. Ne ha bisogno
per la fecondità dell’apostolato
Sia che l’uomo
di azione debba sottrarre le anime al peccato, sia che debba far sbocciare in loro
le virtù, deve sempre aver come primo scopo quello di far nascere in loro
Gesù Cristo, sull’esempio di san Paolo. Ora, secondo Bossuet, Dio, avendo
voluto darci una volta Gesù Cristo per mezzo della Ss.ma Vergine, non muta
più il suo disegno: avendo Ella generato il capo, deve generare anche le membra.
Isolare Maria
dall’apostolato, sarebbe ignorare un aspetto essenziale del piano divino. Tutti
i predestinati – dice sant’Agostino – sono in questo mondo nascosti nel seno della
Ss.ma Vergine ove sono conservati, nutriti, custoditi e cresciuti da questa buona
Madre, finché non li genererà alla gloria dopo la morte.
Dopo l’Incarnazione,
conclude giustamente san Bernardino da Siena, Maria ha acquistato una sorta di giurisdizione
su ogni missione temporale dello Spirito Santo, per cui nessuna creatura riceve grazie
se non dalle sue mani.
Ma il vero devoto
di Maria diventa a sua volta onnipotente sul cuore di questa sua Madre. Quale apostolo
potrà dunque dubitare dell’efficacia del suo apostolato, se con questa devozione
egli dispone dell’onnipotenza di Maria sul Sangue redentore?
Per questo noi
vediamo che tutti i più grandi apostoli sono animati da una straordinaria
devozione verso la Ss.ma Vergine. Vogliono sottrarre un’anima al peccato? Quale ardore
di persuasione hanno, allora, perché si sono identificati, per l’orrore del
male e l’amore della virtù, con Colei che si è definita l’Immacolata
Concezione!
È alla
voce di Maria che il Precursore riconobbe la presenza di Gesù e trasalì
nel seno di sua madre. Quali accenti Maria potrà dare ai suoi veri figli per
aprire a Gesù i cuori finora rimasti chiusi! Quali parole gli intimi della
Madre della misericordia sanno trovare, per impedire che la disperazione s’impadronisca
delle anime che per lungo tempo hanno abusato delle grazie!
C’è uno
sventurato che ignora Maria? La sicurezza con cui l’uomo di azione gliela mostra
vera Madre e rifugio dei peccatori, apre nuovi orizzonti agli occhi di quel peccatore.
Il santo Curato
d’Ars incontrava talvolta dei peccatori che, accecati dall’illusione, si appoggiavano
a qualche pratica esteriore verso la Santa Vergine per tranquillizzarsi, per peccare
più facilmente e per non temere le fiamme eterne. Allora la sua parola diventava
dominatrice, sia per mostrare al colpevole la mostruosità di una presunzione
tanto ingiuriosa alla Madre di misericordia, sia per spingerlo ad usare quell’atto
di devozione per implorare la grazia di sfuggire alle strette del Serpente infernale.
In un caso analogo,
l’uomo d’azione poco devoto di Maria, con le sue parole dure e fredde, riuscirà
solo a far abbandonare al povero naufrago quel relitto che avrebbe potuto diventare
per lui la tavola di salvezza.
Maria vivente
nel cuore dell’apostolo è la stessa eloquenza materna assicurata all’operaio
evangelico per commuovere le anime nelle quali tutto è perduto. Pare che Gesù
Cristo, per un’ammirabile delicatezza, abbia voluto riservare alla mediazione di
sua Madre le conquiste più difficili dell’apostolato ed abbia voluto accordarle
solo a coloro che vivono intimamente uniti a Lei. Per opera tua, i nostri nemici
vengono annientati.
Il vero figlio
di Maria non si troverà mai privo di argomenti, di mezzi od perfino di espedienti,
quando, nei casi quasi disperati, dovrà fortificare i deboli e consolare gl’inconsolabili.
Il decreto con
cui alle Litanie lauretane è stata aggiunta l’invocazione Mater Boni
Consilii, si basa su quei titoli di Tesoriera delle divine grazie
e di Consolatrice universale ben meritati da Maria. Come Madre
del Buon Consiglio, soltanto ai suoi veri devoti ella dà, come a Cana,
il segreto per ottenere il vino della forza e della gioia, perché venga distribuito.
Ma è soprattutto
quando si tratta di parlare alle anime dell’amor di Dio, che la rapitrice dei cuori
– raptrix cordium, secondo l’espressione di San Bernardo – la sposa dell’Amore
sostanziale, mette sulle labbra dei suoi intimi le parole di fuoco che accendono
l’amore per Gesù e mediante questo fanno germogliare tutte le Virtù.
Come apostoli,
noi dobbiamo amare appassionatamente Colei che san Pio X chiamava Virgo Sacerdos
e la cui dignità sorpassa in tutto quella dei sacerdoti e dei pontefici. Questo
nostro amore ci dà il diritto di non considerare mai come perduta un’opera,
se l’abbiamo incominciata con Maria e vogliamo continuarla con Lei. Maria infatti
è fondamento e coronamento di tutto ciò che riguarda il Regno di Dio
per mezzo del Figlio suo.
Ma guardiamoci
bene dal credere di lavorare con Lei, se ci limitiamo ad erigerle altari o ad intonare
canti in suo onore. Ciò che Ella vuole da noi è una devozione che ci
permetta di affermare sinceramente che noi viviamo abitualmente uniti a Lei, che
ricorriamo al suo consiglio, che i nostri affetti passano attraverso il suo Cuore
e che rivolgiamo spesso le nostre richieste per mezzo suo. Ciò che Maria attende
soprattutto dalla nostra devozione, è l’imitazione di tutte le virtù
che ammiriamo in lei e l’abbandono incondizionato nelle sue mani, affinché
Ella ci rivesta del suo divino Figlio.
A questa condizione
di ricorrere abitualmente a Maria, noi imiteremo quel comandante del popolo di Dio
che, prima di marciare contro il nemico, diceva a Deborah: Se tu vieni con
me, andrò; ma se non vieni, non andrò (Giud. 4, 8), e compiremo
davvero tutte le nostre opere con Lei. Ella parteciperà non solo alle decisioni
principali, ma anche a tutti gl’imprevisti e perfino ai dettagli dell’esecuzione.
Uniti a Colei
che per noi riassume tutti i suoi privilegi nel titolo di Nostra Signora del
Sacro Cuore, noi non correremo mai il rischio di falsificare le nostre opere
permettendo ch’esse vadano contro la nostra vita interiore, che diventino un pericolo
per l’anima e possano servire più a gloria nostra che a quella del nostro
Dio. Al contrario, per mezzo delle opere noi giungeremo alla vita interiore e quindi
alla sempre più intima unione con Colei che deve assicurarci il possesso di
suo Figlio per tutta l’eternità.
NOTE
1.
Ogni risoluzione dev’essere meditata lentamente oppure divisa in più meditazioni.
Una semplice lettura non permetterebbe di avvantaggiarsene.
(Si badi che qui l’Autore, usando il termine orazione, vuole indicare
la preghiera rafforzata dalla meditazione su argomenti spirituali. – N. d. T.)
2.
Un libro di meditazione è quasi indispensabile per impedire che l’anima si
perda nel vago. Molti sono i testi antichi e moderni che presentano tutti i caratteri
di veri libri di meditazione e non solo di lettura spirituale. Ogni punto racchiude
una verità coinvolgente presentata con chiarezza, forza e concisione, in tal
modo che, dopo la riflessione, essa spinge ad un affettuoso e pratico colloquio con
Dio.
Un solo punto basta per una mezz’ora. Esso deve riassumersi in un testo biblico o
liturgico o in un’idea-madre adatta alla mia condizione. Conviene innanzitutto preferire
i Novissimi e il peccato, almeno una volta al mese; poi la vocazione, i doveri del
proprio stato, i vizi capitali, le virtù principali, gli attributi di Dio,
i misteri del Rosario oppure un’altra scena del Vangelo e soprattutto della Passione.
Nelle feste l’argomento è già indicato dalla Liturgia.
3.
Il clauso ostio del Signore m’invita a preferire per la mia orazione un luogo
in cui sarò il meno disturbato possibile: chiesa, camera, giardino, eccetera.
4.
Per esempio: il Signore che mostra il suo Sacro Cuore e dice: Io sono la resurrezione
e la vita. Oppure: Ecco quel Cuore che tanto ha amato gli uomini.
Oppure una scena della sua vita: Betlemme, il Tabor, il Calvario, eccetera. Se dopo
un sincero e breve sforzo non si riesce a procurarsi tale rappresentazione, si passi
oltre; supplirà Dio.
5.
Il successo della meditazione spesso dipende dalla cura che si mette nel considerare
l’Interlocutore come essere vivo e presente, smettendo quindi di trattarlo come lontano
e passivo, cioè come un’astrazione.
6.
Bisogna persuadersi vigorosamente che per tale colloquio Dio non chiede altro che
la buona volontà. L’anima che, perseguitata dalle distrazioni, ritorna ogni
giorno pazientemente e filialmente dal suo divino Interlocutore, fa un’ottima orazione.
A tutto supplisce Dio.
7.
Così si radicano le forti convinzioni e si preparano i doni dello spirito
di fede viva e d’intuizione soprannaturale.
8.
Il Suarez riassume in queste poche parole il frutto di tutti i trattati di ascetica.
Questi atti del sitio dispongono l’anima a decidere di non rifiutare nulla
a Dio.
9.
Conviene mantenere lo stesso proposito per mesi interi o da un ritiro all’altro.
L’esame particolare, sotto forma di breve colloquio col Signore, completa l’orazione
e, constatando il progresso o il regresso, facilita ottimamente l’avanzamento nella
perfezione.
10.
Io posso tutto in Colui che mi dà forza (Fil. 4, 13).
11.
L’orazione è il braciere in cui si ravviva la custodia del cuore. Dalla fedeltà
a tale pratica, verranno vivificati tutti gli altri esercizi di pietà. A poco
a poco l’anima acquisterà la vigilanza e lo spirito di orazione, cioè
l’abitudine di ricorrere a Dio con sempre maggior frequenza. L’unione con Dio nell’orazione
genererà l’unione intima con Lui anche durante le occupazioni più assorbenti.
Vivendo così unita al Signore mediante a custodia del cuore, l’anima attirerà
sempre più su di sé i doni dello Spirito Santo e le virtù infuse,
e forse Dio la chiamerà ad un grado di orazione più elevato.
L’eccellente libro di don Vital Lehodey, Le vie dell’orazione mentale (trad.
it. Marietti, Torino 1932) precisa bene quello che è richiesto all’anima per
elevarsi mediante i diversi gradi di orazione e dà le regole per discernere
se un’orazione superiore è veramente un dono di Dio o un frutto delle illusioni.
13.
La Chiesa, ispirata da Dio ed ammaestrata dai santi Apostoli, ha stabilito l’anno
in tal modo che ci si può trovare – con la vita, i misteri, la predicazione
e la dottrina di Gesù Cristo – il vero frutto di tutte queste cose nelle mirabili
virtù dei suoi servi, negli esempi dei suoi santi, ed infine un mistico compendio
dell’Antico e del Nuovo Testamento e di tutta la Storia ecclesiastica. In tal modo,
tutte le stagioni sono fruttuose per i cristiani, tutto è saturo di Gesù
Cristo. In questa varietà, che si compie tutta in quell’unità tanto
raccomandata da Gesù Cristo, l’anima innocente e pia trova, insieme a delizie
celestiali, un solido alimento ed un continuo rinnovamento del suo fervore (J. B.
Bossuet, Orazione funebre di Maria Teresa d’Austria; trad. it. in: Orazioni
funebri, Cantagalli, Siena 1934).
14. Ufficio di Natale.
15.
S. Pio X, Tra le sollecitudini, Motu Proprio del 22 novembre 1903.
16.
Unirsi alla preghiera altrui può condurre ad un alto grado di orazione. Lo
prova questo fatto. Un villico si era offerto di portare i bagagli di sant’Ignazio
e dei suoi primi compagni; vedendo che quei padri, arrivati ad una locanda, cercavano
un angolo tranquillo per raccogliersi alla presenza di Dio, egli faceva altrettanto
mettendosi in ginocchio come loro. Essi allora gli domandarono cosa facesse quando
si ritirava, ed egli rispose che si limitava a dire a Dio: Signore, costoro
sono dei santi e io sono la loro bestia da soma; quello che loro fanno voglio farlo
anch’io. Ecco ciò che offriva al Signore (cfr. A. Rodriguez, Trattato
della perfezione cristiana, Edizioni Paoline, Roma 1970, p. I, tr. V, cap. XIX).
Se quest’uomo, mediante quel continuo esercizio, giunse ad eccellere nella preghiera
e nella spiritualità, a fortiori anche l’illetterato che si unisce alla vita
liturgica della Chiesa se ne potrà approfittare grandemente.
Un frate converso di Chiaravalle, pur essendo addetto alla custodia delle pecore,
si unì meglio che poté, specialmente con la recita del saluto angelico,
al Mattutino cantato dai monaci nella notte dell’Assunzione, la cui lontana eco giungeva
fino a lui. Il Signore rivelò a San Bernardo che quella devozione così
umile e semplice era talmente piaciuta alla Madonna che l’aveva preferita a quella
dei religiosi peraltro fervorosi (Exordium magnum Ordinis Cistercensis, dist.
IV a, c. XIII).
17. San Pio X, Tra le sollecitudini, Motu proprio
del 22 novembre 1903.
18.
Il Sacerdote e perfino lo stesso Pontefice rivestono il carattere di semplici cristiani
quando, senza esercitare alcuna funzione, assistono ad una cerimonia e ne sanno approfittare.
19.
Comprendiamo meglio l’efficacia della Liturgia nel farci vivere della grazia e facilitarci
la vita interiore, quando ci ricordiamo che ogni preghiera ufficiale, ogni cerimonia
istituita dalla Chiesa possiede una forza d’impetrazione di suo irresistibile, per
se efficacissima. Qui infatti la potenza messa in atto per ottenere una certa
grazia non consiste solo nell’atto individuale e nella preghiera isolata di un’anima
per quanto ottimamente disposta, ma è anche il gesto della Chiesa che supplica
con noi, è la voce della Sposa beneamata che rallegra sempre il cuore di Dio
e che viene sempre in qualche modo esaudita.
Per riassumere questo in due parole, diremo che la forza d’impetrazione della Liturgia
consta di due elementi: l’opus operantis dell’anima che utilizza il grande
Sacramentale della Liturgia e l’opus operantis della Chiesa. I due atti, quello
dell’anima e quello della Chiesa, sono come due forze che si uniscono e vanno con
uno stesso slancio verso Dio.
20.
Ciascuno dei fedeli appare come una sorta di chiesa minore, e quindi
resta salva l’arcana unità del mistero, poiché anche un solo uomo riceve
i sacramenti dell’intera redenzione dell’uomo (S. Pier Damiani, Opus XI,
cap. X; cfr: Opera omnia, Tompere, Paris 1663, 4 vv.).
21.
S. Pier Damiani, citato da dom Adrien Gréa, La sainte Liturgie, Maison
de la Bonne Presse, Paris 1909, pag. 51.
22.
S. Ignazio di Antiochia, Epistula ad Ephesios, n. 3 (trad. it. in: Aa.Vv., I padri
apostolici, Città Nuova, Roma 1997). S. Alfonso de’ Liguori preferiva
un’orazione del Breviario a cento preghiere private.
23.
L’uomo viene insignito del carattere sacramentale affinché sia deputato al
culto di Dio secondo il rito dellla cristiana Religione (Card. Louis Billot, De
Ecclesia, Pontificia Universitas Gregoriana, Roma 1922, t. I, tesi II).
24.
Voi siete popolo eletto, regale sacerdozio, nazione santa (1 Pt. 2, 9).
25.
…santo sacerdozio, per poter offrire a Dio ostie spirituali accettabili mediante
Gesù Cristo (1 Pt. 2, 5). In questo senso Sant’Ambrogio dice: Tutti i figli
della Chiesa sono sacerdoti; difatti veniamo unti per un santo sacerdozio (In
Lucam Evangelii commentaria, l. IV, n. 33; trad. it. Esposizione del Vangelo
secondo Luca, Città Nuova, Roma 1997). Come noi veniamo detti tutti
cristiani, in forza del mistico crisma, così veniamo detti anche sacerdoti,
perché siamo membra dell’unico Sacerdote Gesù (Sant’Agostino,
De civitate Dei, lib. XX, cap. X).
26.
Memento, Domine famulorum famularumque tuarum et omnium circumstantium, pro
quibus tibi offerimus, vel qui tibi offerunt hoc sacrificium laudis. (…) Hanc igitur
oblationem servitutis nostrae, sed et cunctae familiae tuae quaesumus, Domine, ut
placatus accipias (dal Canone della Messa Romana antica).
Noi tutti offriamo in unione col Sacerdote, diamo il nostro consenso a tutto
quello che fa e a tutto quello che dice. Che dice egli infatti? ëPregate, o
fratelli, affinché il mio e il vostro sacrificio sia gradito davanti a Dio,
Padre onnipotente’. E voi che cosa rispondete? ëIl Signore lo accetti dalle
tue mani’. Che cosa? ëIl mio e vostro sacrificio’. Che dice ancora il sacerdote?
ëRicordati dei tuoi servi per i quali ti offriamo…’. Ma è tutto qui?
Egli aggiunge: ë…oppure ti offrono questo sacrificio’. Offriamo perciò
con Lui, offriamo Gesù Cristo; offriamo noi stessi con tutta la sua Chiesa
Cattolica sparsa per tutto il mondo (J. B. Bossuet, Meditazioni sui Vangeli,
trad. it. Città Nuova, Roma 1979 – La Cena, I parte, LXIII giorno).
27. S. Pier Damiani, citato da dom A. Gréa, La
Sainte Liturgie, cit., p. 51.
28.
L’uomo è stato creato al fine di lodare, amare e servire Dio, e mediante
questo salvare la propria anima (S. Ignazio, Esercizi Spirituali, principio
e fondamento).
Il fine nostro è il servizio del Signore ed è solo al fine di
servirlo meglio che dobbiamo correggerci dei nostri difetti e acquistare le virtù:
la santità non è che un mezzo di migliore servizio (S. Pier Giuliano
Eymard).
29. Sono delegati della Chiesa i chierici e i religiosi tenuti
al Breviario, anche quando lo recitano privatamente; lo sono anche, nelle loro chiese
canonicamente erette, quelli che sono obbligati all’ufficio del coro ed alle Messe
capitolari o conventuali, come pure quelli che, anche senza aver ricevuto gli Ordini,
ne compiono le funzioni col permesso della Chiesa, come ad esempio i chierichetti.
30.
S. Bernardino da Siena, Predica XX.
31.
Il sacerdote riveste persona giuridica della Chiesa e le sue parole menifestano quasi
la voce della Chiesa (Guglielmo da Parigi, De Sacramento Ordinis).
32. In forza dell’unità di fede, il sacerdote
compendia tutta la Chiesa e ne fa da vicegerente (S. Pier Damiani, Opus
XI, cap. X). Perché stupirsi se ogni sacerdote fa da vicario della
Chiesa, dato che, in forza del sacramento dell’intima unione, in lui è spiritualmente
compendiata l’intera Chiesa? (S. Pier Damiani, loc. cit.).
33. Il sacerdote è mediatore tra Dio e l’umana
natura: a questa egli reca i benefici divini e a Quello presenta le nostre richieste
(S. Giovanni Crisostomo, Homilia V, in illud: ëVidit Dominum’,
n. 1).
34.
Perché il sacerdote, recitando il Breviario, anche se è solo dice:
Dominus vobiscum? E perché risponde: Et cum spiritu tuo,
invece di dire: Et cum spiritu meo? Perché, dice san Pier Damiani,
il sacerdote non è solo. Quando celebra o prega, egli ha dinanzi a sé
tutta la Chiesa misteriosamente presente e la saluta dicendo: Dominus vobiscum;
poi, siccome rappresenta la Chiesa, essa risponde per sua bocca: Et cum spiritu
tuo (S. Pier Damiani, In ëDominus vobiscum’, Homilia, c.
6, 10, etc.). (Dal 1i gennaio 1961, secondo il Nuovo Codice delle Rubriche del Breviario
e del Messale Romano, i sacerdoti che recitano il Breviario da soli, al posto del
Dominus vobiscum dicono il Domine exaudi orationem meam:
Nuovo Codice, n. 247). (N. d. T.).
35.
Lodate il Signore, ma lodatelo offrendogli il vostro: non cioè con la
sola lingua e voce, ma anche con la vostra coscienza, con la vostra vita e le vostre
azioni (Sant’Agostino, Enarrationes in Psalmos, Ps. CXLVIII, n. 2).
Come gli uomini esigono da voi sacerdoti la santità, quando vi presentate
come ambasciatori di Dio presso di loro, così Dio la esige da te quando
ti presenti come intercessore presso di Lui. Un intercessore è un deputato
della miseria terrena inviato presso la giustizia divina. Ora, dice san Tommaso,
due sono le condizioni necessarie ad un deputato affinché possa essere accolto
favorevolmente: la prima è quella di essere un degno rappresentante del popolo
che l’invia; la seconda è quella di essere gradito al sovrano presso il quale
viene inviato. Ma tu, prete che non sei stimato come santo, come potresti essere
degno rappresentante del popolo cristiano, se non lo sei per integra espressione
delle cristiane virtù? E come potresti essere amico di Dio, se non sei nemmeno
un suo fedele servitore?
36.
Ciò che diciamo del sacerdote vale anche, fatte le debite proporzioni, per
il diacono ed il suddiacono.
37.
Egli è il principale Sacerdote, colui che offre in tutto e per tutti
i sacerdoti del Nuovo Testamento. Proprio in qualità di Sacerdote in eterno,
infatti, Egli stabilì gli Apostoli sacerdoti, affinché per mezzo di
loro fosse il suo Sacerdozio ad essere perpetuato (Card. Juan De Lugo, De
Eucharistia, disp. XIX, sect. VI, 86; in: Disputationes scholasticae et morales,
p. IV, Vives, Paris 1869).
38.
Siamo infatti cooperatori di Dio (1 Cor. 3, 9).
39.
I Santi Padri sembrano quasi esaurire la loro eloquenza nel parlare della dignità
sacerdotale. Il loro pensiero può venir riassunto in queste parole: una tale
dignità sorpassa tutto il creato; solo Dio è più grande. – La
sublimità del sacerdozio non può essere adeguato a nessun paragone
(S. Ambrogio, Liber de dignitate sacerdotii, cap. II). – Colui che definisce
un sacerdote, davvero descrive in qualche modo un uomo divino (S. Dionigi Areopagita).
– Siete preposti ai re ed agli imperatori, il vostro ordine è preferito
a tutti gli altri, anzi, per dire di più, siete preferiti ad Angeli, Arcangeli,
Troni e Dominazioni (S. Bonaventura, Sermo ad Pastores in Synodo in:
Id, Sermoni domenicali, Città Nuova, Roma 1992). – È chiaro
che nessuna funzione può compiersi più insigne della loro, e che a
ragione sono chiamati non solo angeli ma perfino dèi; essi infatti rappresentano
fra noi la forza e l’azione dell’invisibile Dio (Catechismo Romano,
promulgato da papa san Pio V, Cantagalli, Siena 1981, De Ordine, p. II cap. VI).
40.
Tutte le altre cose che si dicono riguardo ai superiori, vanno dette anche
riguardo ai sacerdoti (…) Quando viene per compiere il venerabile Sacramento, il
sacerdote non pronuncia più parole proprie ma pronuncia quelle di Cristo.
Perciò è la parola di Cristo a compiere questo Sacramento. Cos’è
la parola di Cristo? Appunto ciò mediante il quale tutto è stato fatto
(S. Ambrogio, De Sacramentis, lib. IV, cap. 4, n. 14 e ss.; trad. it. I
Sacramenti, Città Nuova, Roma 1982). Come il sacerdote è
assimilato da Cristo per esserne rappresentato, così pure Cristo parla per
bocca del sacerdote; non è quindi conveniente che il sacerdote mantenga la
propria persona in quelle parole (Card. De Lugo, De Eucharistia, cit.,
disp. XI, sect. V, n. 103).
41. È Lui stesso (Cristo) che sacrifica e immola.
(…) Anche se vedi il sacerdote fare l’oblazione, ricordati che non è lui
bensì Cristo che stende una visibile mano. (…) Il sacerdote non fa che prestargli
la lingua (S. Giovanni Crisostomo, Expositio in Johannis Evangelium,
Homilia LXXXVI, n. 4).
42.
Nihil aliud sacrifex est, quam Christi simulacrum (Petrus Blesens., Tractatus
rythmicus de Eucharistia, cap. VII).
43.
Rendere giusto un empio è opera maggiore che creare il Cielo e la terra
(S. Agostino).
44.
Voi siete la luce del mondo, il sale della terra. Ma se il sale diventa scipito,
con cosa si potrà salare? (Mt. 5, 13). – Siate esempio ai fedeli
nella parola, nella conversazione, nella carità, nella fede, nella castità
(1 Tim. 5, 12). – In ogni cosa divina, chi potrà osare farsi guida degli
altri, se non colui che in tutto il suo comportamento è diventato a perfetta
immagine e somiglianza di Dio? (S. Dionigi, De Ecclesiastica hierarchia).
– Il sacerdote deve avere vita immacolata, affinché tutti possano vedere
in lui un esempio eccellente (S. Giovanni Crisostomo, Homilia X in Timotheum;
trad. it. Commento alla I lettera a Timoteo, Città Nuova, Roma 1995).
– Non c’è nulla nel sacerdote che sia in comune con la folla. La vita
sacerdotale deve eccellere, come eccelle la grazia sulla natura (S. Ambrogio,
Epistula LXXXII).- I sacerdoti, se non sono più virtuosi di tutti,
sono la favola di tutti (S. Bernardo, De consideratione, lib. IV, c.
6). – Poiché coloro che ricevono un ordine sono costituiti dal loro
grado aldisopra del popolo, devono essergli superiori per merito di santità
(S. Tommaso, Summa theologica, suppl., q. 35). – I chierici chiamati
come parte del Signore, devono santificare la loro vita e il loro comportamento,
affinché nel loro abito, gesto, portamento, parola e in tutte le cose, non
ci sia nulla che non sia grave, regolato e pieno di sacralità (Concilii
Tridentini Acta, sess. 22, c. 1, de Reformatione). – È evidente
che chi è ordinato sacerdote deve eccellere quanto a preminenza di dignità:
per mezzo del sacro Ordine infatti si viene deputati ad esercitare una degnissima
funzione, per la quale si richiede una santità interiore che sia maggiore
perfino di quella richiesta dallo stato religioso (S. Tommaso, Summa theologica,
II-IIae, q. 184, a. 8). A malapena il buon monaco può essere un buon
sacerdote (S. Agostino, Ad Val.). – Non conoscano mai nessuna
misura nella loro ascesa e deificazione (S. Gregorio di Nazianzo). – Debbono
cercare di essere simili a Dio in santità, affinché coloro che vedano
il ministro dell’altare vedano in lui il Signore (S. Ambrogio, De officiis,
c. 5; trad. it. I doveri, Città Nuova, Roma 1977).
46.
Io faccio bene la mia meditazione per celebrare bene la mia Messa; celebro
bene la Messa e recito piamente il mio Breviario per fare bene la meditazione del
giorno dopo (P. Olivaint).
47.
Ego quae placita sunt ei facio semper (Gv. 8, 29). – Meus cibus
est ut faciam voluntatem eius qui misit me (Gv. 4, 34). – Descendi de
caelo non ut faciam voluntatem meam, sed voluntatem eius qui misit me (Gv.
6, 38).
48.
Colui che è fedele nel poco, lo sarà anche nel molto (Lc.
16, 10).
49.
…che ti offriamo per la tua Santa Chiesa cattolica (Canone della Messa).
51.
Completo le sofferenze che mancano alla Passione di Cristo, a vantaggio del
suo Corpo che è la Chiesa (Col. 1, 24).
52.
Tutta la Città redenta, ossia l’insieme della società dei santi,
si offrirà a Dio come sacrificio universale, per opera di quel Sacerdote che,
nella Passione, sotto le apparenze di servo, offrì se stesso per noi, affinché
noi diventassimo membra di lui, nostro Capo. (…) Ecco perché l’Apostolo
ci esorta ad offrire a Dio i nostri corpi come ostia viva e santa (…) Ecco il sacrificio
dei cristiani: che molti siano uno solo in Gesù Cristo. E questo sacrificio
la Chiesa non cessa di rinnovarlo nel Sacramento dell’Altare, ben conosciuto dai
fedeli, nel quale è dimostrato che, in ciò ch’essa offre, viene offerta
essa stessa (S. Agostino, De Civitate Dei, lib. X, cap. VI).
53.
L’Ostia gioverà al sacerdote, solo se egli stesso, trasformandosi in
ostia viva, vorrà umilmente ed efficacemente imitare il mistero che
compie (Piet. Bler., Epist. CXXIII). – Noi che celebriamo i misteri della
Passione domenicale, dobbiamo imitare ciò che celebriamo. Dio sarà
allora per noi una vera ostia, se noi stessi ci renderemo ostie (S. Gregorio
Magno, Dialogi de vita et miraculis Patrum italicorum, lib. IV, cap. LIX).
54.
Inno della Dedicazione della Chiesa.
55.
Ottiene più colui prega anche con l’intelletto che non colui che prega
solo con le labbra. Infatti colui che anche capisce si rianima sia nell’intelletto
che nel sentimento (S. Tommaso, In I Epistula ad Corintios commentarium,
l. XIV, c. 14).
56.
Orazione della Domenica XII dopo Pentecoste.
57.
È la preghiera che prepara alla recita del Breviario.
58.
Apostolato… oppure scandalo! In molte anime che vedono la religione attraverso
un vago intellettualismo o ritualismo, una predica data da un prete mediocre è
spesso ben meno efficace che l’apostolato di un vero prete la cui grande fede, compunzione
e pietà s’irraggiano in occasione di un Battesimo, di un funerale e soprattutto
di una Messa. Parole e riti sono le frecce capaci di commuovere quei cuori. La Liturgia
così vissuta riflette a loro il Mistero certo, l’Invisibile esistente, e li
invita a invocare quel Gesù da loro quasi sconosciuto, ma col quale sentono
che quel prete è in intima comunicazione.
Per contro, ci sarà attenuazione o perdita della fede, quando i presenti esclamano
disgustati: No, non è proprio possibile che questo prete creda in Dio
e lo tema, dato che celebra, battezza, recita preghiere e cerimonie in questo modo!
Che responsabilità! Chi oserebbe sostenere che tali scandali non siano oggetto
di un severo giudizio? Quale influenza possono avere sui fedeli la manifestazione
del timore riverenziale o al contrario la sciatteria nelle funzioni sacre!
Quand’ero studente universitario e sottratto a ogni influenza del clero, io ebbi
casualmente occasione di osservare a sua insaputa un sacerdote che recitava il suo
Breviario. Il suo contegno pieno di rispetto e di pietà fu per me una rivelazione
e avvertii fortemente il bisogno di pregare, anzi di pregare cercando d’imitare quel
prete. La Chiesa mi appariva come concretizzata in quel suo degno ministro che era
in comunione con Dio. All’opposto, un’anima leale mi confidò: vedendo
fino e che punto il mio parroco sbrigava la sua Messa, ne fui sconvolta e convinta
ch’egli non poteva avere la fede; da allora, smisi di pregare e perfino di credere,
e sono stata tenuta lontana dalla Chiesa da una sorta di disgusto causato dal timore
di riveder celebrare quel prete.
59.
Volendo caricaturare una persona che parla capricciosamente e senza badare a ciò
che dice, uno scrittore del secolo scorso, famoso tanto per la sua empietà
quanto per l’efficacia delle sue descrizioni, non trovava miglior paragone che questo:
come un prete che sbriga la sua Messa.
60.
Come ottenere la purezza d’intenzione? Essa si ottiene con una grande vigilanza su
di sé, all’inizio e soprattutto nello sviluppo delle nostre azioni.
Perché questa vigilanza è necessaria all’inizio dell’azione? Perché
se un’azione è gradevole, utile, conforme alle inclinazioni della natura,
essa si lascia condurre dal suo stesso movimento, seguendo la sola attrattiva del
piacere e dell’interesse. Ma quanta vigilanza e anche quale dominio su se stessi
bisogna avere, per impedire alla volontà di essere fin dall’inizio trascinata
dall’influenza dei motivi naturali che la lusingano, la sollecitano e la seducono!
E perché aggiungo che questa vigilanza è necessaria soprattutto nello
sviluppo della nostra azione? Perché, anche se all’inizio si ha avuto la forza
di rinunciare ad ogni attrazione lusingatrice dei sensi e dell’amor proprio, se,
nel proseguire, dimentichiamo di vigilare da vicino, l’attuale godimento del piacere
che si prova o dell’interesse che si ha nello sviluppo di certe azioni, nel suscitare
sempre nuove impressioni, rammolliscono il cuore a poco a poco, allora la natura,
benché mortificata dalle prime rinunce, si risveglia e riprende la sua influenza;
ben presto, l’amor proprio insinua sottilmente e quasi inconsciamente le sue esigenze
interessate, sostituendole alle buone intenzioni per le quali avevamo deciso e cominciato
le nostre azioni; in non si sa bene quali congiunture, si arriva al punto che ciò
che era stato cominciato nello spirito, finisce col compiersi nella carne, cioè
nelle basse vedute, come dice san Paolo (p. Pierre De Caussade).
61.
Fa’ quello che stai facendo, cioè: applicati con tutto l’impegno
all’azione presente.
62.
Dove vado e perché? Sono parole che Sant’Ignazio rivolgeva spesso
a se stesso, e che spesso appaiono nei suoi Esercizi Spirituali.
63.
Nel bene si trova nascosto un piacere, un onore, una gloria, un non so che di cui
la natura è eccezionalmente avida, e spesso anche più avida del male
stesso. L’anima non diffida abbastanza di questo verme roditore, di questo raffinato
egoismo che soffoca le grazie attuali. Il Signore, sia per bontà verso di
noi che per gelosia della sua gloria, si è dichiarato indifferente a tutti
i beni particolari e ha stabilito che una cosa sola gli fa piacere: la sua volontà.
Sicché anche un nonnulla, se fatto conformemente alla sua volontà,
merita il Cielo, mentre perfino i prodigi compiuti senza di essa rimangono senza
ricompensa. In tutte le cose, quindi, non basta proporsi un generico bene, ma quel
bene voluto da Dio, cioè la sua volontà (cfr. P. Desurmont, Le retour
continuel à Dieu).
64.
Questo è praticamente ciò che Bossuet chiama momento di solitudine
affettiva, che bisogna ad ogni costo procurarsi nel corso della giornata. È
quello che san Francesco di Sales consigliava con insistenza sotto il nome di ritiro
spirituale: In questo esercizio di ritiro spirituale e nella frequenza
delle giaculatorie sta la grande opera della devozione. Tale esercizio può
supplire alla mancanza di tutte le altre orazioni, mentre la mancanza di questo non
può quasi essere riparata da nessun altro mezzo. Senza di questo, la vita
attiva non sarà che mal compiuta (…) ed il lavoro non sarà che un
impedimento (Introduzione alla vita devota, p. II, c. III).
65.
L’umiltà consiste soprattutto nella sottomissione dell’uomo a Dio
(S. Tommaso).
66.
S. Bernardo, Sermones in Nativitate Beatae Virignis Mariae; Sermo de
aquaeductu; trad. it. in: Sermoni per le feste della Madonna, Ed. Paoline,
Roma 1990.
67.
Non si è mai salvato nessuno se non per mezzo vostro, o Maria, Madre
di Dio; nessuno riceve il dono di Dio, se non per mezzo di Voi, o piena di grazia
(S. Germano). La santità cresce in ragione della devozione che si professa
a Maria (P. Faber).
68.
Con Maria, si fa più progresso nell’amor di Dio in un mese, di quanto
se ne faccia in tanti anni vivendo poco uniti a questa buona Madre (S. Luigi
Grignion de Montfort).
69.
Figli miei, Lei è la mia massima fiducia e l’intero motivo della mia
speranza
(S. Bernardo).
*Titolo
originale dell’opera: L’âme de tout Apostolat. Prima traduzione sul
testo critico completo del 1947, a cura di Guido Vignelli.© 2000 Luci sull’Est, Via Castellini, 13/7 – 00197 Roma.
Edizione fuori commercio. Distribuzione gratuita.