L’anima di ogni apostolato (parte II)

«L’anima
di ogni apostolato
»

di
Dom Jean-Baptiste Gustave Chautard












Capii
che solo l’amore spinge all’azione le membra della Chiesa e che, spento questo amore,
gli apostoli non avrebbero più annunciato il vangelo, i martiri non avrebbero
più versato il loro sangue

(S.Teresa del Bambino Gesù)






Parte seconda*



Unione
della vita attiva e della vita interiore


I – Priorità, riguardo a Dio, della vita interiore sulla vita
attiva


In Dio è
la vita, tutta la vita, Egli è la Vita stessa. Ma non è nelle opere
esterne, come la creazione, che l’Essere infinito manifesta questa vita nella sua
maggiore intensità, bensì in quella che la teologia chiama operazione
ad intra, cioè in quell’attività ineffabile il cui risultato
è la generazione eterna del Figlio e l’incessante processione dello Spirito
Santo. Qui sta, per eccellenza, la sua opera essenziale e perpetua.


Consideriamo la
vita mortale di Gesù Cristo, perfetta esecuzione del piano divino. Trent’anni
di raccoglimento e di solitudine, poi quaranta giorni di ritiro e di penitenze, sono
il preludio alla sua breve carriera evangelica; ma poi quante altre volte ancora,
durante i viaggi apostolici, Lo vediamo ritirarsi sulle montagne o nel deserto per
pregare: Si ritirava in un luogo deserto e pregava (Lc. 5, 16), o passare
la notte in orazione: Si ritirò sul monte per pregare e passò
tutta la notte pregando Dio (Lc. 6, 12).


Fatto ancor più
significativo: quando Marta vorrebbe che il Signore, condannando la pretesa oziosità
della sorella, proclamasse la superiorità della vita attiva, la risposta di
Gesù – Maria ha scelto la parte migliore (Lc. 10, 42) – consacra
la preminenza della vita interiore. Quale conclusione dobbiamo trarne, se non il
ben fermo proposito di farci sentire la preponderanza della vita d’orazione rispetto
alla vita attiva?


Ad imitazione
del Maestro, gli Apostoli, suoi fedeli seguaci, si riserveranno anzitutto l’ufficio
della preghiera, e poi, per dedicarsi al ministero della parola, lasceranno ai diaconi
le occupazioni più esteriori: Noi invece ci occuperemo totalmente dell’orazione
e del ministero della predicazione (At. 6, 4).


A loro volta i
Papi, i santi Dottori ed i teologi affermano la superiorità essenziale della
vita interiore sulla vita attiva.


Anni addietro1 una donna di fede, di
virtù e di gran carattere, superiora generale d’una delle più importanti
Congregazioni insegnanti dell’Aveyron, veniva invitata dai superiori ecclesiastici
a favorire la secolarizzazione delle sue religiose.


Bisognava sacrificare
le opere alla vita religiosa, oppure abbandonare questa per conservare quelle? Perplessa,
non sapendo come conoscere la volontà di Dio, parte segretamente per Roma,
ottiene un’udienza da Leone XIII, gli espone il suo dubbio e la pressione che le
viene fatta in favore delle opere.


L’augusto vegliardo,
dopo essersi raccolto per pochi istanti, rispose in tono categorico: Prima
di tutto il resto, prima di tutte le opere, conservate la vita religiosa a quelle
tra le vostre figlie che hanno veramente lo spirito del loro santo stato e l’amore
per la vita d’orazione. Se voi non potrete conservare sia la vita religiosa che le
opere, Dio saprà suscitare in Francia altri operai, se necessario. In quanto
a voi, con la vostra vita interiore, con le vostre preghiere, con i vostri sacrifici,
sarete più utili alla Francia rimanendo religiose, anche se lontano, che non
restando sul suolo della patria, ma prive della vostra consacrazione a Dio.


In una lettera
indirizzata ad un noto Istituto totalmente consacrato all’insegnamento, San Pio X
dichiarò nettamente il suo pensiero con le seguenti parole:


Sappiamo
che va diffondendosi un’opinione, secondo la quale voi dovreste porre in primo piano
l’insegnamento ai fanciulli e soltanto in secondo la professione religiosa: così
lo esigerebbero lo spirito e i bisogni del tempo. Noi vogliamo assolutamente che
tale opinione non trovi il benché minimo credito, sia presso di voi sia presso
gli altri Istituti che, come il vostro, hanno lo scopo di educare. Resti pertanto
ben stabilito, per quanto riguarda voi, che la vita religiosa importa assai più
che la vita ordinaria e che se voi avete verso il prossimo il grave obbligo d’insegnare,
ben più gravi sono gli obblighi che vi legano a Dio.


Ma ragione d’essere
della vita religiosa, il suo fine principale, non è forse l’acquisto della
vita interiore? La vita contemplativa – dice il Dottore Angelico – è
semplicemente migliore di quella attiva e le è preferibile. San Bonaventura
accumula i comparativi di maggioranza per mostrare l’eccellenza di questa vita: Vita
più sublime, più sicura, più ricca, più soave, più
stabile.


Vita più sublime


Mentre la vita
attiva si occupa degli uomini, la vita contemplativa ci fa entrare nel dominio delle
verità più alte, senza distogliere lo sguardo dal principio stesso
di ogni vita: Principium quod Deus est quaeritur. Trovandosi più
in alto, questa vita ha un orizzonte ed un campo di azione molto più esteso.
Marta in un solo luogo si dedicava col corpo a pochi lavori. Maria invece con
il suo amore lavorava in più luoghi e a numerose opere. Contemplando e amando
Dio, ella vedeva tutto, partecipava a tutto, comprendeva e abbracciava tutto. Si
può dunque dire che, a confronto di Maria, Marta si preoccupava di poche cose
2.


Vita più sicura


In essa vi sono
meno pericoli. Nella vita quasi unicamente attiva, l’anima si agita, s’appassiona,
dissipa le sue energie e perciò s’indebolisce. In essa vi è un triplice
difetto: Sollicita est; e questo indica gli affanni della mente, sollicitudini
in cogitatu; Turbaris: ecco i turbamenti che nascono dalle affezioni,
turbationis in affectu; infine, erga plurima: moltiplicazione
delle occupazioni e perciò la divisione nello sforzo e negli atti, divisionis
in actu. Al contrario, per costituire la vita interiore, una sola cosa s’impone,
l’unione con Dio: Una cosa sola è necessaria. Tutto il resto non
è – e non può non essere – che secondario e va compiuto solo in virtù
di questa unione e per meglio rafforzarla.


Vita più ricca


Con la contemplazione
si ricevono tutti i beni: Con essa mi sono giunti tutti i beni (Sap.
7, 11). Essa è fra tutte la parte migliore: Ha scelto la parte migliore
(Lc. 10, 42). In essa affluiscono più meriti, perché aumenta al tempo
stesso lo slancio della volontà e il grado di grazia santificante, e fa agire
l’anima in virtù di un principio di carità.


Vita più soave


L’anima veramente
interiore s’abbandona al divino beneplacito, accetta con animo sempre paziente sia
le cose gradevoli che quelle penose, e arriverà perfino a mostrarsi gioiosa
nelle afflizioni, felice di portare la propria croce.


Vita più stabile


Per quanto intensa
possa essere, la vita attiva ha il suo termine quaggiù. La vita interiore
invece non ha tramonto: Quae non auferetur ab ea. Per essa, il soggiorno
su questa terra non è che una continua ascesa alla luce, ascesa che la morte
renderà incomparabilmente più radiosa e più rapida.


Per riassumere
le eccellenze della vita interiore, possiamo applicarle queste parole di San Bernardo:
In essa l’uomo vive più puro, cade più di rado, si alza con maggior
prontezza, avanza più sicuro, riceve più grazie, riposa più
tranquillo, muore più fiducioso, viene purificato più rapidamente ed
ottiene una maggior ricompensa
3.



II – L’azione deve essere soltanto il traboccamento della vita interiore


Siate perfetti
come è perfetto il Padre vostro che è nei cieli (Mt. 5, 48).
Fatte le debite proporzioni, il modo di agire divino dev’essere il criterio, la Regola
della nostra vita interiore ed esterna. Già sappiamo che è proprio
della natura divina il donare, ed è un fatto sperimentato ch’Egli versa a
profusione i suoi benefici su tutti gli esseri, ma in particolare modo sulla creatura
umana. Così – da migliaia, se non da milioni, di secoli – l’universo intero
è oggetto di questa inesauribile prodigalità che spande i suoi benefici
senza sosta. Eppure Dio non si impoverisce mai e la sua inesauribile munificenza
non può, in nessun modo, diminuire le sue infinite ricchezze.


Dio non si contenta
di concedere all’uomo beni esteriori; gli manda il suo Verbo. Eppure, nemmeno in
questo atto di suprema generosità, che non è altro che il dono di sé,
Dio abbandona né può abbandonare qualcosa dell’integrità della
sua natura. Pur donandoci suo Figlio, lo conserva sempre in se stesso. Prendi
esempio dal sommo Creatore dell’universo, il quale manda il suo Verbo ma, contemporaneamente,
lo mantiene con sé
4.


Per mezzo dei
Sacramenti e particolarmente per mezzo dell’Eucaristia, Gesù Cristo ci arricchisce
con le sue grazie; ce le versa senza misura, perché anch’Egli è un
oceano sconfinato la cui sovrabbondanza si riversa su noi senza mai esaurirsi: Dalla
sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto (Gv. 1, 16).


Così, in
un certo modo, noi dobbiamo essere uomini apostolici che ci assumiamo il nobile còmpito
della santificazione altrui: Il tuo Verbo è la tua considerazione: pur
procedendo da Te, tuttavia non te ne separi
5 ; il nostro verbo è lo spirito interiore
che la grazia ha formato nelle nostre anime. Vivifichi dunque questo spirito le manifestazioni
del nostro zelo, ma mentre lo spendiamo continuamente a vantaggio del prossimo, rinnoviamolo
pure continuamente con i mezzi che Gesù ci offre. La nostra vita interiore
sia come un tronco pieno di densa linfa che fiorisca nelle nostre opere.


Un’anima di apostolo!
Essa dev’essere per prima inondata di luce e infiammata di amore, affinché,
riflettendo questa luce e questo calore, possa poi illuminare e riscaldare le altre
anime. Essi annunzieranno agli uomini quel che hanno veduto con i loro occhi,
quel che hanno contemplato e che le loro mani hanno toccato (1 Gv. 1, 1). Come
dice S. Gregorio, la loro bocca verserà nei cuori l’abbondanza delle dolcezze
celesti.


Possiamo intanto
stabilire questo principio: la vita attiva deve procedere dalla vita contemplativa,
tradurla e continuarla al di fuori, staccandosene il meno possibile.


I Padri e i Dottori
proclamano a gara questa dottrina


Diceva sant’Agostino:
Prima di permettere alla sua lingua di parlare, l’apostolo deve elevare a Dio
la sua anima assetata, per poter poi versare ciò che ha bevuto e diffondere
quello di cui si è riempito
6.


Prima di comunicare
bisogna ricevere, scrisse san Dionigi
7, e gli Angeli superiori non trasmettono agli inferiori
se non quei lumi che hanno ricevuto in pienezza. Il Creatore ha stabilito questo
ordine riguardo alle cose divine: chi ha la missione di distribuirle, deve parteciparvi
per primo e innanzitutto riempirsi abbondantemente delle grazie che Dio vuol comunicare
alle anime per suo mezzo. Allora, ma solo allora, gli sarà permesso di parteciparne
agli altri.


A tutti sono note
le parole rivolte da San Bernardo agli apostoli: Se siete veramente saggi, siate
serbatoi e non canali. Se sei sapiente, dimostralo trasformandoti in un serbatoio
e non in un canale
8. Il canale lascia scorrere
l’acqua che riceve senza conservarsene una goccia; il serbatoio invece prima di tutto
si riempie e poi, senza vuotarsi, riversa il sovrappiù, che sempre si rinnova,
nei campi che rende fecondi. Ma quanti sono quelli che, dedicandosi alle opere, non
sono altro che canali, restando secchi mentre si sforzano di fecondare gli altri
cuori! Molti canali ha oggi la Chiesa, ma purtroppo pochissimi serbatoi
9, aggiungeva con amarezza
il santo abate di Chiaravalle.


Ogni causa è
superiore al proprio effetto: perciò è necessaria una maggior perfezione
per poter perfezionare gli altri, che non per perfezionare solo se stessi
10.


Come la madre
non può allattare suo figlio se non nella misura in cui ha alimentato se stessa,
così i confessori, i direttori di anime, i predicatori, i catechisti e i professori
devono prima essi stessi assimilare la sostanza di cui poi nutriranno i figli della
Chiesa
11. Gli elementi di questa
sostanza sono la verità e l’amore di Dio. Solo la vita interiore comunica
la verità e la carità divine in modo da renderle veramente un nutrimento
capace di dare la vita.



III – Base, scopo e mezzi di un’opera devono essere impregnati

di vita interiore


Intendiamo parlare
di un’opera degna di questo nome, perché ai nostri giorni alcune non meritano
affatto tale titolo. Pur essendo organizzate con le apparenze della pietà,
tali imprese in realtà mirano solo a procurare ai loro fondatori, con gli
applausi del pubblico, la rinomanza di un’abilità non comune, e per la loro
riuscita sarebbero adoperati tutti i mezzi, anche i meno giustificabili, se necessario.


Altre opere invece
meritano maggiore stima. Certo, queste vogliono davvero realizzare il bene, e i loro
fini e mezzi sono ineccepibili. Tuttavia, poiché gli organizzatori avevano
una fede vacillante nella potenza d’azione della vita soprannaturale sulle anime,
nonostante mille sforzi, i risultati sono stati nulli o quasi.


Per meglio precisare
quel che dev’essere una istituzione, sarà opportuno che io lasci la parola
ad un uomo che ha illustrato un’intera regione col suo apostolato, e ricordare la
lezione ricevuta da lui agli inizi del mio ministero sacerdotale.


Volevo istituire
un Oratorio per giovani. Dopo aver visitato i circoli cattolici di Parigi e di qualche
altra città francese, come le opere di Val-des-Bois ecc., mi recai a Marsiglia
per studiare più da vicino le opere per la gioventù istituite dal santo
sacerdote Allemand, governate dal venerato canonico Timon-David. Mi piace ricordare
con quanta commozione il mio cuore di giovane sacerdote raccolse le parole di quest’ultimo.


Banda, teatro,
proiezioni, cinema, eccetera… io non disprezzo tutte queste cose. Anzi, in principio
credevo anch’io che fossero indispensabili; invece sono solamente stampelle che si
usano in mancanza di meglio. Ma ora, più vado avanti, più il fine ed
i mezzi si soprannaturalizzano, poiché vedo sempre più chiaramente
che ogni opera fondata sull’elemento umano è destinata a perire e che soltanto
l’opera che mira a portare a Dio gli uomini mediante la vita interiore è benedetta
dalla Provvidenza.


Gli strumenti
musicali sono da molto tempo relegati nel solaio, il teatro è divenuto inutile
e tuttavia l’opera prospera più che mai. Perché? Perché i miei
sacerdoti ed io, grazie a Dio, vediamo ben più giusto che al principio, e
la nostra fede nell’azione di Gesù Cristo e della grazia si è centuplicata.


Credetemi:
non esitate a mirare il più in alto possibile e sarete stupito dei risultati.
Mi spiego. Non abbiate soltanto come ideale di offrire ai giovani la scelta di onesti
divertimenti che li distolgano dai piaceri proibiti e dalle relazioni pericolose,
né di dar loro una mera verniciatura di cristianesimo mediante una meccanica
assistenza alla Messa o con una rara e appena passabile ricezione dei Sacramenti.


Duc in altum!
Abbiate innanzitutto la nobile ambizione di ottenere, a qualunque costo, che un certo
numero di giovani prendano l’energica risoluzione di vivere da ferventi cristiani,
vale a dire con la pratica della meditazione mattutina, con l’abitudine della Messa
quotidiana (se è possibile), con una breve lettura spirituale e, naturalmente,
con frequenti e fruttuose Comunioni. Mettete tutte le vostre cure per infondere in
questo gregge scelto un grande amore per Gesù Cristo, lo spirito di preghiera,
d’abnegazione, di vigilanza su di sé, insomma solide virtù; sviluppate
nelle loro anime, con non minor cura, la fame dell’Eucaristia. Poi eccitate, a poco
a poco, questi giovani all’apostolato fra i loro compagni. Fatene degli apostoli
franchi, zelanti, buoni, ardenti e virili, senza devozioni grette ma pieni di tatto,
che non cadano nella slealtà di spiare i compagni, sia pur col pretesto dello
zelo. In meno di due anni, mi direte se c’è ancora bisogno della banda o del
teatro per ottenere una pesca copiosa.


Comprendo.
– osservai – Questa minoranza dev’essere il fermento, ma che cosa si dovrà
fare per gli altri che non possono essere elevati a questo livello? Per la massa,
per i giovani di tutte le età ed anche per gli sposati che faranno parte del
circolo progettato, che si dovrà fare?


Bisogna
dare a costoro – rispose – una fede robusta mediante conferenze seriamente preparate,
che occupino la maggior parte delle loro serate invernali. I vostri cristiani ne
usciranno sufficientemente armati, non solo per ribattere vittoriosamente ai loro
colleghi di ufficio o di officina, ma anche per resistere all’influenza, più
pericolosa, del giornale o del libro. Far nascere in questi uomini convinzioni incrollabili
che, all’occorrenza, essi sappiano professare senza rispetto umano, questo costituirà
già un ottimo risultato; però sarà necessario condurli più
oltre, fino alla pietà vera, calda, convinta, illuminata.


E dovrò
fin dall’inizio aprire la porta a chiunque arriva?


Il numero
è da augurarselo soltanto se i reclutati sono ben scelti. La crescita del
vostro circolo dev’essere principalmente frutto dell’influenza esercitata dal nucleo
di apostoli, il cui centro saranno Gesù, Maria e voi stesso come loro strumento.


Il locale
sarà modesto; dovrò pertanto aspettare che le nostre risorse ci permettano
di fare di meglio?


Buon Dio!
All’inizio, locali spaziosi e comodi potranno essere come un tamburo che attira l’attenzione
su un’opera nascente. Ma ripeto: se voi sapete mettere a base della vostra associazione
la vita cristiana ardente, integra, apostolica, il locale strettamente necessario
sarà sempre sufficiente affinché possa trovarvi posto ciò che
il normale funzionamento del circolo esige come accessorio. Oh, allora potrete verificare
che il rumore fa poco bene, mentre il bene fa poco rumore! Allora constaterete che
il Vangelo ben compreso fa diminuire il bilancio delle spese senza compromettere
i risultati, al contrario! Ma prima di tutto bisognerà che paghiate di persona;
e ciò non tanto per preparare faticosamente recite teatrali o saggi di ginnastica,
quanto piuttosto per accrescere in voi la vita interiore. Poiché, sappiatelo
bene, nella misura in cui voi per primo vivrete d’amore per Gesù Cristo, nella
stessa proporzione sarete capace di suscitare in altri lo stesso ardore.


Insomma,
voi basate tutto sulla vita interiore?


Sì,
mille volte sì!, perché in tal modo si ottiene non orpello ma oro puro.
Del resto, credete alla mia lunga esperienza; quel che vi ho detto riguardo le opere
giovanili, lo potete applicare ad ogni altra opera: parrocchia, seminario, catechismo,
scuola, circolo militare, eccetera. Quanto bene produce in una grande città
un’associazione che vive veramente nel soprannaturale! Essa agisce come un lievito
potente; solo gli Angeli possono dire quanto essa sia feconda di frutti di salvezza.


Ah, se tutti
i sacerdoti, i religiosi e le stesse persone di azione conoscessero la potenza della
leva che hanno tra le mani e prendessero sempre più come punto di appoggio
il Cuore di Gesù e la vita di unione a questo Cuore divino! Essi allora risolleverebbero
la nostra Patria: sì, la risolleverebbero malgrado gli sforzi di Satana e
dei suoi sgherri
12.



IV – Vita interiore e vita attiva si richiamano a vicenda


Come l’amore di
Dio si manifesta con gli atti della vita interiore, così l’amore del prossimo
si manifesta con le operazioni della vita esteriore, e perciò, siccome l’amore
di Dio e l’amore del prossimo non possono essere separati, ne risulta che queste
due forme di vita non possono stare l’una senza dell’altra
13.


Per questo, dice
il Suarez, non vi può essere uno stato correttamente e normalmente ordinato
per giungere alla perfezione, che non partecipi in una certa misura dell’azione e
della contemplazione
14.


L’illustre gesuita
non fa che commentare l’insegnamento di San Tommaso. Come aveva infatti già
detto il Dottore Angelico, coloro che sono chiamati alle opere della vita attiva,
hanno torto di credere che questo dovere li dispensi dalla vita contemplativa. Questo
dovere vi si aggiunge, senza diminuirne la necessità. Sicché le due
vite, ben lungi dall’escludersi, si richiamano a vicenda, si suppongono, si mescolano,
si completano; se poi ad una delle due va dato una ruolo preponderante, bisogna darlo
alla vita contemplativa, che è la più perfetta e la più necessaria.
15


L’azione, per
essere feconda, ha bisogno della contemplazione. Questa, quando raggiunge un certo
grado d’intensità, diffonde su quella qualcosa della sua eccedenza, e mediante
essa l’anima va direttamente ad attingere nel cuore di Dio quelle grazie che l’azione
poi distribuisce.


È per questo
che, nell’anima di un santo, l’azione e la contemplazione si fondono in una perfetta
armonia che dà alla sua vita una meravigliosa unità. Tale fu, per esempio,
san Bernardo, l’uomo più contemplativo e al tempo stesso più attivo
del suo secolo. Di lui un contemporaneo fece questo magnifico ritratto: la contemplazione
e l’azione s’accordavano fino al punto che appariva ad un tempo tutto dedito alle
opere esteriori eppure tutto assorbito dalla presenza e dall’amore di Dio.
16


Commentando quel
passo della Scrittura: Ponimi come un sigillo sul cuore e un altro sigillo
sul braccio (Ct. 8, 6), il padre Saint-Jure commenta mirabilmente i rapporti
fra la vita interiore e quella attiva. Riassumiamo le sue riflessioni.


Il cuore significa
la vita interiore, contemplativa; il braccio quella esteriore, attiva.


Il testo scritturale
nomina il cuore ed il braccio per dimostrarci che le due vite possono unirsi ed accordarsi
perfettamente in una medesima persona.


Il cuore è
nominato per primo, perché è un organo ben più nobile e necessario
del braccio. Analogamente la contemplazione è più eccellente e più
perfetta e merita maggiore stima che non l’azione.


Il cuore batte
giorno e notte, e un solo istante d’arresto di questo organo essenziale porterebbe
immediatamente alla morte. Il braccio invece non è che una parte integrante
del corpo umano e si muove solo a periodi. Questo c’insegna che dobbiamo talvolta
concedere un po’ di tregua alle nostre occupazioni esteriori, ma al contrario non
dobbiamo mai cessare dall’applicarci alle cose spirituali.


Come è
il cuore che dà la vita al braccio mediante il sangue che gli manda e senza
il quale questo membro resterebbe paralizzato, così la vita contemplativa
– che è vita d’unione con Dio, in grazia dei lumi e della perpetua assistenza
che l’anima riceve da questa intimità – vivifica le opere esteriori ed è
l’unica capace di comunicare ad esse, insieme al carattere soprannaturale, una reale
utilità. Senza di questa vita, tutto è languido, sterile e pieno d’imperfezioni.


Ma, ahimé,
troppo spesso l’uomo separa quel che Iddio ha unito; sicché questa perfetta
unione è davvero rara. Del resto essa esige, per essere realizzata, un complesso
di precauzioni spesso trascurate. Non intraprendere nulla di superiore alle proprie
forze; vedere in tutto abitualmente ma semplicemente la volontà di Dio; non
impegnarsi nelle opere se non quando Dio lo vuole e nella misura esatta in cui lo
vuole, e col desiderio d’esercitare la carità; offrirgli fin da principio
il nostro lavoro e durante l’azione ravvivare la nostra risoluzione di lavorare soltanto
per Lui e mediante Lui, usando santi pensieri e ardenti giaculatorie; infine, qualunque
sia l’attenzione che noi dobbiamo portare alle nostre occupazioni, mantenerci sempre
nella pace, perfettamente padroni di noi stessi; in quanto alla riuscita, affidarsi
unicamente a Dio e non desiderare di essere liberati da ogni cura se non per ritrovarci
soli con Cristo. Ecco i sapientissimi consigli dei maestri di vita spirituale per
giunge a questa unione.


Questa costanza
della vita interiore, unita nel santo abate di Chiaravalle ad un attivissimo apostolato,
aveva profondamente colpito San Francesco di Sales, che scriveva: San Bernardo
nulla perdeva del progresso che voleva fare nel santo amore. (…) Cambiava di luogo
ma non cambiava di cuore, né il suo cuore cambiava di amore, né il
suo amore cambiava oggetto. (…) Non subiva il colore degli affari e delle conversazioni,
come fa il camaleonte, che prende il colore del luogo in cui si trova, ma restava
sempre unito a Dio, sempre bianco di purezza, sempre vermiglio di carità,
sempre pieno di umiltà.
17


Qualche volta
le occupazioni si moltiplicheranno tanto da imporci di spendervi tutte le nostre
energie, senza che possiamo in alcun modo liberarci da tale peso e nemmeno alleggerirlo.
Conseguenza di questo stato potrà essere la privazione, per un tempo più
o meno lungo, del godimento dell’unione a Dio, ma questa unione non ne soffrirà
se non in quanto noi lo permettiamo. Se tale stato si prolungherà, bisognerà
soffrirne, gemerne e soprattutto temere di abituarcisi. L’uomo è debole e
incostante; se trascura la vita spirituale, ne perde ben presto il gusto; assorbito
dalle occupazioni materiali, finisce col compiacersene. Se invece lo spirito interiore
esprime la sua latente vitalità con gemiti e sospiri, questi lamenti continui,
provenienti da una ferita che non si chiude neppure in mezzo ad un’attività
assorbente, costituiscono il merito della contemplazione sacrificata; o meglio, l’anima
realizza l’ammirabile e feconda unione tra vita interiore e vita attiva. Incalzata
da questa sete della vita interiore che non può soddisfare a suo agio, l’anima
ritorna con ardore alla vita di orazione appena le è possibile. Il Signore
le riserva sempre alcuni istanti di conversazione. Vuole però che l’anima
vi sia fedele e le concede di compensare con il fervore la brevità di questi
momenti felici.


In un testo di
cui ogni parola va attentamente meditata, san Tommaso riassume mirabilmente questa
dottrina: Di per se, la vita contemplativa è più meritoria della
vita attiva. Può tuttavia accadere che un uomo, nel compiere un atto esteriore,
meriti di più di un altro dedito alla contemplazione: per esempio, quando
a causa della sovrabbondanza dell’amore per Dio, per compiere la sua volontà
e quindi glorificarlo, uno sopporta talvolta di restare privo della dolcezza della
divina contemplazione per un certo tempo.
18


Si noti l’abbondanza
delle condizioni che il santo dottore suppone perché l’azione diventi più
meritoria della contemplazione.


L’intimo movente
che spinge l’anima all’azione non è altro che la sovrabbondanza della sua
carità, propter abundantiam divini amoris. Perciò non si
tratta di agitazione, né di capriccio e neppure di bisogno di uscire da se
stessa. Difatti l’anima ne prova sofferenza (sustinet) per essere privata
delle dolcezze della vita di orazione (a dulcedine divinae contemplationis
separari)
19. Perciò essa sacrifica
solo provvisoriamente (Accidere… interdum… ad tempus) e per un fine
del tutto soprannaturale (ut Ejus voluntas impleatur propter Ipsius gloriam)
una parte del tempo riservato all’orazione.


Di quanta sapienza
e bontà sono segnate le vie di Dio! Quale meravigliosa direzione Egli dà
all’anima con la vita interiore! Conservandosi in mezzo all’azione e pertanto offrendosi
generosamente, questa pena profonda di dover consacrare tanto tempo alle opere di
Dio e così poco al Dio delle opere, trova il suo risarcimento. Infatti, in
virtù di questa vita, scompaiono tutti i pericoli di dissipazione, di amor
proprio e di affetti umani. Ben lungi dal nuocere alla libertà di spirito
e all’attività, tale disposizione d’animo comunica ad esse un carattere più
riflessivo. Essa è la forma pratica dell’esercizio della presenza di Dio,
perché, nella grazia del momento presente, l’anima trova Gesù vivo
che a lei si dona, nascosto sotto il dovere che deve compiere: Gesù lavora
con lei e la sostiene. Quante persone assorbite dalle occupazioni dovranno a questa
pena salutare ben compresa, a questo desiderio sacrificato ma custodito, il vantaggio
di aver più tempo per stare presso il Tabernacolo e fare comunioni spirituali
quasi continue, dovranno, dico, la fecondità della loro azione e nello stesso
tempo la sicurezza della loro anima e il progresso nella virtù.



V -Eccellenza di questa unione


L’unione delle
due vite, la contemplativa e l’attiva, costituisce il vero apostolato che è,
secondo San Tommaso, la principale opera del Cristianesimo: Principalissimum
officium
20.


L’apostolato suppone
anime capaci di accendersi d’entusiasmo per una idea e di consacrarsi per il trionfo
di un principio. Ma se la realizzazione di questo ideale sarà soprannaturalizzata
dallo spirito interiore, ed il nostro zelo – nel suo fine, nella sua sorgente e nei
suoi mezzi – sarà animato dallo spirito di Gesù, noi avremo la vita
in sé più perfetta, la vita per eccellenza, quella che gli stessi teologi
antepongono alla semplice contemplazione: praefertur simplici contemplationi
(San Tommaso).


L’apostolato dell’uomo
di orazione è la parola conquistatrice in virtù del mandato di Dio,
dello zelo delle anime, del frutto delle conversioni: Missio a Deo, zelus animarum,
fructificatio auditorum (San Bonaventura).


È il vapore
della fede dalle salutari emanazioni: Fides, id est vapor fidei (Sant’Ambrogio).


L’apostolato del
santo è la semina del mondo. L’apostolo getta alle anime il frumento di Dio
21. È l’amore divampante
che divora la terra, l’incendio della Pentecoste irresistibilmente propagato in mezzo
alle gente: Sono venuto a propagare il fuoco sulla terra (Lc. 12, 49).


L’eccellenza di
questo ministero sta nel fatto di provvedere alla salute altrui senza pregiudizio
per l’apostolo: sublimatur ad hoc ut aliis provideat. Comunicare le verità
divine alle intelligenze umane! Non è forse, questo, un ministero degno degli
angeli?


Contemplare la
verità è bene, ma comunicarla agli altri è meglio. Riflettere
la luce è qualcosa più che riceverla, e rischiarare vale ben più
che rilucere sotto il moggio. L’anima con la contemplazione si nutre, ma con l’apostolato
si dona: sicut maius est contemplata aliis tradere quam solum contemplare
22.


Tramandare
agli altri quello che si è contemplato: in questo ideale di apostolato,
la vita interiore resta la sorgente, come insegna chiaramente san Tommaso.


Come l’altro testo
dello stesso santo Dottore, che avevo riportato alla fine del capitolo precedente,
anche questo condanna esplicitamente l’americanismo, i cui partigiani sognano una
vita mista in cui l’azione finirebbe col soffocare la contemplazione.


San Tommaso in
realtà suppone due cose:


1) che l’anima
viva già abitualmente di orazione, anzi ne viva talmente da dover dare soltanto
il sovrappiù;


2) che l’azione
non sopprima la vita di orazione e che l’anima, pur prodigandosi per gli altri, pratichi
così bene la custodia del cuore da non correre alcun serio pericolo di sottrarre
all’influenza di Gesù Cristo l’esercizio della sua attività.


Queste affascinanti
parole del padre Matteo Crawley, l’apostolo della consacrazione delle famiglie al
Sacro Cuore, traducono esattamente il pensiero di San Tommaso: L’apostolo è
un calice ricolmo della vita di Gesù Cristo, la cui sovrabbondanza trabocca
riversandosi sulle anime.


È questa
unione tra l’azione, con il suo prodigarsi di zelo, e la contemplazione, con le sue
sublimi elevazioni, che ha prodotto i più grandi santi: san Dionigi, san Martino,
san Bernardo, san Domenico, san Francesco d’Assisi, san Francesco Saverio, san Filippo
Neri, sant’Alfonso, furono tutti sia ardenti contemplativi che grandi apostoli.


Vita interiore
e vita attiva! Santità nell’azione! Con questa unione potente e feconda, quanti
prodigi di conversioni opererete! O Signore, date alla vostra Chiesa numerosi apostoli,
ma ravvivate, nei loro cuori divorati dallo zelo, una sete ardente della vita d’orazione.
Donate ai vostri operai quest’azione contemplativa e questa contemplazione attiva;
la vostra opera giungerà allora a compimento e i vostri operai evangelici
riporteranno quelle vittorie che annunciaste prima della vostra gloriosa Ascensione.


NOTE


1.
Cioè alla fine del secolo XIX, quando la persecuzione massonica, rinnovando
quanto era già accaduto un secolo prima durante la Rivoluzione francese, riuscì
a far sopprimere dal governo quasi tutti gli ordini religiosi operanti in Francia
e si giunse alla separazione tra la Chiesa e lo Stato. Contro questa rottura e persecuzione
protestò Papa san Pio X con la celebre Enciclica Vehementer, del 1905
(N. d. T.).



2. Riccardo di S. Vittore, In Cantica Canticorum expositio,
n. 8 (trad. it. Il Cantico dei Cantici, Quiqaion, Bose 1990)



3. S. Bernardo, Homilia Simile est, de
bono religionis.


4.
S. Bernardo, De consideratione, lib. II, cap. III.


5.
S. Bernardo, De consideratione, lib. II, cap. III.


6.
S. Agostino, De doctrina christiana, p. I, cap. IV (trad. it. La dottrina
Cristiana
, Edizioni Paoline, Roma 1998).



7. S. Dionigi l’Areopagita, De coelesti hierarchia,
cap. III (trad. it. La gerarchia celeste, Rusconi, Milano 1998).


8.
S. Bernardo, Sermones in Cantica Canticorum, sermo XVIII (trad. it. Sermoni
sul Cantico dei Cantici
,Vivere-In, Roma 1990).


9.
S. Bernardo, ibidem.



10. È evidente che perché uno possa partecipare
una qualche perfezione ad altri, è necessario possedere tale perfezione in
maggior grado rispetto a chi si limita a viverla (S. Tommaso d’Aquino, Opusculum
de perfectione vitae spiritualis
, trad. it in Opuscoli spirituali,
Edizioni Studio Domenicano, Bologna 1999).


11.
È necessario che il predicatore si sia prima imbevuto e nutrito, per
poter poi alimentare gli altri (S. Bonaventura da Bagnoregio, Illust. Eccl.,
Sermo XVII).


12.
Lo zelante canonico che così mi parlava, della cui conversazione ho voluto
conservare un esatto ricordo, ha svolto il suo pensiero in alcuni suoi ammirevoli
libri: – Méthode de direction des oeuvres de jeunesse, Mignard, Paris
1859, 2 vv.

Traité de la confession des enfants et des jeunes gens, Mont Riant,
Marseille 1954, 3vv. – Souvenirs de l’oeuvre, ou Vie et mort de quelques Congregationistes,
Marseille 1860
.


13.
S. Isidoro di Siviglia, Liber de variis quaestionibus, l. II, c. XXXIV, n.
135.


14.
F. Suarez, De Religione Societatis Jesu tractatus, Bruxelles, Greuse 1857,
lib. L., cap. V, n. 5.


15.
Cum aliquis a contemplativa vita ad activam vocatur, non fit per modum subtractionis,
sed per modum addictionis (S. Tommaso d’Aquino, Summa theologica, II-IIae.
q. 182, a. 1).



16.
Interiori quadam, quam ipse ubique circumferebat,
solitudine fruebatur, totus quodammodo exterius laborabat, et totus Deo vacabat
(Goffredo di Auxerre, Vita Sancti Bernardi, cap. V, par. III).


17.
Esprit de Saint François de Sales, cap. XVII, par. 2.


18.
S. Tommaso d’Aquino, Summa theologica, II-IIae, q. 182, a. 2.

19.
Si tratta di una dolcezza che, risiedendo soprattutto nella parte superiore dell’anima,
non sopprime affatto le aridità, perciò sovrasta ogni sensazione.
La logica della fede pura, arida e fredda in sé, basta alla volontà
per infiammare il cuore con una fiamma soprannaturale, con l’aiuto della grazia.
Sul suo letto di morte, a Moulins, santa Giovanna di Chantal, una delle anime più
provate nell’orazione, lasciava alle sue figlie, come testamento, il principio di
cui aveva vissuto in forza della fede: la maggior felicità sulla terra sta
nel potersi intrattenere con Dio.



20. S. Tommaso d’Aquino, Summa theologica, III, q.
67, a. 2.



21. P. Lèon, O.F.M.Capp., Lumière et flamme,
passim.



22.
S. Tommaso, Summa theologica, II-IIae, q. 188, a.
6.











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*Titolo
originale dell’opera: L’âme de tout Apostolat. Prima traduzione sul
testo critico completo del 1947, a cura di Guido Vignelli.© 2000
Luci sull’Est, Via Castellini, 13/7 – 00197 Roma.
Edizione fuori commercio. Distribuzione gratuita.