Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.
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TRATTATO VI. DELLA PRESENZA DI DIO
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CAPO II. In che cosa consiste quest'esercizio di camminar sempre alla presenza di Dio
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1. Consiste in un atto di fede viva.
2. Similitudini espressive dell'immensità di Dio manchevoli.
3. Non sempre sono a proposito le immaginazioni fantastiche.
4. Cautela perciò da usare.
5. Basta un atto di fede viva.
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1. Per poter noi cavar maggior frutto da quest'esercizio bisogna che dichiariamo in che cosa consiste. In due punti consiste, cioè in due atti, l'uno dell'intelletto, l'altro della volontà. Il primo atto è dell'intelletto, poiché questo sempre si ricerca e si presuppone per qualsivoglia atto della volontà, siccome insegna la filosofia. La prima cosa dunque ha da essere il considerare coll'intelletto che Dio è qui e in ogni luogo, che riempie tutto il mondo e che sta tutto in tutto, e tutto in qualsivoglia parte di esso e tutto in qualsivoglia creatura, per piccola che sia. Su questo si ha a fare un atto di fede, perché questa è una verità che la fede ci propone da credere. «Poiché egli non è lungi da ciascuno di noi: perocchè in Lui viviamo e ci moviamo e siamo» (Act. 17, 27-28) dice l'Apostolo S. Paolo. Non avete da immaginarvi Dio come lontano da voi, o come fuori di voi; perché è dentro di voi. S. Agostino (S. AUG. Conf. l. 10, c. 17) dice di se medesimo: Signore, io cercava fuori di me quello che avevo dentro di me. Dentro di voi sta egli più presente, più intimo e più intrinseco è Dio in me, che non sono io stesso. In esso viviamo, ci moviamo e abbiamo l'essere: egli è quegli che dà vita a tutto quello che vive; è quegli che dà forza a tutto quello che opera; è quegli che dà l'essere a tutto quello che è. E se egli non stesse presente, mantenendo tutte le cose, tutte lascerebbero d'essere e si ridurrebbero al niente. Considera dunque che sei tutto pieno di Dio e circondato da Dio, e che stai come nuotando in Dio. Quelle parole: «Della gloria a di Lui sono pieni i cieli e la terra» (Isai. 6, 3), sono molto a proposito per questa considerazione.
2. Alcuni per attuarsi meglio in questo esercizio considerano tutto il mondo pieno di Dio, come in fatti esso è. Indi immaginano se stessi in mezzo di questo mare immenso di Dio, circondati da lui per ogni parte, in quel modo che starebbe una spugna in mezzo al mare, tutta inzuppata e piena d'acqua, e oltre di questo circondata d'acqua da tutte le parti. E non è quésta cattiva similitudine rispetto al corto nostro intelletto; ma con tutto ciò per sé è assai debole e scarsa e non arriva ad esprimere sufficienza quel che diciamo. Perché questa spugna in mezzo al mare, se sale in alto, trova fine; se cala al basso, trova terra; se va da un canto all'altro, trova lido; ma in Dio non troverai niuna di queste cose. «S'io salirò in cielo, ivi sei tu, Signore; e se me ne calerò sino all'inferno, pur vi sei; e se prenderò aIe e me ne passerò di là dal mare, colà mi condurrà e mi terrà la tua potente mano» (Ps. 138, 7-9) Non vi è fine o termine in Dio, perché è immenso e infinito. Inoltre la spugna, per esser corpo, non può esser totalmente penetrata dall'acqua, la quale è un altro corpo; ma noi altri siamo in tutto e per tutto penetrati da Dio, il quale è puro spirito. Pur finalmente queste ed altre simili comparazioni, ancorché scarse e manchevoli, aiutano e sono a proposito per farci comprendere in qualche modo l'immensità infinita di Dio, e come egli è presente e sta intimamente dentro di noi e in tutte le cose. E per questo le apporta S. Agostino (S. AUG. Epist. 187 ad Dardan. c. 4 segg.; Conf. l. 7, c. 5).
3. Ma è da avvertire in questo esercizio che per questa presenza di Dio non fa bisogno il formarci entro di noi alcuna sensibile immagine o rappresentazione di Dio, a forza di fantasia, figurandoci che egli ci stia a lato, né immaginarselo nella tale o tal altra forma o figura. Vi sono alcuni che s'immaginano di avere avanti di sé, ovvero al lato loro Gesù Cristo nostro Redentore, che vada, o stia con essi, e li stia sempre mirando in ciò che fanno: e in questa maniera stanno sempre alla presenza di Dio. Altri di questi si immaginano Cristo crocifisso, che stia sempre loro dinanzi; altri se l'immaginano legato alla colonna; altri nell'orto in atto di far orazione e di sudar sangue; altri se l'immaginano in qualche altro passo della Passione, o in qualche mistero gaudioso della sua santissima vita, secondo quello che suole più muovere ciascuno, ovvero per qualche tempo se l'immaginano in una azione e per qualche altro in un'altra.
E ancora che questa sia cosa molto buona, se si sa fare; nondimeno, ordinariamente parlando, non è questo quello che più ci conviene, e ci è più utile: perché tutte queste figure e immaginazioni di cose corporali stancano e aggravano assai la testa. Un S. Bernardo e un S. Bonaventura dovevano saper far questo d'altra maniera che noi, e vi trovavano gran facilità e quiete; e così se n'entravano in quei buchi delle piaghe di Cristo e dentro al suo costato, e quello era il loro ricovero, il loro rifugio e riposo, parendo loro di udire quelle parole dello Sposo nei Cantici: «Levati, mia diletta, mia bella, e vientene, colomba mia, nelle cavità della roccia» (Cant. 2, 13). Altre volte s'immaginavano il pie' della croce piantato e conficcato nel loro cuore, e stavano ricevendo nella loro bocca con grandissima dolcezza quelle gocciole di sangue che stillavano e scorrevano come da aperti fonti dalle piaghe del Salvatore. «Attingerete acqua con gaudio dalle fonti del Salvatore» (Isai. 12, 3). Facevano quei Santi queste cose molto bene, e se ne stavano benissimo; ma se tu te ne vorrai stare tutto il giorno in queste considerazioni e con questa presenza di Dio, potrà essere che per un giorno o per un mese che tu lo faccia, venga poi a perdere tutto l'anno d'orazione; perché ti ci romperai il capo.
4. Ben si vedrà quanta ragione abbiamo d'avvertire questa cosa; poiché anche per formarci la composizione del luogo, che è uno dei preludi dell'orazione, col quale ci facciamo presenti a quello che abbiamo da meditare, immaginandoci che realmente quella cosa si faccia ed accada allora sotto i nostri occhi, avvertono quei che trattano dell'orazione, che non ha la persona da fissare né attuar molto l'immaginazione della figura e rappresentazione di queste cose corporali che pensa; acciocché non si rompa la testa, e per guardarsi da altri inconvenienti d'illusioni che potrebbero occorrere. Ora se per un preambolo dell'orazione, che si fa in così breve spazio di tempo, e stando uno quieto e posato, senza avere altra cosa che fare, vi bisogna tanta avvertenza e circospezione; che sarà volendosi tutto il giorno, e fra le altre occupazioni, ritenere questa composizione di luogo e queste materiali rappresentazioni? Quella presenza adunque di Dio, della quale trattiamo adesso, esclude tutte queste immaginazioni e considerazioni, ed è molto lontana da esse; perché ora trattiamo della presenza di Dio in quanto Dio, il quale dico, primieramente, che non vi è bisogno di fingerselo presente, ma solamente di crederlo, perché questo è verissimo. Cristo nostro Redentore in quanto uomo sta in cielo e nel Santissimo Sacramento dell'altare; ma non sta in ogni luogo: onde quando c'immaginiamo presente Cristo in quanto uomo, questa è una immaginazione che noi altri fingiamo; ma in quanto Dio, è qui presente, e dentro di me, e in ogni luogo, e riempie ogni cosa. «Lo Spirito del Signore riempie il mondo tutto» (Sap. 1, 7). Non abbiamo dunque bisogno di fingere quello che non è; ma di attuarci in credere quello che è. Dico, in secondo luogo, che l'umanità di Cristo si può bensì immaginare e figurare coll'immaginazione, perché ha corpo e figura; ma Dio, in quanto Dio, non si può immaginare né figurare come egli è; perché non ha corpo né figura, essendo puro spirito. Neanche un angelo, né la nostra propria anima possiamo immaginarci come siano fatti, perché sono spiriti; quanto meno potremo immaginarci né formarci concetto alcuno del come sia fatto Dio?
5. In che modo adunque abbiamo noi da considerare Iddio presente? Dico che solamente col fare un atto di fede viva, presupponendo che Dio è qui presente, poiché la fede ce lo dice, senza voler sapere in che modo ciò sia. Come dice S. Paolo che faceva Mosè, il quale si «fortificò col quasi veder lui che è invisibile» (Heb. 11, 27). Essendo Dio invisibile, egli lo considerava e lo teneva presente come se lo vedesse, senza voler sapere né immaginarsi come egli fosse fatto. Come quando uno sta parlando col suo amico all'oscuro, senza voler cercare come egli sia fatto, né ricordarsi di questo, gode unicamente e diletta si della conversazione e presenza dell'amico, che sa essere ivi a presente. In questa maniera abbiamo noi da considerare Dio presente: ci basti sapere che il nostro amico è qui presente per godere della sua presenza. Non ti fermare a voler guardare come egli sia fatto, che non ci riuscirai, essendo oscuro adesso per noi altri: aspetta che si faccia giorno, e quando apparirà la mattina dell'altra vita, allora egli si manifesterà, e potremo vederlo chiaramente come egli è fatto (I Io. 4, 2). Per questo Dio apparve a Mosè nella nuvola e nell'oscurità: non vuole che tu lo veda; ma solamente che creda che egli è presente.
Tutto questo che abbiamo detto, appartiene al primo atto dell'intelletto, che si ha da presupporre. Ma bisogna avvertire che la principale parte di questo esercizio non consiste in questo; perché non si ha da occupare solamente l'intelletto, considerando Dio presente; ma si ha da occupare anche la volontà, desiderando e amando Dio, e unendosi con esso; e in questi atti della volontà consiste principalmente quest'esercizio. Del che tratteremo nel capo seguente.