LA SANTA MESSA
di P. Martino de Cochem O.M.C.
CAPITOLO NONO
GESÙ CRISTO NELLA SANTA MESSA RINNOVA LA SUA MORTE
Nel XV capitolo di san Giovanni si leggono queste parole: “Nessuno è animato da amore più grande di colui che dà la vita per i suoi amici” [1]. Poiché nessuno ha niente di più prezioso della vita o che ami tanto, un tal dono è certo il colmo della generosità. L’amore di Gesù Cristo per gli uomini ha superato questa misura, poiché Egli, non contento di dare la vita per i suoi amici, l’ha anche data per i suoi peggiori nemici. E quale vita è la sua! La più nobile, la più santa che sia mai esistita. Ma notiamo la singolare espressione della quale si serve. Egli non dice: “Io darò, Io ho dato”, ma dice: “Io do la mia vita per le mie pecore”, come se continuasse incessantemente a sacrificarla. Espressione significativa e commovente, perché con la santa Messa, la sua immolazione è sempre attuale.
Come realmente Gesù rinnova la sua morte nella S. Messa
Spieghiamo questo mistero. In certi paesi si conserva l’uso di rappresentare la Passione come un dramma: legano un giovane ad una croce e lo lasciano sospeso fino a che sembra moribondo e senza movimenti, come un giustiziato che si spegne per l’eccesso delle torture, mentre coloro che assistono a questo spettacolo sono commossi fino alle lacrime. Nella santa Messa non è lo stesso perché nessuno rappresenta la Passione di Gesù Cristo morente, ma è lo stesso Salvatore che muore. Gesù non ha voluto che un Angelo o un santo si sacrificassero al suo posto, perché sapeva che nessuno era in grado di failo e perché voleva rimettere di continuo sotto gli occhi dell’eterno Padre, tutto l’orrore della sua morte, la quale, perciò si rinnova ad ogni Messa tal quale avvenne sul Calvario. Proverò questo, prima con un esempio, quindi con l’insegnamento dei teologi. Cesario di Heisterbach scrive: “Avevamo nel nostro convento un ecclesiastico chiamato Godschalk di Volmentein. Nella notte di Natale di sei anni fa, mentre diceva la Messa ad un altare laterale, pregava con grande pietà spargendo molte lacrime. Nel momento della Consacrazione, invece delle specie sacramentali vide fra le sue mani un bambino così bello, che gli angeli stessi non si stancavano di contemplare. Lo prese, lo abbracciò e ne provò una gioia indicibile. E quando, passato un certo tempo, il bambino scomparve, quel sacerdote terminò la Messa con un fervore speciale. Ma, subito dopo questo fatto, si ammalò gravemente e in punto di morte confidò la visione che aveva avuto al suo superiore che la raccontò al curato d. Adolfo di Deifern, il quale esclamò sospirando: “Perché Dio manifesta tali cose ai santi che sono già confermati nella fede? Dovrebbe riservare questa specie di grazie ai peccatori come me che hanno spesso dei dubbi sulla presenza reale”. Qualche tempo dopo, questo sacerdote, uomo assai leggero, diceva la Messa. Arrivato all’Agnus Dei, quando stava per rompere l’Ostia vide in essa un bambino di una bellezza straordinaria che gli sorrideva affettuosamente. Si spaventò molto, ma poi si rincuorò e contemplò il bambino con gioia. Volle poi vedere che cosa ci fosse dall’altra parte dell’Ostia e, voltandola, vide Gesù Cristo in Croce, con la testa inclinata, quasi sul punto di spirare. Adolfo di Deifern ne fu talmente commosso che stava per cadere e versò lacrime di compassione. Avendo davanti a sé lo spettacolo del Salvatore morente, non riusciva a decidere se dovesse interrompere o continuare la Messa, mentre il popolo lo guardava con sorpresa, vivamente impressionato dal suo stato, stupito di una così lunga attesa, non comprendendo nulla di quello che stava succedendo. Finalmente la figura di Gesù agonizzante scomparve, l’Ostia riprese il suo aspetto ordinario e il curato terminò il santo Sacrificio. Allora i fedeli domandarono spiegazioni per questo strano fatto e Adolfo salì sul pulpito per raccontare le apparizioni avute. Ma il suo cuore era così intenerito e dalla sua bocca uscivano tanti sospiri, che nessun suono comprensibile fu sentito dall’uditorio, per cui, singhiozzando, si ritirò.In seguito, confidò le sue visioni a molte pie persone e non smise più di meditare la Passione di Gesù Cristo. Il ricordo di questa grazia restò fortemente impressa nel suo cuore per tutta la sua vita ed egli riformò i costumi, espiò le sue colpe, con grande edificazione dei suoi parrocchiani”. Questo racconto ci mostra vivamente in quale maniera Gesù, nella Messa, mette sotto gli occhi del Padre suo, dello Spirito Santo e di tutta la corte celeste, non per rattristarli, la sua morte crudele, cosa che sarebbe impossibile, ma per dimostrare ad essi il grande amore che l’ha spinto a soffrire per la salute del mondo. Oh! Se noi ricevessimo lo stesso favore come Adolfo di Deifern! Se ci fosse dato di contemplare, come lui, nella santa Ostia, nostro Signore agonizzante, con quale premura assisteremmo alla Messa. Ma se non lo vediamo con gli occhi del corpo, lo contemplano, e non con minore certezza, quelli della nostra anima, illuminati in modo soprannaturale! In questo modo rendiamo a Dio un omaggio più grande ed esercitando la virtù della fede, meritiamo una maggiore ricompensa. Gesù Cristo stesso, nella maniera con la quale ha istituito l’Eucaristia, ci ha lasciato testimonianze certe che là vi è rinnovata la sua morte.
Quando, nell’ultima Cena, Egli istitui questo Sacramento, non volle farlo né in una sola volta, né sotto una sola specie, ma in due volte e sotto due specie. Nel consacrare il pane, avrebbe potuto dire: “Questo è il mio Corpo ed il mio Sangue”, e il pane sarebbe veramente diventato il suo Corpo e il suo Sangue. Ma la consacrazione sotto una sola specie non sarebbe stata una rappresentazione abbastanza fedele della sua morte, così Egli volle consacrare separatamente prima il pane, cambiandolo nel suo Corpo, poi il vino, cambiandolo nel suo Sangue, per fornire ai suoi discepoli un’immagine più viva del suo Sacrificio. D’altra parte, Egli ha rivelato alla Chiesa che nella Messa deve essere tale il rito della Consacrazione, poiché la separazione del sangue dalla carne dà un’idea più esatta della morte.
Testimonianze dei teologi, dei padri e dei dottori
Il Lancizio, a questo proposito, si esprime così: “Poiché nostro Signore voleva compiere il sanguinoso Sacrificio e morire, d’una morte naturale, sulla Croce, nel santo Sacrificio la sua morte è rappresentata dalla separazione del sangue dal corpo; perché solo il corpo è presente, in virtù delle parole sacramentali, sotto le specie del pane e solo il sangue è presente sotto le specie del vino. Come non riconoscervi il carattere di una vera immolazione?” [2]
Gervasio dichiara che nella santa Messa Gesù Cristo èla materia del Sacrificio e questo non sotto la forma che ha in cielo, ma sotto le specie del pane e del vino, dove resta come morto, essendo in uno stato che non gli permette di muovere ne i piedi, né le mani e che rende impossibile ogni azione delle membra, pur continuando ad esercitare le potenze della sua anima: l’intelligenza e la volontà. Tutti i Dottori espongono nella stessa maniera questi grandi misteri, ma per le persone poco istruite aggiungerò un’altra spiegazione. Quando il sacerdote consacra, divenendo Gesù Cristo realmente presente, riceve una nuova vita. Questa vita di Gesù nell’Ostia è sorgente di gioia ineffabile per la corte celeste e di grandi consolazioni per le anime del Purgatorio e utilissima a noi. Sotto questi veli misteriosi, il Salvatore prega per noi e disarma la collera del Padre suo, e per questo nostro Signore aspira a conservare questa vita. Ma, d’altra parte, egli è spinto a dimostrarci il suo amore con la sua morte e, dopo aver vissuto per noi, per noi ancora muore davanti agli uomini e davanti a Dio. Che cos’è infatti la Comunione del sacerdote se non la distruzione della vita che la santa vittima aveva ricevuto nella Consacrazione? E perciò il sacerdote è obbligato non solamente a consacrare, ma anche a comunicarsi.
Nessuna lingua umana saprebbe esprimere quanto questa morte di Cristo intenerisce l’Onnipotente, tuttavia qualche cosa se ne può comprendere e dire. Quando nel santo Sacrificio Gesù muore sotto gli occhi del Padre suo, gli obbedisce come gli obbedì sul Calvario. Senza dubbio in ogni cosa gli fu perfettamente sottomesso, ma in nessuna si mostrò tanto obbediente quanto nel lasciare la sua nobile vita, nonostante la naturale ripugnanza nel sopportare una morte così spaventosa. Ascoltiamo san Paolo: “Cristo si umiliò, fattosi obbediente fino alla morte e alla morte di Croce” [3]. E affinché comprendessimo quanto fu gradita a Dio quest’obbedienza e quale ricompensa meritò Gesù, l’apostolo aggiunge: “A causa di questo, Dio l’ha innalzato e gli ha dato un nome al di sopra di ogni nome”. Ora, già l’ho detto, l’obbedienza del Salvatore morente sull’altare è la stessa che lo spinse a morire sulla Croce. Egli l’offre al Padre suo con le eroiche virtù che praticò durante il suo supplizio, soprattutto la perfetta innocenza, la pazienza incrollabile, l’amore ardente che ha portato a Dio e agli uomini, anche ai suoi nemici, anche a quelli che lo crocifissero e ai più ingrati peccatori.
Gesù così ripresenta all’eterno suo Padre gli amari dolori in mezzo ai quali spirò, la sua spaventosa agonia, le angosce che lo straziarono, lo scuotimento delle ossa, il colpo di lancia che trapassò il suo Sacro Cuore. Egli mostra tutte le sue sofferenze in modo efficacissimo, risvegliando nel Cuore di Dio la commozione infinita che provò venti secoli or sono nel vedere il suo diletto Figlio immolarsi per amor suo e per la sua maggior gloria. Lo stesso Gesù che seppe allora disarmare la collera dell’Altissimo, attirare la sua misericordia sui peccatori e riconciliare la terra col Cielo, ogni giorno, nella Messa, riprende questo affettuoso ineffabile ministero, per continuare l’opera della nostra salute.
Eccomi ora ai Padri e ai Dottori: “Quale pegno di misericordia! – esclama san Gregorio Magno -. La vittima che è offerta in questo Sacrificio è il glorioso Risorto, che vincitore in eterno della morte, soffre nuovamente per noi. Ogni volta che celebriamo la Messa, rinnoviamo la sua Passione, sorgente inesauribile di perdono” [4].
Assicurazione molto consolante per tutti quelli che, avendo coscienza dei propri peccati, temono l’inferno. San Gregorio insegna chiaramente che l’immolazione del Salvatore, riprodotta sull’altare, ha la virtù di preservare le anime dalla dannazione eterna. Volete dunque evitare questa suprema disgrazia? Ascoltate assiduamente la Messa, onorate la morte di Gesù e offritela a Dio Padre.
“Il Figlio di Dio – dice il sapiente p. Mansi – si è offerto sull’altare della Croce come vittima cruenta. Nella santa Messa si offre nuovamente e perciò la celebrazione di una Messa non ha meno valore della morte del nostro Salvatore” [5].
Il cardinale Osio aveva detto prima di lui: “Benché nella Messa Gesù Cristo non si immoli una seconda volta fisicamente, i meriti della sua morte ci vengono applicati nello stesso modo, come se essa fosse avvenuta in quel momento e questa morte, per quanto mistica, produce gli stessi effetti della morte cruenta” [6].
Dopo queste belle parole, il cardinale insiste ancora in questi termini: “Sì, la morte di Cristo e i frutti ditale morte ci sono applicati come se Gesù morisse realmente”.
L’abate Ruperto da parte sua dice: “Come è vero che sulla Croce Cristo ci ottenne il perdono dei nostri peccati, così è vero che, sotto le specie sacramentali, ci procura la stessa grazia.
Nel quindicesimo capitolo spiegheremo in quale maniera la santa Messa opera il perdono dei peccati. Ma già dalle parole di Ruperto abbiamo la consolazione di sapere che assistendo al santo Sacrificio possiamo espiare le nostre colpe e scontare le pene che abbiamo meritato commettendole.
La S. Messa, sacrificio di espiazione e di amore, sparge su noi i tesori della passione
Il padre Segneri aggiunge: “Il Sacrificio della Croce fu causa universale per dar morte al peccato, e il Sacrificio dell’altare è una causa particolare, la quale applica nuovamente, a questo e a quello, l’efficacia del sangue sparso da Gesù Cristo: la Passione accumulò il tesoro, la Messa lo elargisce” [7]. Quale migliore invito si potrebbe rivolgere a quelli che sono poveri di meriti?
Ammirate – continua il p. Segneri – che cosa sia celebrare e ascoltare la santa Messa! È come se quel Signore il quale è morto per tutti gli uomini, ora torni a morire per me e per voi in particolare, applicandoci i meriti della sua morte, come se ora, veramente, ritornasse a morire soltanto per noi”.
La santa Vergine, un giorno, disse ad un gran servo di Dio: “Il mio divin Figlio ama talmente quelli che assistono al santo Sacrificio che, se bisognasse, morirebbe per loro altrettante volte quanti sono i presenti: ma i meriti del Calvario suppliscono a tutto” [8].
Queste parole sono tanto consolanti ed esprimono l’amore infinito del Salvatore, amore che lo spinge giornalmente non una volta, ma migliaia di volte a sacrificarsi per i poveri peccatori. Andate, dunque, ogni mattina alla Messa e abbiate gli stessi sentimenti che provereste accompagnando Gesù sul monte Calvario, per essere testimoni della sua Passione e della sua Morte. “quando celebrate il divin Sacrificio o vi assistete – dice il pio autore dell’Imitazione – deve sembrarvi così grande, così nuovo, così degno di amore, come se in quel giorno stesso il Salvatore discendesse dal Cielo per farsi uomo nel seno della santa Vergine, o come se, sospeso sulla Croce, soffrisse e morisse per la salute del mondo”. O Dio! quale favore e quale amore! Gesù Cristo muore in una maniera incruenta per quelli che ascoltano la Messa, come mori in una maniera cruenta per tutto il mondo! quale sorgente di grazie! quale mezzo di salute! Se voi aveste offerto a Dio, sul Calvario, la morte crudele del Figlio suo, dubitereste che vi avesse perdonato tutti i vostri peccati? Ah! Il Padre di misericordia, in considerazione del vostro pentimento e soprattutto in virtù del Sacrificio di Cristo, vi avrebbe certamente accordato la remissione completa delle vostre colpe. Ebbene, accade lo stesso nella Messa, dove Gesù Cristo presente corporalmente, muore per noi in una maniera mistica.
NOTE
1 Giov. XVI, 1.
2 De Missa, cap. 5.
3 Filipp. II, 8.
4 Homil. 37 in Evang.
5 In ver. Eccl., I, 1, c. E.
6 De Euchar., c. 41.
7 Il Christ. ist., Rag. XXII, c. 9.
8 Alan de Rup., 2 p. VII, 26.
Testo tratto da: P. Martino de Cochem O.M.C., La Santa Messa, Milano 1937/3, pp. 111-118.