Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.
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TRATTATO V. DELL'ORAZIONE
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CAPO X. Di altri beni e utilità che sono nella meditazione.
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1. Dalla meditazione nasce la divozione.
2. Qual è la vera pratica dell'orazione.
3. Vantaggi della meditazione.
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1. Un altro bene e utilità grande dice S. Tommaso che è nella meditazione; cioè, che da essa nasce la vera devozione, cosa tanto importante nella vita spirituale e tanto desiderata da tutti quelli che camminano per la via di essa. Devozione non è altro che una prontezza e prestezza della volontà ad ogni cosa buona: onde uomo devoto è quegli che sta pronto e disposto ad ogni bene. Ora S. Tommaso (S. THOM. 2-2, q. 82, a. 3) dice che due cagioni vi sono di questa devozione; una estrinseca e principale, che è Dio; un'altra intrinseca dalla parte nostra, che è la meditazione; perché codesta volontà pronta alle cose del servizio di Dio nasce dalla considerazione e meditazione che fa l'intelletto; atteso che questa è quella che dopo la grazia di Dio muove ed accende cotesto fuoco nel nostro cuore. Di maniera che non sta la 1era devozione e il fervore di spirito nella dolcezza e gusto sensibile, che provano e sentono alcuni nell'orazione; ma nell'avere una volontà pronta e disposta a tutte le cose del servizio di Dio. E questa è la devozione che dura e persevera, ché l'altra presto finisce; perché consiste in certi affetti di devozione sensibili, che nascono dal subito desiderio che uno ha di qualche cosa appetibile e amabile, e molte volte procede da complessione naturale, dall'avere un certo temperamento dolce ed un cuore tenero e che subito si muove a sentimento e a lagrime; e tosto che questa devozione è esausta si sogliono seccare i buoni proponimenti. Questo è un amor tenero, fondato in gusti e consolazioni sensibili. Mentre dura quel gusto e quella devozione sarà uno molto diligente e puntuale, e amico del silenzio e del ritiramento; ma subito che cessa, ogni cosa è finita. Per contrario, quei che vanno fondati nella verità per mezzo della meditazione e considerazione, convinti e disingannati colla ragione, perseverano e durano nella virtù. E benché manchino loro i gusti e le consolazioni sensibili, sono sempre i medesimi di prima, perché dura in loro il principio del loro fervore, che è la ragione che li convinse e li mosse.
Questo è amor forte e virile; e da ciò si vengono a conoscere i veri servi di Dio e quelli che hanno fatto profitto; non dai gusti né dalle sensibili consolazioni. Si suoI dire che le nostre passioni sono come certi cagnolini che abbaiano, e nel tempo della consolazione tengono le bocche turate; a ciascuna getta Dio il suo pezzo di pane, e con ciò se ne stanno quiete né domandano cosa alcuna; ma finito o tolto questo pane della consolazione, abbaia l'una e abbaia l'altra: e allora così si vede quel che ciascuno è. Si sogliono anche paragonare i gusti e le consolazioni sensibili ai beni mobili, i quali si consumano presto, e le virtù sode ai beni stabili, i quali si conservano e durano, e perciò sono di maggior estimazione.
2. Quindi nasce una cosa, la quale esperimentiamo molte volte ed è degna di considerazione. Vediamo alcune persone, le quali da una parte hanno nell'orazione consolazioni grandi, e di poi nelle occasioni e tentazioni le vediamo deboli e anche cader vinte: e per contrario ne vediamo altre, le quali patiscono aridità grandi nell'orazione, né sanno che cosa sia gusto né consolazione e dall'altra parte le vediamo molto forti nelle tentazioni e molto lontane dal cadere. La ragione di ciò è quella che andiamo dicendo; che quelli mettevano tutto il loro fondamento in gusti e sentimenti dilettevoli; ma questi altri mettono il loro fondamento nella ragione, restano disingannati, convinti e persuasi della verità, e con questo durano e perseverano in quel che una volta si persuasero e risolvettero.
E così uno dei mezzi, e molto buono, che si suole dare per perseverare nei buoni proponimenti che facciamo e abbiamo nell'orazione, e per metterli in esecuzione, è che la persona procuri di conservare il motivo e la ragione che le cagionò allora quel buon proponimento e desiderio; perché quello che allora la mosse a desiderare quella cosa, l'aiuterà poi a conservarla e a metterla in esecuzione; E vi è anche di più, ed è che quando uno si va disingannando da sé e convincendo in questa maniera nell'orazione, ancorché di poi non si ricordi in particolare del mezzo, o ragione che lo mosse, ad ogni modo, in virtù di quel disinganno e di quella risoluzione, che ivi prese, convinto dalla verità e dalla ragione, resta fermo e forte per resistere dopo alla tentazione e perseverare nella virtù.
3. Per questo Gersone (GERS. p. 2, alphab. 24, l. m. et De sollicit. Eccl. p. 41, alphab. 37, l. a) stima tanto la meditazione, che interrogato qual esercizio fosse per riuscire più utile e giovevole al religioso che se ne sta ritirato nella sua cella, se la lettura, o l'orazione vocale, o qualche lavoro di mano, o pure la meditazione; rispose che, salva sempre l'ubbidienza, il meglio sarebbe attendere alla meditazione. E ne rende questa ragione; perché quantunque coll'orazione vocale e colla lettura spirituale senta forse uno al presente maggior devozione e frutto che colla meditazione; nondimeno levato si dinanzi il libro o terminate le preci, suole anche aver fine quella devozione; ma la meditazione giova anche dopo finita, e lascia la persona meglio disposta per l'avvenire. E perciò dice che ci bisogna assuefarei alla meditazione; acciocché, quantunque manchi l'esercizio della lingua e manchino i libri, la meditazione sia il nostro libro, e così non manchi la vera devozione.