«DELL’AMORE
AL PROPRIO DISPREZZO»
DEL SERVO DI DIO
P. GIUSEPPE IGNAZIO FRANCHI d’O.
INTRODUZIONE E DISEGNO DELL’AUTORE
Necessario a leggersi con ponderazione sul principio per formarsi una giusta idea
dell’operetta
È
cosa veramente da piangersi , che essendo l’amore dei proprio disprezzo un punto
di sommo rilievo nel divino servizio, e per l’ acquisto della cristiana perfezione,
sì poco vi attendano per lo più non solo le persone scarsamente applicate
alla pietà, ma quelle ancora che praticano una vita spirituale e devota. Che
importi infinitamente per ottenere la santità, l’amore del proprio disprezzo,
è chiaro, perché il fondamento di quella, secondo i Santi, è
la vera umiltà, in guisa che, al dire di s. Agostino, la santità va
del pari colla umiltà, e quella cresce, si aumenta a misura di questa. Or
l’amore del proprio disprezzo è come la sostanza e la midolla della vera umiltà
, e costituisce il più sicuro riscontro, se l’uomo,è sinceramente umile.
Quindi è che s. Filippo Neri, eccellente maestro della vita perfetta, dovendo
esaminare lo spirito di taluno, si rifaceva dall’investigare se veramente fosse umile,
e per discernerlo tale veniva tosto alla prova del disprezzo, e trovatolo saldo e
costante a questa pietra di paragone giudicava, che egli investito fosse dallo spirito
del Signore.
Di più il primo passo fondamantale ingiunto da Cristo nel Vangelo per chi
vuol seguirlo dappresso è l’abnegazione, e l’odio santo di sè medesimo;
e siccome ciascun cristiano per l’obbligo della sua professione è tenuto a
seguirlo, perciò a tutti senza eccezione e riserva, o siano ecclesiastici,
o secolari di qualunque sesso, stato e condizione, rivolse questo suo premuroso comando:
Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso (Lc 9,23). Ma
ciò è impossibile a conseguirsi senza atterrare il proprio orgoglio
ed amore: e questi non cadranno giammai estinti senza amare il disprezzo di se stesso.
Che poi poco universalmente pensino i cristiani, anche applicati alla devozione e
alla vita spirituale, di fare acquisto di un tal amore, ce lo fa vedere la funesta
esperienza, mentre nelle frequenti occasioni e casi pratici che occorrono alla massima
parte degli uomini d’incontrare e soffrire vilipendi, invece di accogliergli con
lieto viso, e di prevalersene per esercizio della più soda umiltà,
per ordinario vanno a finire in molti atti di superbia, di querele, di sfoghi; e
quindi trovano un forte inciampo nella strada di Dio ove trovati dovevano in potentissimo
aiuto per battere con più vigore la gran carriera della virtù. E due
sono le cagioni di sì lacrimevole disordine. La prima, perché comunemente
non si crede in realtà di meritare il disprezzo; o se si crede, non si capisce
e non si penetra bene ciò che vuoi dire dísprezzo, e quante e quali
cose in particolare si contengono e si racchiudono nel merito dei disprezzo. La seconda
cagione è perché generalmente noti si comprende la forza delle ragioni,
che vi sono per amare il disprezzo, e perciò non si usano gli efficaci mezzi
per far acquisto di un tal amore, e si trascura affatto l’arte così necessaria
di abbattere il principale nostro nemico, che è la superbia, e di procurare
il sodo e vero spirito che è l’amare la propria abiezione.
A ciò riflettè un sacerdote, il quale, sebbene sia scevro di questo
spirito, come di qualunque altra virtù, pure come figliuolo (nonostante i
suoi infiniti demeriti) di quel grande amatore del proprio disprezzo s. Filippo Neri,
è rimasto impegnato a trattar di proposito di tal materia, e metterla nel
più chiaro lume, che gli sia stato possibile, e ridurla come sminuzzata alla
pratica, e presentare l’operetta singolarmente a quelle anime, che aspirano ad essere
tutte di Dio, e perciò sono in dovere di attendere con. più studio
all’esercizio della perfetta umiltà. Frattanto egli non diffida, che la stessa
operetta, tal quale ella è, possa apportare vantaggio e profitto ancora a
tutti quei cristiani, che vogliono vivere in conformità della loro santa Fede
ed efficacemente salvarsi.
Ed ecco il metodo prefisso dall’Autore al presente suo picciolo Trattato, reputato
il più utile per ottenere il suo fine, e per agevolare la pratica dell’ amore
al proprio disprezzo. In primo luogo si stabilisce per base fondamentale di tutta
questa materia, che ogni uomo può, e deve sforzarsi a credere di sé
di meritare il disprezzo, senza il qual fondamento troppo sarebbe difficile, per
non dire impossibile, di,avanzarsi in questo cammino. Quindi si sviluppa e si sviscera
un tal merito del disprezzo, e in distinti punti si traggono fuori alla luce e si
pongono sotto gli occhi molti capi di particolari disprezzi, che scaturiscono, come
tante conseguenze, da quel, generale principio di meritarsi il vilipendio, e per
sola mancanza di riflessione è di lume non si capiscono, o almeno non si avvertono
dalla più parte degli uomini, ancor devoti, dal che ne succede, che non stanno
poi saldi nella pratica la quale, conforme la dottrina di s. Tommaso, tutta si aggira
intorno ai casi particolari (le considerazioni generiche in campo morale sono
meni utili, perché le azioni umane sono particolari S. Th., II
II, Prol.).
Una tal connessione e necessaria dipendenza si mette con un breve raziocinio in veduta
nei primi punti per meglio appagare il lettore, e a poco a poco addestrarlo in tal
maniera a ravvisarla poi da per sé con leggera fatica nei punti seguenti,
purché alquanto vi voglia riflettere: con che giungerà anche con l’uso
e con la divina luce a intenderla in un’ occhiata. Conseguentemente si passa a discorrere
dell’amor del disprezzo non solo in generale, ma altresì in particolare: e
si procura di dimostrare quanto al servo di Dio convenga, e sia necessario un tal
amore: e per maggiormente allettare l’umano cuore a farne acquisto, con brevità
si propongono gli altissimi beni, che dallo stesso amore a noi ne derivano. Dopo
ciò si viene alla pratica, che è così importante in questa impresa,
e, cominciando dai meno ardui, si espongono per ordine gli atti e gli esercizi utili
ad accendere in noi quest’amore, i quali anche sono altrettanti mezzi per conseguirlo
ed accrescerlo: e questi poi si riducono a tre principali, e sostanzialissimi per
facilitarne l’esecuzione. In seguito efficacemente si esortano i fedeli a metter
con grande impegno e risoluzione la mano all’opera. Finalmente per giovare a tutti,
per modo di appendice, si fa vedere agli oltraggiatori del prossimo l’infelice loro
condizione, e loro s’ inculca di fare un pronto passaggio dall’essere disprezzatori
all’essere disprezzati e amanti della loro abiezione: e si conchiude l’operetta nel
Nome Santo di Dio.
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