Dell’amore al proprio disprezzo (ARTICOLO VIII)

«DELL’AMORE
AL PROPRIO DISPREZZO»

DEL SERVO DI DIO

P. GIUSEPPE IGNAZIO FRANCHI d’O.












ARTICOLO VIII

Esortazione
a tutti i cristiani ad applicarsi all’acquisto dell’amore al disprezzo


Rimane
adesso, per conseguimento del fine di questa operetta, che ciascuno ponga vigorosamente
la mano all’ impresa di far acquisto del santo amore al proprio disprezzo. Consideri
pertanto ogni cristiano, e singolarmente chi ha ricevuto qualche maggior lume da
Dio, e impulso per attendere alla propria santificazione e salite; e rifletta con
ogni serietà, che trascurato un tale amore, si fa una perdita e un getto irreparabile
di quegli altissimi beni e vantaggi, brevemente accennati nel quinto articolo, e
di molti altri a quegli annessi. Di più resterà l’uomo sempre soggetto
alla superbia e all’amor proprio, sempre involto in moltissime mancanze, che pur
troppo derivano e spuntano fuori dall’orgoglio e dall’amor proprio non atterrato
e lasciato vivere: nelle occasioni di grandi disprezzi si troverà talvolta
assalito da gagliarde tentazioni di grave rancore verso i suoi disprezzatori, con
rischio di perdere la grazia di Dio, ed eternamente dannarsi; o per lo meno nutrirà
contro di essi qualche sdegno, non grave, ma sempre però peccaminoso, per
cui si meriterà di stare lungamente a penare nel fuoco tormentosissimo del
purgatorio. Ma senza questo, conservando in se in qualche modo lo spirito della superbia
e dell’amor proprio , nulla punto applicandosi all’amore del disprezzo, non sarà
mai un vero discepolo di Gesù Cristo, perché lontano dalla dottrina
e dall’imitazione di sì grande maestro, nella virtù, da lui tanto insegnata
e praticata, della mansuetudine e della umiltà, e non farà mai progresso
alcuno nella cristiana perfezione, ma si tratterà terra terra, senza pace
del cuore , senza libertà di spirito, senza vera consolazione, senza il lume
più bello del Signore, e senza la protezione e favore speciale di Dio, privo
d’innumerabili tesori di grazie e di meriti nella presente vita, e di gloria maggiore
nella futura. Laddove procurando l’uomo

di
fare acquisto dell’amore al proprio disprezzo, inenarrabili saranno i beni che conseguirà
in terra, e singolarmente una vivissima speranza ed un pegno di una sovrabbondante
beatitudine e corona nell’eternità; essendo ben giusto, che entri molto a
parte dei godimenti e del gaudio e del trionfo di Gesù in cielo, chi più
ha partecipato in terra dei suoi vilipendi; e che sia esaltato nei secoli eterni,
chi fu umiliato e abbassato nel mondo, con amare i suoi stessi disprezzi, onde si
avverino le tante volte replicate promesse del Vangelo, che chi si umilia sarà
esaltato. E qualora ciò non succeda in terra, senza dubbio succederà
nel cielo con infinito vantaggio, perché la divina parola è immutabile
e infallibilmente seguita e corrisposta dall’effetto preannunziato. Il che se è
vero generalmente, rapporto a tutte le umiliazioni ricevute e sofferte con amore,
molto più, in speciale eccellente maniera, si avvera, quando volentieri e
di buon cuore si incontrano e si tollerano i disprezzi per la causa di Dio, e per
la virtù; esclamando Cristo: beati i perseguitati per causa della giustizia,
perché di essi è il regno dei cieli
(Mt 5,10) e stimolando
a far festa e tripudio tutti i suoi servi nel giorno in cui s’imbattono in somiglianti
vilipendi, per la sovrabbondante ricompensa che loro è riservata in cielo,
dice ad essi: rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra
ricompensa nei cieli
(Mt 5,12). Si degni pur la divina bontà d’infonderci
vivo lume per ben capire, e forza per ridurre alla pratica, verità e dottrine
sì interessanti. E perciò per conclusione dell’opera a lei rivolgiamoci
con tutto l’ardore dei nostri cuori; e più con le lacrime e coi sospiri, che
con le parole ed espressioni della voce, preghiamo, supplichiamo, e piangendo oriamo,
e non cessiamo dal piangere e dall’orare, finché non sia in vantaggio nostro
spedita la grazia, e noi diventiamo veri amanti del proprio disprezzo.

Si esorta parimente ciascuno con gran premura ad intraprendere questo santo esercizio
di amare il proprio disprezzo, per motivo del divino amore, cioè a dire per
onorare e dar gloria più grande al nostro amabilissimo Dio, che è Dio
di verità; per compiacerlo e secondare il suo genio, che è tutto in
favore dell’umiltà e degli umili, e si diletta soprattutto dei piccoli; per
immolare al Signore il proprio onore, che ci suole esser sì caro; per conformarci
con Gesù Cristo sì esinanito, e disprezzato per noi, massimamente sulla
croce.

Questi, e simili atti di carità, sarà bene di rinnovare frequentemente,
e rinforzarli spesso con lena e vigore; e con ciò verremo a riportarne quattro
singolarissimi vantaggi.

Il primo, di piacer molto più e meglio unirci a Dio, che è carità
per essenza; e chi vive nella carità, vive in Dio, e Dio in lui: Dio è
amore; chi sta nell’amore dimora in Dio e Dio dimora in lui
(1 Gv 4,16).

Il secondo, di aumentare assai il nostro merito per il paradiso, perché la
gloria immensa dei beati in Cielo corrisponde alla carità che ebbero in terra.

Il terzo, che la pratica frequente del proprio disprezzo, per stessa motto laboriosa
e difficile e alla natura contraria, si addolcisce di molto, e diviene più
soave e leggiera; proprio essendo del divino amore, per sè medesimo giocondissimo,
di spandere sì grata impressione in quel elle si opera per suo movimento ed
impulso, come insegnano i santi Agostino e Tommaso. Il quarto, in conseguenza del
terzo, che per tal mezzo più si assicura la costanza, la stabilitá
e la perseveranza di così santo esercizio: il che è di sommo rilievo,
giacché per una parte si appiana la difficoltà ed il travaglio, e per
l’altra l’amore somministra sempre nuova forza e coraggio per durar sino al fine.
Si avverta altresì, che, alla dottrina stabilita e insegnata nella presente
operetta, non si oppone quella massima e quell’avviso inculcatoci dallo Spirito Santo,
che conviene aver cura del proprio buon nome: abbi cura del nome (Sir
41,12) perché sul punto di cui parlasi ne provengono grandi beni e per l’anima
e per il corpo e per noi e per altri, onde subito di seguito si legge: perché
esso ti resterà più di mille grandi tesori d’oro
, e dalla mancanza
di questi, gravi disordini ne derivano. Conviene dunque riflettere che per due strade
può l’uomo scapitar nell’onore e restarne anche spogliati: o senza il concorso
della sua opera per una disposizione di Dio, che ad altri permetta di oltraggiarlo
e deprimerlo, oppure mediante gli atti suoi liberi e volontari. Se si tratta dei
primo caso, chi non vede non aver qui luogo il detto dello Spirito Santo e la massima
della vera prudenza? Anche della vita si deve tener conto, e Dio lo comanda; ma se
accade per divina permissione, che taluno ce la tolga, la virtù allora richiede
che si soffra, e che ne facciamo un’amorosa offerta a Gesù, che per noi diede
la sua: e così appunto hanno fatto innumerabili santi martiri. Ora, si dica
lo stesso dell’onore; e accadendo, che per questa via lo perdiamo, certo è
che, se saremo a Dio fedeli e ameremo il disprezzo, tanto è lungi che siamo
per soffrirne danno nell’anima, adesso e per l’eternità; anzi, ne riporteremo
immensi vantaggi, come nell’articolo V s’è riflettuto.

Che se venendoci meno la stima e la buona fama, ne risentiamo de’ pregiudizi nel
corpo e nei temporali interessi, bisogna allora esercitar la pazienza, l’umiltà,
la confidenza in Dio, la rassegnazione e l’abbandono nel divino beneplacito, come
si è notato all’articolo VI: e il simile è necessario di fare, se per
dipendenza da noi, ne restano offesi altri, come ivi pure si osserva.

Quanto al secondo caso, se il cristiano mette a repentaglio il suo onore con atti
suoi volontari da Dio suggeriti e ispirati, come tra molti, accadde a S. Filippo
Neri, quadra ancor qui tutto ciò, che fin ora si è messo in veduta,
perché, finalmente, Dio è l’autore anche in tal caso della nostra degradazione.

È poi verissimo, che non si deve esporre e gettare la propria reputazione;
non solo con atti propri colpevoli, come pur fanno molti, che sono poi i primi a
lagnarsi della perdita dell’onore e dell’abiezione, ma neppure con alti imprudenti
e leggeri; il che mai non è stato raccomandato dai santi, né si insegna
in questo libretto. E qui si raggira il citato avviso dello Spirito Santo, e la massima
prudenziale: onde apparisce che la fitta obiezione non milita contro di noi, né
impugna, né abbatte la nostra dottrina. Anzi, con a piena osservanza dell’insegnamento
di Dio, e con la conservazione del proprio buon nome, giusta le regole della cristiana
prudenza, può star benissimo che si ami il disprezzo, supplendo alla mancanza
di esso (qualora ne siamo privi) con le interne disposizioni del cuore, con ravvissarcene
meritevoli, con amarlo, con tenerci ben pronti a riceverlo, secondo gli ordini della
provvidenza, e dentro tali termini ancora desiderarlo; e quando Dio ce lo presenta,
con abbracciarlo amorosamente, stringercelo al seno, ed esercitare intorno al medesimo
una quantità di atti di gran virtù, suggeriti nel corso della presente
operetta. Così hanno usato i grandi amici di Gesù Crocifisso e quelli
altresì che, per ragione del loro posto ed impiego assegnato loro da Dio,
erano più tenuti degli altri alla cura dei buon nome per la gloria di Dio
e per la salute delle anime, come gli apostoli, innumerabili santissimi prelati della
chiesa, molti principi e principesse, i quali tutti furon guidati nel loro operare
dallo Spirito dei Signore. E non potrem noi imitar questi illustri campioni, che
nel luminoso stato in cui li pose la Providenza, furono amantissimi della propria
abiezione? E non dovremo molto più conformarci all’unigenito Figliuolo di
Dio, generato nell’eternità nel seno dei divin Padre tra gli splendori dei
santi, colmo d’infinita gloria ed onore, sovrano nostro Pontefice e Re de’ regi e
Signore de’ signori, che si fece tanto picciolo e disprezzevole per noi, fino a morire
per mano di carnefice sul tronco infame della croce? E qui cessi ogni replica ed
opposizione, perché Gesù Crocifisso scioglie ed atterra tutte le difficoltà.












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