Dell’amore al proprio disprezzo (ARTICOLO VII)

«DELL’AMORE
AL PROPRIO DISPREZZO»

DEL SERVO DI DIO

P. GIUSEPPE IGNAZIO FRANCHI d’O.












ARTICOLO VII

Riduzione
dei predetti mezzi a tre principali, nei quali tutti gli altri si contengono, e si
propone l’uso pratico ed utilissimo dei medesimi.


Per facilitare
la pratica di tutti i sopra descritti mezzi, importantissimi per il fine preteso
di indurci ad amare il proprio disprezzo, si è giudicato bene di farne un
compendio e di ridurli a tre soli capi, i quali in qualche maniera li comprendono
tutti, e che porteremo sempre

impressi
nella mente e nel cuore, e alla mano come nostra armatura, per poter sempre agire
e sempre combattere.



1. Orazione ben fervida, umile, devota, indefessa, per implorare un tale amore dei
proprio disprezzo da chi solo pub darcelo, cioè da Dio.



2. Persuasione ben forte e ben radicata, e vivissima cognizione, che veramente noi
meritiamo il disprezzo, donde deve scaturire tutto l’amore al medesimo.



3. Impegnatissima ed incessante applicazione all’uso dei mezzi particolari sopra
espressi, ed alla pratica di un tal amore, giusta le varie occasioni che ci si presentano.



È certo l’acquisto di sì gran dono per chiunque adopera come conviene
sì fatti mezzi, e a proporzione e misura che gli adopera; perché ce
ne garantiscono le infallibili promesse di Dio.

Ma ci stia ben a cuore, che non passi giorno, e se sia possibile, ora alcuna, in
cui non si faccia uso con nuova lena e vigore di questi mezzi: non ti sfugga alcuna
parte di un buon desiderio
, ci avvisa lo Spirito Santo (Sir 14,14). Troppo
ripugna all’umana natura, stranamente sconcertata e infiacchita per il peccato dei
nostri primi padri, l’amore al proprio disprezzo, e troppo, al contrario, è
inviscerato nell’uomo l’amore alla propria stima, ereditato dall’infelice Adamo.
Quindi se ciascun dì, e più volte al giorno, non se ne ribattono i
colpi con tutta la veemenza e la forza, non cadrà mai estinta l’umana superbia:
e se non si producono di continuo e con nuovo impegno ed ardore atti di amore al
proprio disprezzo, non si formerà mai nei nostri cuori un abito vigoroso e
costante di sì difficile virtù, che sia atto a sostenere con felice
successo gli urti, soprattutto quelli improvvisi, delle ingiurie e dei vilipendi.
Dunque si rinnovi perciò di sovente l’orazione, e con istanze vibrate al cielo,
con infiammati sospiri e con profonda umiltà e con vivissima confidenza, facciamo
forza a Dio, perché alla fine ci consoli, se non altro per l’importunità
santa nel pregare, come si legge nel Vangelo.

Rammentiamoci di quel memorabile avviso di Cristo sulla necessità di pregare
sempre, senza stancarsi
(Lc 18,1). Questo amore al proprio disprezzo è
un altissimo dono di Dio, che non si ottiene, per ordinario, senza un intreccio e
una catena di mille e mille nuove grazie attuali, e in conseguenza senza un’indefessa
perseveranza nella orazione.

Si abbia continuamente dinanzi agli occhi il merito, che in noi si trova di essere
disprezzati, e a tale oggetto non ci esca mai dalla mente la viltà dei nostro
nulla, e la condizione nera, odiosa e vergognosissima di peccatori, che è
nostra propria. Quindi sempre si rifletta, che non solo non meritiamo il bene, di
cui siamo privi, e che pur bramiamo, e che altri godono sotto i nostri occhi, i quali
ci compariscono talora più imperfetti di noi; ma neanche meritiamo qualunque
bene, che Dio misericordiosamente ci assegna, per piccolo che questo sia. E ugualmente
non solo meritiamo il male che attualmente ci affligge e si teme, ma infiniti altri
mali di più, e senza paragone peggiori, per la misericordia di Dio, non soffriamo.
E perché la riflessione si renda più vigorosa e più forte, si
applichi il sopraddetto nostro merito a mille e mille beni e mali in particolare,
tra i quali si aggira la nostra vita mortale, e potremo prender da ciò motivo
di stare utilmente occupati per giorni, mesi ed anni interi in questo santo esercizio,
con replicare in faccia a qualunque bene o posseduto, o bramato, o a noi concesso,
o negato da Dio: io non lo merito: mi anca il merito di conseguirlo e goderne: e
in faccia a qualunque male, o che ci tormenta di fatto o che si teme, o che ci potrebbe
avvenire, si dica: io ho tutto il merito di soggiacere a un tal male, e a peggio
ancora senza comparazione. A misura che un tal conoscimento sarà vivo e attuato
in noi, ci,sarà facile l’amore al disprezzo; e molto più se vi si aggiunge
la vista dell’innocentissimo nostro Gesù carico di vituperi e di obbrobri,
e la vista e la presenza dell’altissimo Dio, della sua infinita grandezza e santità,
dinanzi a cui scompare del tutto la creatura, ed ogni benché tenuissima macchia
di colpa si rende infinitamente odiosa.

Siano frequentissimi gli atti dell’amore al disprezzo. Se accade che ci troviamo
nell’attual vilipendio e umiliazione, l’oggetto almeno principale di simili atti
sia il disprezzo presente e vicino che ci travaglia, di qualunque sorta sia, o piccolo,
o mediocre, o molto pesante; e questo si ami, si accetti, si gradisca, si invisceri
totalmente nel più intimo dei nostro spirito; e però anche se ne lodi
e benedica in molte guise e spesso il Signore, dalle cui mani si parte ed è
vibrato sovra di noi: e un tale ardentissimo nostro amore si dilati e si distenda
sui nostri disprezzatori, non tralasciando d’impegnarci in loro favore in tutte le
maniere possibili, in tutte le occasioni che avvenissero: e non avvenendone, si cerchino
e si procurino; né si lasci mai di presentarli dinanzi a Dio con ferventi
suppliche nell’orazione. Se non siamo disprezzati, riflettiamo, che se ci manca il
vilipendio, non ce ne manca però il merito (come tante volte in questi fogli
si è mostrato evidentemente) che è cosa assai peggiore del disprezzo
medesimo, e ciò a noi serva di confusione, di umiliazione profonda, e di totale
interno annichilamento, a fronte massimamente di Gesù e di Maria sì
ingiustamente e in sommo grado disprezzati dagli uomini; e in vista ancora di tanti
servi di Dio, di santa vita e d’illibata coscienza, che nel mondo d’intorno, e non
pochi che vivono anche ai gironi nostri, sono e saranno il bersaglio continuo delle
irrisioni, degli scherni e dei vituperi; e pensiamo, che forse noi non siamo posti
da Dio nell’avventurato numero di coloro che hanno disprezzi (e che perciò
si trovano in mano un ricco tesoro con cui trafficarsi per l’anima meriti copiosissimi
per il paradiso) perché ci vede sforniti di virtù per soffrirli, e
che se non ci ingegneremo di soddisfare alla divina giustizia con le volontarie umiliazioni
esterne, e con altri mezzi possibili, saremo trovati mancanti sulle rigorose bilance
divine, e i nostri conti certamente non torneranno sui libri di Dio. Frattanto non
desistiamo di umiliarci da per noi in cento maniere di fronte a Dio e di fronte agli
uomini, e abbiamo sempre fisso e vivo nella nostra mente questo pensiero: di reputare
gli altri da più di noi, e meno rei dinanzi a Dio di noi, attese e ben ponderate
tutte le circostanze, non cessando mai su questo gran punto, di gettarci nell’ultimo
luogo, almeno quanto allo spirito ed all’affetto.

Felice è quel cristiano, che da tutto ciò che se gli presenta sa trarre
motivi per umiliarsi, e momenti onde accendere sempre più in sé l’amore
al proprio disprezzo. E qui giova grandemente avvertire che, per rendere più
grato a Dio, e più meritorio e vantaggioso per noi, e, al tempo stesso, più
soave e meno pesante e conseguentemente più stabile questo esercizio dell’amore
al disprezzo, o sia uso quotidiano dei mezzi conducenti a tal fine, nella maniera
che abbiamo esposto, sarà bene di operare il tutto, animati ed accesi con
modo particolare dal motivo della divina carità, per puro amore, verso Dio,
e per dar gloria a lui sommo e infinito Bene: sì perché Dio Signor
nostro gusta molto, che sempre siamo rivolti ad umiliarci e, con assidua vista del
nostro demerito, amiamo per amor suo il disprezzo (ne gusta tanto, come riflette
S. Giovanni Crisostomo, che se noi fossimo apprezzati da tutti gli uomini, per quell’onore
che a noi ne risulterebbe, saremmo sempre debitori a Dio; ma per quel contento che
a lui diamo con soffrire da essi ogni disprezzo. Dio medesimo diviene debitore nostro
(Si propter Deum diligamur, honoris impensi debitores illi sumus, sin vero eius
causa odio habemur, debitor ipse fit nobis
) si ancora perché divelta completamente
con ciò ogni radice della nostra superbia e del nostro amor proprio, ci abilitiamo
a conseguire ciò che tanto da noi desidera, e cui siamo noi strettamente obbligati,
di esser tutti di Dio.












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