Dell’amore al proprio disprezzo (ARTICOLO II)

«DELL’AMORE
AL PROPRIO DISPREZZO»

DEL SERVO DI DIO

P. GIUSEPPE IGNAZIO FRANCHI d’O.












ARTICOLO II



Verità pratiche conseguenze certissime che risultano dal merito del disprezzo.


Queste
nel presente trattato si distinguono in ottanta punti, i quali potranno anche servire
di attenta lettura spirituale, almeno una volta il mese, con premettere la devota
recitazione del Veni Creator Spiritus o le due bellissime aspirazioni poste
al principio di quest’operetta per implorare il lume e la grazia dello Spirito Santo,
e Con accompagnarli con la meditazione di uno dei cinquanta mezzi per acquistare
l’amore al disprezzo, che si espongono nell’articolo sesto, e con terminare la pia
lettura con qualche fervente preghiera, e se piace, con quella suggerita alla fine
dell’operetta, per conseguire da Dio questo importantissimo dono. Frattanto si avverta,
che molte altre verità restano comprese e nascoste nel merito del disprezzo,
oltre le ottanta qui spiegate, perché l’oggetto è vastissimo e Dio
solo ne penetra il fondo. Ma a chi farà buon uso di queste, non mancherà
nuovo e maggior lume per scoprire nuovo paese incognito a tutti i mortali, e quindi
pei vieppiù inoltrarsi nel conoscimento della propria miseria e nell’amore
al disprezzo.

Similmente si avverta, che dopo avere nei primi punti e verità, esposta la
ragione della conseguenza dedotta dal merito del disprezzo, come da suo principio,
non è stato giudicato a proposito per lo più nei seguenti punti di
dichiarare, e assegnare una simile ragione, per non allungare di soverchio l’opera,
e per non recar tedio, e molestia ai lettori, i quali con breve riflessione su la
norma delle verità contenute nei primi punti, e col lume di Dio, potranno
da sa penetrare facilmente la forza della deduzione delle rispettive verità,
che tutte scaturiscono dal merito del disprezzo.



1. Prima verità e prima conseguenza. Chi è degno di disprezzo (si noti
che questi medesimi termini s intendono ripetuti in ciascuno de’ seguenti punti)
non merita che si faccia veruna stima di lui, perché il disprezzo si oppone
alla stima, e la getta giù, e l’atterra, onde se sta forte il merito del disprezzo,
deve necessariamente, cedere, e, mancare il merito dell’estimazione e di un favorevol
concetto. Dunque a costui non si debbono lodi, onori, ossequi e molto meno distinzioni,
privilegi, riguardi, esenzioni.



2. Non merita che si abbia amore per lui; perché è naturale che non
si ami quello, che non si stimi buono, essendo il bene l’oggetto dell’amore; onde,
per questo stesso che non merita la stima di buono, neppure si merita l’affezione
e l’amore. Che però non è da meravigliarsi, se un tale non trova veri
amici, e affezionati e benevoli; e se qualcuno, per il passato, lo amava sinceramente,
si ritiri ad un tratto e si allontani da lui senza avergliene dato alcun particolare
motivo e cagione, dovendo in conseguenza supporre chi è stato abbandonato
dagli amici, ciò derivare dall’averne essi finalmente discoperto in lui il
motivo e il merito. E quando pure fosse certo, che essi non si fossero indotti a
ciò fare per questo capo, deve però essere sicuro, che ne sono stati
così guidati da Dio, rettissimo conoscitore dei motivi di essere egli disprezzato.
Quindi è che, riguardo ancora all’avvenire, non merita, che le persone savie
e di garbo si degnino avere comunicazione con lui, come se fosse un uomo attaccato
da mal pestifero e contagioso, atto a spandere l’infezione a chi se gli accosta.
Pertanto deve stimare cosa doverosa, che altri, anche suoi domestici, e dipendenti
ricusino di incontrarsi, e abboccarsi, e conversare con lui, e che persino i luoghi
si fuggano ove egli si trova, e dove ha fatto soggiorno, e si abbia pure dell’ orrore
per la roba che ha servito a qualche suo uso, per le vesti, per i libri, per gli
arnesi, per la casa stessa, e per tutto ciò che può aver relazione
alla sua persona; e che la sua sola rimembranza, il suo nome e carattere siano considerati
come oggetti troppo odiosi e molesti e che ciascuno si ingegni di impedire ai suoi
di trattare con lui.



3. Non merita di esser servito, massimamente conforme al suo genio e soddisfazione,
né di essere per sé stesso obbedito; anzi è degno, che se gli
faccia il contrario di ciò che richiede. E come in fatti può pretendere
esatta servitù e obbedienza da persone quanto alla natura uguali a sé,
chi è consapevole d’aver mancato moltissimo, e, per di più, di mancare
nell’essenziale servitù e obbedienza dovuta al grande Iddio infinitamente
maggiore di lui? Quindi avvenga, se fosse il caso che debba qualcuno da lui dipendere,
che questi ricorra con le istanze più efficaci per sottrarsi dalla sua dipendenza,
e si assoggetti ad altri, anche di lui molto minori e contrari che gli biasimino
la sua condotta, la deridano e operino anche in faccia sua tutto l’opposto.



4. Non merita conseguentemente che siano tenute in nessun pregio le sue azioni ed
opere, e scientifiche, e meccaniche, e morali; né gradite le sue fatiche fatte
in altrui servizio, né approvati i pensieri, né progetti, né
accettati i suoi pareri; a tal punto che quando si arriva a sapere, che un sentimento
e una operazione deriva da esso, se non v’è pregiudizio altrui, subito si
scarti e si vilipenda, come procedente da un principio infetto e disprezzabile: reputandosi
comunemente dagli uomini, che il frutto non debba essere di miglior condizione della
pianta, né l’accessorio del suo principale; e generalmente avvenga che sia
rigettata con derisione e disprezzo qualunque cosa si sappia venire da lui, se non
altro per questo solo titolo e motivo.

Analogamente, chi schiaccia un ragno col piede, non ha rispetto a quelle tele, per
fabbricare le quali quel misero animaletto si era già sviscerato. Per questo
stesso motivo neppure merita che siano curati li buoni servigi da lui prestati con
tutto l’impegno ed affetto, e che non ve ne resti la memoria. Gesù travagliò
per il corso di trentatre anni continui con incomprensibile amore per ben servirci,
impiegando e consumando per noi gli spiriti, i sudori, le lacrime, il sangue, la
vita e tutto se stesso al fine di procurarci ogni bene. E qual gradimento è
stato il nostro di un sì sorprendente servizio? In qual pregio l’abbiamo tenuto?
Come ci è rimasto impresso nella mente e nel cuore? Ohimè, che le offese
e gli strapazzi sì spesso da noi fattigli, ci tolgono per confusione la parola
di bocca. Vuol dunque ragione, che gli uomini ci paghino con simile moneta, anzi,
tutto ciò è poco in paragone del nostro merito.



5. Non merita che alcuno prenda con lui la minima confidenza e apertura di cuore:
e neppure quelli, che dovrebbero per ogni titolo averla o per dipendenza e congiunzione
con lui, o per i molti benefici e riprove di parzialissmo affetto, con le quali ha
inteso obbigarsegli e farsegli suoi. Veda bensì, che quelli stessi, i quali
con esso tengono affetto, chiusa con lui la bocca e il cuore, con altri poi (sebbene
per pubblica fama imprudenti e mal costumati) spandano le loro viscere, né
si sazino di esser loro continuamente intorno per confidarsi. In modo analogo, neppure
merita, che il suo amore trovi riscontro con le persone amate e quanto più
le ama, più le scorge insensibili e disamorate. O quanto questa sorta di umiliazione
è a noi dovuta, poiché appunto questa è il nostro caso con Dio.
Gesù è il nostro amantissimo padre, che per nostro bene ha fatto e
patito tanto: eppure fino al presente non ha trovato in noi corrispondenza alcuna
di fiducia e di amore.



6. Non merita che gli si dia la libertà di parlare di ciò, che gli
piace nelle adunanze e nelle conversazioni, né di esporre i suoi sentimenti:
ma appena egli apre la bocca, tosto gli si dia sulla voce, e in tutto sempre si contraddica
da ognuno, sebbene inferiore a sé per età, per condizione, per grado,
per scienza, e gli succeda di noti essere mai creduto, anche quando pronunzia le
verità più manifeste, e ciò per effetto di una pessima prevenzione
impressa negli uomini contro di lui.



7. Non merita di ricevere un’occhiata amorevole, né una parola dolce, sebbene
egli usi tratto cortese nell’interrogare e nel ragionare, né elle si ricevano
da altri le sue amorevolezze, esibizioni e regali da lui fatti con tutto il buon
cuore. Questi segni di stima e di amore si sono pure bene spesso empiamente da lui
negati al Signore nella persona dei poverelli, che rappresentavano Gesù povero,
disprezzato e afflitto. Gli si renda dunque ciò che per giustizia è
ad esso dovuto.

Quindi è giusto che, quando le persone più. mansuete ed affabili lo
scorgono anche da lungi, subito e pubblicamente o lo scansino, se loro si rende possibile,
o mutino contegno, aria, umore e portamento e si mettano in ardenza, in altura, in
severità; e col volto, e con la voce, e con i gesti e con mille e mille atteggiamenti
aspri e incivili, gli dimostrino chiaramente l’avversione del loro cuore, l’antipatia,
la disistima e il disprezzo. Inoltre avvenga che la gente si vergogni di lui, anche
chi ci dovrebbe avere maggior rapporto, e che si faccia mostra neppur di conoscerlo,
e che nessuno gli si presenti con sincerità di animo, e nessuno con lui proceda
con schiettezza, ma chiunque è necessitato a trattarci, si ponga sulle parate,
in grave sostenutezza e sussiego, e faccia assai, se si attiene al silenzio e agli
equivoci dinanzi a lui, a scanso di manifeste bugie.



8. Non merita di avere la consolazione di vedere persona contenta, e soddisfatta
di lui, quando per altro mette ogni studio a far bene, e a secondare il genio del
suo prossimo, e sempre gli tocchi a restar con la pena di mirar le persone, e quelle
ancora chele più gli premono, disgustate, amareggiate, infastidite di liti
in guisa tale, che ci serva di croce a chiunque tratta, e convive con esso, e che
perfino gli sia fatto apertamente conoscere il vantaggio che ne risulterebbe se Dio
presto con la morte lo levasse dal mondo.



9. Non merita che si faccia mai conto di lui da alcuno. Chi può contare sul
nulla? Chi ha da fondare un assegnamento sul niente, e in quel che non è?
E se un peccatore è di peggior condizione del nulla, chiunque è tale
potrà lagnarsi che nulla si conti sopra di lui? È dovere che se ne
faccia capitale soltanto, quando altri sperino di potersi servire di esso per i particolari
loro fini e interessi, e poi si suoni la ritirata, non gli sia reso il saluto, non
venga corrisposto, né siano curate le sue cortesie, e nessuno lo guardi in
viso, nessuno lo rammenti, non ne faccia più il minimo conto e ricerca, come
se fosse morto molti secoli innanzi. Ciò si intende ad eccezione del caso
di schernirlo, e di beffeggiarlo, in cui venga liberamente e spesso fuori il suo
nome e il suo ricordo.



10. Non merita, che gli siano date le giuste informazioni in materie e affari suoi
rilevantissimi, mentre aveva tutto il diritto di esigerle, e di pretenderle; onde
gli sia mascherata, palliata, e artificiosamente nascosta la verità, la quale
per accidente gli pervenga a notizia, allorché il male si è fatto irrimediabile,
e disperato il conseguimento del suo bene desiderato: laddove, se fosse rimasto avvisato
in tempo opportuno, avrebbe potuto facilmente da lui scansarsi il male e ottenere
il bene. Ciò anche accada, quando egli medesimo sia in dovere di rendere conto
dei successo a persone molto rispettabili, e di alto rango, in faccia alle quali
però comparisca un infedele nel suo ministero, un mancatore di parola, o per
lo meno un uomo inetto, e incapace di qualunque impresa.



11. Non merita che gli sia mantenuta la parola e le promesse fattegli; anche nel
caso vi facesse moltissimo affidamento, essendo in gioco il suo proprio onore e interesse.
Possibile che chi ha tante volte mancato di parola a Dio, e mancato alle promesse
fatte a lui solennemente nel santo Battesimo, e nei tribunali di penitenza, abbia
poi a pretendere questo riguardo dal suo prossimo?



12. Non merita di esser creduto nei suoi detti, e nelle sue azioni, quando anche
si creda tutto agli altri, soprattutto alle persone a lui ostili. Non fu creduto
comunemente Gesù: e il nulla, il peccatore, noi, noi vorremmo questo onore?
Quindi succeda, che non gli siano creduti i suoi mali, e impotenze ad operare: e
altamente anzi in sua presenza molti se ne ridano, onde da lui si pretenda molto
più delle, sue forze; e perciò non potendo esso operare con intera
soddisfazione altrui, all’interno suo patire si aggiungano acerbi rimproveri, motti
piccanti, irrisioni, minacce e castighi.



13. Non merita di esser compatito nei suoi travagli, disgrazie e pene, o per non
esser conosciute, o per non essere stimate, e anche ne sia disprezzato, e messo in
burla, e veda nel tempo stesso i suoi confratelli per travagli incomparabilmente
minori dei suoi, e talvolta, anche immaginari e voluti, ricevere mille dimostrazioni
di compassione e di condoglianza. Questa è una ben giusta pena a chi non ha
compatito Gesù nei suoi dolori, anzi ha aggiunto atrocissima afflizione all’afflitto,
fino ad accordarsi a metterlo in croce, e dargli la morte.



14. Non merita di essere sovvenuto nelle sue miserie, non consolato se è angustiato,
non aiutato se è infermo, non difeso se è perseguitato; onde gli avvenga
che nessuno pensi a lui per sollevarlo; e che anzi pensino tutti a lasciarlo in abbandono
nei suoi guai, e ad aumentargliene dei maggiori: e gli accada di vedere taluno risoluto
di volere piuttosto gettare via il suo, che darlo a lui in tempo pure di sua grave
ed estrema necessità. Così conviene a chi ha follemente abusato dell’aiuto
e assistenza di. Dio, e ha preteso che l’Altissimo lo serva nei suoi stessi peccati,
secondo la terribile espressione dello Spirito Santo: Mi hai trattato come
una schiavo nei tuoi peccati (Is 43,24).



15. Non merita di riscuoter mai gratitudine, per i benefici ad altri da lui compartiti,
quando anche siano tali benefici molto considerevoli, e per la qualità, e
per la quantità, e per le loro circostanze: ma bensì gli riesca in
luogo di gratificazione e di premio, ricevere noncuranze e disprezzi, e anche affronti
nell’ora stessa dalle persone da lui beneficate. E qual gratitudine può pretendere
per simili bagattelle e minuzie, chi è stato ingratissimo a Dio per benefici
inesplicabili, e senza numero? Eh tacciamo dunque, tacciamo a questa riflessione.



16. Non merita che la gente si fidi di lui; onde sia reputato comunemente un uomo
finto, un ingannatore, un mancatore di parola, capace ed atto per sua malizia a commettere
ogni male, talmente che presso di esso non si stimi sicura né roba, né
segreti, né affari, né commissioni e lavori, e neppure gli si affidino
persone quanto all’anima e quanto al corpo; e di più siano queste allontanate
e rimosse da lui con rigorosi divieti, quantunque per ogni titolo se gli dovessero
consegnare; e ciò per timore, che non restino infette e viziate, comunicando
con il medesimo. E chi sì dovrà fidare di chi è nulla, e nulla
può, e tante riprove ha dato dinanzi al Signore della sua ignoranza e malizia,
ed è tuttora capace di fare ogni male?



17. Non merita di trovare persona, che gli dia ragione, anche in ciò che gli
sembra più manifesto e più giusto; ma che generalmente gli si dia il
torto da tutti, senza avere chi lo difenda e giustifichi nelle sue oppressioni; e
che

piuttosto tutti gli facciano contro, anche i più saggi, discreti suoi conoscenti,
congiunti, beneficati da lui, e suoi dipendenti, Chi difese Gesù nelle calunnie
inventategli contro, negli ingiusti trattamenti che gli furono fatti? Chi arringò
per. la sua innocenza? Eppure era il giusto, il santo, l’esente da ogni macchia:
e noi siamo rei di tanti peccati! Quindi è che neppure merita di essere lasciato
parlare in sua discolpa. Lo schiaffo sì ignominioso e crudele dato all’innocentissimo
Gesù al tribunale di Caifa quando con infinita sapienza parlò per attestare
la verità, ci fa abbastanza conoscere che non ci aggrava chi ci impedisce
di metter fuori i nostri sentimenti e ragioni. Non si permette che il Figlio dell’Eterno
Padre faccia sentire la sua voce, e noi ci lusinghiamo di avere il merito di parlare
per noi con libertà?



18. Non merita di trovare alcuno che gli mantenga il segreto: trattamento è
questo ben proporzionato a chi si stima quanto il nulla o meno ancora dei nulla:
anzi conviene che gli si strappi di mano, e dai suoi scrigni ciò che custodiva
con maggior gelosia, e accuratezza; e che gli siano furtivamente, e senza legittima
autorità intercettate e dissigillate e lettere e plichi e i suoi segreti riportati
a chi più gli dispiace, e vengano ancora fatti pubblici: quindi non trovi
di chi fidarsi e con chi sincerarsi.



19. Non merita di ricevere le convenienze, che si fanno a tutti della sua qualità
e condizione: bisognerebbe aver qualche stima di lui, affinché gli si usassero
simili convenienze e buoni garbi; ma se non se gli deve nessuna stima non merita
queste cose, e neppure deve entrare a parte dei beni che comunemente si dispensa
a tutti del suo rango e qualità: a tal punto che, chi distribuisce il bene,
pervenendo a lui, lo trapassi, anche pubblicamente, come un indegno. Nella guisa
che il santo David profetò a riguardo delle montagne di Gelboe, perché
in esse vi fu trucidato l’unto del Signore, il re Saul: O monti di Gelboe,
non più rugiada né pioggia su di voi (2 Sam 1, 21). E
chi ha cotanto influito nella spietatissima morte data sul monte Calvario a Gesù
Cristo, che è il vero unto di Dio, e che solo per eccellenza può dirsi
tale, non sarà egli infinitamente più meritevole di un simile trattamento?
Quanto a noi dobbiamo credere di non avere alcun merito per quei beni che attualmente
godiamo, e che ingiuria non ci sarebbe fatta, ma giustizia, se ci fosse tolto. Come
dunque ci pare strano, che non ci siano conferiti nuovi beni, e dati segni d’onore?
Con tutto il riconoscimento della nostra miseria, con tutto il rimorso della nostra
coscienza, ci stimeremo di meritare le finezze e le cortesie che e agli altri si
usano? Che se noi non meritiamo il bene che indifferentemente si concede a tutti,
molto più non saremo degni di quel bene e di quei favori che sono riservati
a persone distinte, e di speciale riguardo.



20. Non merita, che vedendosi colmo di disprezzo da parte degli uomini, di trovare
conforto neppure con Dio; quindi applicandosi in tali casi all’orazione, incontri
(ma per suo profitto) ovunque e sempre tenebre, desolazioni, amarezze; il cielo divenuto
come di bronzo per lui, e Dio apparentemente come insensibile ai suoi clamori, ed
oppressioni. Se costui allora dovesse reputarsi degno delle amorose divine influenze,
come sarebbe costui un uomo disprezzabile, come deve credere di essere?



21. Merita che evitati con lui tutti i discorsi gradevoli, consolativi e giocondi,
non d’altro gli si parli che di materie odiose, moleste e spiacevoli al suo naturale,
delle quali si era dichiarato di abborrire la rimembranza: il che anche si faccia
con le maniere le più disgustose e ingrate: e non s’abbia alcun riguardo a
interrompergli importunamente l’applicazione ai negozi più seri, e per fino
la quiete, lo studio e il riposo, per attaccare con lui discorsi malinconici e molestissimi,
anche mentre non può mettere al male alcun rimedio.



22. Merita che facendo qualche atto di scusa, sebbene non dovuta, o di umiliazione
a qualcuno, non solo non sia ammesso con maniere piacevoli, ma venga ancora ributtato
con dispetto, con minacce, rimproveri, villanie e affronti sensibilissimi, e frattanto
altri che vi si trovassero presenti ne mostrino godimento, ne facciano applauso per
confonderlo più ed umiliarlo.



23. Merita, che essendo lodato da alcuno in assenza sua, o in sua presenza, subito
altri ne interrompa la lode con rivolgere ad altre cose il discorso, e anche con
narrare qualche sua mancanza vera, o falsa, e che gli siano cavati fuori i suoi antichi
errori, sfregi e bassezze, già restate come sepolte nell’ oblio; sicché
ne resti con disistima e discredito.



24. Merita che gli siano ridette da tutti le stesse cose cento e mille volte, come
se fosse del tutto privo di memoria e di capacità di comprendere: e che gli
si faccia ripetere spesso ciò che da lui altre volte è stato detto
o narrato; e a ciò seguano derisione motti di scherno: e che anche le persone
ignorantissime pretendano di fargli da dottori e maestri in cose di sua competenza
e perizia, dove più si è fondato con lo studio o con l’esperienza;
e non manchi altresì chi si faccia avanti a suggerirgli i primi principi,
e ad insegnarli, come suole dirsi, l’abc sulle stesse materie: del che quegli
anche pubblicamente si vanti e se ne faccia un pregio.



25. Merita, che si estenda anche più innanzi, questa sorta di disprezzo, e
ci sia chi non avendo alcuna autorità sopra di lui, entri nei fatti e nelle
cose sue ancor più recondite e delicate, gli stai alle costole, gli dia leggi,
e voglia dominarlo a suo capriccio, e mettergli, per modo di dire, il piede sul collo,
con usare una certa padronanza e superiorità sui suoi affari, interessi e
maneggi, e anche sulla sua persona con maniere alte e sprezzanti.



26. Merita, che gli sia mostrato il bene, solo per lusingarlo o per adescarlo, per
accendergli sempre più l’appetito, e dopo cento buone parole faccia sul più
bello sparir dagli occhi, e resti bruttamente deluso a mani vuote; onde invece della
rosa trovi la spina, invece d’argento e di pane trovi un sasso, e invece di onore
trovi disprezzo, e tutto vada a finire in una strepitosa risata.



27. Merita, che se qualcuno dalle sue circostanze è costretto a fargli qualche
sorta di bene, glielo faccia mal volentieri, e come per forza, e poi non cessi di
rinfacciargli e rimbrottargli mille e mille volte il bene che gli ha fatto, quando
in realtà altro non fu che bagatella: ancora vada spargendo a piena bocca
d’averlo esso cavato fuori dal nulla per carità, trattolo da un abisso di
miserie, e sollevatolo al posto che di presente possiede, e che di ciò deve
essergli debitore, ma che egli si è comportato sempre da irriconoscente e
ingrato.



28. Merita, qualora si trova ridotto in gravi afflizioni, caduto al basso, abbattuto
di corpo e di spirito, di vigore e di forze, con mille angosciosi pensieri alla mente
ed angustie al cuore, che allora gli si moltiplichino i disprezzi, senza alcun riguardo
e alla peggio; anzi in tali congiunture la gente dalle stesse sue calamità
ed oppressioni prenda animo a vilipenderlo e conculcarlo; che si attribuiscano le
sciagure che gli sono piombate addosso, alla sua imprudenza, balordaggine, temerità
e si ascrivano a eccessi occulti da lui commessi



29. Merita che sia cacciato dai suoi onorevoli posti ed impieghi, e sia messo in
disgrazia di chi lo reggeva, e sia fatto passare come scimunito, inabile, perverso,
e solo atto a rovinare ogni cosa, talora per incapacità, e talora anche per
malizia. Trovandosi poi così depresso e avvilito, merita che gli sia dato
più addosso, per finire di precipitarlo. In tal guisa fu strapazzato Gesù:
inseguono colui che hai percosso, aggiungono dolore a chi tu hai ferito. (Ps.
69 (68), 27).



30. Merita, che gli sia negato quello che gli appartiene, o almeno gli sia dato con
maniere incivili, con viso torbido e con parole ingiuriose, o pure con frequenti
replicati rimbrotti, onde spesso sia maggiore la pena che per un tal trattamento
riceve, del bene che gli si fa, per altro a lui dovuto; e avvenga ancora, che ciò
che altri gli debbono per rigorosa giustizia, millantino di pagarglielo per di più,
per carità e commiserazione; e questo pure segua con pessimo garbo: laddove
quel che egli fa, o somministra ad altri per mera carità, sia ricevuto e preteso
come di legge e di dovere senza dimostrargli però alcuna sorta di gradimento,



31. Merita, che chi aveva commissione di dargli della roba, nulla esegua a suo vantaggio,
e piuttosto dia ciò che era destinato e spedito a lui a quelli che non sono
bisognosi di cosa alcuna; e impieghi l’opera sua in tutt’altro fuorché verso
di lui



32. Merita, che contro la sua e contro la comune aspettativa, quel bene che egli
desiderava, lo veda conferito ad altri, senza titolo alcuno, anzi per questo solo
motivo, perché non sia dato a lui e intanto con estrema sua pena e confusione
ne resti privo e mancante, quantunque vi contasse, e lo facesse suo; soprattutto
quando ciò sia avvenuto per falsissime informazioni e lamentele, per inganni
ed anche in modi violenti e ingiusti.



33. Merita che furtivamente da più persone renda un’esatta e rigorosa osservazione
di lui, per intendere come parla, come opera, con chi tratta, quali affari abbia
alle mani, ove si porta, ove si trattiene, e che per minuto si osservino perfino
i passi, i movimenti, le occhiate, i sospiri; tutto ciò in somma che è
in riguardo a lui sia spiato da tutti con occhio ben attento ed anche di nascosto,
e questo al fine di censurarlo e screditarlo e riferirlo a chi meno vorrebbe, con
suo gravissimo dispiacere; onde ne succeda di far esso una miserabile figura in faccia
a chi più egli conta, e al pubblico ancora; e che ciò gli si usi non
solo dai maggiori e da chi ha sopra di lui qualche autorità, ma bene spesso
ancora dagli uguali, dai minori e da quelli stessi che cento e mille volte hanno
sperimentato la schiettezza del suo procedere; e che quei medesimi si infurierebbero
se il potessero sospettare che egli in tal guisa si ponesse in osservazione dei fatti
loro.



34. Merita che gi spacci il suo nome e la sua parola, senza la di lui commissione
e intelligenza, anche in materie odiose e gelosissime, senza speranza, che sia mai
scoperta la falsità della commissione; onde ne gli succeda disamore, discredito
e disprezzo.



35. Merita che in un tratto, e quando meno se l’aspetta, gli siano troncati e rovesciati
sul più bello, i suoi disegni, onde non abbia il piacere di compiere ciò
che aveva incominciato con speranza di felice successo.



36. Merita, che non gli si permetta di operare, almeno quando e come vorrebbe; e
però succeda, che gli siano tolti dinanzi i mezzi e gli strumenti necessari
per le sue azioni; che gli sia impedito di entrare in casa propria, e che ne sia
anzi cacciato per forza, onde sia costretto a rimanere fuori allo scoperto, esposto
alle inclemenze delle stagioni, senza trovare sostentamento e ricovero. E ancora,
per avvilirlo maggiormente, avvenga che si attribuisca la sua inazione e ritardo
a ignoranza, a positiva voglia di scansar la fatica e di non far cosa alcuna di bene.
Chi si è servito della sua volontà e dei doni datigli da Dio per arma
contro di lui nell’oltraggiarlo con le sue colpe, non merita forse, che si usi ogni
mezzo anche il più strano per troncargli la strada a operare?



37. Merita di vedere, che le sue opere anche intraprese con ottimo fine e retta intenzione,
non abbiano felice riuscita, mentre le opere altrui sortiscono effetto felice; dal
che risulti, che quelli siano applauditi, onorati e premiati, ed egli non curato,
abbassato e posto in una confusione ben grande.



38. Merita di esser sottoposto e negli impieghi e nei posti e nelle comparse e nel
vivere, a persone molto a liti inferiori per la condizione, per gli anni, per l’anzianità,
per sapere e per qualunque altro titolo; le quali persone siano verso di lui poco
trattabili, indiscrete, arroganti, incivili, impetuose e in tutto ripugnanti e contrarie
alla sua indole e inclinazione.



39. Merita che anche a bella posta non sia mai impiegato in quelle azioni e imprese,
per le quali è abile e felice nell’operare; dal che ne segua, che non riuscendogli
bene le sue funzioni e ministeri, sia reputato uomo da nulla, un pan perso e un aggravio
della casa e della comunità, e come tale sia spesso schernito.



40. Merita che se gli tronchi la strada ad ogni avanzamento e vantaggio, in genere
di roba e d’onore e di posti e d’impieghi e di dignità e di qualunque bene
desiderabile nel mondo, e di quello ancora che era in atto di conseguire in corrispondenza
dei suoi lunghi servigi e benemerenze, o per qualunque altra ragione: e ciò
segua e a fronte scoperta e con occulti maneggi e artifici, onde non possa mai alzare
il capo, ma sempre si trovi respinto indietro, e rovesciato a terra, a dispetto di
tutte le sue diligenze, e premure; e qualunque volta sperava di migliorar le sue
condizioni, le ritrovi ridotte in stato peggiore.



41. Merita che gli siano anche fuor di tempo e all’improvviso tolti gli impieghi
e uffici a lui più graditi, e conferiti ad altri, e singolarmente a chi ha
procurato che contro ogni ragione gli fossero levati. Nel qual caso, sotto i suoi
medesimi occhi, quegli disfaccia anche ad onta sua ciò che esso aveva fatto
e ben ordinato con molto studio e travaglio.



42. Merita se ebbe impieghi di governo, che le persone da lui ammonite e castigate,
divenendo poi suoi superiori, lo tengano sempre basso, e con gran severità
lo castighino per mancanze anche involontarie, e tutti gli ridicano più volte
e in pubblico, alla presenza talvolta di chi possa più a lui dispiacere, i
difetti che commise quando era superiore.



43. Merita di esser preso di mira e fatto servire a quest’uso. Si rimuova da una
operazione, quando è vicino a finirla e riportarne onore, e si faccia terminare
da un altro, anche suo contrario, appunto perché quegli ne abbia l’onore e
la compiacenza, a costo di lui: ed al rovescio, quando altri ha condotto male un
affare senza rimedio, ed è vicino a provarne la confusione e il castigo, si
tolga quegli dall’imbarazzo e vi si metta esso disprezzevole; e tutta la pena e la
confusione tocchino a lui, creduto autore dell’opera rovinata.



44. Merita di essere senza riguardo alcuno, smentito, anche in faccia, con maniere
le più vili e offensive: e che avendo egli preso un impegno, e fatto un’ azione,
con l’approvazione e consiglio di qualche personaggio di conto e per commissione
ancora di liti, volendo poi portare, a giustificazione dei suo detto e operato, l’autorità
di quel tale, quegli mutato del tutto linguaggio, si getti liberamente a negare,
sia in privato che in pubblico, sia voce che per iscritto, di avergli mai data la
detta approvazione, consiglio e commissione, e che mai neppure gli è stato
parlato di ciò. Dal che ne segua, che il misero se ne resti contro ogni aspettazione
deluso, senza alcuno che lo sostenga, e con la nera taccia di impostore, bugiardo
e raggiratore.



45. Merita che avendo intrapreso, anche con sua ripugnanza e per fare sacrificio
di sé, un affare delicato, un impegno difficile, mosso unicamente dalle persuasioni
e preghiere importune, e talvolta dai comandi di persone autorevoli, queste poi siano
le prime a rivoltarglisi contro e dargli addosso, a biasimare e condannare il suo
operato, con tacciarlo d’incapace, di superbo, di temerario, quando anche tali persone
siano state, e proseguono ad essere la cagione, coi loro segreti raggiri a fraudolenti
maneggi, che la sua opera e le sue fatiche non abbiano potuto, e non possano felicemente
riuscire: e frattanto egli con un simile sfregio se ne rimanga avvilito e depresso.



46. Merita che il suo bene, e ciò elle potrebbe cagionargli stima e fargli
del merito, resti o non conosciuto, o non voluto conoscere, o dimenticato affatto,
o in qualche maniera diminuito, oscurato, soppresso e come annichilato. Quindi avvenga,
che nulla si valutino in lui le buone qualità, che in altri si apprezzano,
benché sia certo che sommamente le possiede. come la roba, la civiltà,
la parentela, il merito illustre dei suoi maggiori, il. talento, la felice memoria,
la scienza, la destrezza nell’operare, l’esperienza negli affari, e il vantaggioso
servizio da lui prestato al pubblico e ai privati, il posto, la professione, la beneficenza,
la sincerità, il buon cuore, e mille altre simili cose.



47. Merita di vedere del continuo altri per le stesse buone qualità, e molto
minori ancora delle sue, essere da tutti commendati, applauditi, onorati, consultati,
promossi, provvisti coli ogni splendidezza e decoro, e alla grande trattati; ed egli
frattanto sia posto in dimenticanza e lasciato in un canto come un uomo da nulla,
senza che da veruno si abbia la minima considerazione e riguardo per lui; oppure
sia fatto tornare addietro, e messo in impiego infimo da principiante. Infatti, se
si reputa un niente, come in realtà egli è, intenda bene questo essere
il trattamento che a lui si compete: e se si reputa un peccatore, che è quanto
dire un oggetto di niente peggiore, deve stimar bagatelle simili trattamenti, e non
curanze di lui, e deve piuttosto stupirsi, se mai riceve il più piccolo contrassegno
dell’altrui stima e ossequio: e se oltre il non farsi alcun conto di lui e delle
sue qualità, non è sempre caricato di ingiurie di obbrobri.



48. Merita di passare per balordo, melenso, imbecille, scemo di cervello e come tale
esser trattato, anche con mille raggiri e sottomani, e che sia esplorato il. suo
sentimento e consiglio, unicamente per contrariarlo, vilipenderlo e prendersene pubbliche
beffe. Laonde anche succeda d’esser egli tentato, circonvenuto, messo in mezzo, e
che con arte se gli tragga di bocca quel che si vuol far servire per abbatterlo,
e rovinarlo e che in faccia gli si parli in un modo, e tutto a rovescio dietro le
spalle.



49. Merita di esser burlato, deriso, motteggiato e schernito con soprannomi, che
lo tocchino sul più debole e sul più vivo; e che in sua assenza e in
sua presenza, senza la minima soggezione e riguardo, quando si pretende di rallegrare
la brigata e muoverla a riso, si metta in campo la di lui persona, i suoi modi, le
sue operazioni con tal garbo e artifizio, che sia fatto servire di giuoco, di trastullo,
di balocco agli sfaccendati, e di oggetto di scherni e di beffe, e come se fosse
posto alla berlina; e che inoltre si rifaccia da altri la sua parlata, la sua voce,
gesti, maniere, atteggiamenti ecc., con mille caricature e affettazioni, per renderlo
del tutto ridicolo.



50. Merita che gli sia contraffatto il carattere e il sigillo, e anche si arrivi
a fingere la sua persona e adattarsene la figura, per fare qualche azione disdicevole,
onde da ognuno si creda derivare da lui, con grave sua confusione e diffamazione,
come ad altri è ciò avvenuto. Di più, che se ha dato alla luce
opere scientifiche da recargli onore, si ristampino col titolo di diverso autore,
oppure col suo nome medesimo, ma alterare con errori di lingua, di sentimenti, di
raziocinio; in modo che sia riputato da tutti ignorantissimo.



51. Merita che altri si servano di lui come di uno zimbello, o di un fantoccio di
paglia per i loro fini stravolti; e senza che se ne accorga, gli facciano fare la
figura più brutta e odiosa del mondo, con gettargli anche, come suoi dirsi,
la polvere negli occhi; e che ciò gli si usi, perché egli stesso da
sé si fabbrichi la sua rovina, e s’inviluppi nella rete con le sue stesse
mani tessuta; della qual cosa non si accorga, finché non vi sia più
rimedio.



52. Merita di comparire vile, abbietto, ignobile, incivile, senza giudizio, senza
spirito, senza creanza ed educazione, privo di ogni buona qualità, e pieno
d’innumerabili mancamenti e naturali e morali, e quanto al corpo e quanto all’anima,
e quanto a tutto il rimanente delle cose sue. E perciò non considerato per
nulla, qualora per suoi premurosi affari e ingerenze gli avvenga portarsi a qualche
personaggio, subito che mette il piede in quella casa, o ne sia cacciato dai servi
cori villanie, o sia fatto aspettare nelle anticamere, dandosi frattanto accesso
ad altri inferiori ad esso di nascita e di condizione, sopraggiunti più tardi
di lui, e dopo lunghe ore ne sia licenziato con frivoli e ridicoli pretesti, e mandato
via come un vilissimo plebeo; il che gli si usi con riso, con beffe e con vituperi
ancora, e di concerto fra molti, e cori approvazione di quello stesso personaggio.



53. Merita che liberamente si pensi male di lui, e che la gente supponga di poter
ciò fare senza dilungarsi dal vero, con credere d’averne più che sufficienti
fondamenti e ragioni, Quindi succeda, che si formi di lui un concetto molto sinistro,
e di esser creduto la persona più cattiva del suo vicinato, della sua comunità
e dei suo paese.



54. Merita che s’interpretino le sue parole ed azioni buone in se medesime, o almeno
indifferenti, per la parte sempre peggiore, e lo stesso avvenga dei suoi pensieri
e intenzioni, onde per lui sia dato d’eccezione a tutte le leggi di favore e di condiscendenza;
così il suo silenzio e pazienza siano presi per una confessione di colpa;
ogni ombra di dubbio, o sospetto s’interpreti per una verità manifesta, e
che non solamente non gli si menino buone né ignoranza, né inavvertenza,
né primi moti, ma di più che sia condannato ad ogni piccolo indizio,
Senza udir lui, e chi faccia per lui, e si cammini contro di esso per via di sinistre
prevenzioni e falsi supposti.



55. Merita di essere stimato difettoso e mancante in quel medesimo, ove pone tutto
lo studio per ben riuscire, o praticare la virtù. Per esempio, di passar per
superbo e ambizioso, quando procura di esser umile e alieno dalle umane grandezze;
di esser riputato disobbediente e ostinato nel proprio giudizio e volontà,
quando si sforza di cedere, di sottomettersi e di arrendersi all’altrui volere, massime
dei suoi superiori; privo affatto di carità, quando si ingegna di fare del
bene a tutti; collerico e vendicativo, quando alle ingiurie corrisponde con orazioni
e con benefici; finto e bugiardo, mentre ha grande orrore a sì fatti vizi;
che abbia per mira di soprastare, di dominare di entrar per tutto, di regolare il
mondo, quando in realtà nulla più brama che di attendere a Dio solo
ed a sé. E così vada quanto al resto.



56. Merita che si parli male di lui in pubblico e in privato, in sua assenza e presenza,
e che appena commette una debolezza e cade in errore, nulla gli si perdoni, anzi
subito si prenda la tromba, e dappertutto si propali e sì sparga, e si faccia
penetrare all’orecchio anche di chi non vorrebbe che tali cose sapesse: e non si
ponga mai fine al rumore e alla mormorazione, ma ogni dì si torni da capo,
e si ripigli la stessa musica.



57. Merita di ritrovarsi in angustie tali, che per lui non vi resti parte ove voltarsi,
onde dappertutto incontri biasimi, censure e disprezzi. Che però sia ugualmente
maltrattato e vilipeso se opera, o se non opera, se si mostra mesto, o allegro, se
sociale o ritirato, se si giustifica dalle accuse, o se non si giustifica. Se parla,
sia tacciato di manifesta superbia fina e nascosta; se esteriormente si umilia, se
l’imputi a finzione e ipocrisia, se non si umilia, si chiami reo di ostinata arroganza:
e così del rimanente. Dal che ne succeda che da tutto quello a cui si appiglia,
a lui ridondi biasimo e vilipendio, e neppure sappia in tali casi, frequenti a succedergli,
a qual partito, gli convenga attenersi per evitare, se non altro, il maggior disprezzo.



58. Merita che con lui si proceda con tutto il rigore, mentre con altri si usa con
equità e dolcezza. Quindi da lui si pretenda, che faccia più delle
sue forze, della sua abilità e cognizione, e non potendo egli corrispondere,
sia perciò trattato come caparbio, codardo ecc., e qualora trascorre in qualche
mancanza leggiera, anche una sola volta, sia subito mortificato, e con più
severità di ciò che ammette, o la legge, o la consuetudine, o l’arbitrio
dei superiori: laddove se cadono altri in mancamenti ancora più gravi e più
sovente di lui, gli veda meglio trattati per via di epicheie, di grazie e di dissimulazioni.



59. Merita che il più malagevole, il più odioso, il peggio in somma
venga a posarsi e colare sopra di lui quasi di diritto e di legge; come la stanza
più incomoda, le vesti più vili, il cibo mal condizionato, onde a lui
tocchi sempre il rifiuto degli altri, e quel che essi non possono, o non vogliono
fare. Quindi per ordinario si veda addossate le incombenze, gli impieghi e le occupazioni
ove è maggiore il travaglio, la pena e l’umiliazione, e minore il lucro, il
piacere e l’onore. Infatti, se il peggio tra molti deve necessariamente toccare ad
uno di essi, senza alcun dubbio è dovere che trovandosi tra mille e centomila
una persona disprezzabile, cada sopra di questa. Dunque chi pensa di sé medesimo
di meritare il disprezzo (e non può e non deve pensare ciò degli altri)
sempre ha da credere per sicuro di meritare il più vile ed il peggio, anche
se fosse in mezzo a centomila persone, e che convenga che sia preso di mira esso,
per lasciar vivere in pace gli altri che non debbono esser disprezzati.



60. Merita che non siano attese e curate le sue domande e raccomandazioni, come derivanti
da un soggetto di nessuna stima, e anzi siano sempre respinte le sue pur giuste suppliche,
istanze, memoriali, lettere, e persino i clamori ed i pianti. E quante volte noi
siamo stati volontariamente sordi alle voci di Dio, nulla curando le sue ispirazioni,
i suoi avvisi e le sue premurose interne richieste! E ci sembrerà poi strano
di ricevere un simile trattamento dagli uomini? E chi non ha dato neppure a Dio ciò
che con infinito diritto di giustizia esigeva tante volte da lui, potrà pretendere
da altri quello che per mera cortesia implora?



61. Merita che non sia lasciato fare giammai a suo modo, e specialmente in quelle
cose che l’ interessano moltissimo; e ciò accada non semplicemente ed a caso,
ma per capriccio, per emulazione, per dispetto ancora, onde venga abbassato e depresso.



62. Merita di esser corretto e rimproverato da tutti, in tutti i tempi, con maniere
ancor le più aspre e crude, e senza finirla mai; onde di continuo gli siano
gettale sul viso le sue mancanze, sebbene fossero gravi e notabili, e già
detestate e abolite da lui con rigorosa penitenza e dei tutto emendate.



63. Merita che gli siano imputate colpe enormi e delitti gravissimi da lui non commessi,
e che si arrivi a segno di condannarlo perciò a penitenza e castigo il più
severo, anche di carcere penosissima, senza alcun conforto e sollievo (come è
avvenuto ad alcuni santi, benché vissuti sempre innocentissimi) e senza che
vengano giammai a discoprirsi le altrui imposture e calunnie contro di lui, non solo
nella stia città, ma altrove ancora; onde rimanga egli nel mondo diffamato
sulle lingue degli uomini, sulle scritture private e sui libri pubblici a tutta la
posterità. Il che deve considerarsi da esso per un. tratto della divina adorabilissima
giustizia, che con ciò permette cha sia data riparazione a molti verissimi
peccati da lui commessi, i quali se sono occulti agli uomini, non cessano, né
cesseranno mai di esser manifesti e patenti dinanzi agli occhi di Dio.



64. Merita che il bene fatto da lui si attribuisca altri, i quali ne restino perciò
senza alcun loro merito onorati, apprezzati e premiati, e che il male degli altri
si attribuisca a lui, o se non altro si creda esserne stato egli l’occasione con
i suoi cattivi esempi. E questo specialmente accada quando si vede un bene e un male
e dell’uno e dell’altro s’ignori l’autore. In tali casi sempre si supponga procedere
il bene da un altro fuori che da lui, e il male non potersi più convenientemente
ascrivere ad altri che a lui medesimo.



65. Merita per renderlo più vile e odioso, che gli siano date ad intendere
mille falsità, le quali narrate da liti con buona fede, gli sollevino contro
gli animi delle persone, e sia reputato egli l’inventore di bugie e di scandal, e
sia riconosciuto per cagione d’innumerevoli sconcerti.



66. Merita che tutto quello, che naturalmente dovrebbe portargli onore, stima, rispetto,
ricompensa ed amore, e che in qualunque altro, a vista di tutti, produce simili effetti,
come la canutezza, l’anzianità, la condizione, il sapere, le molte fatiche
e servigi da lui prestati con notevole emolumento e profitto di molti, o della sua
comunità, niuno di tali vantaggi cagioni a lui considerazione alcuna, anzi
il tutto si tra volga e rovesci in suo maggior discredito e vilipendio, o per vie
mezzi affatto ignoti ed oscuri, o per qualche persecuzione manifesta e palese, per
cui bianco per lui si trovi il modo di cambiarlo in nero.



67. Merita di esser posposto a tutti e cacciato nell’ultimo luogo, senza alcun riguardo,
quando secondo lo stile e la comune usanza, o per l’età, o per le fatiche,
o per gli impieghi sostenuti, o per la dottrina, o per qualunque altro titolo gli
toccherebbero i primi posti i quali veda assegnati a giovani senza merito e senza
esperienza, col solo intento di escluder lui. Infatti se fu preferito l’empio Barabba
all’innocentissimo Gesù, e posto Gesù in mezzo a due ladroni, fu fatto
comparire di essi il più ribaldo e malvagio, come potrà un peccatore
non reputarsi meritevole di esser posposto ad altri, per vile, per ignorante e ancor
vizioso che quegli sia? Oh gran punto di utile meditazione può esser questo
alle occasioni!



68. Merita che essendo a torto angariato e calunniato, gli sia contro ogni buona
regola tolto il diritto a difendersi e discolparsi, onde o si pronunzi contro di
lui la sentenza o la condanna senza sentirlo, o se si ascolta, si ributti con impero
e con disprezzo quanto egli allega in suo favore, senza dar luogo alle giuste riflessioni,
per bilanciare le sue ragioni.



69. Merita che contro di lui prevalgano, o a ragione o a torto, i suoi emoli, avversari,
persecutori, quantunque ingiusti, bugiardi e di notoria malignità, per vie
anche più storte ed inique.



70. Merita che dalla sua depressione e rovina, altri si ingrandisca e si innalzi,
e anche chi gli ha fatto contro e ne è stato la cagione, e che mentre esso
piange e patisce, altri rida e tripudi, anche in sua presenza, e se ne vanti e ne
faccia un trionfo, fin che vive.



71. Merita che con prepotenze ed inganni gli siano tolti gli aderenti e gli amici,
i difensori, i favorevoli, i serventi ecc. e che sia impedito alla gente l’impegnarsi
per esso, il fargli del bene, e di vedere ripresi e puniti quelli che si interessano
per lui.



72. Merita di esser soverchiato e messo in mezzo, balzato in: qua e in là,
posto in mala considerazione presso le persone più ragguardevoli e che avevano
della stima di lui, e ciò gli avvenga da chi più si prometteva; e si
accorga chiaramente, che con belle tinte parole è stato posto in imbarazzi
e in impegni, per essere da quegli ingannato con maniere le più sconvenienti
e umilianti, quando credeva di esser portato in palma di mano: e segua che chi gli
faceva da amico e da confidente, alla fine gli si mostri nemico, contrario e traditore,
quando non sia più in tempo di guardarsi dai fraudolenti colpi e lacci di
lui, e che si veda ridotto per terra senza speranza di potersi riprendere.



75. Merita che sia di lui meglio trattata una bestia, anche dinanzi ai suoi medesimi
occhi: dovendosi aver riflesso, che la bestia non ha mai offeso il comune Creatore,
ed esso molto lo ha oltraggiato. Di più, quanto alla bestia, non c’è
da temerne mai la ribellione contro il suo Signore; ma quanto a lui v’è tutto
il motivo di paventarne, per il futuro e per il passato e perché finché
vive porta in sé il principio e la tendenza alla ribellione a Dio; la quale,
se lo stesso Dio non comprime e rintuzza con l’onnipotente suo braccio, va senza
dubbio a finire in eccessi enormissimi.



74. Merita che gli piovano sul capo le disgrazie e i flagelli, e che unitamente agli
uomini, anche i demoni cospirino a screditarlo e avvilirlo; onde si pensi che qualche
straordinaria malizia e iniquità in lui si trovi, in punizione della quale
gli piombi addosso un segnalato castigo; in guisa che sembri che lo stesso Signore
Iddio, invece di difenderlo, manifestamente si accordi per suoi giustissimi fini
a umiliarlo e deprimerlo.



73. Merita che gli oltraggi che gli si fanno, invece di esser ributtati e sventati,
siano anzi approvati e autorizzati da persone ancora di conto e di stima, e da quelle
altresì, delle quali più si prometteva; onde non gli sia possibile
il far ricorso alle medesime per sincerarsi e riportarne qualche sollievo, o le trovi
affatto prevenute contro di lui e impegnatissime nella sua depressione.



76. Merita che a misura del crescer degli anni e della servitù da lui prestata
a comune vantaggio, gli crescano gli avvilimenti e i disprezzi, fino ad esser considerato
come un rimbambito, senza che altri, e singolarmente chi per uffizio è obbligato
a farlo, prenda la cura di provvedere alle sue necessarie indigenze; o al più
gli siano dati impieghi da fanciulli e ridicoli, con assegnargli anche qualche uomo
fiero e indiscreto che a capriccio lo regoli, lo maneggi e gli comandi come gli fosse
un tutore; e di più arrivi a venire a noia e in fastidio a tutti, anche ai
suoi più cari medesimi.



77. Merita che il suo disprezzo sia universale, quanto a quelli che lo vilipendono;
e a sua maggior confusione succeda, che le persone tra loro contrarissime, nel vilipenderlo
poi si uniscano insieme di comune consentimento con l’impegno più efficace,
nella guisa stessa che permise il Signore per nostro amore, che Erode e Pilato, fra
loro innanzi discordi, convenissero ambedue a maltrattarlo; onde apparisca come concesso
a tutti di fargli oltraggio impunemente, senza eccezione, senza riserva di luoghi,
di tempi e di circostanze, e ancora a posta ferma e a bello studio e su gli occhi
e dietro alle spalle e con la voce e coi fatti; onde i suoi vilipendi sempre più
si dilatino e pervengano alla notizia più facilmente di chi ha, o può
aver cognizione di lui. Parimente sia universale il disprezzo quanto all’oggetto,
onde sembri esservi libertà d’attaccarlo in tutti i generi, anche più
stravaganti, delicati e disonorevoli, di vizi, di eccessi, di rossori e di confusioni.



78. Merita che il suo disprezzo sia di vastissima estensione quanto ai perniciosi
effetti da esso prodotti a sua maggior onta e avvilimento, in guisa che resti senza
limitazione offeso non solo nell’onore e rispetto, non solo nella fama, nella comune
estimazione e nel buon nome; ma anche nell’ anima per le amarezze, afflizioni ed
angustie recategli; nel corpo per le fiere percosse e strapazzi consecutivi; onde
resti molto danneggiato nella sanità, nella roba che gli sia rubata, o per
vari accidenti la veda andare in consumazione, e nello stato splendido e decoroso
non si possa più sostenere; e per maggiore afflizione sua nei suoi dipendenti
ancora e più cari e di sua maggior congiunzione e attinenza, sopra dei quali
o direttamente, o indirettamente e per una certa ridondanza miri scaricarsi il suo
disprezzo medesimo con l’angustia di non potere ad essi porgere aiuto, in guisa tale
che i disprezzi e i travagli che soffre nella propria persona, sia costretto a vederli
soffrire in quelli che ama quanto se stesso; onde neppure conosca quale delle due
sia la pena maggiore che lo colpisce, se quella che prova per i disprezzi fatti a
sé, o per i disprezzi e confusioni, che per suo riguardo vede scaricati sopra
gli altri.



79. Merita che il disprezzo il quale l’affligge sia irrimediabile: che non -serva
per lui il giustificarsi, implorar perdono e misericordia, e umiliarsi motto profondamente,
piangere, offrirsi a rendere qualunque soddisfazione a chi la brama, applicarsi ad
una rigorosa penitenza in espiazione delle sue mancanze, emendare i costumi e cambiarsi
tutto in un altro, spogliandosi dell’uomo vecchio e delle sue debolezze rivestendosi
del nuovo, col corredo d’ogni virtù. E quantunque trattandosi d’altri soggetti,
il fare la sola metà di tutto ciò fosse sufficiente e ancora d’avanzo
per reintegrarli nel proprio onore, per lui non giovi; onde anche per questo motivo
gli si renda più pesante il disprezzo medesimo.



80. Merita, che il suo disprezzo sia continuo e perseverante, e che senza respiro
dopo uno ne succeda un altro anche maggiore; e battuto appena per una parte, si senta
ben tosto vibrare un colpo dall’altra: in guisa che non vi sia tempo, né luogo,
né circostanze, che lo liberino dal disprezzo: e il sonno medesimo ed il riposo
sia esposto a venirgli interrotto, non ad altro oggetto che per abbatterlo con nuovi
vilipendi e strapazzi. E per ultimo, che il suo disprezzo sia per durare altresì
dopo la sua morte, della qual cosa ne abbia ancora dei contrassegni, onde succeda
che resterà nel nulla la sua memoria tra gli uomini, oppure disonorata ed
infame sino alla fine del mondo.












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