LA
SANTA MESSA
di P. Martino de Cochem O.M.C
Capitolo
II
DELL’ECCELLENZA DELLA SANTA MESSA
L’eccellenza
della santa Messa è tale che gli stessi angeli non potrebbero esprimerla degnamente,
ma tuttavia io oso parlarne e sarà molto se riuscirò a darne una pallida
idea. San Francesco di Sales le tributa molti titoli onorifici: “Il santissimo,
sacratissimo e augustissimo Sacrificio dell’Altare è il sole degli esercizi
spirituali, centro della religione cristiana, cuore della devozione, anima della
pietà, mistero ineffabile, il quale comprende l’abisso della carità
divina mediante il quale Dio, dandosi realmente a noi, ci comunica magnificamente
le sue grazie e i suoi favori”.
Occorrerebbe troppo tempo per spiegare tutti i pregi elencati dal santo Vescovo di
Ginevra, il quale vuol dire che, per acquistare una soda pietà e accendersi
di amor divino, bisogna ascoltare con raccoglimento la santa Messa.
Il sapiente Osorio le dà la preferenza su tutti gli altri misteri della religione:
“La Messa è, fra tutte le azioni sante che sono nella Chiesa, la più
santa e la più preziosa, perché in essa è consacrato il SS.
Sacramento dell’Altare ed è offerto a Dio in Sacrificio”. Ecco quello
che Fornero, arcivescovo di Bamberga aggiunge: “La Messa sorpassa in dignità
tutti i sacramenti; questi sono pieni di maestà, ma quanto essa è più
augusta! questi sono sorgenti di misericordia per i vivi; questa è per i vivi
e per i morti l’oceano inesauribile della divina liberalità”. E da notarsi
quanto questo Dottore insiste sulla dignità del santo Sacrificio. Mostreremo
ora tutte le ragioni di questa eccellenza che si rivela, prima di tutto, nel cerimoniale
della consacrazione delle chiese e degli altari. Poiché poche persone hanno
assistito a questo spettacolo e molte di quelle che hanno avuto il privilegio di
goderne non hanno sentito o non hanno compreso le preghiere che l’accompagnano, le
descriverò brevemente.
Consacrazione di una Chiesa cattolica
Il vescovo, dopo essersi parato degli abiti pontificali, nel luogo dove,
fin dal giorno innanzi, sono state depositate le sante reliquie, recita a voce bassa
i sette salmi penitenziali, poi, seguito dal clero, si reca davanti alla porta principale
della chiesa che è chiusa, mentre nell’interno della chiesa resta un diacono.
Il vescovo invoca l’assistenza di Dio sul nuovo edificio e, quando il coro ha cantato
le litanie dei santi fino alle parole: ‘Ab omni malo, ecc.”, benedice l’acqua,
asperge se stesso e tutti gli assistenti, dicendo: ‘Aspergimi con l’issopo, o Signore
e sarò purificato, diventerò più bianco della neve”. Poi
conduce la processione attorno alle mura, che asperge dicendo: “In nome del
Padre e del Figliolo e dello Spirito Santo”. Intanto il coro canta la profezia
nella quale è annunciato che “alla venuta del Messia, il tempio del Signore
sarà fabbricato sulla sommità del monte e vi affluiranno tutti i popoli”.
Il vescovo ritorna alla porta ed implora su quella casa la protezione di Dio, creatore
e padrone dell’universo, su quella casa della quale Egli stesso è fondatore,
affinché vi sia sempre professato un culto puro, libero e pio. Nel dire queste
parole si avvicina alla porta, la percuote col pastorale, dicendo a voce alta: “Principi,
levate le porte; apritevi porte eterne e il re della gloria entrerà”.
Il diacono, da dentro, domanda: “Chi è questo re della gloria?”
E il vescovo risponde: “E il Signore forte e potente, il Signore vincitore nei
combattimenti”. Poi il celebrante guida la processione, girando due volte intorno
alle mura della chiesa, con le stesse cerimonie, benedicendo e aspergendo, la prima
volta la parte inferiore, la seconda volta la parte mediana delle mura. Intanto recita
un’orazione in cui ricorda che il Figlio di Dio, che è la pietra angolare,
ha riunito i due muri opposti: il giudaismo e il paganesimo.
In un’altra orazione prega Dio di ricordarsi che ha promesso di confermare tutto
ciò che i suoi sacerdoti avrebbero fatto in suo nome e di benedire tutto ciò
che essi avrebbero benedetto. S’inoltra verso la porta e, per la terza volta, picchia
nuovamente col pastorale ripetendo: “Principi, levate le porte; apritevi porte
eterne e il re della gloria entrerà”. “Chi è questo re della
gloria?” domanda ancora il diacono. Il celebrante ed il clero rispondono: “È
il Signore degli eserciti, il re della gloria”. quindi ripetono: ‘Aprite, aprite,
aprite”. A questo punto la porta si apre, il vescovo traccia col pastorale il
segno della croce sulla soglia, dicendo: “Ecco il segno della croce, tutti i
demoni siano messi in fuga”. Entrato in chiesa dice: ìPace a questa casaî.
Il diacono risponde: “È al tuo ingresso”. Il coro intona un canto
di pace e ripete le parole del Vangelo: “Zaccheo, discendi presto…” e
termina così: “È stata portata la salute a questa casa da Dio
stesso”. Giunto in mezzo alla navata, il vescovo s’inginocchia e comincia l’inno
Veni Creator Spiritus; poi recita le litanie dei santi alle quali si intercalano
queste parole: “Degnatevi benedire, santificare e consacrare questa chiesa e
quest’altare”. Terminate le litanie si canta il Benedictus ripetendo dopo ogni
versetto le parole del patriarca Giacobbe: “Come questo luogo spira sacro terrore!
È veramente qui la casa di Dio e la porta del cielo!”. Durante questo
canto il vescovo scrive col pastorale le lettere dell’alfabeto greco e latino, in
forma di croce sul suolo, che perciò è stato precedentemente coperto
di cenere; benedice poi il sale, la cenere e il vino mescolato con l’acqua e procede
alla consacrazione dell’altare maggiore.
Il vescovo recita prima l’antifona e il salmo del principio della Messa: “Mi
avvicinerò all’altare di Dio, di Dio che rallegra la mia giovinezza. Sii mio
giudice, o mio Dio e separa la mia causa da quella del popolo empio, ecc.”.
Durante queste preghiere immerge il pollice nell’acqua che ha benedetta e traccia
una croce in mezzo e ai quattro lati della pietra. Nell’orazione che segue domanda
all’eterno Padre, in nome del Sacrificio che fu offerto sull’altare della Croce,
di benedire quella pietra, della quale quella di Giacobbe era il simbolo e subito
dopo intona l’antifona: ‘Asperges me, ecc.” e il coro canta il salmo L. Intanto
il prelato come gli israeliti alla presa di Gerico, gira sette volte intorno all’altare
aspergendolo con acqua benedetta e ripetendo l’antifona ad ogni fermata; fa ancora,
per tre volte, il giro delle mura, aspergendole prima in basso, poi in mezzo e finalmente
in alto. Nello stesso tempo il coro canta il salmo CXXI che parla del giusto, pacifico
e felice regno di Gesù Cristo, i dieci ultimi versi del salmo XLVII dove è
profetizzata la missione degli apostoli presso i pagani e infine il salmo XC che
promette a quelli che Dio protegge, la sicurezza nei pericoli e contro le tentazioni.
Terminati questi canti e queste cerimonie, il vescovo si mette di nuovo in mezzo
alla chiesa, in faccia all’altare, e ricordando in un’antifona la scala di Giacobbe
sulla quale gli angeli salivano e scendevano, implora per quel luogo di preghiere
le più abbondanti benedizioni del Cielo; dopo benedice il cemento destinato
a sigillare il sepolcro. quindi il clero va in processione al luogo dove furono poste
le reliquie, le porta in chiesa cantando le antifone seguenti: “Oh! quanto è
glorioso il regno nel quale i santi si rallegrano con Gesù Cristo! Essi sono
coperti di vesti bianche e seguono l’Agnello ovunque vada… La via dei santi è
diritta, il cammino per il quale devono passare è pronto… Venite eletti
di Dio, entrate nella città del Signore, perché vi hanno fabbricato
un tempio nuovo, nel quale il popolo adorerà la maestà del Signore”.
Arrivati alla porta della chiesa si fermano e il vescovo rivolge un’allocuzione all’assemblea,
esaltando la santità del tabernacolo del Signore, dimostrando, tuttavia, che
esso è soltanto un’ombra dei nostri santuari e fa rilevare quanto maggiormente
si devono rispettare i nostri templi. Domanda in seguito al fondatore l’ammontare
del fondo assegnato alla chiesa e stende il processo verbale.
Dopo una breve orazione, il Vescovo fa col sacro crisma un’ unzione in forma di croce
sulla porta, poi la processione si inoltra verso l’altare maggiore cantando queste
parole: “I santi che hanno seguito le tracce di Gesù Cristo si rallegrano
del loro trionfo e poiché essi hanno versato il loro sangue per amore di Lui,
esulteranno di eterna allegrezza”. Intanto viene consacrato il sepolcro dove
si mettono le reliquie che vengono sigillate, mentre il vescovo dice: ‘Avete preso
posto, o santi, sotto l’altare di Dio… Sotto l’altare di Dio ho sentito la voce
dei martiri”; poi ancora: “I corpi dei santi vivranno nell’eternità”
e altre parole tolte pure dalla Sacra Scrittura. Chiuso questo glorioso sepolcro
il vescovo, incensando, fa il segno di croce col turibolo in mezzo e ai quattro angoli
dell’altare; poi dà il turibolo al sacerdote che continua ad incensare girando
intorno all’altare fino al termine della cerimonia. Intanto il coro canta il salmo
LXXXIII, nel quale David anela al tempio di Gerusalemme, il salmo XCI che è
una lode sublime indirizzata a Dio, il salmo XLIN, canto d’amore, nel quale sono
celebrate le prerogative comunicate dal Salvatore alla Chiesa e il salmo CXLVII che
esalta la sua magnificenza, riguardo a Gerusalemme. Finalmente il consacratore unge
col sacro crisma le dodici croci, dipinte sui muri e dà a ciascuna tre incensate.
Di ritorno all’altare benedice l’incenso che dovrà esservi bruciato e i cui
grani sono messi in forma di croce sulle cinque croci della pietra. Allora si accendono
i ceri che vi sono stati messi appositamente, facendo comunicare la fiamma dall’uno
all’altro e,mentre essi ardono sull’altare, il vescovo si inginocchia dicendo: “Vieni,
Spirito Santo, riempi di luce i cuori dei tuoi fedeli e accendi in essi il fuoco
del tuo amore”. La cerimonia termina con preghiere simili, cantate nel tono
del Prefazio.
Alla fine il vescovo rivolge a Dio questa supplica: “Conferma ciò che
hai operato fra noi nel tuo santo tempio che è a Gerusalemme. Alleluia!”.
Il coro canta il salmo LXVII, inno alla vittoria della Chiesa. Si benedicono le tovaglie
e gli arredi dell’altare e il vescovo comincia la Messa.
Il valore di queste cerimonie
Quelli che assistono alla consacrazione di una chiesa sono molto sorpresi
di questo gran numero di cerimonie, di unzioni, di benedizioni e di preghiere. Perché
tante noie, tanto tempo e tante spese? Per rendere il tempio più degno del
sublime Sacrificio che deve esservi offerto e per purificare l’altare che dovrà
ricevere l’Agnello di Dio, vittima santa e senza macchia. Il cristiano resterà
così convinto della santità della casa del Signore e del rispetto che
essa esige. Il tempio di Salomone era l’immagine dei nostri, eppure i giudei ed i
pagani stessi lo tenevano in gran venerazione. Il Libro dei Re, cap. VIII
e il Il dei Paralipomeni, cap. VI e VII narrano che Salomone alla consacrazione
di questo edificio immolò ventiduemila buoi e centoventimila pecore.
Mentre il re pregava ad alta voce un fuoco misterioso scese dal cielo divorando tutte
le vittime e una fitta nube si diffuse nel sacro recinto, rendendo visibilmente manifesta
la Maestà divina. A questo spettacolo i figli di Israele furono presi da soprannaturale
terrore e caddero col volto verso terra, in atto di profonda adorazione. Poi Salomone
gridò: “È credibile che Dio abiti veramente sulla terra? Se il
cielo e i cieli dei cieli non possono contenerti, quanto meno degna sarà questa
casa che ho fabbricato io!”.
Chi potrà mai comprendere la maestà di questo tempio? Eppure esso era
la figura delle nostre chiese e racchiudeva l’Arca dell’Alleanza dove erano conservate
le tavole della legge,
una piccola quantità di manna e la verga fiorita di Aronne. Nei sacrifici
giudaici le vittime erano animali immolati e bruciati, offerti con pane e vino, focacce
ed altre simili cose. Quanto maggiore è la superiorità del tempio cristiano
consacrato con l’olio e il crisma, asperso d’acqua benedetta, profumato coi vapori
dell’incenso, santificato dall’imposizione del segno della Croce e destinato all’oblazione
del santo Sacrificio! Invece dell’Arca dell’Alleanza noi abbiamo il santo Ciborio
nel quale è conservato il SS. Sacramento dell’Altare, il vero corpo di Gesù
Cristo.
Grandezza dei templi cristiani
La chiesa è chiamata la “casa di Dio” ed è realmente
tale, perché nostro Signore vi abita in tutti i tempi. Qui l’esercito degli
angeli lo serve e l’adora, lo loda e gli porta le nostre preghiere. Questo commovente
mistero è figurato dalla visione di Giacobbe: “Una notte il patriarca
si addormentò a cielo scoperto e vide in sogno una scala che andava dalla
terra al cielo e sulla quale gli angeli di Dio salivano e scendevano. A questo spettacolo,
preso da spavento, gridò: “quanto questo luogo è terribile! Veramente
è qui la casa di Dio e la porta del cielo”. Poi unse con olio la pietra
sulla quale aveva posato la testa e ne formò un altare”. Era quello,
l’ho già detto, un simbolo profetico della chiesa cristiana, nella quale la
pietra dell’altare è unta con l’olio e col santo Crisma, pietra sacra della
quale si può dire veramente: “quanto questo luogo è terribile!
questa è la casa di Dio e la porta del cielo”. Qui gli angeli salgono
e scendono per trasmettere a Dio le nostre preghiere e portarci le sue grazie. Le
nostre chiese sono anche quel luogo del quale parla il Signore per bocca di Isaia:
“Io li condurrò al mio santo nome, li riempirò di allegrezza nella
casa delle preghiere. Le loro vittime, consumate nel mio altare, mi saranno gradite
e la mia dimora sarà chiamata casa di preghiera, per tutti i popoli”
Tutto questo prova il rispetto che merita il luogo santo. Se noi avessimo veramente
una viva fede vi entreremmo con terrore e non solo adoreremmo nostro Signore nell’Eucaristia,
ma ci prostreremmo davanti agli angeli che sono sempre davanti ai nostri altari.
David lo proclamava: “Andrò nella vostra casa e vi adorerò con
timore nel vostro santo tempio. In presenza degli angeli, canterò le vostre
lodi ed esalterò il vostro santo nome”.
Quelli che chiacchierano durante l’ufficio divino, ridono e commettono altre irriverenze,
provocano la collera di Dio e si rendono rei verso la divina Maestà di un’offesa
che potrebbe essere grave. Per questo non sarà mai sufficiente la riverenza
che dobbiamo avere per la chiesa, dove è necessario astenersi da tutte le
parole inutili e da ogni sguardo curioso; dove bisogna pregare con devozione, adorare
il Signore con fervore, confessare i nostri peccati con vera umiltà e pentimento
sincero.
Consacrazione dei sacerdoti
L’eccellenza della Messa si riconosce anche dalla consacrazione che ricevono
i ministri dell’altare e senza la quale non possono esercitare il loro ministero.
Colui che è destinato al sacerdozio ha sette gradini da salire prima di essere
giudicato degno di offrire l’Agnello senza macchia. Chi ha ricevuto i primi quattro
ordini può servire i sacerdoti all’altare, ma non oserà toccare né
calice, né patena, né corporale e nemmeno il purificatoio, perché
per essere autorizzato a questo bisogna aver ricevuto il quinto ordine, il suddiaconato,
tranne il caso di una dispensa speciale o di assoluta necessità. Come nella
legge di Mosè, soltanto i Leviti potevano toccare e pulire i vasi sacri, così
solamente i sacerdoti, i diaconi e i suddiaconi hanno il diritto di toccare e di
pulire gli oggetti che servono immediatamente alla celebrazione della santa Messa.
È opportuno, del resto, che le cose impiegate al compimento del più
alto mistero e messe in contatto col corpo di nostro Signore, siano interamente pure.
Leggi speciali obbligano i sacerdoti, i diaconi e i suddiaconi a tenere questi oggetti
con la più rigorosa pulizia. È certo che gli ecclesiastici negligenti
a questo proposito incorrono in una forte responsabilità, che potrebbe estendersi
anche ai fedeli della parrocchia. Se il sacerdote fosse ridotto a celebrare con un
camice sudicio, con una pianeta stracciata, con un calice ossidato e se l’altare
fosse privo di arredi decenti, mentre i fedeli, nelle feste, fanno pompa dei loro
abiti in chiesa, non sarebbe forse questo non pensare al decoro della casa di Dio?
Questa chiesa i vostri padri l’hanno edificata e provveduta degli arredi necessari;
volete, dunque, che questi durino quanto le mura? Lo si direbbe, dal momento che
non vi date pensiero di rinnovarli. questo penoso spettacolo è una vergogna
per una parrocchia e un segno manifesto che i fedeli non comprendono l’eccellenza
dell’augusto Sacrificio del Nuovo Testamento.
Ordinazione sacerdotale
Le cerimonie che accompagnano la consacrazione sacerdotale ci danno ancora
un’idea di questa eccellenza. Al momento di essere ordinato sacerdote, il diacono
è rivestito dell’amitto, del camice e della stola passata sopra la spalla
sinistra e legata sul lato destro: s’inginocchia davanti al vescovo che è
seduto sul trono vicino all’altare. Il vescovo gli ricorda la gravità del
passo che sta per compiere e domanda al popolo se lo
giudica degno. Se nessuno reclama, il prelato si inginocchia e recita ad alta voce
le litanie dei santi, mentre il diacono, prostrato col viso verso terra, prega con
lui. In seguito gli posa la mano sulla testa, recita un’orazione e un lungo Prefazio,
gli mette la stola intorno al collo e la pianeta sulle spalle. La consacrazione propriamente
detta avviene durante la recita del Veni Creator. Il vescovo è seduto sul
suo seggio e l’ordinando, in ginocchio, gli presenta le mani. Il vescovo vi fa le
unzioni con gli oli santi dicendo: “Degnati, Signore, per queste unzioni e per
la nostra benedizione, di consacrare e santificare queste mani”. Poi aggiunge,
facendo il segno della croce: “In nome di nostro Signore Gesù Cristo,
sia benedetto tutto quello che queste mani benediranno e sia consacrato tutto ciò
che esse consacreranno”. A queste parole lega le mani dell’ordinando una contro
l’altra, con una fascia di lino, poi gli presenta il calice con la patena e l’ostia
dicendo: “Ricevi in nome del Signore il potere di offrire il Sacrificio a Dio
e di celebrare la Messa tanto per i vivi che per i morti. Amen”. Si sciolgono
le mani del sacerdote novello che se le lava e il celebrante continua la Messa. All’Offertorio
si presenta all’offerta con un cero acceso, che consegna al vescovo baciandogli la
mano. Poi s’inginocchia dietro il celebrante e dice la Messa con lui, parola per
parola, leggendola nel messale.
Alla Comunione riceve, dal vescovo, il corpo del Salvatore; dopo la recita del Credo
il prelato gli posa le due mani sulla testa dicendo: “Ricevi lo Spirito Santo:
quelli ai quali tu rimetterai i peccati saranno rimessi, ma i peccati che riterrai
saranno ritenuti”. Infine il sacerdote promette obbedienza al vescovo che lo
benedice con le seguenti parole: “La benedizione di Dio onnipotente, Padre,
Figliolo e Spirito Santo, discenda sopra di te, affinché tu sia benedetto
nell’ordine sacerdotale e tu possa offrire delle ostie salutari, per i peccati e
le offese del popolo, a Dio onnipotente, al quale è onore e gloria in tutti
i secoli dei secoli”.
Così la Chiesa cattolica consacra i suoi sacerdoti e non è difficile
capire quanto è rispettabile l’antico uso di magnificare la grande solennità
del conferimento degli ordini sacerdotali. Ma perché queste promozioni progressive?
Perché questo apparato? Perché queste preghiere, queste unzioni, queste
cerimonie? Il fine principale è certamente quello di insegnarci quanto bisogna
essere santi per salire all’altare e offrire alla tremenda maestà di Dio la
vittima senza macchia.
Oggetti sacri
Un’altra testimonianza dell’eccellenza della santa Messa è ciò
che è necessario alla sua celebrazione: un sacerdote debitamente ordinato
che fa le veci di Gesù Cristo stesso; un altare consacrato, nuovo Calvario
sul quale l’Agnello divino sarà immolato; gli indumenti sacerdotali, che sono:
l’amitto, che il sacerdote posa sulla testa e sul collo in memoria del velo
col quale, in casa di Caifa, i giudei hanno coperto la faccia del Salvatore dicendogli
per scherno: “Cristo, profetizza e dicci chi ti ha percosso”. Il camice,
ricordo della veste bianca della quale fu rivestito da Erode. Il cingolo che
simboleggia la corda con la quale fu legato. Il man14)olo, che fa pensare
ai legami che strinsero le sue braccia. La stola, figura delle catene di ferro
delle quali fu caricato dopo la sua condanna. La pianeta, immagine del mantello
scarlatto gettato sulle sue spalle. La Croce centrale della pianeta rappresenta quella
sulla quale fu inchiodato Gesù Cristo e quella che è sul davanti rappresenta
la colonna della flagellazione.
Diciamo una parola degli oggetti che servono al santo Sacrificio.
Il calice consacrato richiama il calice dei dolori che Gesù ha bevuto
fino alla feccia e la sepoltura nella quale il suo corpo fu deposto. La palla
la pietra quadrangolare del sepolcro. La patena, l’urna che conteneva
i profumi necessari per l’imbalsamazione. Il corporale, il santo sudano che
avvolse il corpo del Salvatore. Il purificatoio, i lini che servirono alla
sepoltura.
Il velo del calice, il velo del tempio che alla morte di Gesù si squarciò
dall’alto al basso. Le due ampolline, i due vasi ripieni di fiele e di aceto,
offerti al Figlio dell’uomo per calmarne la sete.
A questa elencazione di cose richieste per la celebrazione della Messa bisogna aggiungere:
il pane azzimo, un crocifisso sul tabernacolo, il vino, l’acqua, due candelieri,
un messale, un leggio, tre tovaglie che coprono l’altare, una pezzuola con la quale
il sacerdote si asciuga le mani dopo le abluzioni e un campanéllo. E necessario,
inoltre, un chierico che serva il sacerdote all’altare e gli risponda a nome del
popolo.
La maggior parte di questi oggetti sono talmente indispensabili che il celebrante
commetterebbe un peccato grave se ne facesse a meno. Un esempio servirà come
prova.
Nel tempo in cui la Spagna gemeva sotto il giogo dei mori, un re di Caravaca che
aveva fatto prigioniero un gran numero di cristiani, ebbe pietà di quegli
infelici e si decise a liberarli tutti. Domandò ad ognuno qual era il suo
mestiere e gli permise di esercitarlo. Fra i prigionieri si trovava un sacerdote
che, interrogato a sua volta, rispose con la più grande serietà:
“Esercito l’arte di far discendere dal Cielo il Dio onnipotente”. Il principe
gli comandò di mettersi al lavoro, ma egli replicò:
“Non posso farlo che a condizione di avere tutti gli oggetti necessari.
Il re idolatra gli ordinò di scrivere per farli venire da un paese cristiano.
Il sacerdote ne fece minutamente la lista, ma dimenticò di segnare il crocifisso.
Quando ebbe avuto tutto e volle cominciare il santo Sacrificio, notò la mancanza
della croce e stette a lungo indeciso se dovesse celebrare. Il re, sospettando che
non conoscesse perfettamente la sua arte, gli domandò la causa del suo turbamento.
“Principe – rispose – ho dimenticato la croce e questo mi preoccupa e mi fa
esitare a salire all’altare”. Mentre rifletteva così, invocando l’aiuto
del Cielo, la volta di pietra si aprì e due angeli, splendenti come il sole,
discesero portando nelle loro mani una croce di legno, tutta circondata di luce,
che posarono sull’altare. A questa vista il sacerdote cominciò la Messa, ma
il re e tutti i mori che erano nella sala presero gli angeli per delle divinità
e caddero, pieni di spavento, col viso contro terra e si rialzarono solo quando la
visione disparve.
Tale è l’origine della croce spagnola che si conserva a Caravaca con la più
grande venerazione e che viene mostrata al popolo nell’anniversario del giorno in
cui fu portata dal Cielo.
Questo fatto prova molto bene l’importanza che si deve dare a tutto ciò che
serve alla celebrazione del santo Sacrificio.
Il numero delle cerimonie
L’eccellenza della santa Messa si riconosce infine dalle cerimonie prescritte
per celebrarla. Citerò solo le più importanti: il sacerdote fa sopra
di sé sedici segni di croce, si rivolge sei volte verso il popolo, bacia l’altare
otto volte, undici volte alza gli occhi al cielo, si batte il petto dieci volte,
fa dieci genuflessioni, giunge le mani cinquantaquattro volte, abbassa la testa ventun
volte e sette volte le spalle, si prostra otto volte, benedice l’offerta trentun
volte col segno della croce, posa ventidue volte le mani sull’altare, prega stendendole
quattordici volte e giungendole trentasei volte, mette la mano sinistra stesa sull’altare
nove volte e la porta undici volte sul petto, alza le due mani verso il cielo quattordici
volte, undici volte prega a voce bassa e tredici ad alta voce. Il sacerdote deve
osservare ancora una quantità di altre prescrizioni, che portano a cinquecento
il numero delle cerimonie. Aggiungete a questa cifra quelle delle rubriche e vedrete
che il sacerdote che dice la Messa secondo il rito della Chiesa cattolica romana
è obbligato a novecento cerimonie differenti. Ciascuna di queste ha la sua
ragione d’essere, il suo significato spirituale, la sua importanza e ognuno tende
a far compiere con la fede richiesta l’ineffabile Sacrificio dell’altare. Perciò
papa san Pio V ha ordinato a tutti i cardinali, arcivescovi, vescovi, prelati e sacerdoti
di dire la Messa senza cambiare nulla, senza aggiungere o togliere la minima cerimonia.
La più piccola negligenza potrebbe assumere una certa gravità, sia
perché avrebbe per oggetto l’atto più grande e più santo del
nostro culto, sia perché sarebbe una disobbedienza formale all’ordine di un
papa. Non si può immaginare né un movimento di mano più degno,
né una disposizione del corpo più edificante di quelli prescritti dalla
Chiesa. Si assiste con più raccoglimento di spirito ad una Messa nella quale
sono osservate tutte le cerimonie che a quella in cui esse sono violate e perciò
il sacerdote che celebra con esattezza coscienziosa ha diritto alla vostra gratitudine
perché, lungi dal distrarvi nella vostra devozione, la facilita. Egli fa sì
che le vostre preghiere siano più efficaci e contribuisce in larga parte al
loro merito.
Il principale sacerdote della Santa Messa
Benché la dignità del santo Sacrificio risalti chiaramente
dalle cerimonie e dalle preghiere della consacrazione della chiesa e dell’altare
e anche dall’ordinazione del sacerdote e dalle prescrizioni liturgiche, tuttavia
essa ritrae la sua massima dignità ed eccellenza dalla persona dello stesso
sacrificatore. Ma chi è dunque il sacrificatore? Il sacerdote? Il vescovo?
Il papa? Un angelo? Maria, la Regina dei santi? È il Sacerdote dei sacerdoti,
il Vescovo dei vescovi, il Figlio unico di Dio, Gesù Cristo, che suo Padre
stesso ordinò Sacerdote in eterno secondo l’ordine di Melchisedech. Egli solo
eleva il Sacrificio cristiano all’altezza di un’opera divina. Che il sacerdote è
Gesù Cristo lo proverò con le parole di san Giovanni Crisostomo: I
sacerdoti – dice egli – sono semplici ministri, quello che santifica e transustanzia
l’offerta è Gesù Cristo. Nell’ultima Cena ha consacrato il pane e il
vino e ancora continua ad operare lo stesso miracolo… E perciò, o cristiano,
quando vedi il sacerdote consacrare, ricordati che la mano di Dio, e non la sua,
compie il Sacrificio”. Con queste parole il santo Dottore c’insegna che Gesù
Cristo accompagna personalmente i punti essenziali della Messa, che Egli scende dal
Cielo per cambiare il pane ed il vino nel suo Corpo e nel suo Sangue, che Egli stesso
si offre a dà per la salute del mondo e che, fedele mediatore, prega per la
redenzione del popolo.
Dai sacerdoti Gesù Cristo prende soltanto la voce e le mani, ma Egli stesso
compie il divino Sacrificio.
La testimonianza di san Giovanni Crisostomo vi pare insufficiente? Ecco quella della
Chiesa cattolica: “Poiché nel divin Sacrificio compiuto nella santa Messa
è presente quello stesso Gesù Cristo che si è offerto una volta
ed in una maniera cruenta sulla Croce e che ora si immola in una maniera incruenta,
il sacro Concilio insegna che questo Sacrificio è veramente propiziatorio…
perché il Signore accorda la grazia, il dono della penitenza, il perdono dei
peccati e dei delitti, per grandi che siano, placato da questo Sacrificio, in cui
si immola l’unica e medesima vittima immolata sul Calvario, in cui, per il ministero
dei sacerdoti, si offre quello stesso che un giorno si offrì sulla croce.
Gesù Cristo sommo ed eterno sacerdote
Dunque è veramente la dottrina della Chiesa che ci insegna che i sacerdoti
sono semplicemente i ministri di Gesù Cristo e che nostro Signore si offre
sull’altare così volentieri e con altrettanta efficacia come si offrì
sul sanguinoso albero della Croce.
Che grande onore, che immensa grazia e quale inestimabile tesoro è per noi
la bontà di Gesù che si fa nostro sacerdote e nostro mediatore! L’apostolo
san Paolo è molto esplicito sopra una verità così consolante:
“Bisognava – dice – che avessimo un pontefice santo, innocente, immacolato,
separato dai peccatori e innalzato al disopra dei Cieli. La legge non costituiva
sacerdoti che uomini infermi, ma la parola di Dio, confermata dal suo giuramento,
decreta pontefice eterno il suo divin Figlio, che è perfetto”. L’apostolo
non dimostra, forse, con queste sublimi parole, fino a qual punto Dio ci stima, poiché
ci ha donato per sacerdote e mediatore non un uomo fragile e peccatore, ma il suo
unico Figlio?
Consideriamo ora perché Gesù Cristo non ha voluto affidare il suo Sacrificio
agli uomini.
La principale ragione è che questo Sacrificio doveva essere di una purezza
assoluta come aveva annunciato il profeta Malachia. Perciò la Chiesa proclama
che il santo Sacrificio”.
non può essere macchiato da alcuna indegnità, né da alcuna malizia
da parte di coloro che lo offrono”‘4. Certo se i sacerdoti fossero i veri sacrificatori,
la Messa sarebbe troppo spesso profanata, o almeno si potrebbe sempre concepire dei
dubbi sulla maniera con cui Dio l’accoglie. Ma secondo la parola del salmista:
“Tu sei sacerdote in eterno secondo l’ordine di Melchisedech”, Dio ha voluto
che il suo Figliolo prendesse egli stesso il nome e la funzione di sacerdote. Benché
i sacerdoti dicano la Messa, non sono, dunque, propriamente parlando, che i ministri
del Sommo Sacerdote, Gesù Cristo. Un ministro riceve dal suo padrone un ducato
per offrirlo in un pellegrinaggio: il dono non potrebbe essere macchiato dalla coscienza
del mandatario, fosse questi anche reo di peccato mortale.
Perché nostro Signore non ha voluto affidare la Messa né agli angeli,
né ai santi, né alla sua Madre santissima? Eppure sono esseri puri
e pieni di grazia e, lungi dal profanare questo augusto mistero, lo avrebbero compiuto
in modo perfetto. Quale altra Messa potrebbe essere detta con maggiore devozione
di quella che potrebbe celebrare san Pietro, san Paolo, un cherubino e un serafino?
Che gioia proverebbero e quanta devozione ne ritrarrebbero le persone che l’ascoltassero
nel vedere la pietà, il rispetto, l’attenzione del celebrante. I loro cuori
traboccherebbero di amore e di gioia divina! Che avverrebbe, dunque, se la stessa
Madre di Dio offrisse il suo caro Figliolo sull’altare? Ce ne danno un’idea le parole
che essa rivolse a santa Matilde: “Il giorno della purificazione – le disse
– offrii il mio caro Figlio con tanta pietà e con tanta riconoscenza, che
la devozione di tutti i santi non avrebbe potuto eguagliare la mia”. Se Maria
santissima aveva questi sentimenti quando era ancora sulla terra, quanto più
sublimi non sarebbero essi ora che si trova in Cielo? E quanto maggiore sarebbe la
virtù, la potenza, la santità del sacrificio da lei offerto? Un’opera
simile sarebbe sicuramente qualcosa di ineffabile, ma pur tuttavia resterebbe infinitamente
al disotto di ciò che esige la santità di Dio e il sacrificio, così
compiuto, non meriterebbe di essergli offerto. L’unica oblazione veramente conveniente
è quella nella quale la persona del sacrificatore èpari alla sovrana
maestà di Dio e quindi Gesù Cristo non ha affidato la Messa né
agli angeli, né ai santi, né a nessun uomo. L’ha riservata solo a se
stesso, perché Egli è l’unico che ha la stessa grandezza del Destinatario.
Valore infinito della S. Messa
Da tutto questo risulta che ogni Messa ha un valore infinito e che è
celebrata in un modo invisibile, con tale devozione e rispetto da sorpassare ogni
angelica ed umana intelligenza. Così ha rivelato Gesù Cristo a santa
Matilde: “Io solo – le disse – comprendo perfettamente in qual modo mi immolo,
ogni giorno, sull’altare per la salute dei fedeli: questo non possono comprenderlo
interamente i Cherubini, né alcuna potenza celeste”.
Dopo tutto questo come oseremo pailare dell’eccellenza di un tal Sacrificio? O mio
Gesù, quale imperscrutabile mistero è mai questo per noi! Felice quell’uomo
che col suo fervore merita di riceverne i frutti ai piedi dell’altare!
Vantaggi che derivano dall’assistenza alla S. Messa
Lettore caro, illuminato da queste parole, medita i vantaggi che puoi procurarti
assistendo alla Messa. Ricordati che nostro Signore si offre a Dio Padre per te e
che, ponendosi come mediatore fra la tua debolezza e la divina giustizia, arresta
ogni giorno il castigo che meriterebbero i tuoi peccati.
Se tu ne fossi veramente convinto, quanto ameresti di più il santo Sacrificio
e quanto desidereresti la felicità di potervi assistere. Con quanta pietà
vi assisteresti e quanto soffriresti nel doverne restare privo e piuttosto che rassegnarti
al danno che questa privazione recherebbe all’anima tua, ti esporresti a subire mille
mali temporali. I primi cristiani avevano ben compreso tutto questo e preferivano
perdere la vita piuttosto che la santa Messa. Il Baronio racconta, a questo proposito,
il fatto seguente avvenuto nell’anno 303.
Gli imperatori Diocleziano e Massimiano, per istigazione di Galerio, avevano fatto
abbattere tutte le chiese di Alluta, città dell’Africa e molti cristiani,
uomini e donne, ascoltavano la Messa in una casa privata. Furono scoperti, presi
e trascinati davanti al giudice, sulla piazza pubblica. Il messale e gli altri libri
santi furono presi, profanati dai pagani e gettati nelle fiamme. Ma intervenne la
divina giustizia ed un improvviso diluvio cadde sul fuoco, spegnendolo. Alla vista
di un tal miracolo, il giudice fu tanto spaventato che mandò a Cartagine le
diciassette donne e i trentaquattro uomini che erano stati arrestati per farli giudicare
dal proconsole Anolino.
I prigionieri fecero quel tragitto allegramente cantando sempre salmi e cantici.
Quando giunsero, l’ufficiale che li accompagnava li presentò così al
proconsole: “Ecco dei miserabili cristiani che abbiamo scoperto in una casa
di Alluta dove, malgrado la tua proibizione, compivano i riti della loro falsa religione”.
Il magistrato fece denudare uno di essi chiamato Dativo, che era senatore e ordinò
che gli applicassero il supplizio della ruota. A quella vista un altro cristiano,
chiamato Telica gridò: “Perché, o tiranno, tormenti soltanto lui?
Noi siamo tutti cristiani e abbiamo ascoltato la Messa insieme a lui”. Anolino
lo fece subito spogliare, come il suo compagno e lo fece sospendere e torturare.
Mentre eseguivano quest’ordine gli domandò:
“Chi è stato il promotore della riunione?”. “Il sacerdote Saturnino
e tutti noi d’accordo, ma tu, disgraziato, compi un’opera ingiusta tormentandoci
per questo motivo; noi non siamo né assassini, né ladri e non abbiamo
commesso nessun delitto”. Il proconsole insistette: “Tu avresti dovuto
aver riguardo per gli ordini degli imperatori e abbandonare la tua falsa religione”.
“Rispetto la legge del mio Dio e per Lui sono pronto a morire. Allora il tiranno
comandò di sciogliere i martiri e di condurli in prigione. Nello stesso momento
un pagano, fratello di santa Vittoria, si fece avanti accusando Dativo di aver condotto
la giovinetta alla Messa. Vittoria protestò dicendo: “Nessuno mi ha condotto
in quella casa, ho ascoltato la Messa perché sono cristiana”. Suo fratello
le disse: “Tu parli come una pazza”. “Non sono pazza, sono cristiana”.
Il proconsole domandò: “Vuoi ritornare con tuo fratello?”. “No,
non riconosco quest’uomo per mio fratello; i miei fratelli e le mie sorelle sono
quelli che soffrono per Gesù Cristo. Io sono cristiana”. Anolino continuò:
‘Abbi pietà di te stessa e segui il consiglio di tuo fratello”. “Non
mi allontanerò dai miei fratelli, né dalle mie sorelle e confesso che
ho ascoltato la Messa con loro”. Il giudice allora comandò di ricondurla
in prigione e di mettere tutto in opera per distoglierla dalla sua fede. Ella era
di una rara bellezza e apparteneva ad una delle più illustri famiglie della
città. Quando i suoi parenti avevano voluto maritaila contro la sua volontà,
era scappata gettandosi da una finestra e si era fatta tagliare i capelli come segno
della sua consacrazione a Dio. Il tiranno si rivolse poi al sacerdote e gli disse:
“Sei tu che disprezzando gli ordini degli imperatori, hai riunito questa gente?”.
“L’ho riunita per ordine del Signore, per compiere l’ufficio divino”. “Perché
hai fatto questo?”. “Perché noi non dobbiamo né possiamo
omettere la celebrazione della santa Messa”. “Dunque sei tu il promotore
di questa riunione e sei tu che hai persuaso gli altri ad intervenirvi?”. “Precisamente,
ed ho celebrato la santa Messa”. Allora il giudice lo fece spogliare facendogli
poi lacerare le carni con uncini di ferro così aspramente che gli intestini
gli uscivano dal corpo. Dopo questo orribile supplizio lo fece condurre, con i suoi
compagni, in prigione. Al suo posto fu chiamato Emerito. Anolino gli domandò:
“La Messa è stata detta nella tua casa?”. “Si”, risponde
il martire. “Perché hai violato gli ordini degli imperatori?”. “Non
potevo obbedirti; questi uomini sono miei fratelli e non possiamo vivere senza la
santa Messa”. Subito lo straziarono e poi lo rinchiusero in prigione.
Il tiranno disse agli altri rimasti: “Spero che non seguirete l’esempio di questi
disgraziati e che non vi giocherete così leggermente la vostra vita”.
Ma i santi martiri gridarono ad alta voce: “Siamo cristiani e adempiremo la
legge di Gesù Cristo anche a costo di tutto il nostro sangue”. Anolino
allora si volse ad uno di essi chiamato Felice, dicendogli: “Non ti domando
se sei cristiano, ma se sei stato all’assemblea e se anche tu hai ascoltato la Messa”.
Felice rispose: “Che sciocca domanda! Credi tu che si possa esser cristiani
senza assistere alla Messa? Sappi, odioso demonio, che ci siamo riuniti appunto per
assistervi”. A questa risposta il tiranno si adirò e gettò a terra
il generoso confessore facendolo bastonare fino a lasciarlo quasi morto. Il proconsole,
infuriato, passò tutto il giorno a tormentare i prigionieri e, quando venne
la notte, fece chiudere in una oscura prigione quelli che respiravano ancora, proibendo
ai custodi di dar loro da bere e da mangiare, sotto pena di morte. I parenti e gli
amici dei santi martiri ottennero il permesso di vederli e portarono loro un po’
di cibo nascosto sotto gli abiti, ma i carcerieri frugando accuratamente i pii visitatori,
portavano loro via le provviste e li coprivano di bastonate.
Tuttavia quei fedeli amici restarono giorno e notte davanti la prigione piangendo
e lamentandosi. Speravano di impietosire Anolino e fargli liberare i poveri prigionieri,
ma il tiranno era così ostinato nella sua malvagità che lasciò
languire i servi di Cristo e li fece morire dello spaventoso supplizio della fame.
Questa storia che il Baronio ha tratto, parola per parola, dagli atti che sono serviti
alla canonizzazione dei santi martiri, dimostra chiaramente che, fin dai primi secoli
del cristianesimo, i fedeli ascoltavano la Messa, come facciamo noi ai nostri giorni.
Essa ci prova ancora lo zelo che avevano i cristiani di allora per la Messa e che
essi preferivano morire piuttosto che accettare di non assistervi. Da dove attingevano
questo fervore? Dalla perfetta conoscenza del suo valore infinito. Ora sta a noi
imitare il loro fervore e trarre dal loro esempio una grande devozione verso i santi
misteri.
Del prezioso dono offerto nella S. Messa
Abbiamo parlato fin qui a lungo dell’eccellenza della Messa, ma resta ancora
un punto importantissimo da esaminare: il valore dell’offerta alla SS. Trinità.
Secondo la dottrina di san Paolo ìOgni sacerdote è ordinato per offrire dei
doni e delle vittimeî.
Gesù Cristo, dunque, che fu ordinato sacerdote dal Padre suo, ha anch’egli
un’offerta da fare. In che cosa consiste essa? L’apostolo non lo dice, ma egli fa
appello alla nostra memoria e la risposta sarà l’argomento del presente paragrafo.
Si comprende a prima vista che quest’offerta non potrebbe essere una cosa volgare,
poiché il dono deve essere tanto più prezioso quanto più grande
è colui che lo riceve. Qui si tratta di un Sovrano di tale maestà che
il cielo e la terra sono un niente in suo confronto. Ascoltate le parole del Savio:
“Il mondo intero, davanti a lui, è come il piccolo grano che fa appena
pendere la bilancia, come la gocciolina di rugiada del mattino che cade da una foglia”.
Se così è, dove trovare nell’universo qualche cosa che sia degna di
essergli offerta? Che troverà Gesù Cristo nel Cielo, all’infuori di
Dio? Una cosa sola: la sua santa, immacolata, beata umanità, cioè il
suo corpo, il suo sangue, la sua anima. Dice san Giovanni Crisostomo che “Gesù
Cristo è l’offerta ed il sacerdote ad un tempo; il sacerdote secondo lo spirito,
l’offerta secondo la carne: egli offre ed è offerto”. Sant’Agostino si
esprime analogamente: “Gesù Cristo è nello stesso tempo sacerdote
ed offerta, perché ciò che egli ha offerto è se stesso”
. La sua umanità è l’opera migliore e più preziosa che sia uscita
dalle mani onnipotenti di Dio, come fu rivelato a santa Brigida dalla santa Vergine.
Il liberalissimo Dio ha dato in dono a questa umanità tante grazie, tante
ricchezze, tante virtù, tanta santità e sapienza che non potrebbe riceverne
di più; non che Dio non possa assolutamente conferirgli niente di più,
ma perché la capacità dell’uomo è finita. Benché la santa
Vergine sia per noi di una incomprensibile perfezione, pure non la possiamo paragonare
all’umanità di Cristo, come non si può paragonare la luce di una torcia
a quella del sole. In conseguenza di questa singolare eccellenza l’umanità
di Cristo sulla terra non era onorata soltanto dagli uomini, ma anche dagli angeli
ed anche oggi continua, da parte di questi celesti spiriti, ad essere l’oggetto di
una venerazione che nessuna creatura umana potrebbe pretendere.
Dio ha elargito agli angeli santità insigne e innumerevoli perfezioni; a molti
uomini ha dispensato grazie eminenti, virtù eroiche e ha sorpassato ogni generosità
nel colmare in questa vita la beata Vergine di privilegi speciali.
Tuttavia questi doni sono divisi fra molti santi, mentre lo Spirito Santo li ha tutti
riuniti magnificamente in Gesù Cristo. Ma c’è ancora di più:
Egli ha ricolmato l’umanità del Salvatore di molte altre grazie, oserei quasi
dire, di grazie infinite, di ricchezze, di tesori celesti che non si riscontrano
in nessun altro, nemmeno in Maria.
Con ciò si proclama altamente che questo oceano di perfezioni è al
disopra di ogni lode. Tale è il dono che il Sommo Sacerdote Gesù Cristo,
Figlio unico di Dio, offre quotidianamente alla SS. Trinità nel santo Sacrificio
della Messa. Non offre, però, soltanto questo dono, ma vi aggiunge ancora
tutto quello che ha fatto per la gloria di Dio durante i trentatré anni che
ha passato sulla terra; le amare sofferenze che ha sopportato, i digiuni, le veglie,
i viaggi e tutte le fatiche del suo apostolato; tante persecuzioni, umiliazioni,
schemi e ingiurie; la sua flagellazione, la coronazione di spine, la crocifissione,
le piaghe, le angosce, le lacrime, il sudore nel giardino degli Ulivi; la sua spaventosa
agonia, l’acqua del costato, l’adorabile sangue che ne sgorgò.
Gesù Cristo si offre vittima di amore
Nella Messa Gesù Cristo, con il più ardente amore, mette tutto
questo sotto gli occhi della SS. Trinità e la costringe a gradirlo.
Ma ecco il colmo delle meraviglie: questa umanità così perfetta, così
ricca di meriti è inseparabile dal Verbo; cioè, se il Verbo non è
nella sua divinità l’oggetto stesso del Sacrificio, lo èrealmente nella
natura umana in cui risiede e che è divenuta sua per l’Incarnazione. Concepire
il valore e la dignità di un tal dono è superiore a ogni intelligenza.
Altra considerazione: Gesù Cristo non offre la sua umanità come è
attualmente in Cielo, ma nello stato in cui èsull’altare.
Nel cielo è tanto gloriosa che gli angeli tremano davanti alla sua maestà,
mentre sull’altare si inabissa in un tale eccesso di umiliazione e di abbassamento
che quei puri spiriti ne sono confusi. Noi la vediamo coperta dalle apparenze dell’Ostia
come da un vestito grossolano e chiusa come in una prigione. Le specie che la circondano
la tengono talmente avvinta che quando esse sono trasportate da un luogo all’altro,
essa pure è trasportata e finché esse sussistono nessuna potenza può
separarle. In cielo ha le sue proporzioni naturali, ma sull’altare non sorpassa le
dimensioni della santa Ostia. E tutta intera in ogni parte dell’Ostia, ma occupa
tanto poco spazio quanto la particella stessa. Dal fondo di quell’umile riduzione,
il Salvatore non può naturalmente né stendere il Corpo, né muovere
i piedi e le mani, né compiere alcuna delle azioni che fanno gli esseri viventi.
Egli giace compresso e spogliato di tutta la potenza dei suoi organi.
Così annichilito si presenta davanti alla SS. Trinità e si offre a
Lei in una maniera così commovente che il celeste esercito ne è sorpreso
ed estasiato.
Davanti a questo ineffabile spettacolo che cosa potra pensare o dire la SS. Trinità?
Quale immenso onore riceve Iddio dal Figlio suo che si annienta così soltanto
per rendergli gloria! E quale eccellenza, quale virtù ne ritrarrà poi
il Sacrificio nel quale si compiono questi divini misteri? Che soccorso sara esso
per gli uomini a pro dei quali è offerto? Quanta consolazione e quanto sollievo
riceveranno le anime del purgatorio allorché il Sacrificio sarà offerto
per la loro liberazione?
Sappiamo che quel luogo di sofferenza è la prigione temporanea delle anime
che hanno lasciato la terra in stato di peccato veniale o senza avere scontato le
pene meritate per i peccati già perdonati. Esse sono impotenti ad abbreviare
da sole la loro espiazione.
Come nel bucato la biancheria non recupera il candore primitivo che dopo essere passata
a più riprese per l’acqua e asciugata poi ai raggi del sole, così le
anime del purgatorio non recuperano lo splendore necessario per entrare nel regno
di Dio, se non con le lacrime di penitenza che per loro scorrono dagli occhi dei
cristiani e per la grazia di Gesù Cristo. I raggi di questo sole di giustizia
si concentrano nella santa Messa come in uno specchio ustorio. Sforzatevi dunque
di assistere spesso con fede e pietà al santo Sacrificio per portare soccorso
ai vostri infelici fratelli. La Messa quotidiana è l’arma della grazia, la
forza della misericordia e Dio non può ricusare niente a quelli che l’ascoltano
con fervore. Ringraziamo Gesù dal fondo del cuore di avere istituito, per
noi miserabili, questo onnipotente Sacrificio e ringraziamolo di averci dato un mezzo
così sicuro per attirare la divina misericordia.
Testo tratto
da: P. Martino de Cochem O.M.C., La Santa Messa, Milano 1937/3, pp 27-51.