[Peter Seewald]
Mi chiedo perché la Chiesa non trasmetta meglio la fede a noi ignari e
cristiani analfabeti, perché non ricordi più spesso la grandezza del
Cattolicesimo, la libertà di pensiero, il perdono e la misericordia. Mi mancano
anche i suoi riti tradizionali, le sue usanze e le feste che potrebbe celebrare con
orgoglio e con la capacità derivatale da duemila anni di esperienza. In un
libro di Isaac Singer ho trovato la descrizione della tradizionale festa ebraica
delle capanne: il rabbino salmodiò la preghiera di benedizione del pasto e
tenne una predica; i Chassidim si entusiasmarono perché una tale interpretazione
della Torà non era mai stata data. Il rabbino aveva svelato dei santi segreti.
Alla sera la tavola fu apparecchiata con la tovaglia dei giorni festivi. Poi fu deposto
un pezzo di pane e vicino fu collocata una caraffa piena di vino e un calice per
il qiddush. I partecipanti ebbero l’impressione che la capanna, allestita
in una delle loro case, si trasformasse nella dimora di Dio. Da noi avviene piuttosto
che le feste cristiane si trasformino in feste popolari con pâté di
fegato e birra.
[Card. Joseph Ratzinger ] Qui si riaffaccia il tema della fusione di Cristianesimo
e società e della penetrazione del Cristianesimo nelle usanze e nelle feste
sociali, di cui abbiamo già parlato. In questo contesto pero vorrei introdurre
un altro tema. Il rabbino non ha detto certo niente di nuovo, ma il rito, svoltosi
in modo devoto e festoso, ha proposto il contenuto in modo davvero nuovo e rendendolo
nuovamente presente.
Nella nostra riforma liturgica c’è la tendenza, a parer mio sbagliata, ad
adattare completamente la liturgia al mondo moderno. Essa dovrebbe quindi diventare
ancora più breve e da essa dovrebbe essere allontanato tutto ciò che
si ritiene incomprensibile; alla fin fine, essa dovrebbe essere tradotta in una lingua
ancora più semplice, più piatta. In questo modo, pero,
l’essenza della liturgia e la stessa celebrazione liturgica vengono completamente
fraintese. Perché in essa non si comprende solo in modo razionale, così
come si capisce una conferenza, bensì in modo complesso, partecipando con
tutti i sensi e lasciandosi compenetrare da una celebrazione che non è inventata
da una qualsiasi commissione di esperti, ma che ci arriva dalla profondità
dei millenni e, in definitiva, dall’eternità.
Allorché l’Ebraismo perse il Tempio, rimase legato alle feste e ai riti sinagogali,
e fu tenuto unito proprio grazie a questi grandi riti, in quanto celebrazioni della
casa rimasta fedele al culto di Dio. Nei riti c’è una forma comune di vita,
che non dipende solo da ciò che si comprende a livello superficiale, ma che
ha a che fare con la grande continuità della storia della fede, che in essa
si manifesta, e che rappresenta un’autorità, che non viene dal singolo. Il
prete non è un presentatore che si inventa qualcosa e lo comunica abilmente.
Può essere al contrario completamente sprovveduto come presentatore, perché
comunque rappresenta qualcosa d’altro che non dipende affatto da lui.
Naturalmente anche la comprensibilità fa parte della liturgia e per questo
la parola di Dio deve essere presentata bene e, poi, altrettanto bene spiegata e
interpretata. Ma alla comprensibilità della parola contribuiscono altre modalità
di comprensione. Prima di tutto essa non è qualcosa che viene continuamente
inventato da nuove commissioni. Altrimenti diverrebbe qualcosa di fatto in casa,
a propria misura, tanto se le commissioni si riuniscono a Roma, a Treviri o a Parigi.
Invece essa deve avere la sua continuità, una sua non arbitrarietà
ultima, in cui io possa incontrare i millenni e, attraverso essi, l’eternità,
e in cui possa entrare in rapporto con una comunità in festa, che è
qualcosa di ben diverso da ciò che un comitato o l’organizzazione di una festa
potrebbero mai inventarsi.
Credo che proprio su questo punto sia nato un nuovo tipo di clericalismo, a partire
dal quale si Può comprendere meglio la richiesta del sacerdozio femminile.
Viene attribuita importanza al sacerdote in persona, nella sua persona; egli deve
essere abile e saper rappresentare tutto molto bene. È lui il vero centro
della celebrazione. Di conseguenza, ci si chiede perché solo certe persone
possono farlo. Se egli, al contrario, si fa indietro in quanto persona ed è
davvero solo un rappresentante, e si limita a compiere con fede quel che gli è
richiesto, allora quel che avviene non gira più intorno a lui, non ha la sua
persona come centro, ma egli si fa da parte ed emerge finalmente qualcosa di più
grande. In questo si deve vedere ancora di più la forza dirompente della tradizione
non manipolabile. La sua bellezza e la sua grandezza toccano anche chi non sa elaborare
e capire razionalmente tutti i dettagli. Al centro sta allora la parola, che viene
annunciata e spiegata.
[Peter Seewald] Per reagire a questo appiattimento e a questa perdita di
fascino e di sacralità, non sarebbe opportuno pensare a un recupero dell’antico
rito?
[Card. Joseph Ratzinger ] Da sola, questa non è una soluzione.
Personalmente ritengo che si dovrebbe essere più generosi nel consentire l’antico
rito a coloro che lo desiderano. Non si vede proprio che cosa debba esserci di pericoloso
o inaccettabile. Una comunità mette in questione se stessa, quando considera
improvvisamente proibito quello che fino a poco tempo prima le appariva sacro e quando
ne fa sentire riprovevole il desiderio. Perché le si dovrebbe credere ancora?
Non vieterà forse domani, ciò che oggi prescrive? Ma un semplice ritorno
all’antico non è una soluzione. La nostra cultura si è così
trasformata negli ultimi trent’anni che una liturgia celebrata esclusivamente in
latino comporterebbe un’esperienza di estraniamento, insuperabile per molte persone.
Quello di cui abbiamo bisogno è una nuova educazione liturgica, soprattutto
dei sacerdoti. Deve diventare nuovamente chiaro che la scienza liturgica non esiste
per produrre continuamente nuovi modelli, come può valere per l’industria
automobilistica. Esiste per introdurre l’uomo nelle feste e nella celebrazione, per
disporre gli uomini ad accogliere il Mistero. Ce lo insegnano le chiese orientali,
ma anche le religioni di tutto il mondo, che sanno come la liturgia sia qualcosa
di diverso dall’invenzione di testi e riti e che essa vive proprio di ciò
che non è manipolabile. I giovani ne hanno una profonda percezione. I luoghi
dove la liturgia viene celebrata senza fronzoli e in modo riverente esercitano notevole
forza di attrazione, anche se non si capisce ogni suo singolo elemento. Abbiamo bisogno
di luoghi come questi, capaci di offrire dei modelli. Purtroppo da noi c’è
una tolleranza quasi illimitata per le modifiche spettacolari e avventurose, mentre
praticamente non ce n’è per l’antica liturgia. Cosi siamo sicuramente su una
strada sbagliata.
Da:
JOSEPH RATZINGER, Il sale della terra. Cristianesimo e Chiesa Cattolica nella
svolta del terzo millennio. Un colloquio con Peter Seewald, Cinisello Balsamo:
Ed. S.Paolo, pp. 199-202.
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