«La meravigliosa
storia del Rosario»
di Massimo Introvigne
Da dove viene il Rosario,
ancora oggi la preghiera preferita da centinaia di milioni di cattolici in tutto
il mondo? Anne Winston-Allen, docente di germanistica alla Southern Illinois University,
negli Stati Uniti d’America, fa il punto sulla questione – per la verità non
poco controversa – in un volume pubblicato dalla Pennsylvania State University Press:
Stories of the Rose. The Making of the Rosary in the Middile Ages, “Storie
della rosa. La formazione del rosario nel medioevo” [1].
Riccamente illustrato, il libro non propone ipotesi rivoluzionarie. Ha tuttavia il
merito di mettere a disposizione del pubblico i risultati di ricerche comparse spesso
solo su riviste specializzate – dalla Germania agli Stati Uniti d’America e all’Italia
-, non sempre facilmente accessibili.
Molte delle controversie
storiografiche derivano dalla definizione stessa del temine “Rosario”.
Per alcuni si tratta semplicemente di una sequenza di Ave Maria, o comunque di preghiere
cristiane ripetute per un numero definito di volte. La storiografia tradizionale
riteneva che questo tipo di sequenze fosse di origine orientale. Da una radice indiana
shivaita il mondo islamico aveva tratto l’abitudine di recitare in sequenza reiterata
i novantanove nomi di Allah, servendosi di apposite catenelle di novantanove semi;
un analogo sviluppo nel mondo buddhista, sempre derivato da una radice induista e
con possibili influenze mussulmane, era stato fatto conoscere all’Europa da Marco
Polo. I crociati – secondo questa ipotesi storiografica – avrebbero importato in
Occidente e adattato alla preghiera cristiana una pratica di origine orientale. Oggi
tuttavia ipotesi formulate alla fine del secolo scorso dallo specialista tedesco
Thomas Esser [2] hanno trovato ampie conferme,
e nessuno studioso dubita dell’esistenza di stringhe o di cordicelle utilizzate per
la preghiera reiterata nel mondo cristiano fin dai tempi dei Padri del Deserto, nei
secoli III e IV dopo Cristo, ben prima delle crociate. Catenelle che si avvicinano
già ai nostri rosari sono appartenute a Gertrude, figlia di Pipino I di Francia,
morta nel 659, e a Lady Godiva di Coventry, morta nel 1041. L’uso di strumenti per
tenere il conto di preghiere ripetute e così più antico della stessa
Ave Maria, le quali origini risalgono al settimo secolo ma che si afferma nella forma
attuale soltanto intorno all’anno Mille. Sembra che gli strumenti fossero inizialmente
utilizzati per ripetere un certo numero di volte il Padre Nostro, da cui il nome
di paternoster attribuito a un antenato dei nostri rosari. Cesario di Heistebach
(1180-1240) loda le virtù di una matrona che aveva l’abitudine di recitare
regolarmente cinquanta Ave Maria, e storie simili diventano relativamente comuni
fra i secoli XII e XIII. I laici usano corone o rosari – zaplet in tedesco
e hoedekins in fiammingo – da cinquanta, cento o centocinquanta Ave Maria;
i religiosi e le religiose vanno anche molto oltre, come le domenicane del convento
di Unterlinden, a Colmar, in Germania, che nel secolo XIII s’impegnavano a recitare
mille Ave Maria al giorno e duemila nei giorni di festa. Non vi è dubbio,
pertanto, che la pratica di recitare più volte la stessa preghiera servendosi
di appositi strumenti sia di origine molto antica nel mondo cristiano, prescinda
da derivazioni islamiche e sia stata applicata all’Ave Maria a partire almeno dal
dodicesimo secolo.
Per altri autori – ed è
questa la terminologia preferita dalla stessa Anne Winston-Allen – perché
si possa propriamente parlare di Rosario non è sufficiente la semplice reiterazione
della stessa preghiera. Specifico del Rosario è in fatti l’abbinamento simultaneo
di una sequenza di Ave Maria e di una serie di meditazioni sulla vita di Gesù
Cristo e della Vergine. A partire almeno dalla storia del Rosario pubblicata don
Franz M. Willam nel 1948 [3], gli storici ripetono che il Rosario
rappresenta un’evoluzione dei salteri della Beata Vergine Maria, dove venivano ripetuti
dapprima centocinquanta salmi con antifone cristologiche e mariane, poi solo le antifone
o le antifone accompagnate da un Padre Nostro o da un’Ave Maria. Anne Winston-Allen
osserva tuttavia che queste teorie non spiegano come si sia passati alle vere e proprie
meditazioni sulla storia della salvezza, assenti nei salteri. A questo proposito
tre teorie hanno dominato la ricerca storica. Una versione tradizionale, diffusa
nel mondo cattolico sino alla fine del secolo XIX, attribuiva la nascita del Rosario
meditato a san Domenico (1170-1221).Per circa un secolo, dagli anni 1880 al 1977,
gli storici hanno seguito Thomas Esser secondo cui l’attribuzione tradizionale a
san Domenico è il risultato di una confusione con un altro Domenico, un certosino
di Treviri chiamato Domenico di Prussia (1384-1460), vissuto due secoli dopo il fondatore
dei domenicani e che sarebbe il vero “inventore” del Rosario. Nel 1977,
tuttavia, Andreas Heinz [4] ha scoperto un manoscritto con
un Rosario meditato precedente di oltre cento anni rispetto a quello di Domenico
di Prussia – e apparentemente ignoto a quest’ultimo, nonostante la prossimità
geografica -, recitato dalle suore cistercensi di San Tommaso sulla Kyll, a una quarantina
di chilometri da Treviri, intorno al 1300. Ma non è neppure sicuro – osserva
l’autrice americana – che il documento scoperto da Andreas Heinz sia davvero il primo
Rosario – meditato – in assoluto. Oggi si vanno diffondendo presso gli storici teorie
di un terzo tipo, secondo cui il passaggio dai salteri della Beata Vergine Maria
al Rosario meditato è un processo dinamico e graduale, a coronamento del quale
Domenico di Prussia mantiene un ruolo fondamentale per la diffusione popolare della
devozione. La versione del Rosario di Domenico di Prussia era piuttosto diversa da
quella che conosciamo oggi. Comprendeva cinquanta meditazioni, una per ogni Ave Maria.
Per i fedeli più
semplici era ancora troppo difficile. Il domenicano Alano della Rupe (1428-1475)
– un grande divulgatore della devozione, fondatore a Douai, in Francia, nel 1470
della prima confraternita del Salterio della Gloriosa Vergine Maria – obiettava che
cinquanta Ave Maria erano troppo poche – ne chiedeva almeno centocinquanta -, e non
amava il nome “Rosario”, adottato invece – ma non inventato- dal certosino
tedesco, colpevole di ricordare troppo la letteratura mondana che associava la rosa
dell’amore profano. Alla fine tuttavia, osserva Anne Winston-Allen, i fedeli assicuravano
il successo sia del nome “Rosario” sia di modelli non più complicati,
ma più semplici rispetto a quello di Domenico. Dove esattamente siano stati
adottati per prima gli attuali quindici misteri, cui corrispondono centocinquanta
Ave Maria – nonché, quasi fin da subito, quindici Padre Nostro -, è
oggetto di dispute fra gli storici. Si pensava che il metodo attuale fosse stato
proposto per la prima volta da una delle più antiche opere a stampa sul Rosario,
il Salterio di Nostra Signora, pubblicato per la prima volta a Basilea nel 1475 [5] è divenuto estremamente popolare nelle
sei successive edizioni di Ulm [6], dove quindici incisioni – per
altro non accompagnate da una spiegazione scritta – rappresentavano gli attuali misteri
con il giudizio universale al posto della gloria del Paradiso o dell’incoronazione
di Maria come quindicesimo mistero; la tradizione avverrà lentamente nel corso
del Cinquecento. Tuttavia Stefano Orlandi nel 1965 [7] e Gilles Gèrard Meersseman
nel 1977 hanno pubblicato gli statuti di confraternite fondate a Firenze nel 1481
e a Venezia nel 1480 che menzionano i quindici misteri, indizio possibile di una
pratica italiana più antica, anche se Giovanni d’Erfordia, fondatore della
confraternita di Venezia, era sua volta un domenicano tedesco. A poco a poco i quindici
misteri vengono adottati anche dalle confraternite maggiori: la più importante
era stata fondata a Colonia dal domenicano Jakobi Sprenger (1436 o 1438-1495) l’
8 settembre 1475, un giorno dopo la morte di Alano della Rupe, e contava fra i suoi
primi membri l’imperatore Federico III. La storia delle confraternite del Rosario
rappresenta un fenomeno sociale affascinante: in pochi anni arruolano centinaia di
migliaia, forse milioni, di membri di tutte le classi sociali, e il loro carattere
internazionale e autonomo suscita le lamentele di chi le considera un elemento capace
di fare concorrenza al sistema delle parrocchie e delle diocesi: le controversie
odierne in tema di movimenti, come si vede, non sono poi così nuove.
La storia raccontata da
Anne Winston-Allen è, fino a questo punto, la storia di un successo di cui
si avrebbe torto a sottovalutare, secondo la studiosa americana, la quantità
spirituale, spesso tutt’altro che disprezzabile. Il lettore protestante, che ha familiarità
soprattutto con le feroci polemiche di Lutero contro il Rosario meno di cinquant’anni
dopo la fondazione della confraternita di Jakob Sprenger, solleverà facili
obiezioni. Certo, osserva Anne Winston-Allen alcune deviazioni facilmente attaccate
da Lutero si erano effettivamente verificate in Germania, come la pratica, ammessa
da alcune confraternite, secondo i più ricchi potevano pagare terzi per recitare
il Rosario al loro posto e lucrare comunque i relativi benefici e indulgenze. Ma
sarebbe sbagliato considerare le deviazioni come uniformemente diffuse. D’altro canto
il Rosario s’inserisce nelle case religiose all’interno della riforma detta “osservante”
del Quattrocento, un fenomeno che tocca tutti i maggiori ordini religiosi, si propone
di reagire ad alcuni degli stessi abusi più tardi denunciati da Lutero e anticipa
la Riforma cattolica.
Se il Rosario recitato
a pagamento per conto terzi corrisponde a una “teologia delle opere” che
stupisce per la sua rozzezza, il successo del Rosario non nasce da questi abusi ma
dal desiderio dei laici – e di non pochi religiosi – di meditare in modo ordinato
e sistematico sulla storia della salvezza.
Il poco che si chiedeva
ai più – un quarto d’ora di preghiera meditata al giorno -, conclude la studiosa
americana, rispetto al molto che le confraternite promettevano, attirava paradossalmente
l’attenzione – in un modo, forse, ormai estraneo alla mentalità di Lutero
– proprio sulla centralità della fede e sulla gratuità della grazia.
Sono questi i motivi per cui il Rosario ha resistito alle critiche dei suoi detrattori
e agli stessi abusi di certi suoi incauti promotori, conservando nella pietà
cattolica il ruolo centrale che ha ancora ai nostri giorni.
* Articolo
anticipato, senza note e con il titolo redazionale “Rosario, un mistero che
si snoda nei secoli”, in “Avvenire. Quotidiano di ispirazione cattolica”,
anno XXXI, n. 71, 25-3-1998, p. 16 e in “Cristianità“,
Organo ufficiale di Alleanza Cattolica, anno XXVI, n. 275-276, marzo aprile 1998,
pp. 5-7.
Recitare
il Rosario e` facile!
NOTE
1
Anne Winston-Allen, Stories of the Rose. The Making of the Rosary in the Middle
Ages, Penn State University Park (Pennsylvania) 1997. Salvo indicazioni diversa
tutte le informazioni nel testo sono tratte da questo volume.
2 Cfr. Thomas Esser, Unserer lieben Frauen Rosenkranz
[“Il Rosario della Madonna”], Schöningh, Paderbon 1889.
3 Cfr. don Franz Michel Wuillam, Die Geschichte und Gebetsschule
des Rrosenkranzes [“La storia e la scuola di preghiera del Rosario”],
Herden, Vienna 1948 (trad. it. Storia del Rosario, trad. it. e prefazione
di Rodolfo Paoli, con tre tavole fuori testo, Orbis Catholicum, Roma 1951).
4 Cfr. Andreas Heinz, Die Zisterzienser und die Anfänge
des Rosenkranzes [“I cistercensi e le origini del Rosario”], in Analecta
Cisterciensia, vol. 33, 1997, pp. 262-309.
5 Dis ist Unsert lyeben frowen Rosenkrantz und wie er von
ersten offkummen [“Questo è il Rosario di Nostra Signora e com’è
sorto la prima volta”], Flach Basilea 1475.
6 A partire da Vnser lieben Frauen Psalter [“Il
salterio di Nostra Signora”], Dinckmut, Ulma 1492.
7 Cfr. Stefano Orlandi (a cura di), Libro del Rosario della
Gloriosa Vergine Maria, Centro Internazionale Domenicano Rosariano, Roma 1965.