«DEL
GRAN MEZZO DELLA PREGHIERA»
di
S. Alfonso M. De’ Liguori
CAPO
III (continuazione)
DELLE CONDIZIONI DELLA PREGHIERA
III. – PREGARE CON UMILTÀ.
Quanto l’umiltà sia necessaria alla preghiera.
Il Signore ben guarda le preghiere dei suoi servi, ma dei servi umili (Sal
101,18). Altrimenti non le riguarda, ma le ributta. Dio resiste ai superbi,
e agli umili dà la grazia (Gc 6,6). Dio non sente le orazioni dei superbi,
che confidano nelle loro forze, e perciò li lascia nella loro propria miseria;
ed in tale stato essi, privi del divino soccorso senza dubbio si perderanno. Ciò
piangeva Davide: Io, diceva, ho peccato, perché non sono stato umile
(Sal 118,67). E lo stesso avvenne a S. Pietro, il quale quantunque fosse
stato avvisato da Gesù Cristo, che in quella notte tutti essi discepoli dovevano
abbandonarlo: Tutti voi patirete scandalo per me in questa notte (Mt 26,31),
egli nondimeno invece di conoscere la sua debolezza, e di domandare aiuto al Signore
per non essergli infedele, troppo fidando nelle sue forze, disse, che se tutti l’avessero
abbandonato, egli non l’avrebbe mai lasciato: Quando anche tutti fossero per patire
scandalo per te, non sarà mai che io sia scandalizzato (Mt 26,33).
E ancorché il Redentore nuovamente gli predicesse, che in quella notte prima
di cantare il gallo l’avrebbe negato tre volte, pure fidando nel suo animo si vantò
dicendo:
Quand’anche dovessi morire teco, non ti negherò (Ibid. 35).
Ma che avvenne? Appena il miserabile entrò nella casa del Pontefice e fu rimproverato
per discepolo di Gesù Cristo, egli tre volte infatti lo negò con giuramento,
dicendo di non averlo mai conosciuto (Ibid. 72). Se Pietro si fosse umiliato,
e avesse domandata al Signore la grazia della costanza, non lo avrebbe negato.
Dobbiamo tutti persuaderci, che noi stiamo come sulla cima di un monte sospesi sull’abisso
di tutti i peccati, e sostenuti dal solo filo della grazia; se questo filo ci lascia,
noi certamente cadiamo in tale abisso, e commetteremo le scelleratezze più
orrende: Se Dio non mi avesse soccorso, sarei caduto in mille peccati, ed ora
starei nell’inferno (Sal 93,17); così diceva il Salmista, e così
deve dire ognuno di noi. Questo intendeva ancora san Francesco di Assisi, quando
diceva, ch’esso era il peggiore peccatore del mondo. Ma, padre mio, gli disse
il compagno, questo che dite, non è vero; vi sono molti nel mondo che certamente
sono peggiori di voi. Sì che è troppo vero quel che dico,
rispose il Santo, perché se Dio non mi tenesse le mani sopra, io commetterei
tutti i peccati.
È di fede che senza l’aiuto della grazia non possiamo noi fare alcuna opera
buona, e neppure avere un buon pensiero. «Gli uomini, dice S. Agostino,
senza la grazia, nulla possono fare di bene o col pensare, o con l’operare»
(De correct. et grat. c. II). Come l’occhio non può vedere senza la
luce, così diceva il Santo, l’uomo non può fare alcun bene senza la
grazia. E prima già lo disse l’Apostolo: Non perché noi siamo idonei
a pensare alcuna cosa da noi come da noi, ma la nostra idoneità è da
Dio (2 Cr 3,5). E prima dell’Apostolo lo disse già Davide: Se
il Signore non edifica egli la casa, invano si affaticano quelli che la edificano
(Sal 126,1). Indarno si affatica l’uomo a farsi santo, se Dio non vi mette
la sua mano: Se il Signore non sarà egli il custode della città,
indarno vigila colui che la custodisce (Ibid.). Se Dio non custodisce
l’anima dai peccati, invano attenderà ella a custodirsi con le sue forze.
E perciò si protestava poi il santo Profeta: Dunque non voglio sperare
nelle mie armi ma solo in Dio che può salvarmi (Sal 42,7).
Onde chi ritrovasi fatta qualche cosa di bene, o non si trova caduto in maggiori
peccati di quelli che ha commessi, dica con san Paolo: Per la grazia del Signore,
sono quel che sono (1 Cr 15,10). E per la stessa ragione non deve lasciar
di tremare e temere di cadere in ogni occasione: Per la qual cosa chi si crede
di stare in piedi, badi di non cadere (1 Cr 10,12). E con ciò il
santo Apostolo vuole avvertirci, che sta in gran pericolo di caduta, chi si tiene
sicuro di non cadere. E ne assegna la ragione in altro luogo dove dice: Imperocché
se alcuno si tiene di esser qualche cosa, mentre non è nulla, questi seduce
se stesso (Gal 6,3). Onde scrisse saggiamente sant’Ambrogio «che in
molti la presunzione di esser fermi è di ostacolo alla loro fermezza; nessuno
certamente sarà fermo, se non chi si crede infermo» (Serm. 76,
n. 6. E. Bn.). Se taluno dice di non aver timore, è segno che costui fida
in se stesso, e nei suoi propositi fatti; ma questi con tal confidenza perniciosa
da sé medesimo viene sedotto, perché fidando nelle proprie forze, lascia
di temere, e non temendo, lascia di raccomandarsi a Dio ed allora certamente cadrà.
E così parimenti bisogna che ciascuno si guardi di ammirarsi con qualche vanagloria
dei peccati degli altri; deve allora più presto tenersi in quanto a sé,
per peggiore degli altri e dire: Signore, se voi non mi aveste aiutato avrei fatto
peggio. Altrimenti permetterà il Signore, in castigo della sua superbia, che
cada in colpe maggiori e più orrende. Pertanto ci avvisa l’Apostolo a procurarci
l’eterna salute; ma come? sempre temendo e tremando (Fil 2,12). Sì,
perché quegli che molto teme di cadere, diffida delle sue forze, perciò
riponendo la sua confidenza in Dio, a Lui ricorrerà nei pericoli; Dio lo soccorrerà,
e così vincerà le tentazioni, e si salverà.
S. Filippo Neri, camminando un giorno per Roma, andava dicendo: «Sono disperato».
Un certo religioso lo corresse: ma il Santo allora disse: «Padre mio, sono
disperato di me, ma confido in Dio». Così bisogna che facciamo noi,
se vogliamo salvarci; bisogna che viviamo sempre disperati delle nostre forze; poiché
così facendo, imiteremo S. Filippo, il quale, dal primo momento in cui si
svegliava la mattina, diceva a Dio: «Signore, tenete oggi le mani sopra
Filippo, perché se no, Filippo vi tradisce».
Questa dunque per concludere, è tutta la grande scienza di un cristiano, dice
sant’Agostino, il conoscere che niente egli è, niente può (In Ps.
70). Perciò così non cesserà di procurarsi da Dio con le
preghiere quella forza che non ha, e che gli bisogna per resistere alle tentazioni
e per fare il bene, ed allora farà tutto col soccorso di quel Signore, che
non sa negare niente a chi lo prega con umiltà. La preghiera di un’anima
umile penetra i cieli, e presentandosi al trono divino, di là non parte senza
che Dio la guardi e l’esaudisca (Ecli 35). E siasi quest’anima resa rea
di quanti peccati si voglia, Dio non sa disprezzare il cuore che si umilia (Sal
50,19). Quando il Signore è severo con i superbi e resiste alle loro domande,
altrettanto è benigno e liberale con gli umili (Gc 4,6). Questo appunto
disse un giorno Gesù a S. Caterina da Siena: «Sappi o figlia, che
chi umilmente persevera a chiedermi le grazie, farà acquisto di tutte le virtù
(Ap. Blos in concl. c. 3).
Dobbiamo preferire la via comune alla via straordinaria
Giova qui addurre un bell’avvertimento, che fa alle anime spirituali che desiderano
di farsi sante, il dotto e piissimo mons. Palafox vescovo d’Osma, nell’annotazione
che fa sulla lettera XVIII di S. Teresa. Ivi la Santa scrive al suo confessore, e
gli dà conto di tutti i gradi d’orazione soprannaturale, con cui il Signore
l’aveva favorita. All’incontro il citato prelato scrive che queste grazie soprannaturali,
che Dio si degnò di fare a S. Teresa, ed ha fatte ad altri santi, non sono
necessarie per giungere alla santità, poiché molte anime senza di esse
vi sono giunte: e per contrario molte vi sono giunte, e poi si sono dannate. Pertanto
dice di esser cosa superflua anzi presuntuosa, il desiderare e cercare tali doni
soprannaturali, mentre la vera ed unica strada per diventare un’anima santa è
l’esercitarsi nelle virtù, nell’amare Dio; al che si arriva per mezzo dell’orazione,
e col corrispondere ai lumi ed aiuti di Dio, il quale altro non vuole che vederci
santi (1 Ts 4,3).
Quindi il suddetto pio scrittore, parlando dei gradi dell’orazione soprannaturale,
di cui scriveva la Santa, cioè dell’orazione di quiete, del sonno e sospensione
delle potenze, dell’estasi, del ratto, del volo ed impeto di spirito e della ferita
spirituale; saggiamente scrive e dice, che in quanto all’orazione di quiete,
ciò che noi dobbiamo desiderare e domandare a Dio è, che ci liberi
dall’attacco e dal desiderio dei beni mondani, che non danno pace, ma apportano inquietudine
ed afflizione allo spirito: vanità delle vanità, ben li chiamò
Salomone, afflizione di spirito (Ecli 1,2.14). Il cuore dell’uomo non
troverà mai vera pace, se non si vuota di tutto ciò che non è
Dio, per lasciare luogo al di Lui santo amore, affinché egli solo tutto lo
possieda. Ma ciò l’anima da sé non può farlo; bisogna che l’ottenga
dal Signore con replicate preghiere.
In quanto al sonno e sospensione delle potenze, dobbiamo chiedere a Dio la
grazia di tenerle sopite per tutto il temporale, e solamente svegliate per considerare
la divina bontà e per ambire l’amor divino, ed i beni eterni.
In quanto all‘unione delle potenze, preghiamo che ci doni la grazia di non
pensare, di non cercare, e di non volere se non quello che vuole Iddio; poiché
tutta la santità e la perfezione dell’amore consiste nell’unire la nostra
volontà con la volontà del Signore.
In quanto all’estasi e ratto, preghiamo Dio, che ci tragga fuori dall’amor disordinato
di noi stessi e delle creature per tirarci tutti a sé.
In quanto al volo di spirito, preghiamolo a darci la grazia di vivere tutti staccati
da questo mondo, e far come fanno le rondini che anche per alimentarsi non si fermano
sulla terra, ma volando prendono il loro alimento: viene a dire che ci serviamo di
questi beni temporali per quanto bisogna a sostenere la vita, ma sempre volando,
senza fermarci sulla terra a cercare i gusti mondani.
In quanto all’impeto di spirito, preghiamo Dio, che ci doni il coraggio e
la fortezza di farci violenza quanto bisogna per resistere agli assalti dei nemici,
per superare le passioni, per abbracciare il patire anche in mezzo alle desolazioni
e tedii spirituali.
In quanto finalmente alla ferita d’amore, siccome la ferita con il suo dolore
rinnova sempre la memoria del suo male, così dobbiamo pregare Iddio di ferirci
talmente il cuore col suo santo amore, che abbiamo sempre a ricordarci della sua
bontà, e dell’affetto che ci ha portato; e con ciò viviamo continuamente
amandolo e compiacendolo con le nostre opere ed affetti.
Ma tutte queste grazie non si ottengono senza l’orazione; e con l’orazione, purché
ella sia umile, confidente e perseverante, tutto si ottiene.
Eccellenza e necessità della fiducia
L’avvertimento principale che ci fa l’Apostolo S. Giacomo, se vogliamo con la
preghiera ottenere da Dio le grazie, è che preghiamo con confidenza sicura
di essere esauditi se preghiamo, come si deve, senza esitare: Ma chieda con fede
senza niente esitare (Gc 1,6). Insegna S. Tommaso, che l’orazione, siccome prende
la forza di meritare dalla carità, così all’incontro ha efficacia di
impetrare dalla fede e dalla confidenza (2, 2.ae, q. 83, a. 15). Lo stesso insegna
S. Bernardo, dicendo che la sola nostra confidenza è quella che ci ottiene
le divine misericordie (Serm. III, De annunt.).
Troppo si compiace il Signore della nostra confidenza nella sua misericordia perché
allora noi veniamo ad onorarlo ed esaltare quella sua infinita bontà, che
egli col crearci ha inteso di manifestare al mondo. Si rallegrino pure, o mio
Dio, dice il profeta regale, tutti quelli che sperano in voi, poiché
essi saranno eternamente beati, e voi sempre abiterete in essi (Sal 5,11). Iddio
protegge e salva tutti coloro che in Lui confidano (Sal 17,31; Sal 16,7). Oh,
le gran promesse che sono fatte nelle divine Scritture a coloro che sperano in Dio!
Chi spera in Dio non cadrà in peccato (Sal 33,22). Sì, perché
dice David: il Signore tiene gli occhi rivolti a tutti coloro che lo temono e
confidano nella sua bontà per liberarli col suo aiuto dalla morte del peccato
(Sal 32,18-19). Ed in altro luogo dice il medesimo Dio: Perché egli
ha sperato in me, lo libererò, lo proteggerò… lo trarrò (dalla
tribolazione), e lo glorificherò (Sal 90,14-15). Si noti la parola perché
egli ha confidato in me, io lo proteggerò, lo libererò dai suoi
nemici, e dal pericolo di cadere; e finalmente gli darò la gloria eterna.
Parlando Isaia di coloro che ripongono la loro speranza in Dio dice: Questi lasceranno
di esser deboli come sono, ed acquisteranno in Dio una gran fortezza; non mancheranno,
anzi neppure proveranno fatica nel camminare la via della salute, ma correranno e
voleranno come aquile (Is 40,31). Tutta insomma la nostra fortezza, ci avvisa lo
stesso Profeta, consiste nel mettere tutta la nostra confidenza in Dio, e nel tacere,
cioè nel riposare nelle braccia della sua misericordia, senza fidare alle
nostre industrie, ed ai mezzi umani (Is 30,15).
E dove mai s’è dato il caso che alcuno abbia confidato in Dio, e si sia perduto?
(Ecli 2,11). Questa confidenza era quella che teneva sicuro Davide di non aversi
mai a perdere: In te ho posta la mia speranza, non resti io confuso giammai (Sal
30,1). E che forse, dice sant’Agostino, Iddio può essere ingannatore, mentre
egli si offre a sostenerci nei pericoli, se a lui ci appoggiamo, e poi vorrà
da noi sottrarsi, quando ad esso ricorriamo? David chiama beato chi confida nel Signore
(Sal 33,13). E perché? Perché, dice lo stesso profeta, chi confida
in Dio, si troverà sempre circondato dalla divina misericordia (Sal 31,10).
Sicché costui sarà talmente d’ogni intorno cinto e guardato da Dio,
che resterà sicuro dai nemici e dal pericolo di perdersi.
Perciò l’Apostolo tanto raccomanda di conservare in noi la confidenza in Dio,
la quale (ci avvisa) certamente riporta da Lui una gran mercede (Eb 10,35).
Quale sarà la nostra fiducia, tali saranno le grazie che riceveremo da Dio;
se sarà grande la fiducia, grandi saranno ancora le grazie. Scrive S. Bernardo,
che la divina misericordia è una fonte immensa; chi vi porta il vaso più
grande di confidenza, quegli ne riporta maggior abbondanza di beni (Serm. 3, De
annunt.). E già prima lo espresse il Profeta dicendo: Sia sopra di
noi, o Signore, la tua misericordia conforme noi in te abbiamo sperato (Sal
32,22). Ciò ben si avverò nel Centurione, a cui disse il Redentore,
lodando la sua confidenza: Va’, e ti sia fatto conforme hai creduto (Mt
8,13). E rivelò il Signore a S. Geltrude che chi lo prega con confidenza,
gli fa in certo modo tanta violenza, che egli non può non esaudirlo in tutto
ciò che gli cerca. La preghiera, dice S. Giovanni Climaco, fa violenza a Dio,
ma violenza che gli è cara e gradita (Scal. gr. 28).
Accostiamoci adunque, ci avvisa san Paolo, con fiducia al trono di grazia,
a fine di ottenere misericordia, e trovare grazia per opportuno sovvenimento (Eb
4,16). Il trono della grazia è Gesù Cristo, che al presente siede
alla destra del Padre, non in trono di giustizia, ma di grazia, per ottenerci il
perdono, se ci ritroviamo in peccato, e l’aiuto a perseverare, se godiamo la sua
amicizia. A questo trono bisogna che ricorriamo sempre con fiducia, cioè con
quella confidenza che ci dà la fede nella bontà e fedeltà di
Dio, il quale ha promesso di esaudire chi lo prega con confidenza, ma con confidenza
stabile e sicura. Chi all’incontro lo prega con esitazione, dice S. Giacomo, che
costui non pensi di ricevere niente: Imperocché chi esita è simile
al flutto del mare mosso e agitato dal vento. Non si pensi dunque un tal uomo di
ottenere cosa alcuna dal Signore (Gc 1,6-7). Niente riceverà perché
la sua ingiusta diffidenza, da cui viene agitato, impedirà alla divina misericordia
di esaudire le sue domande. «Non hai ricevuto la grazia, dice S. Basilio,
perché l’hai domandata senza confidenza» (Const. Monac. c.
2). Disse Davide, che la nostra confidenza in Dio dev’essere ferma come un monte,
che non si muove a qualunque urto di vento: Coloro che confidano nel Signore,
sono come il monte Sion; non sarà vacillante in eterno chi abita in Gerusalemme
(Sal 124,1). E ciò è quello di cui ci ammonì il Redentore,
se vogliamo ottenere la grazia che cerchiamo. Qualsivoglia grazia che domandiate,
state sicuri di averla e così l’otterrete (Mr 11,24).
Fondamento della nostra fiducia
Ma dove, dirà taluno, io miserabile debbo fondare questa confidenza certa
di ottenere quel che domando? dove? sulla promessa fatta da Gesù Cristo Cercate
ed avrete (Gv 16,24). Come possiamo dubitare, dice sant’Agostino, di non
essere esauditi, quando Iddio che è la stessa verità promette di concederci
ciò che pregando gli domandiamo? Certamente il Signore non ci esorterebbe
a chiedergli le grazie, se non ce le volesse concedere (Serm. 105). Ma questo
è quello a cui Egli tanto ci esorta, e tante volte ce lo replica nelle sacre
Scritture: pregate, domandate, cercate ecc., ed otterrete quanto desiderate. E
perché noi lo preghiamo con la confidenza dovuta, il Salvatore ci ha insegnato
nell’orazione del Pater noster, che noi ricorrendo a Dio per ricevere le grazie
necessarie alla nostra salute (che già nel Pater noster tutte si contengono),
lo chiamiamo non Signore, ma Padre, Pater noster. Mentre vuole, che noi chiediamo
a Dio le grazie con quella confidenza, con la quale il figlio povero o infermo cerca
il sostentamento o la medicina al suo proprio padre. Se un figlio sta per morire
di fame, basta che lo palesi al padre, e questi subito lo provvederà di cibo.
E se ha ricevuto qualche morso di serpe velenoso, basterà che presenti al
padre la ferita ricevuta, perché il padre applichi il rimedio che già
tiene.
Fidati dunque alle divine promesse, domandiamo sempre con confidenza, non vacillanti,
ma stabili e fermi, come dice l’Apostolo (Eb 10,23). Come è certo intanto,
che Dio è fedele nelle sue promesse, così deve essere certa ancora
la nostra confidenza, che egli ci esaudisca quando lo preghiamo. E se qualche volta,
ritrovandoci forse noi in stato di aridità, o disturbati da qualche difetto
commesso, non proviamo nel pregare quella confidenza sensibile che vorremmo sentire,
sforziamoci ugualmente a pregare, perché Dio non lascerà di esaudirci.
Anzi allora meglio ci esaudirà, poiché allora pregheremo più
diffidati da noi, e solo confidati nella bontà e fedeltà di Dio, il
quale ha promesso di esaudire chi lo prega. Oh, come piace al Signore in tempo di
tribolazioni, di timori e di tentazioni il nostro sperare, anche contro la speranza,
cioè contro quel sentimento di diffidenza che proviamo allora per causa della
nostra desolazione. Di ciò l’Apostolo loda il patriarca Abramo: il quale
contro alla speranza credette (Rm 4,18).
Dice S. Giovanni, che chi ripone una ferma confidenza in Dio, certamente si santifica
come egli pure è santo (1 Gv 3,3). Perché Dio fa abbondare
le grazie in tutti coloro che in lui confidano. Con questa confidenza tanti martiri,
tante verginelle, tanti fanciulli, nonostante lo spavento dei tormenti che loro preparavano
i tiranni, hanno superato i tormenti e le sofferenze.
Talvolta, dico, noi preghiamo, ma ci sembra che Dio non voglia ascoltarci; deh, non
lasciamo allora di perseverare a pregare ed a sperare! Diciamo allora con Giobbe:
Quand’anche mi desse la morte, in lui spererò (Gb 13,15). Quasi
dicesse: Dio mio, ancorché mi discacciaste dalla vostra faccia, io non lascerò
di pregarvi, e di sperare nella vostra misericordia. Facciamo così, e ne avremo
quel che vorremo dal Signore. Così fece la donna Cananea, ed essa ottenne
tutto ciò che volle da Gesù Cristo. Questa donna, avendo la sua figlia
invasata dal demonio, pregò il Redentore che ne la liberasse: Abbi pietà
di me, Signore, figlio di Davide: mia figlia è malamente tormentata dal demonio
(Mt 15,22). Il Signore le rispose ch’egli non era stato mandato per i
Gentili, come ella era, ma per i Giudei. Ma quella non si perdette d’animo, e ritornò
a pregare con confidenza: Signore, voi potete consolarmi, mi avete da consolare.
Replicò Gesù Cristo: Ma il pane dei figli non è bene darlo
ai cani. Ma, Signor mio, ella soggiunse, anche ai cagnolini si dispensano
le briciole di pane che cadono dalla mensa. Allora il Salvatore, vedendo la grande
confidenza di questa donna, la lodò, e le fece la grazia, dicendo: O donna,
grande è la tua fede: ti sia fatto, come desideri. E chi mai, dice l’Ecclesiastico,
ha chiamato Dio in suo aiuto, e Dio l’ha disprezzato e non l’ha soccorso? (Ecli
2,12).
Dice S. Agostino, che la preghiera è una chiave, la quale apre il cielo
a nostro bene: nello stesso punto in cui la nostra preghiera sale a Dio, discende
a noi la grazia che domandiamo (Serm. 47). Scrisse il profeta regale, che
vanno unite insieme le nostre suppliche con la misericordia di Dio: Benedetto
Dio, il quale non ha allontanato da me né la mia orazione, né la sua
misericordia (Sal 65,19). E dice il medesimo S. Agostino, che quando noi ci troviamo
pregando il Signore, dobbiamo star sicuri, che egli già ci esaudisce (In
Ps. 45).
Ed io, dico la verità, non mai mi sento più consolato nello spirito,
e con maggior confidenza di salvarmi, che quando mi trovo pregando Dio, ed a lui
mi raccomando. E lo stesso penso, che avvenga a tutti gli altri fedeli, poiché
gli altri segni della nostra salvezza sono tutti incerti e fallibili; ma che Dio
esaudisca chi lo prega con confidenza, è verità certa ed infallibile,
com’è infallibile, che Dio non può mancare alle sue promesse.
Quando ci vediamo deboli ed impotenti a superare qualche passione o qualche difficoltà,
per eseguire ciò che il Signore da noi domanda, diciamo animosi con l’Apostolo:
Tutte le cose mi sono possibili in Colui che è mio conforto (Fil 4,13).
Non diciamo, come dicono alcuni: Non posso, non mi fido. Con le forze
nostre non possiamo certamente niente, ma col divino aiuto possiamo tutto. Se Dio
dicesse ad uno: prendi questo monte sulle tue spalle, e portalo, perché io
ti aiuto; non sarebbe colui uno sciocco, un infedele, se rispondesse: io non lo voglio
prendere, perché non ho forza di portarlo? E così, quando noi ci conosciamo
miseri ed infermi quali siamo, e ci troviamo più combattuti dalle tentazioni,
non ci perdiamo d’animo, alziamo gli occhi a Dio, e diciamo con David: Con l’aiuto
del mio Signore io vincerò, e disprezzerò tutti gli assalti dei miei
nemici (Sal 117,7). E quando ci troviamo in qualche pericolo di offendere Dio,
o in altro affare di conseguenza, e confusi non sappiamo che dobbiamo fare, raccomandiamoci
a Dio dicendo: Il Signore è la mia luce e mia salute: che ho io da temere?
(Sal 26,1). E siamo sicuri, che Iddio allora ben ci illuminerà, e ci salverà
da ogni danno.
Anche i peccatori debbono aver fiducia
Ma io sono peccatore, dice taluno, e nella Scrittura si legge: Iddio non esaudisce
i peccatori (Gv 9,31). Risponde S. Tommaso con Sant’Agostino che ciò fu
detto dal cieco, il quale parlava allorché non era stato illuminato ancora
perfettamente, e perciò non fa autorità (2, 2.ae, q. 83, art. 16.
ad 1). Per altro, soggiunge l’Angelico, che ciò sta ben detto, parlando
della domanda che fa il peccatore, in quanto è peccatore, cioè
quando egli domanda per desiderio di seguitare a peccare: per esempio, si chiedesse
aiuto per vendicarsi del suo nemico, o per seguire altra sua prava intenzione. E
lo stesso dicesi di quel peccatore che prega Dio a salvarlo, senza avere alcun desiderio
di uscire dallo stato di peccato… Vi sono alcuni infelici che amano le catene,
con le quali il demonio li tiene legati da schiavi. Le preghiere di costoro non sono
esaudite da Dio, perché sono preghiere temerarie e abominevoli. E qual maggior
temerità di colui che domanda grazia ad un principe, che non solo ha più
volte offeso, ma che pensa di seguitare ad offendere? E così s’intende quel
che dice lo Spirito Santo, esser detestabile e odiosa a Dio, la preghiera di colui
che volta le orecchie per non ascoltare ciò che Dio comanda (Pro 28,9).
A questi tali dice il Signore: Non occorre che voi mi preghiate, perché io
volterò gli occhi da voi, e non vi esaudirò (Is 1,15). Tale
era appunto l’orazione dell’empio re Antioco, che pregava Dio, e prometteva grandi
cose, ma fintamente, e col cuore ostinato nella colpa, pregando solo per sfuggire
il castigo che lo sovrastava: perciò il Signore non diede orecchio alle sue
preghiere, ma lo fece morire roso dai vermi (2 Mc 9,13).
Altri poi che peccano per fragilità, o per impeto di qualche gran passione,
o gemono sotto il giogo del nemico e desiderano di rompere quelle catene di morte
ed uscire da quella misera schiavitù, e perciò domandano aiuto a Dio;
l’orazione di costoro, se ella è costante, ben sarà esaudita dal Signore
il quale dice, che ognuno che domanda, riceve, e chi cerca la grazia, la ritrova
(Mt 7,8). Ognuno, spiega l’autore dell’opera imperfetta, o giusto sia o
peccatore (Homil. XVIII). Ed in san Luca, parlando Gesù Cristo di colui
che chiede tutti i pani che aveva all’amico, non tanto per l’amicizia, quanto per
la di lui importunità disse: Vi dico che quando anche non si levasse a
darglieli per la ragione che quegli è un suo amico, si leverà almeno
a motivo della sua importunità, e gliene darà quanti gliene bisogna
(Lc 11,8). Sicché la preghiera perseverante ottiene da Dio la misericordia
anche a coloro che non sono suoi amici. «Quel che non si ottiene per l’amicizia,
dice il Crisostomo, si ottiene per la preghiera». Anzi dice lo stesso Santo
che «vale più appresso a Dio l’orazione, che l’amicizia; e che l’orazione
compie ciò che l’amicizia non aveva compiuta» (Hom. Non esse
desp.). E S. Basilio non dubita, che «anche i peccatori ottengono
quel che chiedono, se sono perseveranti in pregare» (Const. Monast.
c. i.). Lo stesso dice S. Gregorio: «Alzi le grida anche il peccatore,
e la sua orazione giungerà a Dio» (In Ps. 6, Paenitent.). Lo
stesso scrive san Girolamo, dicendo che anche il peccatore può chiamare Iddio
suo Padre, se lo prega ad accettarlo di nuovo per figlio, con l’esempio del figlio
prodigo, che lo chiamava padre. Padre, ho peccato, ancorché non fosse
stato ancora perdonato (Epist. ad Damas. De filio prod.). «Se
Dio non esaudisse i peccatori, disse sant’Agostino, invano il Pubblicano avrebbe
domandato il perdono (In Io. tract.). Ma ci attesta il Vangelo, che il Pubblicano
col pregare, ben ottenne il perdono (Lc 18,15).
Ma sopra tutti esamina più a minuto questo punto il Dottore Angelico (2, 2.ae,
q. 83, c. 16), e non dubita di asserire, che anche il peccatore è esaudito,
se prega; dicendo, che sebbene la sua orazione non è meritoria, ha nondimeno
la forza d’impetrare; poiché l’impetrazione non si appoggia alla giustizia,
ma alla divina bontà. Così appunto pregava Daniele: Porgi, Dìo
mio, il tuo orecchio e ascolta… poiché sulla fidanza non della nostra giustizia,
ma delle molte tue misericordie, queste preci umiliamo davanti alla tua faccia (Dn
9,18). Allorché dunque preghiamo, dice S. Tommaso, non è necessario
l’essere amici di Dio, per impetrarne le grazie che cerchiamo; la stessa preghiera
ci rende suoi amici (Comp. Theol. p. 2, c. 2). Inoltre aggiunge S. Bernardo una bella
ragione, dicendo che tal preghiera del peccatore di uscire dal peccato, nasce dal
desiderio di tornare in grazia di Dio; or questo desiderio è un dono che,
certamente non gli viene dato da altri, che da Dio medesimo. A che dunque, dice poi
il Santo, darebbe Iddio al peccatore un tal desiderio, se non volesse esaudirlo?
E ben di ciò ve ne sono tanti esempi nelle stesse divine Scritture, di peccatori
che pregando sono stati liberati dal peccato. Così fu liberato il re Acab
(1 Re 21). Così il re Manasse (1 Sam 33). Così il re Nabucco (Dn 6).
Così il buon ladrone. Gran cosa e gran valore della preghiera! Due peccatori
muoiono sul Calvario accanto a Gesù Cristo, uno perché prega (ricordati
di me) (Lc 23,42), si salva; l’altro perché non prega, si danna!
Insomma dice il Crisostomo (Hom. De Moyse): «Nessun peccatore pentito
ha pregato il Signore e non ha ottenuto quanto ha desiderato». Ma che servono
più autorità e ragioni a ciò dimostrare, mentre Gesù
medesimo dice: Venite a me tutti voi che siete affaticati e aggravati, e io vi ristorerò’?
(Mt 11,28). Per aggravati, s’intendono comunemente, secondo S. Gìrolamo, S.
Agostino ed altri, i peccatori che gemono sotto il peso delle loro colpe, i quali
ricorrendo a Dio ben saranno da lui, giusta tal promessa, ristorati e salvati colla
sua grazia. Ah! che non tanto noi, dice S. Giovanni Crisostomo, desideriamo d’esser
perdonati, quanto anela Dio di perdonarci! (In act., Hom. 36). Non
vi è grazia, soggiunge il Santo, che non si ottenga colla preghiera, ancorché
questa si faccia da un peccatore il più perduto che sia, se ella è
perseverante (Hom. 33 in Matth.). E notiamo quel che dice San Giacomo: Se
alcuno è bisognoso di sapienza, la chieda a Dio, che dà a tutti abbondantemente,
e nol rimprovera (Gc 1,5). Tutti coloro adunque che ricorrono coll’orazione
a Dio, egli non lascia d’esaudirli e di colmarli di grazie: dà a tutti
abbondantemente. Ma si faccia special riflessione alla parola che segue: e
nol rimprovera. Ciò significa che non fa Iddio come fanno gli uomini,
che quando viene a domandare loro qualche favore, taluno, che prima in qualche occasione
li ha offesi, subito gli rimproverano l’oltraggio da lui ricevuto. Non fa così
il Signore con chi lo prega, fosse anche il maggior peccatore del mondo, quando gli
domanda qualche grazia utile alla sua eterna salute, non gli rimprovera già
i disgusti che ha dati, ma come se non l’avesse mai offeso, subito l’accoglie, lo
consola, l’esaudisce, e abbondantemente l’arricchisce dei suoi doni. Sopra tutto
per animarci a pregare, il Redentore dice: In verità, in verità
vi dico, che qualunque cosa voi domandiate al Padre nel nome mio, ve la concederà
(Gv 16,23). Come dicesse: Orsù peccatori, non vi disanimate, non
fate che i vostri peccati vi trattengano di ricorrere al mio Padre, e di sperare
da esso la vostra salute, se la desiderate. Voi non avete già i meriti di
ottenere le grazie che chiedete, ma solo avete demeriti per ricevere castighi; fate
così, andate al Padre in nome mio, per i meriti miei chiedete le grazie che
volete, ed io vi prometto e vi giuro, in verità, in verità vi dico
(dice sant’Agostino esser questa una specie di giuramento), che quanto domanderete,
il mio Padre vi concederà. O Dio! e qual maggior consolazione può
avere un peccatore dopo le sue rovine, che sapere con certezza che quanto chiederà
a Dio in nome di Gesù Cristo, tutto riceverà?
Dico, tutto, circa la salute eterna, perché intorno ai beni temporali
già abbiamo detto di sopra che il Signore, anche pregato, alle volte non ce
li concede, vedendo che tali beni ci nuocerebbero all’anima. Ma in quanto ai beni
spirituali la sua promessa di esaudirci non è condizionata, ma assoluta; e
perciò esorta S. Agostino che quelle cose che Dio assolutamente promette,
noi dobbiamo domandarle con sicurezza di riceverle (Serm. 354, E. B.). E come mai,
scrive il Santo, può negarci qualcosa il Signore, allorché noi lo preghiamo
con confidenza, quando desidera più esso di dispensarci le sue grazie, che
noi di averle? (Serm. 105).
Dice il Crisostomo che il Signore si adira con noi solo quando noi trascuriamo di
cercargli i suoi doni (In Matth., Hom. 23). E come mai può succedere
che Iddio non voglia esaudire un’anima, che gli cerca cose tutte di suo gusto? Quando
l’anima gli dice: Signore, io non vi cerco beni di questa terra, ricchezze, piaceri,
onori; ma solo vi domando la grazia vostra, liberatemi dal peccato, datemi una buona
morte, datemi il Paradiso, datemi il Santo amor vostro (ch’è quella grazia,
come dice san Francesco di Sales, che deve chiedersi a Dio sopra tutte le altre),
datemi rassegnazione nella vostra volontà; com’è possibile che Dio
non voglia esaudirla? E quali domande mai, dice sant’Agostino, esaudirete voi, mio
Dio, se non esaudirete queste che sono tutte secondo il vostro cuore? (De Civ.
Dei, LXXII. c. 8). Ma sopra tutto deve ravvivarsi la nostra confidenza, allorché
chiediamo a Dio le grazie spirituali, ciò che disse Gesù Cristo. Se
voi, dice il Redentore (Lc 11,13), che siete così cattivi, così
attaccati ai vostri interessi, perché pieni d’amor proprio, non sapete negare
ai vostri figli ciò che vi domandano; quanto più il vostro Padre celeste,
che vi ama più d’ogni padre terreno, vi concederà i beni spirituali,
allorché voi lo pregherete?