Il Pelé
ricevette sicuramente durante l’infanzia una profonda educazione religiosa. Gli zingari
dicevano che nella sua famiglia si recitava ogni giorno il rosario. Segno della religiosità
della famiglia di origine è la sollecitudine con cui fecero battezzare il
bambino. Lo portarono in chiesa lo stesso giorno della nascita e adottarono il nome
del santo del giorno: Ceferino, che nel calendario romano si celebrava il 26 agosto.
Da piccolo imparò
certamente le principali preghiere, perché, a quanto hanno dichiarato le sue
nipoti durante il Processo, quando pregava da solo lo faceva in lingua catalana.
Questo vuol dire che imparò le preghiere quando era ancora bambino o ragazzo,
perché fin dall’età di 19 anni visse a Barbastro, dove non si parlava
soltanto lo spagnolo.
Cristiano
esemplare amante del Rosario
Non sappiamo quando
cominciò il Pelé a frequentare assiduamente la chiesa. Comunque sin
dall’inizio del secolo era ritenuto a Barbastro un buon cristiano. Perciò
nel 1903 viene ammesso come padrino di battesimo del suo nipote Juan Alfredo, figlio
di suo fratello Filippo.
Nel 1912 regolarizza
il matrimonio che aveva celebrato allo stile gitano con Teresa Jiménez. Da
allora cominciò a frequentare sempre con più assiduità la chiesa,
fino a diventare un cristiano modello: messa diaria, recita cotidiana del rosario,
comunione frequente. Molti testimoni oculari lo ricordano con un cero nelle processioni
o accompagnando il Santissimo quando si portava il viatico ai malati. Occupava uno
dei primi posti in queste manifestazioni. Spiccava per la sua statura e per il cero
che portava.
Amante del rosario,
lo portava sempre e lo recitava anche mentre camminava per le strade. Bella la testimonianza
di un suo amico, Santos de Otto, tuttora vivente: «Portava sempre con sé
il rosario e lo si incontrava di frequente mentre lo recitava. Quando camminava per
le strade, da solo o assieme ad altri, lo recitava sempre». Qualche testimone
ha riferito che il Pelé recitava sempre il rosario per compiere una promessa
fatta alla Madonna che lo aveva guarito di una grave malattia.
Laico
impegnato tra giovani ed anziani
Il Pelé
era, come si direbbe oggi, un laico pastoralmente impegnato. Apparteneva a tutte
le associazioni religiose e collaborava con entusiasmo nelle opere di apostolato
e di carità della diocesi. Era membro dell’Adorazione Notturna; dei Giovedì
Eucaristici e delle Conferenze di San Vincenzo di Paoli. Nel 1926 i cappuccini fondarono
a Barbastro il Terzo Ordine Francescano. Presero l’abito di terziari, il Vescovo
della città e 114 laici tra i quali c’era il Pelé. Ed era tale il suo
prestigio che fu subito eletto come membro del consiglio della fraternità
dei terziari.
Il Pelé
non riteneva sufficiente l’opera che svolgeva nelle diverse associazioni religiose,
e dedicava molto del suo tempo all’educazione dei bambini: zingari e non zingari.
Li accompagnava per le campagne e raccontava loro storie della Bibbia o della vita
dei santi e li esortava a rispettare la natura. Diceva loro: «dovete rispettare
gli uccelli, i fiori del campo; non dovete calpestare le formiche, perché
sono creature di Dio». Diceva ai bambini che erano «los huesecitos de
Dios» «piccole ossa di Dio». E tutti i bambini gli volevano bene,
e tuttora oggi, ormai anziani, lo ricordano con molto piacere.
Uomo
di profonda spiritualità
Il primo biografo
del servo di Dio, che lo frequentò molto da vicino e che conosceva la sua
religiosità, afferma di non sapere chi gli insegnò teologia spirituale,
ma che certamente egli possedeva una profonda spiritualità. Non era un uomo
superstizioso o di una religiosità superficiale, bensì aveva «convinzioni
religiose molto radicate».
Come nelle anime
sante, possiamo pensare che fosse lo Spirito Santo a guidarlo. E interessante a questo
riguardo la testimonianza di Rufino Vidal, che partecipava con il servo di Dio all’Adorazione
Notturna: «Benché non avesse istruzione letteraria, perché analfabeta,
tuttavia aveva molta formazione spirituale; la vita spirituale gli veniva da dentro».
Una prova della
sua profonda spiritualità era la sua rassegnazione cristiana ed il fatto di
vedere la mano di Dio in ogni cosa. Riferisce Nicolás Santos de Otto che nei
rovesci di fortuna o nelle disgrazie il servo di Dio diceva sempre: «Dio lo
ha voluto, Lui lo sa. Lodato sia il Signore».
Amante
dei poveri
Il Pelé
si distinse sempre per la sua grande umanità, o meglio, per il suo amore per
i poveri. Commerciando con i cavalli, arrivò a crearsi con il lavoro onesto
una discreta fortuna, ma poi diventò povero perché, secondo le sue
nipoti, fu troppo prodigo con tutti.
Quasi tutti i
testimoni parlano delle elemosine che il servo di Dio faceva, delle quali molti di
loro beneficiarono.
José Cortés
Gabarre, gitano, nato nel 1908, vide in varie occasioni «che nella sua casa
accoglieva mendicanti, dava loro abiti in buono stato e denaro, e tutto questo lo
faceva accarezzandoli e trattandoli con affetto».
Trinidad Jiménez,
una delle nipoti, afferma che faceva molte opere di carità, e aggiunge: «Quando
nevicava, andava per i villaggi a vedere di cosa potevano aver bisogno i gitani poveri,
e anche a Barbastro. Andò in rovina dividendo i suoi beni tra i gitani poveri».
José Castellón
riferisce che sua moglie lo sgridava per la sua eccessiva prodigalità. Perciò
quando dava qualcosa «guardava su per vedere se sua moglie lo sentiva»
e diceva «è per evitare problemi con mia moglie… se posso evito il
pasticcio». Oppure diceva a colui che aiutava: «Prendi, che non sappia».
Che il suo amore
verso i poveri fosse ispirato da uno spirito soprannaturale lo prova il fatto che
non faceva distinzioni tra gli zingari e coloro che non lo erano. Aiutava tutti senza
distinzione. Gli anziani di Barbastro, dove visse quasi tutta la sua vita il Pelè,
ricordano ancora la generosità dello zingaro.
Zingaro
onesto e uomo saggio
Il Pelé
aveva fama di essere uno zingaro onesto. Commerciante di cavalli, faceva uso di tutte
le arguzie lecite in questo genere di trattative, l’esagerazione, la barzelletta,
le frasi giocose, ecc., ma non ingannò mai nessuno. Raccontano i testimoni
che un giorno cadde nella tentazione di togliere tre anni di età al cavallo
che vendette a un cliente. Quella notte non poté conciliare il sonno finché
non confessò al cliente che lo aveva ingannato e che il cavallo era tre anni
più vecchio.
Una volta, accusato
ingiustamente di aver rubato due mule, fu condotto in carcere e ne rimase due mesi
rinchiuso. Il caso fu portato in tribunale. Il Pelé, con regolari ricevute,
poté dimostrare che aveva comperate le mule ignorandone la provenienza. Il
suo avvocato, dopo la lettura della sentenza assolutoria, si permise di dire: «Signor
giudice: il Pelé non è un ladro né un imbroglione, è
San Ceferino Jiménez Malla, il patrono dei gitani».
Per la sua onestà
e la sua saggezza e la sua spiccata personalità godeva di grande prestigio
sia presso gli zingari che preso i «pagi», cioè, quelli che non
erano zingari. Accettavano i suoi consigli e i gitani lo consideravano loro «capo».
In tutta la via Sant’Ippolito i vicini avevano fiducia in lui ed erano suoi amici;
lo consideravano l’avvocato dei poveri cui ricorrevano molte volte per chiedere consiglio».
Tale prestigio
e il suo spirito conciliatore gli conferivano l’autorità necessaria per fare
da mediatore nei conflitti che sorgevano tra i componenti della sua razza o tra i
pagi. Era considerato come una specie di arbitro e di pacificatore, ed i suoi interventi
erano sempre coronati da successo: infatti i litiganti finivano per darsi la mano
e diventare amici. Cosi affermano vari testimoni.
Davanti a lui
nessuno usava dire delle parolacce e molto meno bestemmiare. Quando qualcuno bestemmiava,
il Pelé gli diceva: «Cosa ti ha fatto Iddio. Egli ti ha donato la vita.
Guarda, davanti a me non voglio sentir parlare male né di Dio né dei
sacerdoti».
Detenzione
e martirio del Pelé
Il Pelé
fu detenuto proprio per aver cercato di difendere un sacerdote che veniva trascinato
ingiustamente in prigione. Perquisito, gli fu trovata una corona del rosario. Questo
fatto era sufficiente per incriminarlo. Ai carcerati era proibito pregare, ma il
Pelé continuava a recitare il rosario. Gli fu offerta la libertà a
cambio della corona del rosario, e lui preferì la morte. Nella mattina del
2 agosto 1936 fu condotto al cimitero e fucilato davanti alle mura, mentre teneva
stretta in mano la corona del rosario, simbolo della sua fede, e gridava. Viva Cristo
Re!
La sua vita santa
e la confessione della propria fede lo avevano fatto meritevole della corona del
martirio.
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