Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.
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TRATTATO VII. DELL’ESAME DELLA COSCIENZA
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CAPO VIII. Che nell’esame abbiamo da insistere e trattenerci principalmente nel dolore e nel proponimento dell’emendazione
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1. Dolore e proposito vanno di pari passo.
2. La mancanza del dolore cagiona le ricadute.
3. Pazzia a dire: Pecco, ma mi pentirò.
4. Efficacia del dolore e proposito.
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1. Quel che in particolare si deve grandemente avvertire circa il modo di far l’esame si è, che dei tre punti che ha, i due ultimi sono i principali; cioè il dolerci e pentirci delle nostre colpe e negligenze, e il fare fermo proponimento di emendarcene, secondo quello che diceva il Profeta: «Pentitevi nei vostri letti» (Ps. 4, 5). In questa compunzione e pentimento e in questo fermo proponimento di non tornare a cadere sta tutta la forza e l’efficacia dell’esame per emendarci: onde in questo si ha da spendere la principale parte del tempo.
Una delle cagioni principali per cui molti fanno poco frutto e poco si emendano cogli esami è, perché tutto quel tempo se la passano nell’andare cercando quante volte sono caduti nei mancamenti e negli errori, e appella hanno finito questo punto, che finisce ancora il tempo dell’esame, e fanno il resto superficialmente, né si trattengono nel dolore e pentimento delle loro colpe, né nel confondersi e chiederne perdono a Dio, né in fare fermi proponimenti di emendarsi la sera, o il dì seguente, né in domandare a Dio grazia e forze per farlo. Di qua procelle che, quante volte sei tu caduto oggi, tante altre cadi domani; perché nell’esame non hai fatto altro che pensare e ridurti a memoria quante volte sei caduto: e questo non è mezzo per emendarti; ma il primo punto dell’esame e il fondamento sopra del quale hanno da cadere gli altri due punti principali. Il mezzo efficace per emendarti è il dolerti e pentirti molto davvero delle tue colpe e il proporre fermamente l’emendazione, con chiedere al Signore grazia per farlo; e se non fai questo non ti emenderai. Stanno tanto affratellate fra di sé queste due cose, dolore del passato ed emendazione nell’avvenire, che al passo che cammina una, cammina anche l’altra: poiché è cosa certa che quando aborriamo una cosa davvero, usiamo diligenza per non incontrarci in essa.
2. Ogni giorno diciamo e predichiamo questo ai secolari: sarà cosa ragionevole che lo pigliamo anche noi per noi medesimi. Qual è la cagione, diciamo noi, che quelli del mondo così facilmente tornano a ricadere nei medesimi peccati dopo tante confessioni? Sapete qual è? Questa comunemente, che non li hanno odiati e aborriti davvero, né vengono alle confessioni con proponimenti fermi di non tornare mai più a peccare: e siccome il cuore loro non finisce mai di rivolgersi totalmente a Dio, ma solamente a mezza faccia, come suole dirsi; così facilmente ritornano a quello che non hanno mai lasciato affatto. Ché se davvero fosse loro dispiaciuto e avessero avuto in odio e in abominazione il peccato, e fatto avessero un fermo proponimento di non tornare mai più a peccare; non vi sarebbero tornati così facilmente subito usciti dalla confessione, come se non si fossero confessati. Ora per questo ancora voi altri incorrete la sera nei medesimi mancamenti ed errori, nei quali siete incorsi la mattina, e oggi nei medesimi di ieri, perché non avete avuto vero dolore di essi; non li avete odiati di cuore; non avete fatto fermo proposito di emendarvene, né vi siete trattenuti in questo. Ché se ciò aveste fatto, non sareste ritornati ad essi così facilmente, né così presto; perché non siamo soliti noi altri di fare tanto facilmente quelle cose che abbiamo aborrite e che ci ha recato dolore e dato pena l’averle fatte.
3. Il dolore e il pentimento dei peccati, quando è vero, non solo toglie via i peccati passati, ma è anche medicina preservativa per l’avvenire, come abbiamo detto di sopra: perché chi sta odiando il peccato, sta anche lontano dal ricadere in esso. Notisi questa ragione, poiché è degna di considerazione. Io mi metto alcune volte a considerare la sciocchezza e lo sproposito di quelli che ardiscono di peccare, con dire: mi pentirò poi, e Dio mi perdonerà. Come e in qual cervello può mai entrare che per soddisfare ora al tuo appetito e per ricevere un brevissimo gusto, che passa via in un momento, ti elegga e ti compri per tutta la vita un perpetuo dispiacimento e pentimento d’avere soddisfatto ad esso? Perché, sebbene è vero che Dio ti perdonerà poi questo peccato, pentendoti tu di esso; nondimeno, acciocché ti perdoni, bisogna pur alla fine che tu te ne penta e senta gran dolore d’averlo commesso. Ha gran forza questa ragione, anche parlando, come suole dirsi, dal tetto in giù, cioè benché non vi fosse di mezzo l’amor di Dio, che ha poi sempre da essere il motivo principale che ci ha da ritenere; ma solamente il nostro gusto e amor proprio. Non voglio fare quello che so che dopo mi ha da cagionare grande dispiacere e grande dolore d’averlo fatto: il gusto di farlo passa via in un momento, e il dispiacere e il dolore di averlo fatto ha da durare per tutta la vita; di maniera che giammai non ne posso più avere né gusto né compiacimento. Grande sciocchezza è eleggersi un sì grave e diuturno dispiacimento per un sì piccolo e momentaneo piacere.
Lo disse anche meglio l’Apostolo: «Che frutto cavaste voi da quelle cose, delle quali ora v’arrossite e vi vergognate?» (Rom. 6. 21)2. Che ha che fare quel gusterello, che vi siete preso, col disgusto e dispiacere che vi rimane ad avere di poi? Questo si ha da considerare innanzi tutto, prima di cadere; quando viene la tentazione, allora hai da far questo conto e dire: Non voglio far una cosa della quale mi ho poi da vergognare e a pentire per tutta la mia vita. Quando tu vuoi persuadere ad uno che non faccia una qualche cosa, gli dici: Guarda che poi ti pentirai d’averla fatta. E colui risponde: Non me ne pentirò; perché se pensasse che se ne avesse a pentire, egli stesso vedrebbe che sarebbe uno sproposito far quello che sapesse che dipoi gli avesse a dispiacere e a dar gran dolore.
4. Ho detto questo acciocché si veda quanto efficace mezzo sia, per non tornare a cadere nelle colpe, il dolore e vero pentimento di esse, e acciocché si conosca quanto importi trattenersi in questo quando si fanno gli esami. È vero che può uno avere dolore e proponimento vero di emendarsi, e con tutto ciò tornare dipoi a cadere, perché non siamo angeli, ma uomini deboli e di creta, la quale si può rompere e disfare e subito tornarsi a rifare. Ma siccome quando uno, finito che ha di confessarsi, ritorna subito ai medesimi peccati poco prima confessati, siamo soliti comunemente di dire che non ne dovette avere vero dolore, né fermo proponimento d’emendarsene; perché così presto è tornato a cadervi; così anche è grande indizio e argomento che a te non è dispiaciuto davvero, quando hai fatto l’esame al mezzo giorno, o la sera, l’avere rotto il silenzio, e che non hai avuto fermo proponimento d’emendartene, il vedere che subito la sera o il giorno seguente lo rompi nello stesso modo come se non avessi fatto esame. E lo stesso dico degli altri mancamenti, errori e difetti, sopra dei quali fai l’esame. Anche alla presenza dei tuoi fbtelli hai vergogna di dire una colpa, o di essere per essa ripreso e penitenziato, quando l’hai già detta tre o quattro volte; quanto maggiormente avresti vergogna di comparire recidivo avanti a Dio, se davvero avessi detestata la tua colpa avanti a lui, pentendotene di cuore, chiedendogliene perdono e proponendone l’emendazione, non tre o quattro volte, ma più di tre o quattro dozzine di volte. Non è dubbio che ci emenderemmo d’altra maniera e faremmo altro profitto, se ci pentissimo ed avessimo vero dolore e facessimo fermo proponimento di emendarci.