Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.
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TRATTATO V. DELL'ORAZIONE
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CAPO XX. Che ci dobbiamo contentare dell'orazione che abbiamo detto e non angosciarci né lamentarci perché non arriviamo ad altra più alta.
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1. L'umile non desidera favori straordinari nell'orare.
2. Senza di essi si può aver l'effetto d'una buona orazione.
3. Non ho consolazioni: lamento vano.
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1. Alberto Magno (ALB. MAGN. De adhaer. Deo) dice che il vero umile non ardisce, né il suo cuore s'innalza a desiderar l'alta e sublime orazione e quei favori straordinari che il Signore suole alcune volte comunicare ai suoi più diletti; perché ha egli sì bassa stima di se stesso, che si reputa indegno di ogni grazia e consolazione spirituale. E se qualche volta, senza che egli lo desideri; il Signore lo visita con alcuna consolazione, la riceve con del timore, parendogli di non meritare quei favori e quelle consolazioni, né sapersi approfittare di essi come dovrebbe. E così se fosse in noi umiltà, Ci contenteremmo bene di qualsivoglia di quelle sorta d'orazioni. che abbiamo detto; anzi terremmo per particolar grazia del Signore che ci conducesse per la via dell'umiltà; poiché per questa ci conserveremmo e per quell'altra forse ci pavoneggeremmo e andremmo in perdizione.
S. Bernardo (S. BERN. Serm, 5 in quadrag. n. 7) dice che Dio fa con noi come fanno di qua i padri coi loro figliuolini piccoli, che quando il figliuolino domanda del pane, glielo danno volentieri; ma se domanda il coltello per tagliarlo, non glielo vogliono dare, perché vedono che egli non ne ha bisogno, anzi che gli potrebbe far male, tagliandosi con esso. Il padre però piglia egli il coltello e taglia il pane acciocché il figliuolino non abbia quella briga, né corra pericolo alcuno. Così fa il Signore: ti dà il pane tagliato, e non ti vuol dare i gusti e le consolazioni che sono in quella altissima orazione; perché forse ti taglieresti e ne riceveresti nocumento, alzando la cresta e diventando perciò vano, tenendoti per spirituale e preferendoti ad altri. Maggior grazia ti fa Dio dandoti il pane tagliato, che se ti desse il coltello da tagliarlo. Se Dio con questa orazione ti dà gran fermezza e fortezza per morire più tosto che peccare, e ti conserva in tutta la tua vita senza che tu cada in peccato mortale; che miglior orazione e che miglior frutto vuoi?
2. Questa è la risposta che diede il padre del figliuol prodigo all'altro figliuolo maggiore, il quale vedendo che aveva ricevuto il suo fratello con tanta allegrezza e festa, si sdegnò e non voleva entrar in casa, dicendo: Sono tanti anni ch'io ti servo, e sto a quanto comandi, e ti sono stato sempre ubbidiente, e non mi hai dato mai pur un capretto per mangiarlo coi miei amici; e per costui, che ha dissipata la roba e ti è stato disubbidiente, hai fatto ammazzare un vitello grasso e preparato gli uno splendido banchetto con tanta musica e festa? Figliuolo, gli disse il padre, guarda che io non fo questo per voler più bene a lui che a te. Sempre tu stai in casa mia e meco (Luc. 15, 31): la ragion vuole ancora che tu conosca e stimi quel che fo teco: non ti fo io assai favore e grazia in tenerti sempre con me? Così passa la cosa nel caso nostro. Ti par poco che il Signore ti tenga sempre seco e in casa sua? Più è che ti dia il Signore il dono della perseveranza e che ti tenga sempre di maniera, che non ti separi mai da lui, né cada in peccato; che non che, dopo esser caduto, ti dia la mano per sollevarti, come il padre la diede al figliuol prodigo; siccome è più il tenerti in piedi, affinché non ti rompa la testa, che, dopo essertela rotta col cadere, guarirti.
Or se Dio con questa orazione che ti è conceduta ti dà questo, di che ti lamenti? Se con questa orazione ti dà una prontezza grande a tutte le cose del suo divino servizio, e una indifferenza e rassegnazione intiera per tutte le cose dell'ubbidienza, che vuoi di più? Se Dio con quest'orazione ti conserva in umiltà e nel suo santo timore, e ti fa esser circospetto; guardandoti dalle occasioni e dai pericoli, che accade sospirare per aver di più? Questo è il frutto che avresti cavato dall'orazione, quando ti fosse stata con ceduta molto alta ed elevata e quando il Signore ti avesse dati in essa molti gusti e consolazioni; a questo ti sarebbe convenuto indirizzarli. Questo dunque è quello che Dio fa in questa orazione semplice e ordinaria: dà il fine e il frutto dell'orazione senza quei mezzi straordinari di elevazioni e di gusti e di consolazioni; come lo provano quelli che perseverano in essa. Onde ne dobbiamo render a Dio duplicate grazie; perché dall'un canto ci toglie il pericolo di vanità e di superbia, nella quale potremmo incorrere se ci conducesse per quell'altra strada; e dall'altro canto ci dà il frutto e l'utile dell'orazione molto compiuto. Dice la sacra Scrittura del santo Patriarca Giuseppe (Gen. 42, 7 et 25) che parlò ai suoi fratelli con parole dure ed aspre; ma poi al tempo stesso empì loro i sacchi di grano e comandò al maggiordomo che facesse loro buon trattamento. Così fa il Signore molte volte con noi altri.
3. Non finiamo di comprendere in che consista l'orazione; ovvero, per dir meglio, non finiamo di comprendere in che consista il nostro profitto e la nostra perfezione, che è il fine e il frutto ai quali si ordina l'orazione. Onde molte volte, quando la cosa va male per noi, pensiamo che vada per noi bene; e quando va bene, pensiamo che vada male. Cava dall'orazione quel che abbiamo detto, e specialmente il portarti bene quel giorno e con edificazione, e avrai fatta buona orazione, ancorché sii stato in essa più secco che un legno e più duro che un sasso. E se non cavi questo, non hai fatta buona orazione, ancorché in tutto il tempo di essa sii stato spargendo lagrime, e ancorché ti paresse di esserti elevato sino al terzo cielo.
E così da qui innanzi non ti lamentare dell'orazione, ma ritorci tutte le querele contro te stesso, dicendo: La cosa va male per me quanto alla mortificazione, va male quanto all'umiltà, quanto alla pazienza, quanto al silenzio e quanto al ritiramento. Questo è buon lamento e buona querela; perché è lamentarti di te stesso, che non fai quello che devi e quello che è in poter tuo. E quell'altra cosa, d'andarti lamentando dell'orazione, pare che sia lamentarti di Dio, perché non ti dà in essa l'introduzione, la quiete e la consolazione che vorresti. E questo non è buon lamento né buona querela. Questa non è parola a proposito per muovere Dio a misericordia, ma bensì per provocarlo ad ira e a sdegno, come disse la santa Giuditta a quei di Betulia: «Questo discorso non è tale da attirarci la misericordia di Dio, ma piuttosto da eccitare la sua ira e accenderne il furore» (Iudith. 8, 12).
Ed è cosa da stupire quanto al rovescio procediamo in questo; perché non vedo che ci lamentiamo del non volerci umiliare, né mortificare, né emendare, che sono le cose che stanno in mano nostra; e ci andiamo invece lamentando di quello che non sta in poter nostro, ma è riservato a Dio. Tratta tu di mortificarti e di vincerti, e fa in questo quanto è dalla parte tua, e lascia a Dio quello che tocca a lui; che più desidera egli il nostro bene che non lo desideriamo noi medesimi. E se noi altri faremo quel che dobbiamo dal canto nostro, potremo star ben sicuro che non mancherà egli dal canto suo di darci quello che ci conviene. Ma di questo parleremo più diffusamente quando tratteremo della conformità alla volontà di Dio, ove soddisferemo più di proposito a questo lamento e a questa tentazione.