Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.
TRATTATO III. DELLA RETTITUDINE E PURITÀ D’INTENZIONE CHE DOBBIAMO AVERE NELLE OPERE NOSTRE
CAPO IV. Che la tentazione della vanagloria è propria non solo dei principianti, ma anche dei proficienti nella virtù.
1. Lo prova S. Cipriano.
2. Pericolo maggiore per i provetti.
3. Nei principianti la vanagloria è più detestabile.
1. S. Cipriano, trattando di quella tentazione colla quale il demonio assalì Cristo nostro Redentore la seconda volta, quando, portatolo sopra il pinnacolo del tempio, gli disse: «Se tu sei Figliuolo. di Dio, gettati giù» (Matth. 4, 6) esclama: «O maledetta e abominevole malizia del demonio! Pensava il maligno che quello che non aveva potuto vincere colla tentazione della gola, l’avrebbe vinto con quella della vanagloria» (S. CYPR. Lib. De cardin. oper. christ. 5: de ieiun. et tent. Chr.); e così lo istigava a mettersi a volare per l’aria, acciocché con questo prodigio tirasse a sé gli occhi e le ammirazioni di tutto il popolo. Si pensò il demonio che gli sarebbe succeduto con Cristo come gli era succeduto con altri. Aveva esperienza, e l’aveva già molte volte provato, dice S. Cipriano, che quelli che non aveva potuto vincere con altre tentazioni, li aveva poi vinti con questa di vanagloria e di superbia. E perciò dopo avere tentato Cristo di gola, lo tentò di vanagloria, come di cosa maggiore e più difficile a vincersi; perché non è cosa facile, dice il Santo, non gustar uno delle lodi. Siccome vi sono molto pochi che gustino di sentire dir male di sé; così vi sono molto pochi che non abbiano a caro che si senta e si dica bene di loro. Onde si vede che questa tentazione di vanagloria non è tentazione dei principianti e dei novizi solamente, ma dei molto provetti ancora e di quelli che professano perfezione; anzi di questi è più propria.
2. Il santo abate Nilo (S. NILUS, Narrat. 4 de caede monach.) il quale fu discepolo di San Giovanni Crisostomo, riferisce di quei Padri vecchi ed esperimentati, che educavano ed ammaestravano i novizi in un modo differente dai provetti; perché ai novizi insegnavano ed imponevano che si dessero assai alla temperanza e all’astinenza, dicendo che chi si lascia trasportare e vincere dal vizio della gola, facilmente si lascia vincere dal vizio della lussuria: perché colui il quale non sa resistere a quel che è meno, come resisterà a quel che è più? Ma ai provetti davano per avvertimento, che stessero molto preparati per difendersi e guardarsi dalla vanagloria e dalla superbia.
Come quelli che navigano per mare stanno avvertiti e si guardano dagli scogli e dalle secche vicine al porto; perché molte volte accade che quelli che hanno lungamente navigato con bonaccia, vengano a pericolare nel porto; così molti, i quali quasi per tutto il corso della vita loro avevano camminato bene, vincendo e superando le tentazioni che venivano loro; al fine, quando stavano già vicini al porto, fidati nelle loro passate vittorie e tenendosi oramai per sicuri, con insuperbirsi e trascurarsi, vennero a cadere miserabilmente. Il vascello, che non s’era aperto né aveva patito nocumento alcuno navigando tanto tempo per mare, venne a naufragare e a perire nel porto. Questo opera la vanagloria; e così la chiamano i Santi burrasca e tempesta in porto. Ed altri dicono che è come una nave bene calafatata e fornita di sarte e molto carica di mercanzie, che, facendosi poi in essa un buco ed entrando per quello l’acqua, viene ad affondarsi.
3. Di maniera che quei Padri antichi non istruivano i principianti e i novizi nel modo di difendersi dalla vanagloria, parendo loro che di ciò non ce ne fosse tanto di bisogno; perché quelli che allora vengono dal mondo, buttando ancora sangue e non avendo ancora finito di ben saldare le piaghe dei loro peccati, portano con se stessi bastante materia d’umiltà e di confusione. Con questi parlate pur di astinenza, di penitenza e di mortificazione. I provetti, i quali hanno già pianto molto bene i loro peccati, e ne hanno fatta molta penitenza, e si sono esercitati assai nelle virtù, sono quelli che hanno bisogno di questi ricordi e di questi avvertimenti. Ma i principianti, i quali sono vuoti di virtù e pieni di passioni e di male inclinazioni, e non hanno ancora finito di ben piangere i loro peccati e la dimenticanza di Dio in cui sono vissuti; questi non hanno fondamento né occasioni di vanagloria, ma di molto dolore e vergogna. Così almeno dovrebbe essere. E da questo stesso avrebbero da pigliar motivo di grande confusione quelli che pur avendo molte cose per le quali si debbono umiliare, per una sola che riluce e pare loro d’aver fatta bene, s’invaniscono e pavoneggiano. C’inganniamo all’ingrosso. Una sola cosa cattiva che fosse in noi dovrebbe bastare per tenerci confusi e umiliati; atteso che pel bene è necessario che non manchi cosa alcuna, e pel male basta che manchi una cosa sola. E noi altri facciamo tutto al rovescio; poiché non bastano tanti difetti e mali per umiliarci; e una sola cos’a buona, che ci pare che sia in noi, basta per insuperbirci e farci desiderare di essere reputati e stimati. Nel che ben si vede la malizia e sottigliezza di questo vizio della vanagloria; poiché non perdona ad alcuno e anche senza fondamento l’assalta. E così S. Bernardo (S. BERN. De ordin. vit. et mor. instit. c. 9, n. 22) dice di essa che «è il primo nemico che ci assale per farci cadere, e l’ultimo che ci resta da vincere». Perciò, fratelli miei, dice S. Agostino (S. AUG. Enarr. in Ps. 118, ser. 12, n. 2), armiamoci e prepariamoci tutti contro questo vizio, come faceva il Profeta David quando diceva: «Signore, rivolgi gli occhi miei perché non vedano la vanità» (Ps 118, 7).