Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.
TRATTATO PRIMO. Della stima, e desiderio, e affezione, che dobbiamo avere a quel, che concerne il nostro profitto spirituale, e d’alcune cose, che a quest’effetto ci aiuteranno
CAPO XVII. Della perseveranza che abbiamo da avere nella virtù e di quello che ci aiuterà per averla.
1. Dobbiamo perseverare nel bene.
2. Danno del contrario.
3. Persevera chi è ben fondato in virtù.
4. Come si farà?
1. S. Agostino sopra quelle parole dell’Apostolo: «Non è coronato se non chi ha combattuto secondo le norme» (II Tim. 2, 5) dice che combattere secondo le norme è combattere con perseveranza sino alla fine; e che questi è quegli che merita d’essere coronato. E porta quel detto, che è anche di S. Girolamo e comune dei Santi: «Il cominciare la carriera della virtù e della perfezione è di molti; ma il perseverare sino alla fine è di pochi» (S. HIER. Ep. ad Lucin. Hispal. 71, 2; Adv. Iovin. l. 1, 36; Ibid. v. 23, col. 259). Come vediamo in quel che avvenne ai figliuoli d’Israele, furono molti quelli che uscirono dall’Egitto (dicendo la sacra Scrittura che furono seicentomila, senza le donne e i fanciulli), ma di tutti essi due solamente furono quelli che entrarono nella terra di promissione. «Non è dunque gran cosa incominciar nel bene, né sta qui il punto né la difficoltà; ma nel perseverare e finir in esso (S. AUG. Serm. ad fratr. in erem.). Sant’Efrem dice che, come la fatica di chi edifica non sta nel gettare le fondamenta, ma nel finir la fabbrica; e che quanto più questa si alza, tanto maggiore è la fatica e la spesa; così ancora nella fabbrica spirituale non sta la difficoltà nel gettare le fondamenta e nel cominciare, ma nel finire: e poco ci gioverà l’aver ben cominciato, se non finiamo bene (S. EPHR. Adhort. ad pietatem. Opera, Romae. 1732-46, v. 2, p. 74). «Non si cercano nei cristiani i principii, ma il fine». Così S. Gerolamo, il quale soggiunge: «Paolo cominciò male, ma finì bene: di Giuda invece si loda il principio, ma la fine, in causa del tradimento, è condannata» (S. HIERON. ad Fur. vid. ep. 54, n. 6). Cominciò bene, ma finì male. Che gli giovò l’essere stato discepolo ed apostolo di Cristo? che gli giovò l’aver fatto miracoli? E così che gioverà a te l’aver cominciato bene, se finisci male? Non a quelli che cominciano, ma a quelli che perseverano si promette premio e corona. «Chi persevererà sino alla fine, questi sarà salvo» (Matth. 14. 13). Nel fine della scala vide Giacobbe che stava il Signore, non al principio, né al mezzo; per farci intendere, come abbiamo sentito da S. Girolamo, che non basta il ben cominciare e il ben proseguire, se non perseveriamo e finiamo bene. «Che giova seguir Cristo, esclama S. Bernardo, se non ci viene fatto di raggiungerlo? È,per questo che S. Paolo diceva: correte in modo da raggiungere. Colà, o cristiano, fissa la meta del tuo correre e del tuo profittare, dove Cristo pose la sua. Si fece, è detto, obbediente fino alla morte. Per quanto adunque tu abbia corso, se non arrivi fino alla morte non conseguirai il pallio» (S. BERN. ep. 254 ad Abb. Guar. n. 4).
2. Cristo nostro Redentore ci avverte di questo molto particolarmente con quelle parole registrate nel sacro Vangelo: «Nessuno che; dopo aver messo mano all’aratro, volga indietro lo sguardo, è buono per il regno di Dio» (Luc. 9, 62). E soggiunge: «Ricordatevi della moglie di Lot» (Luc. 17, 32). Che cosa fece la moglie di Lot? Avevala Dio cavata e liberata da Sodoma, e mentre camminava si volse indietro a guardare, contro il precetto degli angeli, e nello stesso luogo, nel quale si volse a guardare, diventò statua di sale (Gen. 19, 26). Che vuol dir questo? Sai che? dice S. Agostino: il sale condisce e conserva le cose; e perciò Cristo dice, che ci ricordiamo della moglie di Lot, acciocché considerando quel che avvenne ad essa, ci conserviamo con quel sale, e ammaestrati dal suo esempio, perseveriamo nella buona strada, che abbiamo cominciata, e non guardiamo né ritorniamo indietro, acciocché non ci convertiamo ancor noi in statue di sale, col quale altri prendano motivo di conservarsi e di perseverare al vedere la nostra caduta (S. AUG. Enarr. in Ps. 75, n. 16). Quanti vediamo oggidì, i quali non servono a noi altri se non di statue di sale, col quale ci possiamo conservare? Impariamo dunque a spese altrui e non facciamo cosa per la quale altri abbiano ad imparare a spese nostre.
Aggiunge S. Girolamo che il cominciar bene e il finir male è far cosa mostruosa, perché quelle opere ed azioni che cominciano dal bene e dalla ragione e finiscono nel male e nella sensualità sono mostri. «Questo, dice, è come se ad un capo d’uomo attaccasse un pittore un collo di cavallo» (S. HIERON. in Matth. 24), il che sarebbe formare un mostro. E questo è quello che rinfaccia l’Apostolo S. Paolo a quei di Galazia, ch’erano ritornati addietro: «Siete tanto stolti, che avendo cominciato collo spirito, finite ora colla carne?» E già aveva loro detto: «O Galati insensati, chi vi ha affascinati talmente che non ubbidiate più alla verità?» (Gal. 3, 3 et 1).
3. Per poter noi perseverare e conseguir dal Signore questa grazia, bisogna che procuriamo di fondarci molto bene nella virtù e nella mortificazione; poiché tutto dì accade che, per non essere uno in ciò ben fondato, viene a mancare e a cadere. I pomi verminosi sono quelli che cadono presto e non arrivano a stagionarsi; ma i buoni e sinceri durano sull’albero sin che arrivano alla loro maturità. Nello stesso modo, se non vi è virtù soda, se il tuo cuore è vano, se dentro di esso vi è qualche vermicciuolo di presunzione e superbia, o d’impazienza, o di qualche altro disordinato affetto, questo ti andrà rodendo e consumando il sugo e indebolendo la sostanza e sodezza della virtù, e ti metterà in pericolo la perseveranza. «Poiché è cosa ottima confortare il cuore mediante la grazia», cioè con vere e sode virtù, dice l’Apostolo S. Paolo (Hebr. 13, 9).
4. Il B. Alberto Magno (B. ALB. MAG. Parad. an. seu de virt. c. 13) dichiara bene in che modo abbiamo da fondarci nelle virtù per poter durare e perseverar in esse. Dice che il vero servo di Dio ha da essere tanto fondato nelle virtù e le ha da tenere tanto radicate dentro del suo cuore, che sempre stia in mano sua l’esercitarle, e non dipenda da quel che gli altri possono fare o dire. Vi sono alcuni i quali, mentre non si porgono loro occasioni in contrario, ma tutte le cose succedono loro a genio, pare che siano umili e che abbiano gran pace; ma subito che si porge loro alcuna occasione, per leggiera che sia, di qualche avversità o contraddizione, perdono tosto la pace e si mostrano tali quali sono. Allora, dice il Beato, non sta la virtù della pace né dell’umiltà in essi, ma piuttosto negli altri. Codesta è virtù degli altri, e non vostra; poiché essi ve la tolgono, ed essi ve ne fanno cortesia quando vogliono. Questo è esser buono per virtù altrui, e non per virtù propria: come sogliono dire gli uomini nel mondo, quando si sentono lodati da altri: Bontà sua! e dicono il vero. Tu non hai da esser buono per virtù altrui, ma per virtù propria, che sia in te e non dipenda da altri. Sono molto bene assomigliati i suddetti a certi stagni d’acque morte, che mentre si lasciano stare, non rendono mal odore; ma se si muovono, non v’è chi possa tollerarne la puzza: così costoro, mentre non sono tocchi, ma si lasciano col gusto del loro palato, paiono acqua chiara: toccali poi un poco, e sentirai che odore mandano fuori!