Esercizio di perfezione e di cristiane virtù
composto dal padre Alfonso Rodriguez S.J.
TRATTATO PRIMO. Della stima, e desiderio, e affezione, che dobbiamo avere a quel, che concerne il nostro profitto spirituale, e d’alcune cose, che a quest’effetto ci aiuteranno
CAPO XI. Che non abbiamo da pigliare il negozio del nostro profitto in generale, ma in particolare: e quanto importi l’andar mettendo in esecuzione i buoni proponimenti e desideri che il Signore ci dà.
1. Discendere al particolare.
2. Mettere in pratica i buoni propositi.
3. E mezzo per ricevere nuove grazie.
4. Nessun giorno senza linea.
1. Assai ancora ci aiuterà a far profitto un mezzo, che sogliono suggerire comunemente i maestri della vita spirituale; cioè che non pigliamo questo negozio del nostro profitto in generale e in comune, ma in particolare e a parte per parte. Cassiano dice (CASS. Coll. 1, c. 2-4; M. P L. v. 49, col. 483 segg.) che l’abate Mosè, in una conferenza spirituale, domandò ai suoi monaci, che cosa intendevano con tante fatiche, con tante astinenze e vigilie, con tanta orazione e mortificazione; qual era il fine loro; e che essi risposero: il regno dei cieli. Soggiunse egli: questo è l’ultimo fine: però io non domando di questo, ma del fine immediato e particolare, nel quale avete da metter gli occhi per venir a conseguire quest’ultimo fine. Perché, come il contadino, ancorché il suo fine sia raccogliere assai grano e aver abbondantemente da vivere, impiega nondimeno tutta la sua diligenza e sollecitudine in lavorare e coltivare il terreno, e in tenerne levate l’erbe cattive, perché questo è mezzo necessario per arrivare a quel fine; e come il mercante, ancorché il suo fine sia farsi ricco, nondimeno mette ogni sua cura in considerare quali negozi e qual modo di negoziare gli sarà più a proposito per arrivare al suo fine, e su questo applica tutte le sue industrie e diligenze; così ha da fare il religioso. Non basta che dica in generale: io intendo di salvarmi; voglio essere buon religioso; desidero di essere perfetto; ma è necessario che ponga gli occhi in particolare nella passione che più lo predomina, e nella virtù che più gli manca, e che quella procuri mortificare e questa acquistare. perché in questa maniera, camminando passo passo e procedendo con diligenza e sollecitudine, ora circa una cosa ed ora circa un’altra, verrà meglio a conseguire quello che desidera. Questo è il mezzo che un certo altro padre dell’eremo diè a quel monaco, il quale, dopo essere stato molto diligente e infervorato, allentò negli esercizi spirituali e si ridusse a grande tiepidezza. E desiderando egli di ritornare al suo pristino stato, ma trovando serrata la strada e parendo gli cosa molto difficile, non sapeva da che banda incominciare. E quel padre lo consolò e gli fece buon animo con quella parabola, o esempio, di colui che mandò il suo figliuolo a nettare la possessione, che era piena di spine e di sterpi; ma il figliuolo, vedendo che vi era troppo che fare, si perdé d’animo e si pose a dormire, senza far cosa alcuna né un giorno né l’altro. Onde il padre gli disse: figliuolo, tu non hai da mirare né da apprendere tutto insieme ciò che vi è da faticare, ma ogni giorno far qualche cosa, quanto basta a tenere occupate le braccia di un uomo. Così fece egli, e in questo modo tra poco tempo restò netta tutta la possessione.
2. E qui è da notarsi che una delle principali cagioni perché avanziamo poco, e non ci fa il Signore maggiori grazie, si è perché non mettiamo in esecuzione i buoni proponimenti e desideri; che egli ci ispira: e così, perché non gli usiamo buona corrispondenza per quello che ci ha dato, non ci dà altre cose maggiori. Come il maestro di scuola non vuole far passare innanzi il giovinetto scolaro ad altra lezione, né a materia più alta, quando vede che non ha bene appresa quella che gli ha spiegata; così suole il Signore portarsi con noi altri nel condurci alla perfezione; che tanto più tarda egli a darci cose maggiori, quanto più tardiamo noi in operare con quel che ci ha dato: e quanto più uno si anima allo stabilire e mettere in esecuzione i desideri, che il Signore gli comunica nell’orazione, tanto più lo muove ad ispirargli cose più alte. Dice molto bene il padre maestro B. Giovanni D’Avila (B. Io, DE Av. Epp. l. 1, p. 241): Chi usa e si serve bene di quel che conosce, acquisterà lume per quello che non conosce; e chi fa all’opposto, non può aver lingua per dimandarlo, poiché gli può il Signore rispondere: a qual fine vuoi tu sapere la volontà mia e quello di che mi compiaccio, se non l’eseguisci in quello che tu sai? Se tu non metti in esecuzione i desideri che Dio t’ispira, come vuoi che t’ispiri altre cose maggiori? Con che animo puoi domandar a Dio nell’orazione che ti conceda questa o quell’altra cosa che desideri e ti fa di bisogno, se non ti vuoi emendare né mortificare in un difetto, nel quale hai grande necessità di emendarti, e Dio te né ha dati molti desideri e ispirazioni? Non so come possa aprir bocca per domandar a Dio altre cose maggiori colui che non si vuol emendare né anche in un difetto esteriore, che ha; ma apposta si lascia cader in esso una e più volte. Se dunque vogliamo far profitto, e che il Signore ci faccia molte grazie, siamo diligenti nell’andar mettendo in esecuzione le ispirazioni e i desideri che lo stesso Signore ci comunica.
3. È dottrina comune dei Santi, che chi usa bene dei benefici da Dio ricevuti si fa degno d’altri nuovi; e per contrario chi usa male di éssi, non merita riceverne altri. Qual è la cagione che la manna si disfaceva al primo raggio del sole, che la scaldava, e non serviva più a niente; e se la mettevano al fuoco non si liquefaceva, né questo le faceva nocumento alcuno, con tutto che sia più gagliardo il calore del fuoco che quello del sole? Ci risponde lo stesso Savio: «Affinché sapessero tutti come deve prevenirsi il sole per la tua benedizione, o Signore» (Sap. 16, 28). Acciocché tutti sappiamo che ci conviene essere diligenti nell’approfittarci delle grazie che il Signore ci fa e dei benefici che dalle sue mani riceviamo; affinché non ci avvenga, per castigo, come agli ingrati e pigri degli Ebrei, che non volendo levarsi a buon’ora, prima dello spuntare del sole, per valersi del beneficio che il Signore loro aveva fatto, perciò permettevano che il sole togliesse loro il mangiare.
Questo ancora è quello che mirabilmente ci dichiara Cristo nostro Redentore nella parabola registrata nel sacro Vangelo (Luc. 19, 13 segg.) di quell’uomo nobile, il quale avendo distribuita la roba sua ai suoi servitori acciocché negoziassero con essa; quando, ritornato dall’aver preso possesso del suo regno, si fece da essi rendere conto del loro traffico, andò proporzionalmente facendoli governatori, o prefetti d’altrettante città quanti erano i talenti che ciascuno aveva guadagnati: a chi aveva guadagnati dieci talenti, diede il governo di dieci città; a chi cinque, di cinque. Dimostrandoci con ciò che, come quel re rimunerò l’industria è la fedeltà dei suoi servitori con eccesso tanto grande, quanto vi è da dieci talenti a dieci città; così anche, se noi altri metteremo in esecuzione le ispirazioni di Dio e saremo leali e fedeli in questa corrispondenza, sarà ancora molto grande l’eccesso con cui accrescerà il Signore i divini suoi doni. E per contrario, se non corrisponderemo come dobbiamo, non solo ci sarà tolto quello che ci è stato dato, ma saremo anche castigati come quel servo, il quale non avvantaggiò né guadagnò cosa alcuna col talento che aveva ricevuto.
4. Si narra di Apelle, quel famosissimo pittore, che mai, ancor che avesse moltissime occupazioni, non lasciò passar giorno in cui non esercitasse l’arte sua e non dipingesse qualche cosa; e per giustificazione del rubar che faceva per questo il tempo agli altri negozi, che gli occorrevano, soleva dire: «Oggi non ho tirata ancora nessuna linea» (PLINIUS, Hist. nat. l. 35; c. 10). E d’allora in poi restò questo detto per proverbio in qualsivoglia mestiere ed ufficio, quando si passa il giorno senza esercitarlo e senza fare qualche cosa in esso. In tal maniera riuscì Apelle un sì perfetto ed esimio pittore. Se dunque vuoi riuscire perfetto ed ottimo religioso, non lasciar passar giorno alcuno, nel quale tu non dia una qualche pennellata, o non tiri qualche linea nella virtù. Va ogni giorno vincendoti e mortificandoti in qualche cosa; va ogni giorno levando qualche difetto dalle tue operazioni; perché in questo modo esse si andranno facendo giornalmente migliori e più perfette. E quando arriverai all’esame del mezzo giorno, guarda se hai lasciata passar la metà di quella giornata senza aver tirata qualche linea, o fatto almeno qualche punto in genere di virtù; e di’: «Oggi non ho tirato ancora nessuna linea». Oh! che oggi non ho dato neppure un passo nella virtù, né mi sono mortificato in cosa alcuna, nemmeno ho fatto un atto d’umiltà, essendomesene presentate tante occasioni. Ho lasciato passar invano questo giorno: non voglio che mi avvenga così questa sera; non voglio che tal cosa m’accada domani. In questa maniera a poco a poco verremo a fare molto profitto.