J. V.
BAINVEL
LA DEVOZIONE AL S. CUORE DI GESÙ
LA SUA DOTTRINA E LA SUA STORIA
PARTE SECONDA
SPIEGAZIONI DOTTRINALI
(continuazione)
CAPITOLO
SECONDO
I FONDAMENTI DELLA DEVOZIONE
1. –
FONDAMENTI STORICI
È un fatto che la
devozione al sacro Cuore, tale come è stata accettata dalla Chiesa, ha ricevuto
l’impulso da santa Margherita Maria e dalle sue rivelazioni. Vedremo che ai suoi
tempi la devozione era già come nell’aria, che se ne aveva come un’intuizione,
ma è pur sempre vero che l’impressione dei devoti è che santa Margherita
Maria è stata lo strumento provvidenziale scelto per sviluppare la devozione,
propagare il culto e ottenere la festa. La Chiesa, è vero, non si è
appoggiata, per parlar propriamente, sulla verità delle visioni, per approvare
il culto ed istituire la festa. Sono cose che si dimostrano da se stesse, ma è
sempre vero che la dipendenza storica ne è reale.
Se dunque le rivelazioni fatte a Margherita Maria fossero state false, la festa,
senza mancare d’appoggio, mancherebbe, però, di fondamento storico e si potrebbe
dire che, in fondo, l’avremmo avuta per i sogni di una visionaria. La Chiesa la intende
casi, tanto è vero che, in simili casi, si circonda di tutte le garanzie umane
per assicurarsi della verità dei fatti. Le visioni della santa hanno queste
garanzie; qualunque ne sia il nome e la natura; che Gesù si sia servito di
uno strumento di temperamento malaticcio o perfettamente sano poco importa; i fatti
sono provati sufficientemente, come è provato sufficientemente il loro carattere
soprannaturale, tanto da appoggiare la certezza umana per modo da potere agire e
stabilire seguendo questa certezza.
Fatti casi ben constatati bastano nelle condizioni ordinarie; la Chiesa non ha creduto
sin qui che il loro carattere soprannaturale sia ragione sufficiente per non agire
in questo caso, come si agisce umanamente in caso simile, e va innanzi. Essa, la
Chiesa, non v’impegna la sua infallibilità; ma v’impegna la sua fama di serietà,
di prudenza e di discrezione. Le rivelazioni della santa, esaminate come dovevano
esserlo da giudici competenti, sopportano la luce dell’indagine della verità;
e se vi è negli storici qualche traccia di leggerezza, d’ignoranza e di pregiudizio,
non è già nei giudici ecclesiastici che hanno ammesse le visioni e
le loro realtà solo dopo maturo esame, ma invece in coloro che si rifiutano
di ammetterli dopo un esame fatto in tali condizioni da non poter dare fondamento
ad una seria decisione. Si leggano gli scritti della santa, la sua vita, i suoi processi
di beatificazione e di santificazione, e si vedrà se le garanzie di serietà
e di scienza sono con quelli che accettano o con quelli che negano.
II.
– FONDAMENTI DOGMATICI
Il fondamento ben stabilito
della devozione è rischiarato dalla teologia e risulta di già da quello
che è stato detto. Il cuore di Gesù è degno d’adorazione, come
tutto quello che appartiene alla persona di Gesù; ma non già considerato
come separato dalla sua persona quasi non avendo nessun rapporto con essa. Non è
così che viene da noi considerato. Alle accuse dei Giansenisti si era sempre
risposto che si riguardava il sacro Cuore come unito alla persona del Verbo; Pio
VI l’ha spiegato autenticamente nella bolla Auctorem fidei. Così
cadono tutte le accuse di nestorianismo, di idolatria, ecc.
Ma la devozione al sacro Cuore non è solo il culto del Cuore di Gesù;
è il culto dell’amore. E certo, per questo riguardo, sarebbe una invenzione
del genio, se non fosse l’azione dello Spirito Santo, sempre vivente e operante nella
Chiesa. Che ammirabile idea è quella di far scaturire così l’amore
di Gesù, da ogni atto della sua vita, da ogni sua parola, da tutta la sua
persona adorabile! Come ben conviene, questa devozione, all’idea di Dio, che è
amore e bontà, con l’idea di Gesù, apparizione vivente della benignità
di Dio e del suo amore paterno, con l’idea stessa del Cristianesimo che si presenta,
nel suo fondo, come una grande effusione dell’amor divino per noi! Avremo occasione
di ritornare su questi pensieri; ma come non notare qui, per coloro, che ricercano
l’essenza del Cristianesimo, che questa essenza non è altro che l’amore di
Dio per l’uomo, amore manifestato in Gesù? Ora la devozione al sacro Cuore
va appunto a cercare questo amore in Gesù stesso, per accenderne il nostro
amore.
Nulla vi ha di più efficace per aiutarci a realizzare il voto che san Paolo
formava per i fedeli. «Io, dic’egli, piego i ginocchi dinanzi al Padre da cui
ritrae il nome ogni paternità, in cielo e in terra, affinché ci conceda,
secondo le ricchezze della sua gloria, di esser investiti dalla fortezza del suo
spirito, in vista dell’uomo interiore; e che il Cristo abiti per la fede, nei vostri
cuori, in maniera che, radicati e fondati nella carità, possiate comprendere
con tutti i santi tutto quel che ha di larghezza, d’altezza, di profondità;
conoscere l’amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza, affinché siate ripieni
della pienezza di Dio» (Eph., III, 14-20). Da questo lato, dunque, la devozione
al sacro Cuore merita tutti gli entusiasmi e tutti gli elogi e Dio sa se essa ha
avuto il pregio di svegliare gli entusiasmi e di attirare gli elogi.
Ma la devozione al sacro Cuore, non è solo il culto del cuor di Gesù,
né il solo culto dell’amore che ci ha amato sino a non vivere che per noi,
sino a morire per noi, sino a darsi a noi nell’Eucaristia. Ma è il culto dell’amore
nel culto del cuore; è il culto del cuore per onorare l’amore. In questa relazione
stabilita tra il cuore e l’amore sta la difficoltà principale sollevata contro
la devozione. Questa relazione non è forse un errore dei vecchi tempi? Tutto
ciò ci conduce alla terza questione.
III.
– FONDAMENTI FILOSOFICI
Non si può negare
che fra i teologi del sacro Cuore non vi è stato sempre accordo su questo
punto e che non hanno saputo trarsi tutti, con onore, dalle difficoltà sollevate
su questo punto contro la cara devozione. Qualcuno ha anche dato delle cattive spiegazioni
alle quali bisogna francamente rinunziare. Ma altri, mi sembra, rinunziano un po’
troppo facilmente a dare spiegazioni, oppure sostituiscono alle vecchie spiegazioni
delle spiegazioni nuove che mettono, forse, in cattiva luce la devozione tradizionale.
Queste difficoltà non san nate oggi e non hanno aspettato il magnifico progredire
della fisiologia moderna per venir fuori.
Nel 1726 il P. Galliffet, «postulò» perché la festa fosse
istituita, e rimise ai cardinali e ai consultori della Sacra Congregazione dei Riti,
prima il suo bel libro: De culto sacrosancti cordis Dei ac Domini nostri lesu
Christi, e poi l’opera: Excerpta dello stesso libro, ad pleniorem cognitionem
causae necessaria. Si trovò il suo lavoro, ci dice Benedetto XIV, in ogni
parte eccellente, omnibus numeris absolutae. Il promotore della fede, che
era Prospero Lambertini stesso, il futuro Papa Benedetto XIV, quantunque personalmente
favorevole alla causa, fece coscienziosamente le sue obbiezioni, dice il P. Galliffet,
di «avvocato del diavolo».
Una di queste obbiezioni, non fu proposta che a viva voce, e sembra che fosse quella
che più commosse la Sacra Congregazione: «Aggiunsi di viva voce, scrisse
il Papa, che i postulatori presentavano come verità acquisita che il cuore
è, come si dice, il comprincipio sensibile di tutte le virtù
e affezioni e come il centro di tutte le gioie e pene intime; ma s’incontrava in
ciò un problema filosofico, poiché i filosofi moderni mettono l’amore,
l’odio e gli altri affetti dell’anima (animi), non già nel cuore come
nella loro sede propria, ma bensì nel cervello». E rimanda a consultare
il Muratori. «E perciò, continua il Papa, siccome la Chiesa non ha ancor
dato nessuna decisione, sulla verità di questa o quell’altra opinione, e siccome
la Chiesa si è sempre prudentemente astenuta e si astiene ancora dal pronunziarsi
su queste questioni, insinuai rispettosamente che non bisognava acconsentire a una
domanda fondata soprattutto sulle opinioni degli antichi filosofi, in contraddizione
con i moderni. In conseguenza (his cohaerenter) la risposta fu aggiornata,
ciò che, infine, equivaleva a risparmiare un rifiuto (1727). Ma, avendo i
postulatori insistito nel loro punto di vista, il rifiuto non tardò a venire
(1729). Sant’Alfonso de’ Liguori vede in questo, egli pure, la principale causa della
sconfitta.
Si constata, infatti, che il P. Galliffet faceva molto largamente parte al cuore
nella produzione stessa degli affetti. In seguito acquistò una maggior prudenza.
Si distinsero i fatti tenuti per certi dalle spiegazioni incerte. Però, anche
nell’esposizione di questi fatti dati per certi, si venivano a mescolare, senza pur
rendersene conto, delle asserzioni erronee; ma era ormai solidamente basato il principio
che la Chiesa poteva pronunziarsi sulla devozione senza farlo sulle opinioni contestate.
Ed è questo che Essa ha fatto.
Era ben difficile, non pertanto, che nei considerando che la Chiesa unisce ai grandi
atti della sua autorità, non venisse qualcosa a tradire il flusso e riflusso
dell’opinione scientifica in questa materia. Se ne può, infatti, atterrare
qualche traccia leggera in una parola, nella preferenza data a una espressione. In
generale, essa ha evitato le espressioni contrastate, come conprincipium,
come pure, io credo, organum; l’abbiamo veduta sostituire, in un caso, la
parola symbolum alle parole fons e origo, che le si erano proposte;
ha usato la parola sedes, per esprimere un fatto d’esperienza, il contraccolpo
dei nostri affetti nel cuore.
Grazie a questa prudenza, le nuove opinioni dei fisiologi si sono sostituite, a poco
a poco, alle antiche opinioni, senza che la devozione al sacro Cuore se ne sia trovata
punto compromessa. Si sono lasciati gli scienziati ricorrere, per la spiegazione
della sensibilità, non più al cuore, ma al cervello e al sistema nervoso,
l’uno facente funzione di ricevere e di trasmettere, l’altro servendo di filo di
trasmissione; e si è continuato a parlare, come altra volta, del cuore che
soffre e che ama, che si commuove palpitando più forte, che si agghiaccia
restringendosi, perché il linguaggio abituale non pretende dare spiegazioni
scientifiche, ma esprimere, in modo da esser compreso, un fatto d’esperienza.
Così la scienza e la devozione andavano ciascuna per la sua via senza quasi
conoscersi; e, se qualche volta s’incontravano, non si urtavano però quasi
mai. Qualche medico materialista lanciava bensì, di tratto in tratto, qualche
ingiuria grossolana contro la devozione, ma si era così abituati all’ingiuria
e all’ignoranza da quella parte che non ci si faceva attenzione.
Qualche volta, ancora, qualche teologo cercava di spiegare il culto del sacro Cuore
secondo qualche nuovo dato della scienza. Così il P, Jungmann, professore
all’Università di Innsbruck, nei suoi Fünf Sätze. Così
suo fratello, Cabate Bernardo Jungmann, professore all’Università di Louvain,
nelle sue tesi sul sacro Cuore. Questi ritocchi alle vecchie spiegazioni, pertanto,
erano fatte con mano leggera e discreta, e l’insieme dei teologi ne profitta per
evitare qualche, errore d’espressione, per delineare con maggior precisione il senso
e l’importanza del culto. Nel febbraio 1870 il P. Bigault esponeva negli «Études»
le idee del P. Jungmann, e nessuno vi trovò da ridire.
L’urto, nondimeno, avvenne fra la scienza e la pietà. La condizione d’un accordo
durevole si è che ciascuno impari a conoscere i limiti del suo dominio e vi
si fortifichi, per lasciare il vicino spaziare nel suo a suo piacere. Sino dal 1874
il P. Ramière, negli «Études», si preoccupava di certe
opinioni di Claudio Bernard sulla fisiologia del cuore. Fu peggio assai quando Riche,
prete di san Sulpizio, pubblicò Les Merveilles du coeur (Paris, 1877),
e Le coeur de l’homme et le sacré Coeur de Jesus. (Paris, 1878). Riche
faceva sue le nuove spiegazioni del fisiologi e demoliva così quelle che erano
pur state accettate, in molti libri, sul sacro Cuore. È possibile, d’altronde,
che le sue spiegazioni fossero insufficienti e che non lasciasse più al cuore
la parte che gli spetta. Il P. Ramière credé compromessa la sua cara
devozione ed entrò in lotta contro Riche. La polemica ebbe, come accade sempre,
degli scatti riprovevoli; le anime devote ne furono turbate, e Pio IX intervenne
«perché si cessasse ogni polemica sul sacro Cuore, giudicando il momento
inopportuno per fare, fra i cattolici, delle discussioni su questo soggetto».
In ogni modo la polemica però, come sempre, non mancò di portare buoni
risultati. Nessuno, io penso, scriverà più «che il Cuore di Gesù
è l’organo principale degli affetti sensibili del Verbo incarnato; che è
il principio delle sue virtù, il focolare e la sorgente della sua carità»,
che «la funzione eterna del cuore è da ricevere le impressioni di questo
amore e di produrne gli atti»; che «nello stesso modo che l’anima pensa
e giudica per mezzo del cervello, è pur essa che sente, che ama, che si commuove
per il cuore, come è essa stessa che vede per gli occhi». Nessuno, soprattutto,
potrà pretendere che la devozione al sacro Cuore sia essenzialmente interessata
a questa questione, né che «la divergenza delle opinioni, su questo
punto, non abbia servito che a ritardare sino al giorno d’oggi il trionfo di santa
Margherita Maria e l’inaugurarsi del regno sociale del sacro Cuore di Gesù»,
e neppure sostenere che questa opinione sia «vendicare la tradizione, la Chiesa
e i suoi dottori, Gesù Cristo medesimo e la Santa, Pio IX e i teologi che
hanno insegnato questa verità».
A questa affermazione poco illuminata basta opporre i testi. È come simbolo
d’amore, non come organo d’amore, che la devozione è stata approvata e ha
progredito. Il cardinale Gerdil, che già combatteva le spiegazioni del P.
Feller, sul senso puramente metaforico da darsi alla parola cuore nella devozione,
approvava volentieri questa frase di Mons. Albergotti: «L’unica ragione, per
la quale la sacra Congregazione ha creduto dovere accordare l’ufficio e la Messa
propria del sacro Cuore, si è che esso è il simbolo dell’amore di Gesù
Cristo». Quegli stessi che san più attaccati alle vecchie opinioni ne
convengono; così il P. Emanuele Marquez, nella sua Defensio cultus SS.
Cordis, scrive: «La festa del sacro Cuore ce lo presenta come un simbolo
d’amore: essa non è un’altra cosa che una festa in cui la carità di
Cristo è onorata sotto il simbolo del suo cuore. Ora una siffatta festa non
suppone nulla di falso o d’incerto. Infatti che cosa ci abbisogna per provarlo? Una
cosa sola, e cioè che questo cuore simbolizza realmente la carità di
Gesù». E rispondendo direttamente all’obbiezione che il cuore potrebbe
non essere l’organo dell’amore sensibile scrive: «La risposta è facile.
Né la festa, né la devozione del Cuore di Gesù riposano sull’opinione
che assegna al cuore la parte di organo nella produzione dei nostri sentimenti. E
infatti e la festa e il culto suppongono come unica condizione il simbolismo del
cuore di Gesù. E ciò non è punto contrastabile qualunque opinione
si voglia abbracciare sulla missione del cuore. Che questi sia o no l’organo dell’amore,
ne è pure sempre il simbolo naturale grazie alla stretta affinità che
vi si collega».
E non si parli qui di una ritirata d’avanti alla scienza. La Chiesa ha tenuto conto
così bene sin dal principio delle ipotesi della scienza (non erano che delle
ipotesi, e anche poco esatte, al tempo di Galliffet e di Lambertini), che non ha
voluto pronunciarsi in favore del culto che quando si è ben persuasa che poteva
farlo senza farsi ligia a opinioni variabili e incerte. Che i primi teologi della
devozione (e parecchi fra loro, come il P. Croiset, sono stati molto riservati su
questo punto) abbiano riferito troppo al cuore, sia; ma lo hanno fatto più
nello sviluppare l’eccellenza della devozione, che nella spiegazione del suo oggetto.
Rimane fermo che la devozione al sacro Cuore è sufficientemente ben fondata,
se il cuore è veramente l’emblema dell’amore. E chi può negare che
lo sia, almeno nel nostro mondo e nella nostra civilizzazione?
Temo, nondimeno, che qualcuno possa essere indotto da questa idea dell’emblema o
a sacrificare ogni relazione reale del cuore di carne all’amore, relazione che è
il fondamento del simbolismo, o a non dare più alla devozione tutta la sua
ampiezza e la sua importanza, restringendo troppo il campo del simbolismo e il valore
rappresentativo del cuore. Non dimentichiamo mai che la devozione al sacro Cuore
non sarebbe più quello che è, se perdesse il suo contatto col cuore
reale, e se il cuore di Gesù non fosse più concepito come in reale
rapporto con la vita affettiva e per tal modo con tutto l’essere intimo di Gesù.
Ecco dunque; se non m’inganno, come a poco a poco si possono orientare i rapporti
della devozione al sacro Cuore con la scienza del cuore.
Il cuore di Gesù è un cuore umano perfetto; il cuore è in lui
quello che è normalmente in noi.
Ora noi sentiamo il nostro cuore immedesimato nel nostro stato affettivo e
persino nelle nostre disposizioni morali; noi sentiamo il nostro stato affettivo,
e anche le nostre disposizioni morali in stretto rapporto con certi stati e certi
movimenti del nostro cuore. Non è solo per metafora che diciamo: Il cuore
mi batteva fortemente; avevo il cuore grosso; ne ho ancora il cuore stretto; il mio
cuore si dilatava; era come liquefatto; cuore freddo, cuore caldo, ecc. Queste espressioni
traducono una realtà fisiologica e, insieme, una realtà psichica. In
che cosa consista questa realtà fisiologica non sapremmo dirlo, e lasciamo
ai fisiologi la cura di spiegarlo. Ma questa corrispondenza pertanto è per
noi un fatto di esperienza, ed è su questo fatto che si appoggia il simbolismo
deI cuore, come tutta la devozione.
Per renderci conto delle cose in se stesse, ricorriamo ai filosofi e ai sapienti.
I filosofi ci dicono che il cuore non potrebbe essere l’organo d’un amore spirituale;
e aggiungono che un amore pienamente umano ha naturalmente, qualcosa di sensibile
e di spirituale insieme, perché, essendo l’uomo un animale ragionevole, un
amore sensibile deve essere in rapporto con un organo corporeo. Qui interviene il
fisiologo e, pur dicendo che l’organo proprio delle nostre emozioni sensibili non
è il cuore, riconosce che il cuore, organo principale della circolazione del
sangue, è ancora un centro ove vengono a ripercuotersi tutte le impressioni
nervose sensitive.
Certo è interessante sentir gli scienziati darci spiegazioni di quel che proviamo
e ridirci quello che del resto sappiamo – molto bene, che «l’amore che fa palpitare
il cuore non è… solo una forma poetica, ma anche una realtà fisiologica».
Li ascolteremo con lo stesso interesse quando ci spiegheranno le funzioni capitali
del cuore della nostra vita, e come il cuore sia l’organo Centrale che sembra entrare
il primo in attività, che sembra morire l’ultimo, che distribuisce da per
tutto la vita vegetativa, e specialmente la circolazione del sangue, di cui il cuore
è l’organo principale, è in stretta relazione di causa e di effetto
con la vita affettiva. Ma non dimenticheremo già che la nostra devozione riposa
su esperienze immediate, anteriori alla scienza e che non è, perciò,
solidale con le scoperte della scienza e tanto meno con tutte le incerte prove delle
sue ipotesi variabili. La devozione del resto si muove, vive in un altro dominio.
Qualche fatto di giornaliera esperienza basta per fondare la teoria del simbolismo
del cuore e per stabilire che è in reale rapporto con la nostra vita affettiva.
Con questo la devozione al sacro Cuore è a sufficienza d’accordo con la fisiologia.
La scienza viene dopo, e tace una questione collaterale. I teologi del sacro Cuore
l’hanno dimenticata qualche volta, speriamo non la dimentichino più.
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