LA
SANTA MESSA
di P. Martino de Cochem O.M.C.
Capitolo VI
NELLA SANTA MESSA GESÙ RINNOVA LA SUA VITA
Il mondo
assiste ad ogni genere di spettacoli teatrali ritenendoli piacevoli alla vista e
all’udito e vi consacra i giorni e le notti e, pur di parteciparvi, niente gli riesce
gravoso.
Se prestassimo attenzione ai grandi misteri della Messa, se comprendessimo qualcosa
di questo meraviglioso dramma in cui Cristo si presenta, come in abito da festa,
per rinnovare davanti a noi tutte le scene della sua ammirabile vita, ci precipiteremmo
verso la chiesa, al primo tocco della campana, per assistere ad una rappresentazione
così commovente. Ma per una sorprendente contraddizione noi, pronti a pagare
caro un posto al teatro, a correre con premura alle opere o meglio alle pazzie coreografiche,
senza curarci del tempo e del denaro, trascuriamo la santa Messa, dove, anziché
impoverirci, ci arricchiamo di tutti i meriti del Salvatore, alla sola condizione
di assistervi come pii spettatori.
Ma che cosa c’è di sorprendente, direte voi, se le persone frivole preferiscono
affrettarsi di più verso i teatri che alla Messa? La commedia è divertente,
mentre nel santo Sacrificio non vi è niente che rallegri le orecchie o che
attiri lo sguardo. Che accecamento è mai questo, vi risponderò a mia
volta, di uomini leggeri che non hanno altri occhi che quelli aperti sotto la fronte
e nei quali la vista intellettuale è purtroppo oscurata! Se avessero il lume
della fede troverebbero, in questo augusto spettacolo un godimento intimo e vario,
perché la Messa è il compendio dell’intera vita di nostro Signore e
la riproduzione di tutti i suoi misteri. Non è come nei drammi, una semplice
rappresentazione poetica degli avvenimenti, ma una ripetizione esatta e reale di
tutte le azioni e di tutte le sofferenze di nostro Signore Gesù Cristo.
La Messa rispecchia la vita di Gesù
Nella Messa, infatti, abbiamo sotto gli occhi il Bambino che trovarono i pastori,
che i Magi adorarono e che Simeone tenne nelle sue braccia. Egli è li sull’altare,
vivente, per ricevere l’omaggio della nostra pietà e del nostro amore.
Egli annuncia il Vangelo per mezzo del sacerdote e la sua grazia non è meno
abbondante di quando la sua parola usciva dalle sue proprie labbra. Cambiando il
vino nel suo Sangue opera un miracolo più grande di quello di Cana e cambiando
il pane nel suo Corpo, rinnova l’ineffabile mistero della Cena. Sull’altare è
immolato ancora una volta, non dalla mano dei carnefici, ma da quelle del sacerdote
che l’offre come vittima espiatoria a Dio onnipotente. Così il Sanchez non
teme di dire che “chi sa profittare della Messa può ricevere il perdono
dei peccati e l’effusione delle grazie celesti, come se avesse vissuto ai tempi del
Salvatore ed assistito a tutti i suoi misteri” (Thes. Missae, cap. 2).
Dionigi il Certosino non è meno esplicito. “La vita di Gesù Cristo
– dice – è stata una celebrazione della santa Messa, nella quale Egli stesso
era l’altare, il tempio, il sacerdote e la vittima”. Egli ha rivestito gli abiti
sacerdotali nel santuario del seno materno, dove, prendendo la nostra carne ha preso
spoglie mortali. Uscì da questo tabernacolo verginale nella notte benedetta
del Natale, ed ha cominciato l’Introito al suo ingresso nel mondo. Ha detto
il Kyrie eleison quando ha steso le mani nella mangiatoia, come per chiedere
soccorso. Il Gloria in excelsis è stato intonato ed eseguito dagli
angeli del Cielo, mentre il neonato riposava nella culla, circostanza rappresentata
dal sacerdote che durante lo stesso cantico resta nel mezzo dell’altare. Il Salvatore
ha detto la Colletta nella vigilia che passò in preghiera, per richiamare
sopra di noi la misericordia divina. Ha letto l’Epistola quando spiegò
e interpretò Mosè ed i profeti, il Vangelo quando percorse la
Giudea per diffondere la buona novella, l’Offertorio quando si è offerto
a Dio Padre per la salute degli uomini accettando tutte le sofferenze. Ha cantato
il Prefazio lodando Dio incessantemente per noi e ringraziandolo per i suoi
benefici. Il popolo ebreo fece risuonare il Sanctus quando lo acclamò
nel giorno delle Palme: “Benedetto Colui che viene nel nome del Signore! Osanna
al Figlio di David”. Gesù ha operato la Consacrazione, nell’ultima
Cena, nella transustanziazione del pane e del vino nel suo Corpo e nel suo Sangue.
L’Elevazione avvenne quando fu inchiodato sul patibolo e drizzato in aria
per servir da spettacolo al mondo. Ha recitato il Pater quando ha pronunciato
le sette parole sulla Croce ed ha effettuato la frazione dell’Ostia quando la sua
anima santissima si è separata dal suo sacratissimo Corpo. L’Agnus Dei
si riconosce nella confessione del centurione che si batté il petto esclamando:
“quest’uomo era veramente il Figlio di Dio”; l’imbalsamazione e la sepoltura
si riconoscono nella Comunione. Gesù ha benedetto il popolo prima di
lasciare il mondo, quando, sulla cima del monte degli Ulivi, ha steso le mani sopra
i suoi discepoli. Come è bella e solenne questa Messa celebrata sulla terra
dal Salvatore! È quella stessa che il sacerdote dice ogni giorno, benché
più brevemente. “Si, – insiste un pio autore – la santa Messa è
il compendio della vita di Gesù Cristo. In una mezz ‘ora vediamo rappresentato
quello che Egli ha fatto in trentatré anni” (Forner in: Miserere, conc.
80). Come il ragioniere nota esattamente nel suo libro tutto ciò che ha dato
e ricevuto e poi somma tutto in un totale generale, così Gesù concentra
nella santa Messa tutti i misteri della sua vita e li rimette sotto i nostri occhi,
come in una breve ricapitolazione. Noi siamo più favoriti di quelli che hanno
vissuto con Lui sulla terra, perché essi ascoltarono una Messa lunghissima
ma unica, mentre noi ogni giorno possiamo ascoltarne parecchie e raccogliere, quasi
senza fatica,tutti i meriti di Gesù. Ma per facilitare la comprensione di
questa verità, ecco un fatto che la conferma.
Prodigi eucaristici
Il domenicano Tommaso di Cantimprè, vescovo olandese, racconta che, nel
tempo pasquale del 1267, nella chiesa di sant’Amando a Douai, a un sacerdote, nel
distribuire la Comunione durante la Messa, cadde un’Ostia. Spaventato, si inginocchiò
per rimediare a una così grande disgrazia. Ma quando stava per prendere l’Ostia,
la vide alzarsi da terra e librarsi in aria. Non avendo che un corporale sul quale
era posta la pisside, prese il purificatoio e lo stese al disotto dell’Ostia che
venne a posarvisi. Dopo averla ricevuta, la portò sull’altare e, prostrato
umilmente, pregò nostro Signore di perdonargli la sua irriverenza. Mentre
aveva gli occhi fissi sulle sante specie che aveva raccolto, con grandissima sorpresa
vide che si trasformavano in un grazioso Bambino. Commosso sino al fondo del cuore,
davanti a un così grande spettacolo, non poté trattenere un grido.
I cantori si lanciarono in suo soccorso e, come lui, videro il celeste Bambino. La
loro gioia fu al colmo ed il popolo si precipitò a sua volta per contemplare
il miracolo, ma un nuovo prodigio si presentò ai loro sguardi: mentre i cantori
vedevano Gesù Cristo sotto la forma di un bambino, gli altri fedeli lo vedevano
sotto l’aspetto di un uomo, nello splendore della Maestà divina. Gli uni e
gli altri furono talmente colpiti da quest’apparizione che non la dimenticarono per
tutta la vita. Ora abbassavano gli occhi rispettosamente, ora li alzavano per guardare.
Il miracolo duro un’ ora. Chi potrà descrivere le dolcezze prodotte in loro
da un tale favore ricevuto? La chiesa era affollatissima e dopo che il sacerdote
ebbe chiuso il SS. Sacramento nel tabernacolo, rese noto dappertutto il fatto del
quale era stato testimone. Il vescovo Tommaso di Cantimprè fu uno dei primi
a saperlo. Andò a Douai dal decano di sant’Amando e gli domandò se
era vero ciò che si raccontava sull’apparizione di nostro Siguore.Il sacerdote
rispose: “È verissimo che Gesù Cristo si è mostrato in
forma umana a molte persone”. “A queste parole – continua Tommaso – nacque
in me un vivo desiderio di godere della stessa grazia e pregai il decano di mostrarmi
la santa Ostia. Mi accompagnò alla chiesa, dove ci segui un’immensa folla,
con la speranza che si rinnovasse il miracolo. Il decano aprì con timore il
tabernacolo, ne levò il SS. Sacramento col quale dette la benedizione. Il
popolo scoppiò subito in singhiozzi e alzò la voce gridando: “O
Gesù, o Gesù!”. Io domandai che cosa significavano quelle grida
e quelle lacrime. Mi fu risposto: “Vediamo coi nostri occhi il divin Salvatore!”.
Eppure, io non vedevo che la forma ordinaria della santa Ostia e questa cosa mi affliggeva
molto, temendo che il mio Redentore si rifiutasse di mostrarsi a me, a causa dei
miei peccati. Esaminai scrupolosamente la mia coscienza e non trovando nulla di straordinario,
scongiurai con le lacrime Gesù Cristo di lasciarmi vedere con gli occhi del
corpo il suo volto divino. Dopo alcuni istanti di suppliche i miei voti furono esauditi
e contemplai non il viso di un bambino come era successo a molti fedeli, ma l’aspetto
di un adulto. Vidi il Salvatore faccia a faccia, i suoi occhi erano chiari e ridenti,
i capelli ondeggiavano sulle spalle, la barba, assai lunga, inquadrava il mento,
la fronte liscia e larga, le guance pallide, la testa un po’ inclinata. Vidi nostro
Signore ed ero così commosso di tale visione che il mio cuore stava per scoppiare
per l’eccesso di gioia e di amore. Dopo un non breve tempo, il viso di Cristo divenne
triste così come doveva essere nella sua passione. Mi apparve coronato di
spine, inondato di sangue e questa vista mi inteneri e provai una tale compassione
che versavo lacrime amare sullo stato del mio Salvatore e credevo sentire sulla mia
fronte l’acuta punta delle spine che laceravano la sua. Gli assistenti gettarono
alte grida e davano mille segni di afflizione. Come nella prima apparizione anche
ora ognuno vedeva in una maniera differente; mentre gli uni contemplavano Gesù
sotto la forma di un neonato, altri lo scorgevano coi tratti di un adolescente, altri
con la statura di un uomo maturo e altri, infine, in mezzo agli orrori della Passione.
Rinuncio a descrivere le emozioni che provavano quei felici cristiani, lasciando
alle anime pie la cura di immaginailo”.
O Gesù, benché io non abbia avuto, come quei fortunati la gioia di
vederti sotto il tuo aspetto corporeo, non credo meno fermamente alla tua presenza
reale e ti offro all’eterno Padre con altrettanto fervore, come se ti avessi contemplato
con i miei propri occhi.
Io so che queste tue manifestazioni sono facili alla tua Onnipotenza, so anche che
non sono necessarie e che, purché l’occhio della mia fede sia sano, io ti
vedrò nella tua gloria o nella tua Passione, secondo che mi assocerò
alle tue gioie o ai tuoi dolori. Tu non ti riveli ai miei sguardi mortali, ma, fin
dall’eternità, mi hai preparato un mezzo per assistere in spirito allo spettacolo
della tua vita e delle tue sofferenze e di offrirle al Padre e allo Spirito Santo,
per la maggior gloria della tua beata Madre, di tutti i cori angelici e dell’esercito
degli eletti.
Durante la santa Messa, Dio e i suoi angeli rivedono Gesù Cristo nella grotta
di Betlemme, nella sua circoncisione, nella presentazione al tempio; rivedono la
fuga in Egitto, il digiuno nel deserto, le sue predicazioni e i viaggi; lo rivedono
perseguitato, venduto, trascinato davanti ai tribunali, flagellato, coronato di spine,
crocifisso, morto, sepolto, risuscitato, ascendente alla gloria del Cielo, terminante
così l’opera sua meravigliosa. questa vivente rappresentazione, questa rinnovazione
degli anni terrestri del Salvatore causa al Padre, allo Spirito Santo e agli angeli,
una gioia così grande come quella causata dai misteri compiutisi in Giudea.
In altre parole: ad ogni Messa, il cielo intero prova tali delizie che tutti i beni
di questo mondo non potrebbero procurarne simili. questa gioia non viene soltanto
dalla riproduzione della vita e della Passione di Gesù, ma anche dall’amore
che la sua Persona dimostra alla Divinità, perché nel santo Sacrificio
nostro Signore onora, loda, ama, serve e glorifica la Trinità con tutte le
forze della natura umana, come con tutta la potenza della sua natura divina. E lo
fa in maniera tanto incomprensibile e sublime che questa lode e questa carità
sorpassano da sole infinitamente gli omaggi degli angeli e le opere di tutti i santi.
Alla luce di queste considerazioni, giudicate dell’eccellenza del culto che i nostri
sacerdoti rendono a Dio e fatevi un’idea dell’efficacia di una Messa, non solo per
chi la celebra ma anche per chi l’ascolta.
Utilità del santo Sacrificio, fonte di meriti
Prima di terminare questo capitolo, insisterò ancora sull’utilità
che ha per noi questo augusto Sacrificio e sugl’immensi meriti che possiamo acquistare.
Gesù Cristo, durante la sua vita terrestre, ha raccolto, non per sé,
ma per noi, un tesoro inestimabile di grazie. Ha lavorato senza riposarsi come dice
Egli stesso: “Il Padre mio non cessa dall’operare e anch’io opero” (Gv
5,17). questa vita laboriosa, infinitamente meritoria, la rinnova ad ogui Sacrificio,
la riproduce davanti agli occhi di suo Padre per ottenere il perdono per noi, l’offre
per pagare i nostri debiti ed in essa ci dà un mezzo per sfuggire ai castighi
che ci minacciano.
Siate dunque riconoscenti al vostro fedele amico che, al prezzo di tante fatiche,
ha acquistato, per voi, un tesoro così ricco. Corrispondete all’intenzione
di Gesù, che ogni giorno offre per voi, gratuitamente, i suoi meriti e non
vi private, trascurando la santa Messa, del mezzo di ottenere, con poca fatica, un
immenso guadagno.
Ah! Se nell’ordine temporale poteste arricchirvi con tanta facilità come vi
è dato farlo nell’ordine spirituale, non perdereste un istante, non ri sparmiereste
nessuno sforzo. Come potete restare così indifferenti quando si tratta di
ricchezze eterne?
Testo tratto
da: P. Martino de Cochem O.M.C., La Santa Messa, Milano 1937/3, pp. 83-89.