Innocenzo
III
Lettera Cum Marthae circa
(20.11.1202)
È la risposta del papa a Giovanni di Belmeis, ex arcivescovo di Lione, che
si era ritirato nel monastero di Chiaravalle. Vi figura, per la prima volta in un
documento pontificio, il verbo «transustanziare», che era stato introdotto
nel 1133 da Ildeberto di Laverdi[1]. La circostanza che sette
anni dopo Innocenzo III, scrivendo al Vescovo di Ferrara, alludesse a questa lettera,
definendola «decretale»[2], fa pensare che non la
ritenesse una corrispondenza privata.
TESTO: PL 214, 1119.
La
forma
Quaesivisti siquidem, quis formae verborum, quam ipse Christus expressit, cum in corpus et sanguinem suum panem transubstantiavit et vinum, illlud in canone missae, quo Ecclesia utitur generalis, adiccerit, quod nullus evangelistarum legitur expressisse… In canone missae sermo iste, videlicct mysterium fidei, verbi ipsi[u]s interpositus invenitur… Sane multa tam de verbis quam de factis Dominicis invenimus ab evangelistis omissa, quae apostoli vel supplevisse verbo vel facto expressisse leguntur… Ex eo autem verbo, de quo movit tua fraternitas quaestionem, videlicet mysterium fidei, munimentum erroris quidam trahere putaverunt, dicentes in sacramento altaris non esse corporis Christi et sanguinis veritatem, sed imaginem tantum, et speciem et figura, pro eo, quod Scriptura interdum commemorat, id, quod in altari suscipitur, esse sacramentum et mysterium et exemplum. Sed tales ex eo laqueum erroris incurrunt, quod nec auctoritate Scripturae convenienter intellegunt, nec sacramenta Dei suscipiunt reverenter, Scripturas et virtutem Dei pariter nescientes (cf Mt 22,29)… Dicitur tamen mysterium fidei, quoniam et aliud ibi creditur, quam cernatur, et aliud cernitur, quam credatur. Cernitur enim, species panis et vini, et creditur veritas carnis et sanguinis Christi, ac virtus unitatis et caritatis… | Mi hai dunque chiesto chi ha aggiunto al testo delle parole che Cristo in persona pronunciò, quando transustanziò il pane e il vino nel suo corpo e sangue, quello che la Chiesa universale usa nel canone della messa e che non si legge in nessuno degli evangelisti egli abbia proferito … Infatti nel canone della messa si ritrovano le parole «mistero della fede» inserite nel suo discorso… Veramente noi scopriamo molte cose omesse dagli evangelisti tanto nelle parole che nelle azioni del Signore, cui leggiamo che gli evangelisti hanno supplito con [loro] parole e fatti… Quanto alla frase sulla quale la tua fraternità solleva la questione, cioè «mistero della fede», alcuni hanno creduto trovarvi una conferma al loro errore, sostenendo che nel sacramento dell’altare non c’è il vero corpo e sangue di Cristo, ma soltanto un simbolo, un’apparenza, una figura, perché tavolta la Scrittura parla di ciò che si riceve dall’altare come di sacramento, mistero ed esemplare. Questi tali però incappano nel laccio dell’errore perché non percepiscono nei dovuti modi l’autorità della Scrittura, né considerano con devozione i sacramenti di Dio, «non conoscendo né le Scritture né la potenza di Dio (Mt 22,29)… Si dice insomma «mistero della fede» perché lì si crede in qualcosa di diverso da ciò che si vede, e si vede diversamente da quello che si crede. Si vede infatti la specie del pane e del vino, e si crede nella realtà della carne e del sangue di Cristo e nella potenza dell’unità e della carità… |
Elementi
Distinguendum est tamen subtiliter inter tria, quae sunt in hoc sacramento discreta: videlicet formam visibilem, veritatem corporis et virtutem spiritualem. Forma est panis et vini, veritas carnis et sanguinis, virtus unitatis et caritatis. Primum est sacramentum et non res. Secundum est sacramentum et res. Tertiumest, res et non sacramentum[3]. Sed primum est sacramentum gemine rei. Secundum autem est sacramentum unius, et alterius res exsistit: tertium vero est res gemini sacramenti. Credimus igitur, quod forma verborum, sicut in canone reperitur, et aChristo apostoli, et ab ipsis eorum acceperint successores… | Si devono distinguere attentamente i tre elementi distinti presenti in questo sacramento, cioè la forma visibile, la verità del corpo e la potenza spirituale. Forma sono il pane e il vino, verità sono il corpo e il sangue, potenza l’unità e la carità. La prima è un segno e non realtà; la seconda è segno e realtà; la terza è realtà e non segno. Ma la prima è segno delle due realtà, la seconda è segno dell’una e realtà dell’altra, la terza è realtà dei due segni. Crediamo dunque che la formula verbale che sta nel canone gli apostoli l’hanno appresa da Cristo, e da essi i loro successori. |
NOTE
[1] Ildeberto di Laverdin,
Sermo 93: PL 171, 776.
[2] Innocenzo III, Epistola
7: PL 216, 16.
[3] Ad evitare ambiguità
nella traduzione usando termini che in italiano sano omonimi, usiamo «segno»
per sacramentum (= indizio di qualcosa di reale) e «realtà»
per res (= la realtà in se stessa).
testo tratto
da: J. COLLANTES a c. di, La fede della Chiesa cattolica. Le idee e gi uomini
nei documenti del Magistero, Città del Vaticano 1993, pp. 741-43.