Le
«agghiaccianti» falsità su Pio XII e i bambini ebrei
di Andrea Tornielli
Il caso
di Pio XII, Roncalli e i bambini ebrei battezzati può considerarsi finalmente
chiuso, almeno come polemica giornalistica, con la pubblicazione dei testo completo
rintracciato dal professor Matteo Luigi Napoletano, che ieri il Giornale ha offerto
all’attenzione dei lettori. «Altra cosa sarebbe se i bambini fossero richiesti
dai parenti» si legge nella chiusa del dispaccio contenente i veri ordini dei
Vaticano, approvati da Papa Pacelli, e indirizzati al nunzio apostolico a Parigi
Angelo Roncalli, il futuro Giovanni XXIII: una frase inequivocabile che attesta come
all’origine dei caso non vi fossero tanto le richieste di restituzione dei piccoli
ebrei salvati dalla Chiesa alle loro famiglie o ai parenti sopravvissuti, quanto
piuttosto la domanda da parte di «organizzazioni ebraiche» – formalizzata
in una lettera del rabbino capo di Gerusalemme Isaac Herzog a Pio XII e del rabbino
capo di Parigi Isaiah Scwartz a Roncalli – di ottenere i piccoli rimasti evidentemente
orfani per aver perso i genitori se non l’intera famiglia nei lager nazisti.
Il caso, cosi com’è stato presentato, non esiste. Non c’è un Papa antisemita
e «cattivo» che vuole strappare i bambini alle loro legittime famiglie
e non c’è un nunzio e futuro Papa «buono» che salva gli ebrei
all’insaputa dei suoi superiori romani o disattende gli ordini ricevuti dal Vaticano
o ancora si comporta in modo diverso da quanto quelle indicazioni prevedevano. Precisare
tutto ciò, sulla base di documenti inoppugnabili, anzi, sulla base di un dispaccio
che negli archivi dei «Centre National des Archives de l’Eglise de France»
era allegato proprio a quel testo in francese pubblicato sul Corriere della Sera
il 28 dicembre scorso, non significa affatto sostenere che il problema non sia esistito
e che non siano esistiti pochi, controversi e dolorosi casi, risoltisi peraltro in
senso positivo. Non significa affatto sostenere che l’atteggiamento tenuto da Pacelli
durante la guerra non possa essere discusso, criticato, analizzato. Significa però
riportare la vicenda nei suoi binari naturali, facendo notare come purtroppo il dibattito
si sia sviluppato sulla baso di una premessa incompleta, priva del suo contesto,
se non addirittura inconsistente.
Dalla comparazione del testo pubblicato dallo storico Alberto Melloni – riprodotto
nel suo originale anastatico dal quotidiano Avvenire già il 6 gennaio
– con quello reso noto ieri dai Giornale, c’è qualcosa che balza agli occhi:
quel punto numero 5 del testo francese, che non è in alcun modo menzionato
nelle istruzioni vaticane a Roncalli . Quel punto recita: «Se i bambini sono
stati affidati (alla Chiesa) dai loro genitori e se i genitori ora li richiedono,
potranno essere consegnati, ammesso che i bambini stessi non abbiano ricevuto il
battesimo». Ebbene, non solo non c’è nulla di tutto questo nel dispaccio
di monsignor Domenico Tardini al nunzio, ma al Giornale risulta che questa frase
sia del tutto assente pure dall’originale della nota redatta dal Sant’Uffizio il
28 marzo 1946, preparata dai prelati della «Suprema» congregazione dottrinale
investiti dallo stesso Papa Pacelli, che aveva fatto presente loro la richiesta pervenutagli
dei rabbino Herzog. Proprio in quel testo, redatto in italiano, sarebbe invece esplicito
che la questione era circoscritta ai casi di bambini orfani la cui consegna era richiesta
non dai familiari ma dalle organizzazioni ebraiche. Insomma, il testo originale del
Sant’Uffizio coinciderebbe in tutto e per tutto con quel dispaccio di Tardini a Roncalli
pubblicato integralmente ieri. Ma non coincide, invece, con la parte finale del
documento francese reso noto da Melloni. Che cosa è dunque accaduto? Da dove
emerge quel punto numero 5 che risulterebbe assente dalla documentazione vaticana
e che invece troviamo inserito in quella sintesi francese, con l’intestazione «Nunziatura
di Parigi»? È il frutto di un colloquio tra il nunzio e i vescovi di
Francia, magari relativo ad alcuni casi precisi? È una glossa come aveva già
intuito e ipotizzato nei giorni scorsi il professor Pietro De Marco? O è piuttosto
il modo poco efficace e non propriamente rispondente al lesto romano, con il quale
si rende esplicito mi riferimento al canone 750 del Codice di Diritto Canonico dei
1917 (relativo alla liceità dei battesimo dei non cattolici, anche contro
la volontà dei genitori, soltanto in caso di pericolo di morte) che – secondo
quanto risulta al Giornale – sarebbe citato nella chiusa del documento originale
del Sant’Uffizio? Impossibile, per il momento, dare una risposta. Quello che è
certo è che il punto nel quale si accenna alle richieste dei genitori non
è citato negli ordini romani a Roncalli. E dunque decade buona parte della
polemica sul presunto atteggiamento antisemita di Pio XII, sulla quale si sono confrontali
in questi giorni vari autorevoli commentatori. Va pure ridimensionata la presunta
scarsa sensibilità del Sant’Uffizio e del Pontefice nei confronti del dramma
della Shoah, perché, come ha ben argomentato Ernesto Galli Della Loggia sul
Corriere del 7 gennaio, la percezione di quel dramma e della sua portata,
vero tragico buco nero nella coscienza dell’Europa, è maturata negli anni
successivi.
Ieri il professor Melloni, che ha dato la via a questo dibattito dalle pagine del
primo quotidiano italiano, non ha ritenuto di replicare o di commentare la pubblicazione
del testo completo dei documento. «Le cose che ho scritto mi sembrava giusto
dirle – ha dichiarato lo studioso all’Agenzia Italia -. Non voglio scendere ora sul
piano delle polemiche personali». «La polemica – aggiunge – ha assunto
dei toni che non sono adeguati. Ognuno può scrivere quello che vuole, ne risponde
ai suoi lettori. Comunque mi sembra che gli argomenti portati per confutare il mio
scritto non siano di particolare importanza». Dunque il vero testo con gli
ordini di Tardini a Roncalli, quello che distingue bene il caso di richieste di consegna
dei bambini salvati avanzate dalle organizzazioni ebraiche rispetto a quelle delle
famiglie, sarebbe secondo lo studioso, ininfluente per il dibattito di questi giorni.
Quei testi andranno comunque interpretati dagli storici di professione, come Melloni,
e non dai cronisti.
Ma Alberto Melloni non e l’unico a ritenere che il testo completo finalmente conosciuto
dall’opinione pubblica non cambi la sostanza della questione, nonostante quelli frase
che indica chiaramente che «altra cosa sarebbe se i bambini fossero richiesti
dai parenti». Interpellato dall’agenzia Apcom, il rabbino capo di Roma Riccardo
Di Segni, dopo aver letto il testo pubblicato dal Giornale, ha scandito per tre volte
l’aggettivo «terribile». «Questo nuovo testo – ha dichiarato –
non sposta di un millimetro la questione su Pio XII. Dal nostro punto di vista è
semplicemente terribile. È terribile stabilire che il battesimo abbia la forza,
anche giuridica, eh sottrarre un bambino ai genitori che non ci sono più e,
in questo caso, al proprio ambiente naturale di educazione ebraica. È semplicemente
terribile, non mi viene altro aggettivo. E poi su questo argomento credo che ci sia
ben poco da dialogare. È un muro che si alza e che è impenetrabile.
Sono due mondi differenti». Di Segni ha poi detto che «la Chiesa ha diritto
a beatificare Pio XII», ma «noi ne trarremo le conseguenze».
«La Chiesa – ha spiegato il rabbino capo di Roma – ha tutti i diritti di elevare
all’onore degli altari chi ritiene opportuno. Semmai il problema diventa nostro perché
se la Chiesa beatifica non fa altro che indicare un modello di perfezione spirituale
ai cristiani. Di fronte a una Chiesa che identifica come ideale spirituale un soggetto
che ha avuto determinati comportamenti noi possiamo, come conseguenza, anche decidere
se e come dialogare».
Una reazione – stando alle dichiarazioni riportate – molto più dura di quella
che lo stesso rabbino capo Di Segni aveva espresso il 29 dicembre, all’indomani della
pubblicazione del primo testo. Ci sembra invece che il documento completo, con i
veri ordini di Roma approvati da Pio XII, modifichi in modo non indifferente i termini
della questione.
Testo tratto
da: Il Giornale di mercoledì 12 gennaio 2005, p. 27.