«IL COMBATTIMENTO
SPIRITUALE»
di Lorenzo Scupoli
CAPITOLO
XXI
Il modo di regolare i sensi esteriori e come da quelli si possa passare alla contemplazione
della divinità
Grande avvertenza
e continuo esercizio si richiedono nel reggere e nel regolare bene i nostri sensi
esteriori, perché l’appetito, che è come capitano della nostra natura
corrotta, è eccessivamente incline a cercare i piaceri e le consolazioni.
Non potendo per sé solo farne acquisto, si serve dei sensi quasi fossero soldati
suoi e strumenti naturali per prendere i loro oggetti di cui stampa nell’anima le
idee, estraendole e tirandole a sé. Da questo scaturisce il piacere il quale,
per l’affinità esistente tra l’anima e la carne, si diffonde per tutta quella
parte dei sentimenti che sono capaci di tale diletto: onde tanto l’anima quanto il
corpo subiscono un comune contagio, che corrompe il tutto.
Tu vedi il danno: attendi al rimedio. Sta’ ben attenta a non lasciar andare liberamente
i tuoi sensi dove vogliono e non servirti di loro, qualora ti muova a farlo il solo
piacere e non qualche buon fine o utilità o necessità. Se non avvedendotene
essi fossero andati troppo avanti, li devi riportare indietro o regolare in modo
che, dove prima si facevano miseramente prigionieri di vane consolazioni, ottengano
da ciascun oggetto nobile preda e la portino dentro l’anima onde essa, raccolta in
se stessa, spieghi le ali delle potenze verso il cielo alla contemplazione di Dio.
Il che potrai fare in questo modo.
Quando a uno qualsiasi dei tuoi sensi esteriori si rappresenta qualche oggetto, con
il pensiero separa dalla cosa creata lo spirito che è in quella e pensa che
essa da sé non ha niente di tutto ciò che soggiace ai tuoi sensi, ma
che tutto è opera di Dio che con il suo spirito invisibilmente le dà
quell’essere, quella bontà o quella bellezza e ogni altro bene che in essa
di trova. E quivi rallegrati che il tuo solo Signore sia causa e principio di tante
e così varie perfezioni di cose e che in se stesso le contenga tutte eminentemente,
non essendo esse che un minimo grado delle sue perfezioni.
Quando ti accorgerai di essere occupata nel mirare cose che hanno un nobile essere,
con il pensiero ridurrai al suo niente la creatura fissando l’occhio della mente
nel sommo Creatore ivi presente che le ha dato quell’essere e, in lui solamente prendendo
diletto, dirai: ìO essenza divina sommamente desiderabile! Quanto godo che tu
sola sia principio infinito di ogni essere creato!î. Similmente scorgendo alberi,
erbe e cose simili, vedrai con l’intelletto che quella vita che hanno, non l’hanno
da sé, ma dallo spirito che non vedi e che solo le vivifica; e potrai dire
così: ìEcco qui la vera vita da cui, in cui e per cui vivono e crescono
tutte le cose. O vivo gaudio di questo cuore!î. Così dalla vista degli
animali bruti ti leverai con la mente a Dio che dà loro il senso e il moto,
dicendo: ìO primo motore che, muovendo il tutto, sei immobile in te stesso, quanto
mi rallegro della tua stabilità e fermezza!î.
E sentendoti allettare dalla bellezza delle creature, separa quello che vedi dallo
spirito che non vedi e considera che tutto ciò che di bello appare fuori è
solo dello spirito invisibile, da cui è cagionata quella bellezza esterna,
e di’ tutta lieta: ìEcco i rivoli del fonte increato; ecco le piccole gocce del
mare infinito di ogni bene. Oh! come gioisco nell’intimo del cuore pensando all’eterna
immensa bellezza, che è origine e causa d’ogni bellezza creata!î. E scorgendo
in altri bontà, sapienza, giustizia e altre virtù, dirai al tuo Dio
dopo aver fatto la detta separazione: ìO ricchissimo tesoro di virtù! Quanto
mi compiaccio che unicamente da te e per te derivi ogni bene e che tutto, a confronto
delle tue divine perfezioni, sia come niente! Ti ringrazio, Signore, di questo e
d’ogni altro bene fatto al mio prossimo: ricordati, Signore, della mia povertà
e del grande bisogno che ho della virtù della N. î [N. sta per ìnomeî.
Lo Scupoli invita a chiedere a Dio nella preghiera quella virtù giudicata
volta per volta più urgente e necessaria al singolo lettore].
Accingendoti poi a fare qualche cosa, pensa che Dio è causa prima di quell’azione
e tu non sei altro che vivo strumento di lui, al quale, innalzando il pensiero, dirai
a questo modo: ìSupremo Signore di tutto, quanta è la gioia che provo in
me stessa di non poter fare nulla senza di te (cfr. Gv 15,5); anzi godo che
tu sia il primo e principale artefice di tutte le cose!î. Gustando cibo o bevanda,
considera che è Dio a dar loro quel sapore e, dilettandoti in lui solo, potrai
dire: ìRallegrati, anima mia: come fuori del tuo Dio non v’è nessuna vera
gioia, così in lui solo ti puoi unicamente dilettare in ogni cosaî (cfr.
Fil 4,4).
Se ti compiacerai nell’odorare qualche cosa gradita al senso, non fermandoti in quel
compiacimento, passa con il pensiero al Signore da cui ha la sua origine quell’odore,
e sentendo di ciò interna consolazione dirai: ìFa’, Signore, che come io
gioisco che da te proceda ogni soavità, così l’anima mia, spogliata
e nuda di ogni piacere terreno, ascenda in alto e renda gradito odore alle tue divine
nariciî.
Quando odi qualche armonia di suoni e canti, rivolta con la mente al tuo Dio dirai:
ìQuanto godo, Signore e Dio mio, delle tue infinite perfezioni che tutte insieme
non solo in te stesso sprigionano sovraceleste armonia, ma fanno anche meraviglioso
concerto unitamente negli angeli, nei cieli e in tutte le creature!î.
CAPITOLO
XXII
Le cose medesime ci servono per regolare i nostri sensi, passando alla meditazione
dei Verbo incarnato nei misteri della sua vita e della sua passione
Sopra ti ho mostrato come dalle cose sensibili noi possiamo elevare la mente alla
contemplazione della divinità. Ora apprendi un modo di trarre spunto dalle
stesse per meditare sul Verbo incarnato, considerando i sacratissimi misteri della
sua vita e della sua passione.
Tutte le cose dell’universo possono servire a questo scopo, se consideri in esse,
come sopra dicevo, il sommo Dio come sola prima causa che ha dato loro tutto quell’essere,
quella bellezza e quella superiorità che hanno; e da questo passa poi a considerare
quanto grande e immensa sia la sua bontà: pur essendo unico principio e Signore
di tutto il creato, ha voluto discendere a tanta bassezza da farsi uomo, patire e
morire per l’uomo, permettendo che gli stessi uomini si armassero contro di lui per
crocifiggerlo.
Molte cose poi particolarmente ci portano davanti agli occhi della mente questi santi
misteri, come armi, funi, flagelli, colonne, spine, canne, chiodi, martelli e altre
che furono strumenti della sua passione.
Le abitazioni povere ci ricorderanno la stalla e il presepio del Signore. Quando
piove ci verrà in mente quella sanguinosa divina pioggia che nell’orto, stillando
dal suo sacratissimo corpo, irrigò la terra; le pietre che mireremo ci rappresenteranno
quelle che si spezzarono nel momento della sua morte; la terra ci raffigurerà
quel movimento che fece allora e il sole quelle tenebre che l’oscurarono (cfr. Mt
27,51; Mc 15,38; Lc 23,44); e vedendo le acque, ci ricorderemo di quella che uscì
dal suo sacratissimo costato (cfr. Gv 19,34). Il che dico allo stesso modo di altre
cose simili.
Gustando il vino o altra bevanda, ricordati dell’aceto e del fiele del tuo Signore
(cfr. Gv 19,29). Se la soavità degli odori ti alletta, ricorri con la mente
al fetore dei corpi morti da lui sentito sul monte Calvario; quando ti vesti, ricordati
che il Verbo eterno si vestì di carne umana per vestire te della sua divinità;
quando ti spogli, pensa al tuo Cristo denudato per essere flagellato e confitto in
croce per te; udendo rumori e grida di gente, ricordati di quelle abominevoli voci:
ìCrucifige, crucifige; tolle, tolleî (cfr. Gv 19,6), che rimbombarono nelle
sue divine orecchie. Ogni volta che batte l’orologio, ti sovvenga di quell’affannoso
battito di cuore che al tuo Gesù piacque sentire, quando nell’orto cominciò
a temere della sua vicina passione e morte; ovvero ti paia di sentire quelle dure
percosse con le quali fu inchiodato sulla croce.
In qualunque occasione in cui ti si presentino mestizia e dolori tuoi o altrui, pensa
che sono come niente rispetto alle indicibili angosce che trafissero e afflissero
il corpo e l’anima del tuo Signore.
CAPITOLO
XXIII
Altri modi per regolare i nostri sensi secondo le diverse occasioni che ci si presentano
Abbiamo visto come si debba innalzare l’intelletto dalle cose sensibili alla divinità
e ai misteri del Verbo incarnato. Qui aggiungerò altri modi per ricavarne
diverse meditazioni, perché, come sono differenti tra loro i gusti delle anime,
così abbiano molti e diversi cibi. Inoltre ciò potrà servire
non solo alle persone semplici, ma anche a quelle che sono d’ingegno elevato e più
avanti nella via dello spirito, il quale in chicchessia non è sempre egualmente
disposto e pronto alle più alte speculazioni.
Tu devi dubitare di confonderti in questa varietà di cose, se ti atterrai
alla regola della discrezione e al consiglio altrui, il quale intendo tu debba seguire
con umiltà e confidenza non solamente in questo, ma in ogni altro avvertimento
che ti venga da me.
Nel mirare tante cose gradevoli alla vista e preziose sulla terra, considerale tutte
vilissime e come sterco rispetto alle celesti ricchezze, alle quali aspira con ogni
affetto disprezzando tutto il mondo. Rivolgendo lo sguardo verso il sole, pensa che
più di quello è lucida e bella l’anima tua se sta in grazia del tuo
Creatore; altrimenti pensala più oscura e abominevole delle tenebre infernali.
Alzando gli occhi del corpo al cielo che ti copre, penetra con quelli dell’anima
più sopra nel cielo empireo e li soffermati con il pensiero come nel luogo
per te preparato per eterna felicissima dimora, se in terra vivrai innocentemente.
Sentendo il canto degli uccelli o altri canti, eleva la mente a quelli del paradiso
dove risuona un continuo alleluia e prega il Signore che ti faccia degna di lodarlo
in perpetuo insieme con quegli spiriti celesti.
Quando ti accorgi di prendere diletto delle bellezze della creatura, guarda attentamente
con l’intelletto che ivi nascosto giace il serpente infernale tutto intento e pronto
a ucciderti o almeno a ferirti. Contro di lui così potrai dire: ìAh, maledetto
serpente, come sei insidiosamente preparato per divorarmi!î. Poi rivolta a Dio,
dirai: ìBenedetto sii tu, Dio mio, che mi hai scoperto il nemico e mi hai liberato
dalle sue rabbiose fauciî. E dall’attrattiva fuggi subito nelle piaghe del Crocifisso,
occupando la mente in esse e considerando quanto soffrì il Signore nella sua
sacratissima carne per liberarti dal peccato e renderti odiosi i piaceri della carne.
Ti ricordo un altro modo per fuggire questa pericolosa attrattiva, ed è che
tu ti addentri bene nel pensare quale sarà dopo la morte quell’oggetto che
piace fino a tal punto.
Mentre cammini, ricordati che per ogni passo che muovi ti vai avvicinando alla morte.
Così vedendo volare gli uccelli e scorrere le acque, pensa che con maggior
velocità la tua vita se ne va volando verso il suo fine. Quando si levano
venti impetuosi o quando folgora e tuona, ti sovvenga del tremendo giorno del giudizio;
e posta in ginocchio, adora Dio pregandolo che ti conceda grazia e tempo di prepararti
bene, per comparire allora davanti alla sua altissima Maestà.
Nella varietà dei casi che possono capitare a una persona, così ti
eserciterai: ad esempio, quando sei oppressa da qualche dolore o malinconia, o patisci
caldo, freddo o altro, solleva la mente a quell’eterna volontà alla quale
per il tuo bene è piaciuto che in tal misura e tempo tu senta quell’incomodo.
Perciò tu, lieta per l’amore che ti mostra il tuo Dio e per l’opportunità
di servirlo in tutto quello che più gli piace, dirai nel tuo cuore: ìEcco
in me il compimento del divino volere, che ab aeterno amorosamente ha disposto
che io al presente sostenga questo travaglio. Ne sia lodato sempre il mio benignissimo
Signoreî. E quando nella tua mente si crea un pensiero di cosa buona, subito
rivolgiti a Dio, riconoscilo come proveniente da lui e rendigliene grazie.
Quando leggi, ti sembri di vedere il Signore sotto quelle parole e ricevile come
se venissero dalla sua bocca divina. Contemplando la santa croce, considera che essa
è lo stendardo del tuo esercito: se da esso ti allontani, cadrai nelle mani
dei crudeli nemici; se lo segui, giungerai in cielo carica di gloriosi bottini.
Nel vedere la cara immagine di Maria Vergine, rivolgi il cuore a lei che regna in
paradiso; ringraziala per essere stata sempre pronta alla volontà del tuo
Dio; per aver partorito, allattato e nutrito il Redentore del mondo, e perché
nel nostro conflitto spirituale non ci priva mai del suo favore e del suo aiuto.
Le immagini dei santi ti rappresentino tanti campioni che, avendo compiuto valorosamente
il loro assalto, ti hanno aperto la strada. Camminando per tale strada, anche tu
insieme a loro sarai coronata di perpetua gloria. Quando vedrai le chiese, fra le
altre devote considerazioni potrai pensare che l’anima tua è tempio di Dio
e perciò, come sua stanza, la devi conservare pura e monda.
Sentendo in qualunque tempo i tre segni della salutazione angelica (cfr. Lc 1,28),
potrai fare le seguenti brevi meditazioni conformi a quelle sacre parole che sogliono
dirsi prima di ciascuna di queste orazioncelle celesti.
Al primo segno ringrazia Dio di quell’ambasciata che dal cielo mandò in terra
e che fu il principio della nostra salvezza. Al secondo rallegrati con Maria Vergine
per le sue grandezze, alle quali fu elevata per la sua singolare profondissima umiltà.
Al terzo segno, insieme alla beatissima madre e all’angelo Gabriele, adora il divino
Fanciullo appena concepito. E non ti dimenticare di inchinare così un poco
il capo per riverenza in ciascun segno e alquanto di più nell’ultimo.
Queste meditazioni, divise secondo i tre segni, servono per tutti i tempi.
Le seguenti sono fatte per la sera, la mattina e il mezzogiorno e vertono sulla passione
del Signore. Infatti noi abbiamo il dovere di ricordarci spesso dei dolori che a
causa di quella sostenne nostra Signora; e se non lo facciamo, ci mostreremo ingrati.
La sera richiama alla tua memoria le angosce della Vergine pura per il sudore di
sangue, per la cattura nell’orto e per i dolori occulti del suo benedetto Figliuolo
in tutta quella notte. La mattina compassionala nelle sue afflizioni per la presentazione
di Gesù a Pilato e a Erode, per la sentenza della sua morte e per aver dovuto
portare la croce. A mezzogiorno penetra con il pensiero nella spada di dolore che
trafisse il cuore della sconsolata Madre per la crocifissione e morte del Signore
e per la crudelissima lanciata nel suo sacratissimo costato.
Queste meditazioni dei dolori della Vergine potrai farle dalla sera del giovedì
fino al mezzogiorno del sabato e le altre negli altri giorni. Mi rimetto però
alla tua particolare devozione e all’opportunità che le cose esteriori ci
porgeranno. E per concluderti in breve il modo con cui devi regolare i sensi, ti
dico: sii desta sicché in ogni cosa e in ogni avvenimento tu sia mossa e attirata
non dall’amore o dalla ripugnanza per loro, ma dalla sola volontà di Dio;
e abbracciando e aborrendo soltanto quelli che Dio vuole che tu abbracci e aborrisca.
Fa’ attenzione che io non ti ho dato i suddetti modi di reggere i sensi perché
tu ti occupi in questi, dovendo stare quasi sempre raccolta nella tua mente con il
tuo Signore, il quale vuole che con frequenti atti attenda a vincere i tuoi nemici
e le passioni viziose sia resistendo loro sia facendo gli atti delle virtù
contrarie. Invece te li ho insegnati affinché sappia regolarti quando ce n’è
bisogno. Infatti devi sapere che si fa poco frutto quando si intraprendono molti
esercizi i quali, benché in se stessi siano buonissimi, ben spesso però
sono confusione mentale, amor proprio, instabilità e tranelli del demonio.
CAPITOLO
XXIV
Il modo di regolare la lingua
La lingua dell’uomo ha grande bisogno di essere ben regolata e tenuta a freno (cfr.
Gc 1,26), perché ognuno è grandemente inclinato a lasciarla correre
e discorrere di quelle cose che più dilettano i nostri sensi. Il molto parlare
ha radice per lo più in una certa superbia con la quale, persuadendoci noi
di sapere molto e compiacendoci nei nostri concetti ci sforziamo ripetutamente di
imprimerli negli animi degli altri per atteggiarci a maestri su di loro quasi che
abbiano bisogno d’imparare da noi.
Non si possono esprimere con poche parole i mali che nascono dalle molte parole.
La loquacità è madre dell’accidia, argomento di ignoranza e di pazzia,
porta della detrazione, ministra di bugie e raffreddamento del devoto fervore. Le
molte parole danno forza alle passioni viziose e da questo, poi, la lingua è
indotta a continuare tanto più facilmente nel parlare indiscreto. Non ti allargare
in lunghi ragionamenti con chi ti ascolta mal volentieri, per non infastidirli; e
fa’ la stessa cosa con chi ti dà ascolto, per non eccedere i termini della
modestia.
Fuggi il parlare con eloquenza e ad alta voce, perché l’una e l’altra cosa
è assai odiosa ed è indizio di presunzione e di vanità. Di te,
dei fatti tuoi e dei tuoi congiunti non parlare mai, se non per pura necessità
e quanto più brevemente e ristrettamente potrai. Se ti pare che un altro parli
di sé eccessivamente, sforzati di trarne buon concetto ma non imitarlo, sebbene
le sue parole tendano alla propria umiliazione e all’accusa di se stesso. Del prossimo
tuo e delle cose appartenenti a lui ragiona il meno possibile, fuorché per
dirne bene dove lo richieda l’occasione. Parla volentieri di Dio, particolarmente
del suo amore e della sua bontà; fallo, però, con timore di poter errare
anche in questo e ti piaccia stare piuttosto attenta quando un altro ne ragiona,
conservando le sue parole nell’intimo del tuo cuore. Delle altre solamente il suono
della voce percuota le tue orecchie e la mente stia sollevata al Signore; se poi
bisogna ascoltare colui che ragiona per intendere e rispondere, non lasciare per
questo di dare qualche occhiata col pensiero al cielo dove abita il tuo Dio; però
osserva la sua altezza e come egli sempre guarda la tua umiltà (cfr. Lc 1,48).
Le cose che ti cadono in cuore per dirle, siano da te considerate prima che passino
alla lingua, perché di molte t’accorgerai che sarebbe bene che da te non fossero
mandate fuori. Ma ti avverto inoltre; non poche ancora di quelle cose che allora
penserai essere bene che tu dica, sarebbe molto meglio se le seppellissi con il silenzio.
E questo lo conoscerai pensandovi, dopo che sarà passata l’opportunità
di parlarne.
Il silenzio, figliuola mia, è una gran fortezza della battaglia spirituale
e una certa speranza della vittoria. Il silenzio è amico di chi diffida di
se stesso e confida in Dio; è custode della santa orazione e aiuto meraviglioso
per l’esercizio delle virtù.
Per abituarti a tacere considera spesso i danni e i pericoli della loquacità
e i grandi beni del silenzio; prendi amore per questa virtù e, per farti l’abitudine,
taci per qualche tempo anche dove non sarebbe male parlare purché questo non
sia a te o ad altri di pregiudizio. Perciò ti gioverà pure lo stare
lontana dalle conversazioni, perché invece degli uomini avrai per compagnia
gli angeli, i santi e lo stesso Dio. Finalmente ricordati del combattimento che hai
per le mani, perché, vedendo quanto in questo hai da fare, ti verrà
voglia di lasciare le eccessive parole.
CAPITOLO
XXV
Per ben combattere contro i nemici, il soldato di Cristo deve fuggire con tutte le
sue forze i turbamenti e le inquietudini del cuore
Siccome, avendo perduto la pace del cuore, dobbiamo fare tutto quello che è
possibile per recuperarla, così devi sapere che non può succedere nessun
avvenimento al mondo che ce la debba ragionevolmente togliere oppure turbare. Dobbiamo,
sì rammaricarci dei nostri peccati, ma con un dolore pacifico nel modo in
cui sopra in più di un luogo ho dimostrato; così, senza inquietudine
d’animo, si compassioni con pio affetto di carità ogni altro peccatore e si
piangano almeno interiormente le sue colpe.
Quanto agli altri avvenimenti gravi e faticosi come infermità, ferite, morti
anche dei nostri più stretti parenti, pesti, guerre, incendi e simili mali,
benché siano per lo più rifiutati dalle persone del mondo come molesti
alla natura, pur tuttavia possiamo con la divina grazia non solo volerli, ma oltre
a questo tenerli cari come giuste pene per gli scellerati e come occasioni di virtù
per i buoni; per questi motivi se ne compiace anche il nostro Signore Dio e se noi
asseconderemo la sua volontà, passeremo con l’animo quieto e tranquillo fra
tutte le amarezze e le contrarietà di questa vita. E renditi pur certa che
ogni nostra inquietudine dispiace ai suoi occhi divini, perché essa, qualunque
ne sia l’origine, è sempre accompagnata da imperfezione e procede sempre da
qualche cattiva radice d’amor proprio.
Perciò tieni sempre desta una guardia, la quale, appena scopre qualsiasi cosa
che possa turbarti e inquietarti, ti avverta acciocché tu prenda le armi della
difesa considerando che tutti quei mali e molti altri simili, benché appaiano
così all’esterno, non sono però veri mali né possono toglierci
i veri beni. Tieni presente che tutti li ordina o permette Dio per i suddetti retti
fini o per altri a noi sconosciuti, ma senza dubbio giustissimi e santissimi. Così,
rimanendo l’animo tranquillo e in pace in qualunque avvenimento benché dannoso,
si può fare molto bene; altrimenti ogni nostro esercizio riesce poco o per
niente fruttuoso.
C’è da dire inoltre che mentre il cuore è inquieto, è sempre
esposto ai diversi colpi dei nemici; e per giunta non possiamo noi in tale stato
scorgere bene il diritto sentiero e la via sicura della virtù.
Il nostro nemico, che aborrisce moltissimo questa pace come luogo dove abita lo spirito
di Dio per operarvi cose grandi, spesse volte sotto amiche insegne tenta di levarcela
servendosi di diversi desideri che hanno apparenza di bene, ma il loro inganno si
può, tra gli altri segni, conoscere dal fatto che ci tolgono la quiete del
cuore. Onde per riparare a tanto danno, quando la sentinella ti preavvisa d’alcun
nuovo desiderio, non aprirgli la porta del cuore se prima non lo presenti a Dio libera
da qualunque proprietà e volere e, confessando la tua cecità e ignoranza,
non lo preghi insistentemente di farti vedere con la sua luce se viene da lui oppure
dall’avversario. E ricorri ancora quando puoi al giudizio del tuo padre spirituale.
Anche se il desiderio fosse da Dio, prima di realizzarlo fa’ in modo di mortificare
al tua eccessiva vivacità, perché l’opera, preceduta da tale mortificazione,
certamente gli sarà molto più gradita che se fosse fatta con l’avidità
della natura; anzi alcune volte gli piacerà più la mortificazione che
l’opera stessa. Così, scacciando da te i desideri non buoni e non effettuando
quelli buoni se prima non avrai represso gli stimoli naturali, terrai in pace e al
sicuro la rocca del tuo cuore. E per conservarlo in tutto pacifico occorre anche
che tu lo difenda e lo custodisca da certi rimproveri e da rimorsi interiori contro
te stessa: essi alcune volte sono dal demonio, sebbene, per il fatto che ti accusano
di qualche mancanza, paiono essere da Dio. Dai loro frutti conoscerai da dove procedono.
Se ti abbassano, ti fanno diligente nell’operare bene e non ti tolgono la confidenza
in Dio dal quale li devi ricevere con rendimento di grazie. Ma se ti confondono e
ti fanno pusillanime, diffidente, pigra e lenta nel bene, tieni pure per cosa certa
che vengono dall’avversario; tu, però, non dando loro ascolto, continua il
tuo esercizio.
Siccome, oltre a quello che ti ho detto, più comunemente nasce nel nostro
cuore l’inquietudine dovuta all’accadere di cose contrarie, per difenderti da questi
colpi devi fare due cose.
L’una consiste nel considerare e nel vedere a chi sono contrari quegli avvenimenti:
se allo spirito oppure all’amor proprio e alle proprie voglie. Se essi sono contrari
alle proprie voglie e all’amore di te stessa, tuo capitale e principale nemico, non
devi chiamarli contrari; anzi devi ritenerli per favori e soccorsi dell’altissimo
Dio, per cui devono essere ricevuti con cuore allegro e con rendimenti di grazie.
Ed essendo contrari allo spirito, non per questo si deve perdere la pace del cuore,
come sarai edotta nel capitolo seguente.
L’altra cosa consiste nell’elevare la mente a Dio accettando tutto a occhi chiusi,
senza voler sapere altro, dalla mano pietosa della divina provvidenza come cosa piena
di diversi beni, che tu per il momento non conosci.
CAPITOLO
XXVI
Quello che dobbiamo fare quando siamo feriti
Quando ti trovi ferita per esser caduta in qualche difetto per debolezza tua ovvero
anche talora per volontà e malizia, non diventare pusillanime e non inquietarti
per questo, ma rivolgendoti subito a Dio digli così: ìEcco, mio Signore,
che io mi sono comportata da quella che sono: né da me ci si poteva aspettare
altro che caduteî. E qui con un poco di sosta umiliati agli occhi tuoi, addolorati
dell’offesa fatta al Signore e, senza confonderti, muoviti a sdegno contro le tue
viziose passioni e principalmente contro quella che ti ha causato la caduta. Continua
poi: ìNé qui, Signore, mi sarei fermata, se tu per tua bontà non
mi avessi trattenutaî. E qui rendigli grazie e amalo più che mai provando
stupore di tanta clemenza poiché, da te offeso, ti porge la mano destra perché
tu non cada di nuovo.
Infine dirai con grande confidenza nella sua infinita misericordia: ìFa’ tu, Signore,
da quello che sei; perdonami, non permettere che io viva mai separata e lontana da
te né che più ti offendaî. Ciò fatto, non ti dare a pensare
se Dio ti abbia o no perdonato: questo non è altro che superbia, inquietudine
di mente, perdita di tempo e inganno del demonio sotto apparenza di diversi buoni
pretesti. Perciò lasciandoti liberamente nelle mani pietose di Dio, continua
il tuo esercizio come se non fossi caduta. E se molte volte al giorno tornassi a
cadere e restassi ferita, fa’ questo che ti ho detto con non minore fiducia la seconda,
la terza e anche l’ultima volta più della prima; e disprezzando sempre più
te stessa e odiando di più il peccato, sforzati di vivere più prudentemente.
Questo esercizio dispiace molto al demonio sia perché vede che è graditissimo
a Dio sia perché ne viene a rimanere confuso, trovandosi superato da chi prima
egli aveva vinto. E perciò con diversi fraudolenti modi si adopera perché
noi lo tralasciamo, e molte volte l’ottiene per nostra trascuratezza e poca vigilanza
su noi stessi. Per la qual cosa se tu in ciò troverai difficoltà, a
maggior ragione ti devi fare violenza ripigliando questo esercizio più d’una
volta anche in una sola caduta.
Se dopo il difetto ti sentissi inquieta, confusa e sfiduciata, la prima cosa che
devi fare è recuperare nello stesso tempo la pace, la tranquillità
del cuore e la confidenza; e fornita di queste armi, rivolgiti poi al Signore perché
l’inquietudine che si prova per il peccato non ha per oggetto l’offesa di Dio, ma
il proprio danno.
Il modo di recuperare questa pace è che tu per il momento dimentichi del tutto
la caduta e ti metta a considerare l’ineffabile bontà di Dio; come egli oltre
ogni dire è pronto e desidera perdonare qualunque peccato, benché grave,
chiamando il peccatore in vari modi e per molte vie, perché ricorra a lui
e si unisca a lui, per essere santificato in questa vita con la sua grazia e reso
eternamente beato nell’altra con la gloria.
Siccome con queste o simili considerazioni avrai pacificato la mente, ti volgerai
alla tua caduta facendo come di sopra ho detto. Poi nel tempo della confessione sacramentale,
che ti esorto a fare frequentemente, riprendi tutte le tue cadute; e con nuovo dolore,
con dispiacere dell’offesa di Dio e con il proponimento di non offenderlo più,
scoprile sinceramente al tuo padre spirituale.
CAPITOLO
XXVII
L’ordine seguito dal demonio nel combattere e nell’ingannare sia quelli che vogliono
darsi alla virtù sia quelli che già si trovano nella schiavitù
del peccato
Devi sapere, figliuola, che il demonio non attende ad altro che alla nostra rovina
e che non con tutti combatte allo stesso modo.
Per cominciare a descriverti alcuni dei suoi combattimenti, dei suoi metodi e dei
suoi inganni, ti pongo innanzi diversi stati dell’uomo.
Alcuni si trovano nella schiavitù del peccato senza darsi nessun pensiero
di liberarsene. Altri vogliono liberarsene, ma non cominciano l’impresa. Altri credono
di camminare per la via della virtù, e invece se ne allontanano. Altri finalmente,
dopo l’acquisto delle virtù, cadono con maggior rovina. E di tutti discorreremo
distintamente.
CAPITOLO
XXVIII
Il combattimento e gli inganni usati dal demonio con quelli che tiene nella schiavitù
del peccato
Tenendo qualcuno nella schiavitù del peccato, il demonio non attende ad altro
che ad accecarlo sempre più e a rimuoverlo da qualunque pensiero che possa
indurlo alla cognizione della sua infelicissima vita. Né lo rimuove solamente
dai pensieri e dalle ispirazioni che lo chiamano alla conversione con altri pensieri
contrari, ma con pronte e sollecite occasioni lo fa cadere nello stesso peccato o
in altri maggiori. Perciò diventando più folta e cieca la sua cecità,
più viene a precipitarsi e ad abituarsi nel peccato; così da questa
a maggior cecità e da questa a maggior colpa, quasi in un circolo vizioso
scorre la sua misera vita fino alla morte, se Dio non vi provvede con la sua grazia.
Il rimedio a ciò, per quanto tocca a noi, è che colui il quale si ritrova
in questo infelicissimo stato sia sollecito nel dare spazio al pensiero e alle ispirazioni
che dalle tenebre lo chiamano alla luce, gridando con tutto il cuore al suo Creatore:
ìSignor mio, aiutami, aiutami presto e non mi lasciare più in queste tenebre
di peccatoî. Né lasci di replicare più volte e di gridare in questo
o in un modo somigliante.
Se è possibile, corra subito subito da un padre spirituale chiedendo aiuto
e consiglio per potersi liberare dal nemico. E non potendo andarvi subito, ricorra
con ogni sollecitudine al Crocifisso, buttandosi innanzi ai suoi sacri piedi con
la faccia a terra; come pure ricorra a Maria Vergine, chiedendo misericordia e aiuto.
E sappi che in questa sollecitudine sta la vittoria, come nel seguente capitolo intenderai.
CAPITOLO
XXIX
L’arte e gli inganni con cui il demonio tiene legati quelli che, conoscendo il loro
male, vorrebbero liberarsene.
Perché i nostri propositi spesso non hanno il loro effetto
Quelli che già conoscono la vita corrotta che conducono e vorrebbero cambiarla,
di solito vengono ingannati e vinti dal demonio con le seguenti armi: poi, poi;
cras, cras come dice il corvo. Voglio prima risolvere questa faccenda e liberarmi
di queste sciocchezze e poi dedicarmi con maggior calma alla vita spirituale.
Questo laccio ha preso e prende tuttora molti. La causa di ciò è la
nostra negligenza e la nostra inettitudine, perché in un affare che riguarda
la salvezza dell’anima e l’onore di Dio non si prende con prontezza quell’arma tanto
possente: ora, ora! E perché poi? Oggi, oggi! E perché
cras, dicendo a se stesso: ìMa quando mi si concedesse il poi e il cras,
sarebbe via questa di salvezza e di vittoria il voler prima ricevere delle ferite
e provocare nuovi disordini?î.
Sicché tu vedi, figliuola, che per fuggire sia da questo inganno sia da quello
del capitolo precedente e per superare il nemico, il rimedio consiste nella pronta
obbedienza ai pensieri e alle ispirazioni divine. Parlo di prontezza e non di propositi,
perché questi spesso vengono meno e molti in essi sono rimasti ingannati per
diverse ragioni.
La prima, accennata anche sopra, è che i nostri propositi non hanno per fondamento
la diffidenza di noi stessi e la confidenza in Dio. Né questo ci lascia vedere
la nostra grande superbia, da cui procedono questo inganno e questa cecità.
La luce per conoscerli e l’aiuto per rimediarvi vengono dalla bontà di Dio,
il quale permette che noi cadiamo e per mezzo della caduta ci chiama a passare dalla
confidenza in noi stessi alla sola confidenza in lui, e dalla nostra superbia alla
conoscenza di noi stessi. Pertanto, se vuoi che i tuoi propositi siano efficaci,
c’è bisogno che siano forti; e allora saranno forti, quando nulla avranno
di confidenza in noi stessi e tutti saranno umilmente fondati nella confidenza in
Dio.
L’altra ragione è che quando noi ci accingiamo a formulare dei propositi,
miriamo alla bellezza e al valore della virtù, la quale tira a sé la
nostra volontà benché sia fiacca e debole; quindi parandosele poi innanzi
la difficoltà che è indispensabile per l’acquisto della virtù,
essa manca e si tira indietro essendo fiacca e inesperta. Però tu abituati
a innamorarti molto più delle difficoltà che l’acquisto delle virtù
comporta, anziché delle virtù stesse; e di queste difficoltà
va sempre nutrendo la tua volontà ora con poco e ora con molto cibo, se vuoi
veramente possedere le virtù. E sappi che tanto più presto e più
profondamente vincerai te stessa e i nemici tuoi, quanto più generosamente
abbraccerai le difficoltà e più ti saranno care.
La terza causa è che i nostri propositi a volte non tendono né alla
virtù né alla volontà divina, ma al proprio interesse. Il che
accade nei propositi che solitamente si fanno nel tempo delle delizie spirituali
e delle tribolazioni che molto ci opprimono e per le quali non troviamo altro sollievo
che proporre di volerci dare tutti a Dio e agli esercizi virtuosi.
Tu, per non cadere in questo, nel tempo delle delizie spirituali sii molto cauta
e umile nei propositi, particolarmente nelle promesse e nei voti; e quando ti trovi
tribolata, i tuoi propositi siano orientati a sopportare pazientemente la croce secondo
come Dio vuole e ad esaltarla rifiutando ogni sollievo terreno e talora anche quello
del cielo. Una sia la domanda e uno il tuo desiderio: che tu sia da Dio aiutata a
sopportare ogni cosa avversa senza macchiare la virtù della pazienza e senza
disgustare il tuo Signore.
CAPITOLO
XXX
L’inganno di quelli che pensano di camminare verso la perfezione
Vinto già il nemico nel primo e nel secondo assalto e inganno di cui parlavo
sopra, il maligno ricorre al terzo. Esso consiste nel far sì che noi, dimentichi
dei nemici che attualmente ci combattono e ci danneggiano, ci teniamo occupati in
desideri e propositi di alti gradi di perfezione. Ne consegue che siamo continuamente
piagati né curiamo le piaghe; stimando poi tali propositi come se fossero
già in atto, in vario modo ci insuperbiamo. Onde non volendo sopportare una
coserella o una parolina in contrario, consumiamo poi il tempo in lunghe meditazioni
sui propositi di soffrire grandi pene, talora anche quelle del purgatorio, per amor
di Dio. Siccome in questo la parte inferiore non sente ripugnanza come se fosse cosa
lontana, noi miseri ci convinciamo di aver raggiunto il grado di quelli che pazientemente
sostengono di fatto cose grandi.
Tu dunque, per fuggire questo inganno, proponi e combatti con i nemici che da vicino
e realmente ti fanno guerra; così chiarirai a te stessa se i tuoi propositi
sono veri o falsi, forti o deboli, e camminerai verso la virtù e la perfezione
per la via regale e già battuta da altri. Ma contro i nemici dai quali non
sei solita essere tormentata, non consiglio di intraprendere la battaglia se non
quando prevedi verosimilmente che da un momento all’altro potrebbero assalirti: per
essere allora preparata e forte, ti conviene fare prima dei propositi.
Però non giudicare mai i tuoi propositi alla stregua di risultati già
ottenuti, sebbene per qualche tempo con i dovuti modi ti fossi esercitata nelle virtù:
in essi sii umile, temi te stessa e la tua debolezza e, confidando in Dio, con frequenti
preghiere ricorri a lui perché ti fortifichi e ti guardi dai pericoli e in
modo particolare da ogni minima presunzione e confidenza in te stessa.
In questo caso, sebbene non si possano superare alcuni piccoli difetti che talvolta
il Signore ci lascia per farci umilmente conoscere e per salvaguardare qualche bene,
ci è lecito nondimeno proporre di raggiungere un più alto grado di
perfezione.
CAPITOLO
XXXI
L’inganno e la battaglia che il demonio usa, perché noi lasciamo la via che
conduce alla virtù
Il quarto inganno proposto sopra, con cui il maligno demonio ci assalta quando vede
che noi camminiamo diritto verso la virtù, è costituito da diversi
buoni desideri che va eccitando in noi, perché dall’esercizio delle virtù
cadiamo nel vizio.
Una persona, trovandosi inferma, con paziente volontà va tuttavia sopportando
l’infermità. Il sagace avversario, il quale conosce che così possa
acquistare l’abitudine alla pazienza, le pone davanti molte opere buone che potrebbe
fare in uno stato diverso e si sforza di convincerla che, se fosse sana, meglio servirebbe
Dio giovando a sé e anche agli altri. E dopo che ha mosso in lei queste voglie,
le va a poco a poco aumentando talmente da renderla inquieta per non poterle mandare
a effetto come vorrebbe. E quanto in lei si vanno facendo maggiori e più gagliarde
tanto cresce l’inquietudine, da cui poi pian piano il nemico la va abilmente conducendo
a spazientirsi dell’infermità non come infermità, ma come impedimento
di quelle opere che ansiosamente bramava di eseguire per maggior bene.
Quando poi l’ha spinta fino a questo punto, con la stessa prontezza le toglie dalla
mente il fine del servizio divino e delle buone opere e le lascia il nudo desiderio
di liberarsi dall’infermità. Non succedendo ciò secondo il suo volere,
si turba in modo da diventare completamente impaziente. E così, dalla virtù
che esercitava, viene a cadere nel suo vizio contrario senza avvedersene.
Il modo di guardarsi e di opporsi a questo inganno è che quando ti trovi in
qualche stato tormentoso, tu sia ben attenta a non dare luogo ai desideri di ogni
bene che, non potendo allora effettuare, verosimilmente ti turberebbero. E in ciò
devi con ogni umiltà, pazienza e rassegnazione credere che i tuoi desideri
non avrebbero quell’effetto di cui ti convincevi, essendo tu più vile e instabile
di quanto ti stimi. Oppure pensa che Dio nei suoi occulti giudizi o a causa dei tuoi
demeriti non vuole da te quel bene, ma piuttosto che ti abbassi e ti umili pazientemente
sotto la dolce e potente sua mano (cfr. 1Pt 5,6).
Parimenti, essendo impedita dal padre spirituale o da altra causa in modo da non
poter fare quando vuoi le tue devozioni e particolarmente la santa comunione, non
ti lasciar turbare e agitare dal desiderio di esse; ma, spogliata d’ogni tua proprietà,
rivestiti del beneplacito del tuo Signore dicendo a te stessa: ìSe l’occhio della
divina provvidenza non vedesse in me ingratitudini e difetti, io non sarei ora impedita
di ricevere il santissimo sacramento; però vedendo io che il mio Signore con
questo mi scopre la mia indegnità, ne sia egli sempre lodato e benedetto.
In verità confido, Signor mio, nella tua somma bontà: fa’ che io, assecondandoti
e compiacendoti in tutto, ti apra il cuore disposto a ogni tuo volere perché
tu, entrando in esso spiritualmente, lo consoli e lo fortifichi contro i nemici che
cercano di allontanarlo da te. Così sia fatto tutto quello che è bene
agli occhi tuoi. Creatore e Redentore mio, la tua volontà sia ora e sempre
il mio cibo e il mio sostegno. Questa sola grazia ti chiedo, Amore caro: che l’anima
mia, purificata e libera da qualunque cosa a te non gradita, stia sempre ornata di
sante virtù e con esse stia preparata alla tua venuta e a quanto a te piacerà
disporre di meî.
Se ti fiderai di questi insegnamenti, sappi con certezza che in qualsiasi desiderio
di bene che non potrai realizzare, a causa della natura o del demonio, per turbarti
e allontanarti dal cammino della virtù, o talora anche di Dio per provare
la tua rassegnazione alla sua volontà, avrai sempre occasione di accontentare
il tuo Signore nel modo che più piace a lui. E proprio in questo consiste
la vera devozione e il servizio, che Dio vuole da noi.
Perché tu non perda la pazienza nei travagli, da qualunque parte provengano,
ti avverto ancora che tu, usando i mezzi leciti solitamente adoperati dai servi di
Dio, non li usi con il desiderio e lo scopo di esserne liberata, ma perché
Dio vuole che si usino; né sappiamo noi se piace a sua divina Maestà
di liberarci con questo mezzo. Se tu facessi altrimenti, cadresti in più mali:
facilmente cadresti nell’impazienza, non succedendo la cosa secondo il tuo desiderio
e la tua intenzione; oppure la tua pazienza sarebbe difettosa, non tutta accetta
a Dio e di poco merito.
Finalmente ti avverto qui di un occulto inganno del nostro amor proprio, che in certe
circostanze suole coprire e difendere i nostri difetti. Per esempio: essendo qualche
infermo poco paziente per l’infermità, nasconde la sua impazienza sotto il
velo di qualche zelo di bene apparente. Egli dice che il suo affanno non è
veramente impazienza per il travaglio dovuto alla malattia, ma ragionevole dispiacere
perché egli stesso gliene ha dato occasione oppure perché altri, per
la servitù che gli fanno o per altre cause, ne provano fastidio e danno.
Allo stesso modo l’ambizioso, che si turba per la dignità non ottenuta, non
attribuisce ciò alla sua propria superbia e vanità, ma ad altri motivi
dei quali si sa molto bene che in altre occasioni, che a lui non danno noia, non
tiene nessun conto. Come nemmeno l’infermo si preoccupa se quegli stessi, per i quali
diceva di dolersi molto che tribolassero per lui, sostengano lo stesso travaglio
e lo stesso danno per l’infermità di qualche altro.
Questo è segno assai chiaro che la radice del lamento di costoro non è
da vedere in altri o in altro motivo, se non nella ripugnanza che hanno delle cose
contrarie alle loro voglie. Tu però per non cadere in questo e in altri errori,
sopporta sempre pazientemente qualunque travaglio e pena da qualsiasi causa essi
provengano, come ti ho detto.
CAPITOLO
XXXII
L’ultimo assalto e inganno proposti sopra, con cui il demonio tenta perché
le virtù acquistate ci siano occasione di rovina
L’astuto e maligno serpente non manca di tentarci con i suoi inganni anche nelle
virtù da noi acquistate perché ci siano occasione di rovina mentre,
compiacendoci di quelle e di noi medesimi, ci innalziamo per cadere poi nel vizio
della superbia e della vanagloria.
Per guardarti tu dunque da questo pericolo, combatti sempre sedendo nel campo piano
e sicuro di una vera e profonda conoscenza del fatto che niente sei, niente sai,
niente puoi e niente altro hai se non miserie e difetti né altro meriti che
l’eterna dannazione. Fermata e stabilita entro i termini di questa verità,
non te ne lasciar mai allontanare neanche un poco da qualsivoglia pensiero o cosa
che ti avvenga, tenendo per certo che tutti siano tanti nemici tuoi, a causa dei
quali rimarresti o morta o ferita se tu cadessi nelle loro mani.
Per esercitarti bene a correre nel suddetto campo della vera conoscenza della tua
nullità, serviti di questa regola. Quante volte ti rifai alla considerazione
di te stessa e delle tue opere, considerati sempre in rapporto a ciò che ti
appartiene e non in rapporto a quello che appartiene a Dio e alla sua grazia; e poi
stima te stessa tale quale ti ritrovi ad essere in rapporto a ciò che è
tuo.
Se consideri il tempo precedente alla tua esistenza, vedrai che in tutto quell’abisso
di eternità sei stata un puro niente, e che niente hai operato né potuto
operare perché tu avessi l’essere. Poi in questo tempo in cui tu esisti per
sola bontà di Dio, lasciando a lui quello che gli appartiene, cioè
la cura continua con cui ogni momento ti conserva, che altro sei con quello che è
tuo se non parimenti un niente? Infatti non v’è alcun dubbio che tu ritorneresti
in un istante al tuo primo niente, da cui ti trasse la sua mano onnipotente, se egli
ti lasciasse per un solo piccolissimo momento. E’ cosa chiara, dunque, che in questa
esistenza naturale, considerandoti in rapporto a quello che ti appartiene, non hai
ragione di stimarti o di voler essere da altri stimata.
Per quanto poi riguarda il beneficio dovuto alla grazia e l’operare il bene, qual
cosa buona e meritoria potrebbe mai fare da se stessa la tua natura priva dell’aiuto
divino? Considerando d’altra parte i molti tuoi errori passati e anche il molto altro
male che da te sarebbe proceduto se Dio non ti avesse trattenuta con la sua pietosa
mano, troverai che le tue iniquità, per la moltiplicazione non solo dei giorni
e degli anni ma anche degli atti e delle abitudini cattive (poiché un vizio
chiama e tira con sé l’altro vizio), sarebbero giunte a un numero quasi infinito
e tu saresti diventata un altro Lucifero infernale. Per cui non volendo tu essere
ladra della bontà di Dio ma rimanere sempre con il tuo Signore, ti devi reputare
peggiore di giorno in giorno.
Fa’ bene attenzione che questo giudizio che fai di te stessa sia accompagnato dalla
giustizia, perché altrimenti ti sarebbe di non piccolo danno. Che se quanto
alla cognizione della tua malvagità superi qualcuno che per la sua cecità
si considera qualche cosa, tu perdi però molto e ti rendi peggiore di lui
nelle opere della volontà se vuoi essere dagli uomini reputata e trattata
per quella che sai di non essere.
Se vuoi, dunque, che la conoscenza della tua malizia e della tua viltà tenga
lontani i tuoi nemici e ti renda cara a Dio, fa’ sì che non solo disprezzi
te stessa come indegna di ogni bene e meritevole di tutti i mali, ma che dagli altri
preferisca essere disprezzata aborrendo gli onori, godendo dei vituperi e disponendoti
quando occorre a fare tutto quello che gli altri disprezzano. Per non lasciare questa
santa pratica non devi stimare affatto il giudizio altrui, purché ciò
sia fatto da te per il solo fine del tuo abbassamento e per esercitarti in esso;
e non per una certa presunzione d’animo e per una non ben conosciuta superbia, per
la quale talora sotto altri buoni pretesti si tiene poco o nessun conto della opinione
altrui.
Se a volte ti capita, per qualche bene a te concesso da Dio, di essere amata e lodata
da altri come buona, sta’ ben raccolta dentro di te e non allontanarti per niente
dalla suddetta verità e giustizia, ma rivolgiti prima a Dio dicendogli con
il cuore: ìNon sia mai, Signore, che io sia ladra dell’onore e delle tue grazie;
a te la lode, l’onore e la gloria, a me la confusioneî. Rivolgiti poi a colui
che ti loda e parla così interiormente: ìCome mai costui mi tiene per buona,
mentre invece è buono solo il mio Dio (cfr. Mc 10, 18) e le sue opere?î.
Facendo in questo modo e rendendo al Signore il suo, allontanerai i nemici e ti disporrai
a ricevere maggiori doni e favori da Dio. E quando il ricordo delle opere buone ti
mette nel pericolo di cadere nella vanità, subito mirandole non come cosa
tua ma di Dio, quasi parlando loro potrai dire nell’animo tuo: ìIo non so in qual
modo voi siate apparse e abbiate cominciato a esistere nella mia mente dal momento
che non sono io la vostra origine, ma il buon Dio con la sua grazia vi ha create,
nutrite e conservate. Lui solo dunque voglio riconoscere come vero e principale Padre,
lui voglio ringraziare e a lui voglio darne ogni lodeî (cfr. 2Mac 7,22.30).
Considera, poi, una cosa: tutte le opere da te compiute sono state non solamente
poco corrispondenti alla luce e alla grazia a te concesse per conoscerle ed eseguirle,
ma per altro sono ancora molto imperfette e purtroppo lontane da quella pura intenzione,
dal debito fervore e dalla diligenza con cui dovevano essere accompagnate e compiute.
Perciò, se vi pensi bene, ci sarebbe piuttosto da vergognartene che da compiacertene
vanamente. E’ purtroppo vero: le grazie che da Dio riceviamo pure e perfette, nella
realizzazione sono macchiate dalle nostre imperfezioni.
Inoltre paragona le tue opere con quelle dei santi e degli altri servi di Dio. Alla
luce di tale confronto conoscerai con chiarezza che le migliori e le più grandi
opere tue sono di molto bassa lega e di molto scarso valore. Se poi le paragoni con
quelle che Cristo nei misteri della sua vita e della sua continua croce operò
per te; se le consideri solamente in se stesse senza la persona divina i sia per
l’affetto e sia per la purezza dell’amore con cui furono fatte, ti accorgerai che
tutte le tue opere sono appunto come un niente. Se infine leverai la mente alla divinità
e all’immensa Maestà del tuo Dio e al servizio che merita, vedrai chiaramente
che da qualunque opera tua deriva non vanità ma tremore grande. Onde per tutte
le vie in ogni opera tua, per santa che essa sia, con tutto il cuore devi dire al
tuo Signore: ìO Dio, sii propizio a me peccatriceî (cfr. Lc 18,13).
Ti avverto ancora di non voler essere facile a scoprire i doni ricevuti da Dio: questo
dispiace quasi sempre al tuo Signore, come ben ci dichiara egli stesso con la seguente
dottrina. Una volta egli, assumendo le sembianze di un fanciullo e di una pura creatura,
apparve a una sua devota che con ingenua semplicità lo invitò a recitare
la salutazione angelica. Egli cominciò prontamente dicendo: ìAve, Maria,
piena di grazia, il Signore è con te; tu sei benedetta fra le donneî;
e poi si fermò, perché non volle con le altre parole che seguivano
lodare se stesso. E mentre ella lo pregava di proseguire, nascondendosi, egli lasciò
nella consolazione la sua serva manifestandole con il suo esempio questa celeste
dottrina.
Figliuola, impara anche tu ad abbassarti conoscendoti per quel niente che sei con
tutte le opere tue: questo è il fondamento di tutte le altre virtù.
Prima che noi fossimo, Dio ci creò dal nulla; ora che esistiamo per lui, vuole
fondare tutto l’edificio spirituale sulla cognizione del nostro nulla. E quanto più
ci sprofondiamo in esso, tanto più in alto si eleverà l’edificio spirituale;
e nella misura in cui andremo scavando la terra delle nostre miserie, il divino architetto
vi porrà tante fermissime pietre per mandare avanti l’edificio. Non convincerti,
figliuola, di poterti mai abbassare tanto che basti; anzi abbi di te questa stima
che se cosa infinita si potesse dare in una creatura, tale sarebbe la tua viltà.
Con questa cognizione ben radicata possediamo ogni bene; senza di essa siamo poco
più di niente, anche se facessimo le opere di tutti i santi e stessimo sempre
occupati in Dio.
O beata cognizione, che ci fa felici in terra e gloriosi in cielo!
O luce che, uscendo dalle tenebre, rende le anime lucide e chiare!
O gioia non conosciuta, che risplende tra le nostre immondizie!
O niente che, conosciuto, ci fa padroni del tutto!
Non mi sazierei mai di parlarti di ciò: se vuoi lodare Dio, accusa te stessa
e brama di essere accusata dagli altri. Umiliati con tutti e sotto di tutti, se vuoi
in te esaltare lui e te in lui. Se desideri ritrovarlo, non ti innalzare perché
egli fuggirà. Abbassati e abbassati quanto puoi, perché egli verrà
a trovarti e ad abbracciarti. E tanto ti accoglierà e ti stringerà
più teneramente a sé con amore, quanto più ti renderai vile
agli occhi tuoi e ti compiacerai di essere umiliata da tutti e rigettata come cosa
abominevole.
Stimati indegna di tanto dono che il tuo Dio, per te disonorato, ti fa per unirti
a sé; non mancare di rendergli spesso grazie e di tenerti obbligata a chi
te ne ha dato occasione, e di più a quelli che ti hanno oltraggiata oppure
pensano che tu mal volentieri e di non buona voglia lo sopporti. Anche se così
fosse, non devi darlo a vedere all’esterno.
Se nonostante tante considerazioni purtroppo vere, l’astuzia del demonio, l’ignoranza
e la nostra cattiva inclinazione, prevalessero in noi in modo che i pensieri di autoesaltazione
non cessassero di turbarci e di fare impressione nel nostro cuore, pure allora è
tempo d’umiliarci tanto più agli occhi nostri quanto più vediamo che
dalla prova abbiamo poco profittato nella via dello spirito e nella leale conoscenza
di noi stessi, poiché non possiamo liberarci da siffatte molestie che hanno
radice nella nostra vana superbia. Così dal veleno caveremo miele, e sanità
dalle ferite.
CAPITOLO
XXXIII
Alcuni avvertimenti per vincere le passioni viziose e acquistare nuove virtù
Benché ti abbia detto molto sul modo da seguire per superare te stessa e ornarti
delle virtù, tuttavia mi rimane d’avvertirti di altre cose.
Primo. Volendo acquistare delle virtù, non lasciarti mai convincere a preferire
quegli esercizi spirituali ai quali con superficialità sono assegnati i giorni
della settimana, uno per una virtù e gli altri per le altre. Ma l’ordíne
della battaglia e dell’esercizio sia di fare guerra a quelle passioni che ti hanno
sempre danneggiata e tuttora spesso ti assaltano e ti danneggiano, e di ornarti delle
virtù ad esse contrarie e quanto più perfettamente sia possibile. Perché
acquistando tu queste virtù, tutte le altre con facilità e con pochi
atti le acquisterai subito quando ti si presentano le occasioni, che non mancano
mai in quanto le virtù vanno sempre congiunte insieme, e chi ne possiede una
perfettamente ha tutte le altre pronte alla porta del cuore.
Secondo. Non determinare mai il tempo per l’acquisto delle virtù, né
giorni, né settimane, né anni; ma sempre, quasi fossi allora nata e
come novello soldato, combatti e tendi sempre verso il culmine della loro perfezione.
Non ti fermare nemmeno per un attimo, perché il fermarsi nel cammino delle
virtù e della perfezione non significa prendere fiato e forza ma tornare indietro
o diventare più fiacca di prima. Per fermarsi io intendo il credere
d’aver acquistato la virtù interamente e il fare alle volte poco conto delle
occasioni, che ci chiamano a nuovi atti di virtù, e delle piccole mancanze.
Perciò sii sollecita, fervente e accorta a non perdere neppure una minima
occasione di virtù. Ama dunque tutte le occasioni che inducono alla virtù
e molto più quelle che sono difficili a superarsi, perché gli atti
compiuti per vincere le difficoltà più presto e più profondamente
determinano le abitudini, e ama affettuosamente quelli che te le porgono.
Terzo. Sii prudente e discreta in quelle virtù, che possono cagionare danno
al corpo: come, ad esempio, affliggerlo con discipline, con cilizi, con digiuni e
veglie, con meditazioni e altre cose somiglianti, perché queste virtù
si devono acquistare a poco a poco e per gradi, come appresso diremo. Poi per quanto
riguarda le altre virtù totalmente interne come amare Dio, disprezzare il
mondo, umiliarsi agli occhi propri, odiare le passioni viziose e il peccato, essere
paziente e mansueta, amare tutti, anche chi ti offende, e altri simili, non c’è
bisogno del poco a poco per acquistarle né di salire per gradi alla loro perfezione;
ma sforzati pure di fare ogni atto quanto più perfettamente sia possibile.
Quarto. Tutto il tuo pensiero, il desiderio e il cuore altro non pensino, desiderino
o bramino che vincere quella passione che combatti e acquistare la sua virtù
contraria. Questo sia tutto il mondo, il cielo e la terra; questo ogni tesoro tuo
e tutto allo scopo di piacere a Dio. Se mangi e digiuni, se ti affatichi, se riposi,
se vegli, se dormi, se sei in casa, se fuori di casa, se attendi alle devozioni e
se alle opere manuali, tutto sia indirizzato a superare e vincere la detta passione
e acquistare la sua virtù contraria.
Quinto. Sii nemica senza eccezione dei diletti terreni e delle comodità, perché
a questo modo, essendo con poca forza, sarai assalita dai vizi che hanno tutti per
radice il diletto. Per cui, tagliata questa radice con l’odio di noi stessi, quelli
vengono a perdere le forze e il valore. Che se vorrai far guerra da una parte a qualche
vizio e diletto particolare e dall’altra attendere ad altri diletti terreni, benché
non siano mortali ma veniali, dura e sanguinosa sarà la guerra e molto incerta
e rara la vittoria. Perciò terrai sempre a mente quelle sentenze divine: ìChi
ama la sua vita la perde e chi odia la sua vita in questo mondo la conserverà
per la vita eternaî (Gv 12,25). ìCosì dunque fratelli, noi siamo
debitori, ma non verso la carne per vivere secondo la carne; poiché se vivete
secondo la carne, voi morirete; se invece con l’aiuto dello Spirito voi fate morire
le opere del corpo, vivreteî (Rm 8,12-13).
Sesto. E per ultimo ti avviso che sarebbe bene e forse necessario che tu facessi
prima una confessione generale con tutti quei dovuti modi, per assicurarti maggiormente
di stare in grazia del tuo Signore, da cui si devono aspettare tutte le grazie e
tutte le vittorie.
CAPITOLO
XXXIV
Le virtù si devono acquistare a poco a poco, esercitandosi per gradi e attendendo
prima all’una e poi all’altra
Benché il vero soldato di Cristo che aspira al culmine della perfezione non
debba mai porre alcun termine al suo progresso, tuttavia alcuni fervori di spirito
devono essere frenati con una certa discrezione. Abbracciati massimamente all’inizio
con troppo ardore, essi poi vengono meno e ci lasciano a mezza strada. Perciò
oltre a quello che si è detto intorno alla moderazione circa gli esercizi
esterni, si sappia per giunta che anche le virtù interne si devono acquistare
a poco a poco e secondo i loro gradi, perché così il poco diventa subito
molto e duraturo. Per esempio nelle avversità non dobbiamo ordinariamente
esercitarci nel rallegrarcene e nel desiderarle, se prima non siamo passati per i
gradi più bassi della virtù della pazienza. E non ti consiglio di attendere
principalmente a tutte né a molte virtù insieme, ma a una sola e poi
alle altre, perché così si pianta più agevolmente e fermamente
nell’anima l’abitudine virtuosa. Infatti con l’esercizio continuo d’una sola virtù
la memoria corre più prontamente a quella in ogni occasione; l’intelletto
si va facendo sempre più acuto nel trovare nuovi modi e nuove ragioni per
acquistarla; la volontà vi s’inclina più facilmente e con maggior affetto:
cosa che queste potenze farebbero pochissimo, se si occupassero nell’acquisto di
parecchie virtù.
E gli atti riguardanti una sola virtù, per la conformità che hanno
tra loro, si vengono a fare meno faticosi con questo uniforme esercizio, poiché
l’uno chiama e aiuta l’altro suo simile; e per questa somiglianza si imprimono maggiormente
in noi, trovando la sede del cuore già pronta e disposta a ricevere quelli
che di nuovo si producono, come prima diede luogo agli altri ad essi conformi.
Queste ragioni hanno tanta maggior forza, quanto più sappiamo con certezza
che chiunque si esercita bene in una virtù apprende anche il modo di esercitarsi
nell’altra; e così con l’aumento di una, crescono tutte insieme per l’inseparabile
legame che hanno tra loro, essendo raggi procedenti da una stessa divina luce.
CAPITOLO
XXXV
I mezzi con i quali si acquistano le virtù. Come ce ne dobbiamo servire per
attendere a una sola virtù per qualche spazio di tempo
Per acquistare le virtù, oltre quello che dicemmo sopra, si richiedono un
animo generoso e grande e una volontà non fiacca né rilassata, ma risoluta
e forte, insieme al presupposto certo di dover passare per molte cose contrarie e
aspre. Inoltre bisogna avere verso le virtù particolare inclinazione e affezione,
che si potranno conseguire considerando spesso quanto piacciano a Dio, quanto siano
nobili ed eccellenti in se stesse e a noi utili e necessarie, poiché da esse
ha principio e in esse ha fine ogni perfezione.
Si facciano ogni mattina efficaci proponimenti di esercitarsi nelle virtù
secondo le cose che verosimilmente capiteranno in quel giorno nel quale più
volte ci dobbiamo esaminare se li abbiamo eseguiti o no, rinnovandoli poi più
vivamente. E tutto ciò particolarmente intorno alla virtù che allora
vogliamo praticare. Allo stesso modo gli esempi dei santi, le nostre preghiere, le
meditazioni della vita e della passione di Cristo tanto necessarie in ogni esercizio
spirituale, tutto serva principalmente per quella stessa virtù nella quale
allora ci eserciteremo.
La medesima cosa si faccia in tutte le occasioni sia pure diverse tra loro, come
dimostreremo in modo particolare più avanti. Cerchiamo di abituarci talmente
agli atti virtuosi interni ed esterni, da farli con quella prontezza e quella facilità
con cui prima facevamo gli altri conformi alle voglie naturali. E quanto più
saranno a queste contrari, come dicemmo in altro luogo, tanto più presto introdurranno
l’abitudine virtuosa nell’anima nostra.
I sacri detti della divina Scrittura, espressi con la voce o almeno con la mente
nel modo conveniente, hanno una forza meravigliosa per aiutarci in questo esercizio.
Perciò se ne abbiano a disposizione molti intorno alla virtù che stiamo
praticando e si dicano durante il giorno e specialmente quando insorge la passione
contraria. Per esempio: se stiamo attendendo all’acquisto della pazienza, potremo
dire i seguenti detti o altri simili: ìFigli, sopportate con pazienza la collera
che da Dio è venuta su di voiî (Bar 4,25); ìLa speranza degli afflitti
non resterà delusaî (Sal 9,19); ìIl paziente val più di un eroe,
chi domina se stesso val più di chi conquista una cittàî (Pro 16,32);
ìCon la vostra perseveranza salverete le vostre animeî (Lc 21,19); ìCorriamo
con perseveranza nella corsa che ci sta davantiî (Eb 12, 1).
Parimenti per lo stesso scopo potremo dire le seguenti o simili orazioncelle: ìQuando,
Dio mio, questo mio cuore sarà armato dello scudo della pazienza? Quando,
per dare gioia al mio Signore, sopporterò con animo tranquillo ogni travaglio?
O pene troppo care, che mi fanno simile al mio Signore Gesù per me torturato!
Sarà mai, unica vita dell’anima mia, che per tua gloria io viva contenta tra
mille angosce? Me beato, se in mezzo al fuoco delle tribolazioni arderò dalla
voglia di sostenere cose maggiori!î.
Ci serviremo di queste e di altre orazioncelle, che siano conformi al nostro progresso
nelle virtù e che lo spirito della devozione insegnerà. Queste orazioncelle
si chiamano giaculatorie, perché sono come giavellotti e dardi che si lanciano
verso il cielo e hanno grande forza per eccitarci alla virtù e penetrare fino
nel cuore di Dio se sono accompagnate da due cose, quasi da due ali. L’una è
la vera conoscenza della gioia che Dio prova per il nostro esercizio delle virtù.
L’altra è un vero e ardente desiderio di acquistarle al solo scopo di essere
graditi a sua divina Maestà.
CAPITOLO
XXXVI
Nell’esercizio della virtù si deve camminare con sollecitudine continua
Fra tutte le cose più importanti e necessarie per l’acquisto delle virtù,
oltre a quelle insegnate sopra, una è questa: per raggiungere il fine che
qui ci proponiamo, bisogna continuare andando sempre avanti, altrimenti con il solo
fermarsi si torna indietro. Perché quando noi cessiamo dagli atti virtuosi,
ne segue necessariamente che, per violenta inclinazione dell’appetito sensitivo e
delle altre cose che esteriormente ci muovono, si generino in noi molte passioni
disordinate. Queste distruggono o almeno diminuiscono le virtù e inoltre restiamo
privi di molte grazie e doni, che avremmo potuto ottenere dal Signore se avessimo
fatto progresso. Perciò il cammino spirituale è differente dal cammino
che fa il viandante per terra: in questo con il fermarsi non si perde niente del
viaggio già fatto, mentre invece si perde in quello. E inoltre la stanchezza
di chi fa il cammino a piedi aumenta con la continuazione del movimento corporale;
mentre nella via dello spirito quanto più si cammina avanti, tanto più
si acquista sempre maggior forza e vigore.
Questo capita perché con l’esercizio virtuoso la parte inferiore, che con
la sua resistenza rendeva aspro e faticoso il sentiero, si debilita sempre più;
invece la parte superiore, nella quale risiede la virtù, si stabilisce e si
fortifica di più. Perciò progredendo nel bene, va scemando qualche
pena che vi si sente, e una certa segreta giocondità, che per l’azione divina
si mescola con la stessa pena, in ogni ora si va facendo maggiore. A questo modo,
continuando ad andare sempre con più facilità e diletto di virtù
in virtù, si arriva finalmente alla sommità del monte dove l’anima,
diventata perfetta, opera poi senza fastidio; anzi opera con gusto e giubilo perché,
avendo già vinto e domato le passioni sregolate ed elevandosi sopra tutto
il creato e sopra se stessa, vive felicemente nel cuore dell’Altissimo e quivi prende
riposo soavemente faticando.
CAPITOLO
XXXVII
Dovendosi sempre continuare nell’esercizio delle virtù, non si devono fuggire
le occasioni che ci si presentano per acquistarle
Abbiamo visto assai chiaramente che nel viaggio tendente alla perfezione, ci conviene
camminare sempre avanti senza fermarsi. Per fare questo, stiamo bene attenti e vigilanti
a non lasciarci sfuggire qualunque occasione che ci si presenti per acquistare le
virtù. Per cui non pensano bene quelli che si allontanano quanto possono dalle
cose contrarie che potrebbero servire a questo scopo.
Per non discostarmi dal solito esempio, ti dico: desideri acquistare l’abitudine
alla pazienza? Non è bene che ti allontani da quelle persone, da quelle azioni
e da quei pensieri che ti muovono all’impazienza. E perciò non devi evitare
di trattare con qualcuno, benché ti sia molesto; ma, conversando e trattando
con chiunque ti procuri noia, tieni sempre disposta e pronta la volontà a
tollerare qualsiasi cosa ti possa capitare di increscioso e di molesto; se facessi
diversamente, non ti abitueresti mai alla pazienza.
Parimenti se un’azione ti reca fastidio o per se stessa o per chi te l’ha imposta
o perché ti svia dal fare altra cosa a te più gradita, non esitare
a intraprenderla e a continuarla anche se te ne sentissi inquieta e ne potessi trovare
quiete lasciandola. In tal modo non impareresti mai a patire e la tua non sarebbe
vera quiete, non procedendo da un animo purificato dalla passione e ornato di virtù.
La stessa cosa ti dico dei pensieri noiosi, che alcune volte travagliano e conturbano
la tua mente: non li devi scacciare del tutto da te, perché, con la pena che
ti danno, ti servono nello stesso tempo per assuefarti alla tolleranza delle contrarietà.
E chi ti dice diversamente ti insegna piuttosto a fuggire il travaglio che ne senti,
anziché a conseguire la virtù che desideri.
E ben vero che conviene, massimamente al giovane soldato, temporeggiare e destreggiarsi
nelle dette occasioni con avvertenza e con abilità, ora affrontandole ora
scansandole secondo che più o meno va acquistando virtù e forza di
spirito. Ma non si deve mai in tutto voltare le spalle e ritirarsi in modo da lasciarsi
completamente dietro ogni occasione di contrarietà, perché, se per
allora ci salvassimo dal pericolo di cadere, per l’avvenire saremmo esposti con maggior
rischio ai colpi dell’impazienza, non essendoci prima armati e fortificati con l’uso
della virtù contraria.
Questi moniti però non hanno luogo nel vizio della carne, di cui abbiamo già
trattato dettagliatamente.
CAPITOLO
XXXVIII
Bisogna aver care tutte le occasioni di combattere per l’acquisto delle virtù,
particolarmente quelle che comportano più difficoltà
Figliuola, non mi contento che tu non schivi le occasioni che ti si fanno incontro
per l’acquisto della virtù, ma voglio che come cosa di gran valore e di grande
stima siano a volte da te cercate e abbracciate sempre lietamente, appena si presentano;
e voglio che tu reputi più preziose e care quelle che sono più spiacevoli
per la tua sensibilità: questo ti verrà concesso con l’aiuto divino,
se ti imprimerai bene nella mente le seguenti considerazioni.
L’una è che le occasioni sono mezzi proporzionati, anzi necessari, per acquistare
le virtù. Per cui quando tu chiedi queste al Signore, di conseguenza chiedi
anche quelle, altrimenti la tua preghiera sarebbe vana e tu verresti a contraddire
te stessa e a tentare Dio, poiché egli ordinariamente non dà la pazienza
senza le tribolazioni né l’umiltà senza i disprezzi.
La stessa cosa si può dire di tutte le altre virtù, che si conseguono
senza dubbio per mezzo delle contrarietà. Essi ci sono di tanto maggior aiuto
per questo scopo, che ci devono essere perciò tanto più care e gradite
quanto più sono faticose: infatti gli atti che noi facciamo in tali casi più
sono generosi e forti, più agevolmente e più presto ci aprono la strada
alla virtù. Sono però da stimare e da non lasciare senza il loro esercizio
anche le minime occasioni, come di uno sguardo o di una parola contro la nostra volontà,
poiché gli atti che vi si fanno sono più frequenti benché meno
intensi di quelli che sono da noi prodotti nelle difficoltà importanti.
L’altra considerazione accennata anche sopra è questa: tutte le cose che ci
succedono vengono da Dio per nostro beneficio e perché noi ne ricaviamo frutto.
E quantunque di queste cose alcune che sono mancanze nostre o di altri, come dicemmo
pure in altro luogo, non si può dire che siano di Dio, che non vuole il peccato,
sono però da Dio in quanto egli le permette e non le impedisce, pur potendolo
fare. Tutte le afflizioni e le pene che ci capitano o per nostri difetti o per malignità
altrui sono da Dio e di Dio, poiché egli in quelle interviene. E ciò
che non vorrebbe che si facesse in quanto contiene deformità grandemente odiosa
ai suoi occhi purissimi, vuole che si patisca per quel bene di virtù che noi
ne possiamo trarre e per altre giuste cause a noi occulte.
Perciò, essendo noi più che certi che il Signore vuole che sosteniamo
volentieri qualunque molestia ci venga dalle altrui o anche dalle nostre ingiuste
azioni, il dire, come per una siffatta scusa della loro impazienza dicono molti,
che Dio non vuole anzi aborrisce le cose mal fatte, non è altro che coprire
la propria colpa con un vano pretesto e rifiutare la croce: infatti non possiamo
negare che a lui piace che noi la portiamo (cfr. Lc 9,23).
Anzi dico di più: in confronto al resto, il Signore ama più in noi
la sopportazione di quelle pene che derivano dall’iniquità degli uomini, specialmente
se sono stati prima serviti e beneficati, anziché le molestie che procedono
da altre penose circostanze. E ciò sia perché ordinariamente più
in quelle che in queste la natura superba si reprime e sia ancora perché,
sostenendole noi volentieri, accontentiamo ed esaltiamo pienamente il nostro Dio,
cooperando con lui in una cosa dove sommamente splendono la sua ineffabile bontà
e onnipotenza: essa consiste nel cogliere dal pestifero veleno della malizia e del
peccato il prezioso e saporito frutto della virtù e del bene.
Perciò sappi, figliuola, che non appena il Signore scopre in noi il vivo desiderio
di riuscire davvero e di attendere come si deve a così glorioso acquisto,
subito ci prepara il calice delle più forti tentazioni e delle occasioni più
dure possibili perché a suo tempo lo prendiamo. E noi, riconoscendo in ciò
l’amore suo e il nostro proprio bene, lo dobbiamo ricevere volentieri a occhi chiusi
e berlo tutto fino in fondo sicuramente e prontamente, poiché è medicina
composta da una mano che non può errare, con ingredienti tanto più
utili all’anima quanto più in se stessi sono amari.
CAPITOLO
XXXIX
Come possiamo valerci di diverse occasioni per l’esercizio di una stessa virtù
Si è visto sopra come per qualche tempo sia più fruttuoso l’esercizio
di una sola virtù che di molte insieme e che secondo quella bisogna regolare
le occasioni che si incontrano, benché tra loro diverse. Ora considera come
ciò si possa eseguire assai facilmente.
Forse accadrà in uno stesso giorno e anche nella stessa ora d’essere ripresi
per un’azione che tuttavia è buona, o che per altro si mormori di noi; che
ci sia duramente negato qualche favore da noi richiesto o qualsivoglia ben piccola
cosa; che si pensi male di noi senza ragione; che ci sopravvenga qualche dolore corporale;
che ci sia imposta qualche faccenda noiosa; che ci sia offerta una vivanda mal condita
o che ci avvengano altre cose più importanti e dure da tollerare, delle quali
è piena la miserabile vita umana. Pur potendo produrre diversi atti di virtù
nella varietà di questi o di simili avvenimenti, nondimeno, volendo osservare
la regola mostrata, ci andremo esercitando con atti tutti conformi alla virtù
che allora avremo per le mani.
Per esempio: se nel tempo in cui verranno le dette occasioni ci eserciteremo nella
pazienza, produrremo atti che siano finalizzati a sopportarle tutte volentieri e
con allegrezza d’animo. Se il nostro esercizio sarà di umiltà, in tutte
quelle contrarietà ci conosceremo degni di ogni male. Se di obbedienza, ci
sottoporremo prontamente alla mano potentissima di Dio e per sua compiacenza (poiché
egli così vuole) alle creature ragionevoli e anche inanimate, dalle quali
ci vengono queste contrarietà. Se di povertà, ci contenteremo di essere
spogliati e privi di ogni consolazione o grande o piccola di questo mondo. Se di
carità, produrremo atti d’amore e verso il nostro prossimo, come strumento
del bene che possiamo acquistare, e verso il Signore Dio, come principale e amorosa
causa, da cui procedono o sono permessi quegli incomodi per nostro esercizio e spirituale
profitto.
E da quanto diciamo intorno ai diversi avvenimenti che possono avvenire per ciascun
giorno, si comprende nello stesso tempo come in una sola occasione d’infermità
o di altro travaglio lungamente protratti possiamo andare facendo atti di quella
virtù in cui allora ci stiamo esercitando.
CAPITOLO
XL
Il tempo da impiegare nell’esercizio di ciascuna virtù e i segni del nostro
profitto
Quanto al tempo nel quale bisogna continuare nell’esercizio di ciascuna virtù
non sta a me determinarlo, poiché ciò si deve regolare in base allo
stato e al bisogno dei singoli, al progresso che si va facendo nella via dello spirito
e al giudizio di chi ci guida per quella via. Ma se vi si attendesse davvero con
quei modi e con quella sollecitudine di cui abbiamo parlato, senza dubbio in non
molte settimane ci si avvantaggerebbe moltissimo.
E’ segno d’aver fatto progresso nella virtù quando nell’aridità, fra
le tenebre e le angustie dell’anima e nella privazione dei gusti spirituali saldamente
si va continuando negli esercizi virtuosi. Di ciò darà anche assai
chiaro indizio il contrasto che, nel produrre gli atti della virtù, ci farà
la sensualità: quanto questa andrà perdendo di forze, tanto sarà
da stimare d’aver avanzato in quella. Perciò non provando contraddizione e
ribellione nella parte sensuale e inferiore, massimamente fra gli assalti subitanei
e improvvisi, sarà segno, questo, che abbiamo già conseguito la virtù.
E quanto i nostri atti saranno accompagnati da maggior prontezza e allegrezza di
spirito, tanto più potremo pensare di aver progredito in questo esercizio.
Si avverta però che non dobbiamo mai convincerci, come se fosse cosa certa,
di essere possessori delle virtù e del tutto vittoriosi su alcuna nostra passione,
benché dopo molto tempo e molte battaglie non avessimo sentito i suoi stimoli:
infatti qui possono ancora insinuarsi l’astuta azione del demonio e la nostra natura
ingannevole. Per cui alle volte è vizio quello che per occulta superbia pare
virtù. Inoltre se miriamo alla perfezione alla quale Dio ci chiama, pur avendo
fatto molto cammino nella via della virtù, dovremo persuaderci di non essere
nemmeno entrati nei suoi primi confini.
Perciò tu, come novella guerriera e quasi bambina proprio allora nata per
combattere, ripiglia sempre come da principio i tuoi esercizi quasi che nulla avessi
precedentemente fatto. E ti ricordo, figliuola, di attendere piuttosto ad andare
avanti nelle virtù che a fare un esame minuzioso del proprio profitto, perché
il Signore Dio, vero e solo scrutatore dei nostri cuori, ad alcuni fa conoscere ciò
e ad alcuni no, secondo che vede se a tale cognizione seguirà o umiliazione
o superbia; e, come Padre amorevole, agli uni toglie il pericolo e agli altri porge
occasione di crescere nelle virtù. E perciò, benché l’anima
non si avveda del suo progresso, seguiti pure nei suoi esercizi, perché lo
vedrà quando piacerà al Signore, per suo maggior bene.
CAPITOLO
XLI
Non dobbiamo lasciarci prendere dalla voglia di essere liberi dai travagli che sosteniamo
pazientemente.
Il modo di regolare tutti i nostri desideri perché siano virtuosi
Quando ti ritrovi in qualunque cosa sia pure penosa e la sostieni con animo paziente,
sta’ attenta a non lasciarti mai persuadere dal demonio o dal tuo amor proprio a
desiderarne la liberazione, perché da ciò ti verrebbero due danni principali.
L’uno è che, qualora questo desiderio non ti togliesse sul momento la virtù
della pazienza, almeno a poco a poco ti andrebbe disponendo all’impazienza.
L’altro è che la tua pazienza si renderebbe difettosa e sarebbe ricompensata
da Dio solamente per quello spazio di tempo in cui tu patissi. Invece se tu non avessi
desiderato la liberazione, ma ti fossi del tutto rimessa alla sua divina bontà,
benché in effetti il tuo patire fosse stato di un’ora sola e anche meno, il
Signore lo avrebbe riconosciuto per un servizio di lunghissimo tempo.
Perciò in questa e in tutte le cose abbi per regola universale di tenere i
tuoi desideri così lontani da ogni altro oggetto, da mirare puramente e semplicemente
al loro vero e unico scopo, che è il volere di Dio. In tal modo essi saranno
giusti e retti e tu in qualunque contrarietà starai non solo quieta ma contenta:
non potendo accadere nessuna cosa senza la suprema volontà, volendo tu quella,
ti disporrai a volere insieme e a ricevere tutto ciò che desideri e che succede
in ogni circostanza.
Questo, che non si intende dei peccati tuoi o altrui poiché Dio non li vuole,
avviene in ogni pena causata dai peccati stessi o da qualche altro motivo, anche
se essa fosse tanto violenta e penetrasse così addentro che, toccando il fondo
del cuore, quasi seccasse le radici della vita naturale: anche questa è croce
con cui Dio si compiace favorire talora i suoi amici più intimi e cari.
E ciò che dico della sofferenza che incontri in ogni caso, intendilo riferito
anche a quella parte di ciascun travaglio che rimane, e che il Signore desidera che
noi sosteniamo, dopo aver usato tutti i mezzi leciti per liberarcene. Anche questi
si devono regolare in base alla disposizione e alla volontà di Dio, il quale
li ha ordinati allo scopo che ce ne serviamo, perché egli così vuole,
e non con attaccamento a noi stessi, né perché amiamo e desideriamo
la liberazione dalle cose moleste più di quanto, appunto, il suo servizio
e il suo beneplacito richiedono.
CAPITOLO
XLII
Il modo di opporsi al demonio, mentre cerca di ingannarci con l’indiscrezione
Quando il sagace demonio si avvede che con vivi e ben ordinati desideri camminiamo
dritto per la via delle virtù, non potendoci tirare dalla sua parte con aperti
inganni si trasfigura in angelo di luce. Quindi con amichevoli pensieri, con sentenze
della Scrittura e con esempi dei santi in modo importuno ci sollecita a camminare
con indiscrezione verso il culmine della perfezione, per farci poi cadere nel precipizio.
Perciò ci esorta a castigare aspramente il corpo con discipline, astinenze,
cilizi e altre simili afflizioni perché o ci insuperbiamo sembrandoci (come
capita particolarmente alle donne) di fare cose grandi o perché, sopraggiungendo
qualche infermità, diventiamo inabili alle opere buone, o perché per
troppa fatica e pena ci vengano a noia e ripugnanza gli esercizi spirituali. Così,
a poco a poco, intiepiditi nel bene, con maggiore avidità di prima ci daremo
in preda ai diletti e ai passatempi terreni: questo è avvenuto a molti che,
seguendo con presunzione di spirito l’impeto di uno zelo indiscreto e oltrepassando
con sproporzionati patimenti esteriori la misura della propria virtù, sono
periti nelle loro invenzioni e sono diventati motivo di derisione per i maligni demoni.
Il che non sarebbe loro successo, se avessero bene considerato le cose suddette e
che questa specie di atti penosi, sebbene siano lodevoli e apportino frutto qualora
vi siano forze corporali e umiltà di spirito corrispondenti, ha bisogno di
misura conforme alla qualità e alla natura di ciascuno.
A chi non può in questa vita aspra tribolare con i santi, non mancano altre
occasioni per imitarne la vita con grandi ed efficaci desideri e con orazioni ferventi,
aspirando alle più gloriose corone dovute ai veri combattimenti per Gesù
Cristo col disprezzare il mondo intero e anche se stesso; col darsi al silenzio e
alla solitudine; con l’essere umile e mansueto con tutti; col patire il male e fare
il bene a chiunque gli è più contrario e con il guardarsi da ogni colpa
anche leggera. Questa è cosa più gradita a Dio degli esercizi che affliggono
il corpo: in essi io ti consiglio di essere piuttosto discretamente parca per poterli
accrescere nel bisogno, anziché con certi eccessi ridurti al punto di doverli
abbandonare.
Infatti già io credo che non stai affatto per cadere nell’errore di alcuni,
ritenuti per altro spirituali, i quali, allettati e ingannati dalla lusinghevole
natura, sono troppo diligenti nel conservare la loro salute corporale. E se ne mostrano
tanto gelosi e ansiosi, che per una minima cosa stanno sempre in dubbio e nel timore
di perderla: infatti non vi è cosa che pensino e trattino più volentieri
di come regolarsi in questa parte della loro vita. Perciò attendono continuamente
a procurarsi cibi conformi più al gusto che al loro stomaco, il quale molte
volte si indebolisce per eccessiva delicatezza. E mentre si fa questo sotto pretesto
di poter meglio servire Dio, non è altro che voler accordare insieme senza
alcun vantaggio, anzi con danno dell’uno e dell’altro, due nemici capitali che sono
spirito e corpo, poiché, con siffatta sollecitudine, a questo si toglie sanità
e a quello devozione.
E perciò è più sicuro e giovevole sotto ogni aspetto un certo
modo di vivere libero, non disgiunto però da quella discrezione di cui ho
parlato, avendo riguardo per le diverse condizioni e costituzioni fisiche, che non
soggiacciono tutte a una stessa regola. Inoltre aggiungo che non solo nelle cose
esteriori, ma anche nell’acquistare le virtù interiori dobbiamo procedere
con qualche moderazione, come si è precedentemente dimostrato a proposito
della conquista graduale delle virtù.
CAPITOLO
XLIII
Quanto possano in noi la nostra cattiva inclinazione e l’istigazione del demonio
per indurci a giudicare temerariamente il prossimo. Il modo di fare loro resistenza
Dal suddetto vizio della propria stima e reputazione ne nasce un altro, che ci porta
gravissimo danno ed è il giudizio temerario sul nostro prossimo che consideriamo
vile, disprezziamo e abbassiamo. Questo difetto, siccome ha la sua origine nella
cattiva inclinazione e nella superbia, così da essa viene volentieri fomentato
e nutrito. Insieme a tale difetto, anche la superbia si va accrescendo, compiacendo
e ingannando insensibilmente: infatti senza avvedercene tanto più presumiamo
di innalzare noi stessi, quanto più nella nostra opinione deprimiamo gli altri
sembrandoci di essere lontani da quelle imperfezioni che crediamo di trovare in essi.
Il sagace demonio, scorgendo in noi siffatta pessima disposizione d’animo, vigila
continuamente per aprirci gli occhi e tenerci svegli per vedere, esaminare e ingrandire
le mancanze altrui. Le persone superficiali non credono e non conoscono quanto egli
si adoperi e studi per imprimere nelle nostre menti i piccoli difetti di questo e
di quello, non potendovi imprimere i grandi. Però se egli vigila a tuo danno,
sta’ desta anche tu per non cadere nei suoi lacci; e appena ti presenta qualche errore
del tuo prossimo, ritira subito da quello il pensiero, e se pure ti senti muovere
al giudizio, non ti lasciar indurre ad esso. Considera, invece, che a te non è
stata data questa facoltà (cfr. Mt 7, 1; Lc 6,3 7; 1 C or 4,5): benché
così fosse, non potresti darne un giudizio retto, trovandoti attorniata da
mille passioni e purtroppo inclinata a pensar male senza giusto motivo.
Ma per efficace rimedio di ciò ti ricordo di essere occupata col pensiero
nei bisogni del tuo cuore, perché sempre più ti andrai accorgendo di
avere tanto da fare e da tribolare in te e per te, che non ti avanzerà tempo
né avrai voglia di badare ai fatti altrui. Inoltre attendendo a tale esercizio
nel modo conveniente, purificherai sempre più il tuo occhio interiore da quei
cattivi umori da cui procede questo vizio pestifero. E sappi che quando malauguratamente
pensi alcun male del fratello, qualche radice dello stesso male è nel tuo
cuore, il quale, secondo che si trova mal disposto, così riceve in sé
ogni oggetto simile che gli si fa incontro.
Perciò quando ti senti spinta a giudicare gli altri di qualche difetto, sdegnata
contro di te come se fossi colpevole di quello stesso difetto, dirai nell’animo tuo:
ìEssendo io misera sepolta in questo e in più gravi difetti, come avrò
l’ardire di levare il capo per vedere e giudicare quelli degli altri?î. E così
le armi che, indirizzate contro altri venivano a ferire te, adoperate contro di te
porteranno salute alle tue piaghe.
Che se l’errore commesso è chiaro e manifesto, scusalo con affetto pietoso
e credi che in quel fratello vi siano delle virtù nascoste. Per custodirle
il Signore permette che egli cada o abbia per qualche tempo quel difetto, perché
si mantenga più umile agli occhi suoi e a causa anche del disprezzo altrui
ne ricavi frutto di umiliazione e si renda più gradito a Dio. E così
il guadagno suo sarà maggiore della perdita.
Se il peccato è non solo manifesto ma grave e dovuto a un cuore ostinato,
ricorri con il pensiero ai tremendi giudizi di Dio. Alla luce di essi vedrai che
uomini prima scelleratissimi hanno poi raggiunto una grande santità; mentre
vedrai che altri dal più sublime stato di perfezione, al quale pareva fossero
pervenuti, sono caduti in un miserevole precipizio. Perciò vivi sempre in
timore e tremore di te stessa (cfr. Fil 2,12), più che di alcun altro.
E convinciti che tutto quel bene che credi del tuo prossimo e per il quale gioisci,
è effetto dello Spirito Santo; mentre ogni disprezzo, giudizio temerario e
asprezza contro di lui provengono dalla propria malizia e dalla suggestione diabolica.
Però se qualche imperfezione altrui avesse fatto in te impressione, non ti
rassegnare mai né da’ sonno agli occhi tuoi finché non te la levi dal
cuore per quanto ti è possibile.
prossima |