«Procreazione
Responsabile»
di Lino Ciccone
3. QUANTI FIGLI?
La dottrina
del Concilio:
«Gaudium
et Spes» numero 50
Come già
si è accennato, gli insegnamenti della Chiesa su questo punto li troviamo
nel Concilio, precisamente nella «Gaudium et Spes» n. 50. Ne abbiamo
già raccolto qualcuno a proposito del concetto di procreazione e di responsabilità.
Tutto quello che
il Concilio dice qui, tende a dare una risposta concreta alla domanda: «Cosa
si richiede perché ogni decisione circa il procreare da parte degli sposi
sia veramente responsabile?».
Una prima indicazione
di carattere generale, ma di importanza fondamentale, è quella di agire in
conformità con la loro condizione di «cooperatori dell’amore di Dio
creatore e quasi suoi interpreti». Ciò vuol dire: scoprire il progetto
di Dio, e non inventarne uno autonomamente. E la via da seguire è
quella di cercare quale tra le possibili decisioni (dare subito il via al processo
procreativo, attendere poco o molto tempo ecc.) risulti capace di giovare al vero
bene di tutte le persone più strettamente in causa (gli sposi stessi, i figli
già nati e quelli in previsione) nella situazione concreta del momento. «Vero
bene», quale risulta «davanti a Dio», in base a «riflessione
e impegno comune» da parte degli sposi.
Sono tutte avvertenze
precise, per evitare il rischio di seguire, più o meno consapevolmente, ben
altri criteri, cioèquelli suggeriti dalla cultura dominante, con le sue forti
e suadenti spinte verso un benessere crescente, puramente materiale. È dunque
attraverso una lettura di fede della situazione che ogni coppia di sposi può
scoprire il progetto di Dio, in questo, come in ogni ambito della vita.
Scoprire e
accogliere il progetto di Dio, questa è l’autentica responsabilità
nel progettare la fecondità della coppia. Ed è allora responsabile
sia «la deliberazione ponderata e generosa di far crescere una famiglia numerosa,
sia la decisione, presa per gravi motivi (…) di evitare temporaneamente o anche
a tempo indeterminato, una nuova nascita» (HV 10). Il Concilio però
esorta gli sposi a una «generosa umana e cristiana responsabilità, fidando
nella divina Provvidenza, e coltivando lo spirito di sacrificio» (GS 50).
Un invito particolarmente attuale per i tanti Paesi in cui il modello dominante di
famiglia è quello di coppia di sposi con un solo figlio, o al massimo due.
Può essere
utile qualche breve annotazione.
1. Motivare così
responsabilmente il progetto di fecondità è di particolare importanza
dal punto di vista morale. Tanto che una decisione di non procreare per motivi
di comodo o di egoismo, compromette in partenza ogni susseguente scelta di comportamento
sessuale. Fosse anche l’astensione completa, se voluta per egoismo, perderebbe ogni
valenza morale positiva.
2. Ciò
non vuol dire però che la riscontrata presenza di motivi gravi per evitare
di procreare, basti da sola per rendere lecito agli sposi qualunque mezzo per attuare
tale decisione. Stabilita la liceità di un obiettivo da conseguire, non ne
segue che tutti i mezzi per conseguirlo siano leciti. Esistono mezzi leciti e
mezzi illeciti. Questo in ogni campo. La tesi che «il fine giustifica i
mezzi» non appartiene a nessuna etica degna dell’uomo. Vedremo tra poco che
il Concilio lo richiama esplicitamente nel campo che qui ci interessa.
3. Proprio questo
aspetto particolarmente importante nella procreazione responsabile sembra largamente
ignorato e disatteso da moltissimi coniugi. Il progetto di fecondità di coppia
è troppe volte frutto o di un semplice conformismo con l’accennato modello
dominante di famiglia, oppure di sentimenti incontrollati di paura del futuro.