«Il
silenzio interiore di S. Giuseppe»
di un eremita anonimo
Quanto sia importante osservare il silenzio ad imitazione di S. Giuseppe
“Il
silenzio ben inteso, unito al timor di Dio, è come un carro di fuoco che porta
l’anima al cielo come fu portato il profeta Elia. O silenzio! felicità delle
anime interiori, scala dei cielo, strada dei regno di Dio; o silenzio! Sorgente della
compunzione, specchio in cui il peccatore vede i suoi peccati, principio di luce,
di mitezza, di umiltà, freno all’udito, salvaguardia degli occhi, legame della
lingua; o silenzio! Porto sicuro ove si trova la tranquillità dell’anima,
scuola della lettura, dell’orazione, della contemplazione, aiuto per acquistare tutte
le virtù e sorgente di ogni bene” (S. Giovanni Crisostomo).
L’ elogio sul silenzio fatto da questo Padre della Chiesa, ha come scopo farcelo
stimare, amare e praticare. Fermiamoci a farne alcune considerazioni.
Il silenzio è sempre stato considerato come uno dei pilastri portanti e dei
sostegni
più solidi e necessari della vita spirituale.
S. Bernardo dice: “Il silenzio è nostro custode e la nostra forza risiede
in lui; il silenzio è il fondamento della vita spirituale, per mezzo di esso
si acquisisce la giustizia e la virtù: parlate poco con gli uomini e sperate
molto in Dio “.
Il profeta Isaia afferma che “Nel silenzio e nella speranza risiederà
la vostra forza” (30,15).
S. Giacomo ci ammonisce dicendoci che chi aspira alla sapienza e alla virtù,
non ne avrà che l’ombra se non sa frenare la lingua (cf 1,26).
S. Giovanni Climaco dice: “Il silenzio è un declivio insensibile verso
la strada della virtù ed una segreta elevazione verso Dio; il silenzio ci
rende attenti a noi stessi, apre il nostro cuore alle ispirazioni divine, ci dispone
ad accogliere le sue grazie” come ben dice il profeta Geremia: “È
bene aspettare in silenzio la salvezza del Signore” (Lam 3,26)”.
Un monaco diceva all’abate Sisoes: “Padre desidero grandemente conservare la
mia anima pura, che debbo fare? – Fratello, rispose l’abate, lo potete fare col silenzio”.
Inoltre il silenzio è la migliore disposizione all’orazione
Senza di esso la nostra preghiera sarà un pullulare di distrazioni.
Il profeta Osea ci dice: “Perciò, ecco, la attirerò a me, la condurrò
nel deserto e parlerò al suo cuore” (2,9).
È per questo che S. Giovanni Climaco chiama il silenzio “padre dell’orazione”
e dice che colui che accuratamente lo osserva si avvicina a Dio ed è illuminato
dalla sua luce.
Ecco quali sono i frutti dei silenzio, ecco il vero mezzo che ci mette sulla via
della santità ad esempio dei grande S. Giuseppe: il silenzio produce il
raccoglimento, il raccoglimento la devozione, la devozione l’orazione, l’orazione
l’unione con Dio, l’unione con Dio la santità.
Senza il silenzio non può esserci il raccoglimento: più un’anima chiacchiera
e si distrae in cose dei mondo più si svuota perdendo la devozione, e lo spirito
di orazione. Quindi tornerà con molta fatica alla preghiera e all’orazione
mentale e all’unione con Dio.
Il
silenzio interiore di S. Giuseppe
Il silenzio
interiore (apatheia – impassibilità) consiste nella grande pace di tutte le
facoltà dell’anima, nel perfetto riposo di tutte le sue potenze e nella tranquillità
della coscienza Esso nasce dalle parole che Dio sussurra all’orecchio del cuore dei
profeta S. Davide “Ascolterò che cosa dice Dio, il Signore: egli annunzia
la pace per il suo popolo, per i suoi fedeli, per chi ritorna a lui con tutto il
cuore” (Sal 85,9).
Questo silenzio differisce dal sonno in quanto che le anime interiori lo gustano
vegliando. Si vedono talvolta anime inquiete e turbate ritrovare la calma e la pace
dopo aver ascoltato alcune parole proferite da un uomo di Dio.
Si raccolgono in se stesse e sentono il cuore liberato dalle inquietudini che l’agitavano.
Ora quale non doveva essere la virtù delle parole di Gesù e di Maria
per mettere la pace nei cuori?
Ora il fortunato S. Giuseppe ebbe la grazia di vivere accanto al Salvatore e alla
Tutta Santa ed ascoltare dalla loro bocca quelle soavi parole che bastarono a fargli
godere il silenzio interiore quale riflesso della celeste beatitudine.
La vita di S. Giuseppe fu una continua preghiera. In compagnia dei Re dei cielo non
poteva che meditare e gustare le cose dei cielo. Mentre Gesù cresceva in età,
sapienza e grazia davanti a Dio e agli uomini, S. Giuseppe cresceva in raccoglimento
ed unione con il Dio Salvatore; non occupandosi delle cose esteriori se non nella
misura strettamente necessaria ai bisogni della Sacra Famiglia.
S. Bernardino da Siena afferma che il santo padre putativo di Gesù fu innalzato
al più alto grado di contemplazione. Egli ebbe l’altissimo favore di godere
delle più intime comunicazioni dello S. Santo e delle più rare grazie
del Cuore divino di Gesù.
E sebbene sia così necessario e proficuo per il progresso nella vita spirituale
il silenzio esteriore, tuttavia lo è maggiormente quello interiore, poiché
senza questo il primo perde gran parte della sua forza e non produce gli effetti
desiderati: “A che serve la solitudine dei corpo se manca quella dei cuore?”
esclama S. Gregorio.
E l’ imitazione di Cristo: “Colui che desidera servire Dio deve cercare ed amare
la solitudine interiore, senza la quale la solitudine esteriore diventa moltitudine.
Si deve, pertanto stimare maggiormente la solitudine dell’anima o interiore che il
silenzio esteriore. Il silenzio interiore è uno dei più nobili esercizi
che conduce alla santità; per esso l’anima compie grandi cose quando sembra
che non faccia nulla; dice molto quando tace, s’avvicina a Dio e si unisce profondamente
a Lui allontanandosi dalle creature. L’anima parla conversa con qualche creatura
e tace quando non comunica con nessuno. Più il suo cuore si libera da esse
sull’esempio di S. Giuseppe, più pensa e si occupa unicamente di Dio. Alle
volte il silenzio dell’anima differisce da quello dei corpo. Il corpo non può
parlare che per mezzo della lingua; mentre l’anima parla con l’intelletto, con la
volontà, con l’immaginazione e con la passione. Parla con l’intelletto ad
una creatura quando si ricorda di essa e nutre per essa dell’affetto; le parla quando
se la rappresenta davanti e se la immagina; le parla ancora quando è dominata
da una passione per la medesima.
È in questo modo che l’anima parla alle creature. L’ anima tace quando non
fa nulla di tutto questo, e allora si può dire libera quando si occupa di
Dio solo, lo loda, lo adora, lo benedice, lo ringrazia, gli dà gloria, e si
lancia in Lui con atti di fede, speranza e carità. Ma alla perfezione di questo
silenzio interiore l’anima vi giunge quando, non parlando più ad alcuna creatura,
non parla nemmeno a Dio, ma ascolta attentamente con grande rispetto le mozioni della
sua grazia.
Essa Lo vede in se stessa come nel suo tempio; sente interiormente la Sua voce soave,
sapiente, e misericordiosa che le sussurra: “Ascolta figlia, guarda, porgi l’orecchioÖ”
Ed ella risponde; poiché Dio mi onora della sua parola: “Ascolterò
ciò che mi dirà il Signore… e mi dirà parole di pace che arrecano
felicità e gioia” (cf Sal 45,11. 85,9)
È in questo modo che l’anima pratica l’orazione di silenzio, come fece Maria
ai piedi dei Signore, attenta a guardarlo e ad ascoltarlo; ad effondersi e trasformarsi
interamente in lui con tutto l’affetto dei suo cuore.
Eccellenza
del silenzio interiore
Disposizioni necessarie per conseguirlo
Il silenzio
interiore supera in eccellenza tutto quello che noi potremmo dirne; esso è
uno dei più grandi omaggi che possiamo rendere a Dio.
“Tibi silentium laus”. Il silenzio è la tua lode.
Che può mai fare l’uomo davanti all’infinita maestà di Dio, contemplandone
le di Lui perfezioni ? Può soltanto tacere stupito. L’ Areopagita dice che
quando una cosa oltrepassa il nostro concetto, e non si può esprimerla in
parole, si tace.
S. Ambrogio afferma che la cosa più conveniente ai misteri della nostra fede
è quella di meditarli in silenzio. Questo silenzio interiore procura all’anima
beni immensi; la distacca dalle creature per unirla a Dio che è l’unico principio
della sua purezza, santità, forza e perfezione di tutti i beni.
Geremia dice che il solitario siederà in silenzio e con questo s’innalzerà
sopra di sé, delle sue inclinazioni e della sua natura corrotta (cf 15, 17
ssgg.). Questa nuova virtù che divinizza le anime, ha vari gradi di perfezione,
più è perfetta e più fa sentire all’anima ineffabili dolcezze.
Dio che ne è il principio agisce nell’anima con ispirazioni così suadenti
e soavi, tanto che ella si lascia condurre fiduciosamente da Lui. E così fissa
in Dio, perde l’attenzione a se stessa; è come il ferro nel fuoco che si confonde
con esso, è come la stilla di rugiada che si perde nelle onde dell’oceano,
o come il sottile vapore attirato e investito dal sole, il quale pare cessi di essere
ciò che era per essere trasformato in luce.
Questo silenzio, nel Cantico dei cantici, è paragonato al sonno della sposa;
lo sposo proibisce espressamente alle amiche di svegliarla prima che ella lo voglia.
S. Gregorio Magno, S. Bernardo e molti altri Padri applicano queste parole alla contemplazione
e all’orazione di silenzio, perché colui che dorme non parla a nessuno, non
vede e non sente nessuno.
Così è dei silenzio interiore, nel quale si è molto sobri di
relazioni con le creature.
Dio ha dato il sonno all’uomo per la conservazione della sua salute, dopo aver lavorato
tutto il giorno, ha bisogno di non vedere, non ascoltare e tacere. Mentre riposano
le facoltà intellettuali, il corpo si rinvigorisce. Lo stesso avviene dei
sonno dell’orazione e dei silenzio interiore necessario all’anima, la quale occupata
esteriormente da mille impegni, cessa di parlare, di vedere e di udire e di darsi
anche a molte opere buone; ella ha bisogno di riposarsi e di ritemprarsi ed acquistare
nuove forze per agire sempre in modo soprannaturale. Ce lo conferma il Vangelo di
S. Marco al cap. 6,31: Gesù dice agli Apostoli tornati dalla predicazione:
“Venite in disparte, in luogo solitario, a riposarvi un poco”.
Come all’uomo che pur si nutre di buone e sostanziose vivande, se però non
dorme si debilita, così chi si occupa di fare molte opere buone e sante si
debilita si svuota se gli manca il sonno dell’orazione, se non dorme e si ritempra
in essa.
Il P. Baldassare Alvarez ( maestro di S. Teresa d’Avila e dei ven. Ludovico da Puente
gesuita, essendo stato interrogato dal suo Superiore P. Claudio Acquaviva su come
faceva orazione, rispose: “Medito talvolta ruminando nella mia mente qualche
parola della Sacra Scrittura; altre volte ragiono e non medito, ma mi tengo in silenzio
e in riposo davanti a Dio”. Che ricco tesoro è questo silenzio e questo
riposo !……
Quale stima dobbiamo avere dei silenzio interiore!…… Con quale cura lo dobbiamo
praticare! Impegniamoci a non lasciarci dominare dall’urgenza di apostolato ma dominiamo
sempre noi la situazione.
Quanto è necessario l’ordine nella carità! Regola aurea, ma relegata
nel dimenticatoio da molti confessori (e direttori di anime ).
Il primo posto a Dio, poi a noi stessi e poi ai fratelli. Stiamo in guardia che col
pretesto di salvare gli altri non danniamo noi stessi.
L’esagerato diffonderci di noi verso il prossimo, ci inaridisce; la nostra preghiera
diventa superficiale, diventa solo un muovere le labbra di poco o nullo valore.
Raccogliamoci, facciamo tacere “quelle maledette occupazioni” e ascoltiamo
Dio ed una sola sua parola ci gioverà più di mille parole che vorremmo
dire a Lui. Se il Signore ci dice: “Ascolta Israele e non parlare” (cf
Dt 6,4 e altrove) rispondiamo con Samuele: “Parla, Signore, perché il
tuo servo ti ascolta” (1 Sam 3,9).
Il demonio, nemico acerrimo di colui che prega, fa di tutto per immergerci in mille
cose buone in mille occasioni di apostolato, pur di appannarci con le eccessive occupazioni
le soavi mozioni dello S. Spirito che sussurra all’anima silenziosa e orante e disturbarci
anche quando partecipiamo alla Sacra Liturgia.
Stiamo in guardia e ritorniamo con volontà ferma e con l’aiuto di Dio all’interno
di noi stessi per adorare Dio Uno e Trino vivente nel Tempio della nostra anima.
Vigiliamo sulla fantasia (la “matta di casa”) che ci può agitare
ed inquietare con le sue chimere Con fiducia ferma offriamola e deponiamola ai piedi
dei Signore perché la controlli e la imbrigli, e non ci ostacoli nel servizio
soave e pacifico di Sua Divina Maestà
Il grande silenzioso e contemplativo S. Giuseppe interceda presso la sua santissima
sposa ed Ella presso Dio, perché ci ottengano il silenzio interiore mezzo
indispensabile per il nostro progresso spirituale e che Lui praticò fedelissimamente
a Nazareth nella Sacra Famiglia
Sintesi da: card. Giuseppe Calass Vives O.F.M. Cap., Summa Iosephina, Roma
1907: P. Huguet, L’interiore di S. Giuseppe, Torino 1892