Papi
e Concili su San Giuseppe
di B. Martelet
Dichiarando
san Giuseppe patrono della Chiesa universale, il papa Pio IX non faceva altro
che esprimere il sentimento del popolo cristiano e, allo stesso tempo, prolungare
l’insegnamento dei suoi predecessori. Cosi fecero anche i Papi suoi successori. Leone
XIII, dopo la magistrale enciclica Quamquam pluries, la prima dedicata
a san Giuseppe, pubblico il breve Neminem fugit, col quale chiedeva alle famiglie
cristiane di consacrarsi alla santa famiglia di Nazaret, «esemplare perfettissimo
della società domestica e, insieme, un modello di ogni virtù e di ogni
santità».
Pio X coltivava una grande devozione a san Giuseppe, suo patrono di battesimo.
Egli approvo le litanie di questo santo e permise che fossero inserite nei libri
liturgici (1909). In questo agì, dice egli stesso, in piena conformità
coi suoi predecessori Pio IX e Leone XIII. Giuseppe, infatti, è un aiuto potente
e utilissimo per la famiglia e per la società.
Benedetto XV, nel 1920, poco dopo la fine della prima guerra mondiale, pubblico
un’enciclica sulla pace e, poi, un Motu proprio per invitare i vescovi del
mondo intero a celebrare il centenario del patrocinio, esortando i fedeli a rinnovare
la loro devozione a san Giuseppe e alla santa famiglia. Il ricorso a san Giuseppe
è un rimedio « alla situæione difficile nella quale si dibatte
oggi il genere umano ». I suoi esempi e la sua protezione tratterranno sulla
via del dovere e preserveranno dalle false dottrine coloro che si guadagnano la vita
col lavoro in tutto il mondo. Il 26 ottobre 1921, Benedetto XV estese a tutta la
Chiesa la festa della santa famiglia.
Pio XI, il Papa dell’Azione cattolica e delle missioni, pronunzio su san Giuseppe
parole di eccezionale importanza. Questo Papa intrepido non può essere accusato
di leggerezza dottrinale o di pietà sentimentale. Il 21 aprile 1926, in occasione
della beatificazione di Giovanna Antida Thouret e di Andrea Uberto Fournet, egli
precisa i fondamenti del patrocinio di san Giuseppe del quale si celebrava la festa
quel giorno:
«Ecco un santo che entra nella vita e si spende interamente nell’adempimento
d’una missione unica da parte di Dio, la missione di custodire la purezza di Maria,
di proteggere nostro Signore e di nascondere, con la sua ammirabile cooperazione,
il segreto della redenzione. Nella grandezza di questa missione ha le sue radici
la santità singolare e incomparabile di san Giuseppe, poiché una tale
missione non fu affidata a nessun altro santo… è evidente che, in virtù
d’una missione così alta, Giuseppe possedeva già il titolo di gloria
che è suo, quello di patrono della Chiesa universale. Tutta la Chiesa, infatti,
è già presente presso di lui allo stato di germe fecondo ».
Due anni più tardi, il 19 marzo 1928, nella festa di san Giuseppe, egli torna
su questo argomento e dimostra che la missione di san Giuseppe è in un certo
senso più importante di quella di san Giovanni Battista e dello stesso san
Pietro. Fra le due missioni, di Giovanni Battista e di san Pietro, si colloca quella
di san Giuseppe, «missione raccolta, silenziosa, inosservata e sconosciuta,
missione compiuta nell’umiltà e nel silenzio… Là dove è più
profondo il mistero, più densa la notte che lo copre e più grande il
silenzio, là, giustamente, è più alta la missione e più
splendido il corteggio delle virtù richieste e maggiori i meriti che ne derivano.
Missione unica, altissima, quella di custodire la verginità e la santità
di Maria, quella di partecipare al grande mistero nascosto agli occhi dei secoli
e di cooperare così all’incarnazione e alla redenzione ».
Questa missione unica di san Giuseppe sulla terra si traduce, in cielo, in un grande
potere d’intercessione. Pio XI dichiara, il 19 marzo 1935: «Giuseppe è
colui che tutto può presso il divino Redentore e presso la sua divina Madre
in un modo e con un’autorità che superano quelle d’un semplice depositario».
E il 19 marzo 1938: «L’intercessione di Maria è quella della madre;
e non si vede che cosa il suo divin Figlio potrebbe rifiutare a una tal madre. L’intercessione
di Giuseppe è quella dello sposo, del padre putativo, del capo di famiglia.
Essa non può non essere onnipotente, poiché che cosa potrebbero Gesù
e Maria rifiutare a Giuseppe che consacro a loro tutta la sua vita e al quale devono
realmente i mezzi della loro esistenza terrena? ».
Per realizzare il suo motto: «La pace di Cristo nel regno di Cristo»,
Pio XI conta specialmente sull’intercessione di san Giuseppe. Nella sua celebre enciclica
Divini Relemptoris, del 1937, egli dichiara: «Poniamo la grande azione della
Chiesa Cattolica contro il Comunismo ateo mondiale sotto l’egida del potente Protettore
della Chiesa, san Giuseppe. Egli appartiene alla classe operaia e ha sperimentato
il peso della povertà per sé e per la Sacra Famiglia di cui era il
capo vigile ed affettuoso; a lui fu affidato il Fanciullo divino quando Erode sguinzaglio
contro di lui i suoi sicari. Con una vita di fedelissimo adempimento del dovere quotidiano,
ha lasciato un esemplo a tutti quelli che devono guadagnarsi il pane con il lavoro
delle loro mani e merito di essere chiamato il Giusto, esempio vivente di quella
giustizia cristiana, che deve dominare nella vita sociale ».
Pio XII volle cristianizzare la festa del lavoro del 1° maggio istituendo,
per quel giorno, la festa di san Giuseppe lavoratore. Egli si impegno costantemente
a presentare san Giuseppe come protettore ideale di tutte le classi della società
e di tutte le professioni Parlo di questo santo agli operai, ai giovani sposi, ai
militanti e ai bambini. Egli vide il patrocinio di san Giuseppe non come una bella
formula teologica o una pia invocazione, ma come una verità fondamentale.
Giuseppe, come Maria, è intimamente legato alla dottrina del Corpo mistico
di Cristo, che è la Chiesa del cielo e della terra.
Quanto a Giovanni XXIII, diede molte testimonianze della sua devozione a san
Giuseppe. Confessava: «San Giuseppe! io lo amo molto, tanto che non posso cominciare
né chiudere la mia giornata senza che la mia prima parola e il mio ultimo
pensiero siano per lui ». Come nunzio a Parigi, egli visito la casa madre delle
Piccole Sorelle dei Poveri e La-Tour-Saint-Joseph. In quella occasione, confido che
intendeva ricevere la consacrazione episcopale nel giorno di san Giuseppe, «perché
è il patrono dei diplomatici ».
E spiego: « Come san Giuseppe, i diplomatici, nel loro insieme, devono presentare
Gesù e nasconderlo. Come san Giuseppe, essi devono saper tacere, misurare
le parole, sapersi spendere senza badare alla dignità del servizio e, più
ancora, sputare dolce e masticare amaro… ubbidire anche quando non si comprende,
come san Giuseppe quando partì col suo asino».
Divenuto Papa, egli darà a tutti i cristiani queste direttive: dedicarsi alle
umili incombenze come alle missioni interessanti, senza badare alla dignità
di quello che si fa. Giuseppe, sposo di Maria, era un semplice artigiano che si guadagnava
il pane col suo lavoro. Quello che conta davanti a Dio è la fedeltà.
Alla sua elezione, egli rimpianse di non poter prendere il nome di Giuseppe per non
andare contro la tradizione, ma scelse il 19 marzo come data della sua festa.
Il 19 marzo 1959, celebrando la messa per un gruppo di lavoratori della città
di Roma, egli disse: « Tutti i santi canonizzati meritano certamente un onore
e un rispetto particolari, ma è evidente che san Giuseppe ha giustamente un
posto suo proprio più soave, più intimo, più penetrante nel
nostro cuore ».
Il 1° maggio 1960, Giovanni XXIII indirizzo un radiomessaggio a tutti coloro
che lavorano e a tutti coloro che soffrono, iniziando con queste parole: «Il
nostro pensiero si rivolge con naturalezza a tutte le regioni e a tutte le città
in cui l’esistenza si svolge un giorno dopo l’altro: al focolare domestico, all’ufficio,
al magazzino, alla fabbrica, all’officina, al laboratorio e a tutti i luoghi santificati
dal lavoro intellettuale e manuale, sotto le forme svariate e nobili che esso riveste
secondo le forze e le attitudini di ciascuno… Con l’aiuto di san Giuseppe, tutte
le famiglie possono riprodurre l’immagine di quella di Nazaret… In pratica, il
lavoro è una missione sublime che permette all’uomo di collaborare in modo
intelligente ed efficace con Dio, che gli ha dato i beni della terra perché
li usi e li faccia fruttificare».
La grande iniziativa di Giovanni XXIII fu la convocazione del Concilio Vaticano II.
Nella lettera apostolica del 19 marzo 1961, egli spiega perché vuole che questo
Concilio, così importante, sia posto sotto la protezione speciale di san Giuseppe.
Comincia ricordando quello che hanno fatto i suoi predecessori per la gloria di san
Giuseppe; poi spiega che il Concilio è fatto per tutto il popolo cristiano,
che deve beneficiare d’una corrente di grazia per una maggiore vitalità. E
aggiunge che non sa trovare un protettore migliore di San Giuseppe per ottenere il
soccorso del cielo per la preparazione e lo svolgimento di questo Concilio, che deve
segnare un’epoca.
Un’altra iniziativa importante di Giovanni XXIII fu quella di introdurre il nome
di san Giuseppe nella preghiera eucaristica. Pio IX s’era arrestato di fronte a una
simile decisione. Le richieste che erano state formulate nel Concilio Vaticano I
erano state riprese in grandissimo numero nel secondo. I Padri del Concilio non dovevano
deliberare su questo argomento, perché era un semplice rito liturgico di competenza
dell’autorità pontificia.
Tuttavia, il Concilio fece sua questa decisione di Giovanni XXIII incorporando il
passaggio della preghiera, nel quale si trova il nome di san Giuseppe, nella costituzione
dogmatica Lumen Gentium. Questa costituzione parla del mistero della Chiesa, Corpo
mistico di Cristo. Il capitolo VII si riferisce principalmente all’unione molto intima
che lega i membri della Chiesa che camminano ancora sulla terra a quelli che già
godono della pienezza della vita in cielo. Questa presenza invisibile dei santi nostri
amici si attualizza quando siamo riuniti per la preghiera e, più particolarmente,
per la celebrazione eucaristica. Il testo merita di essere meditato, perché
afferma che a san Giuseppe tocca un posto di privilegio:
«La nostra unione con la Chiesa celeste si attua in maniera nobilissima poiché
specialmente nella sacra Liturgia, nella quale la virtù dello Spirito Santo
agisce su di noi mediante i segni sacramentali, in fraterna esultanza cantiamo le
lodi della divina maestà, e tutti, di ogni tribù e lingua, di ogni
popolo e nazione, riscattati col sangue di Cristo e radunati in un’unica Chiesa,
con un unico canto di lode, glorifichiamo Dio uno e trino. Però, quando celebriamo
il sacrificio eucaristico, ci uniamo in sommo grado al culto della Chiesa celeste,
in comunione con essa e venerando la memoria soprattutto della gloriosa sempre Vergine
Maria, ma anche del beato Giuseppe e dei beati apostoli e martiri e di tutti i santi
» (LG 50).
Anche Paolo VI ha parlato spesso di san Giuseppe, non mirando tanto a mettere
in evidenza le sue prerogative, ma piuttosto a ricordare la sua missione nella Chiesa
di oggi: « La missione di Giuseppe nei riguardi di Gesù e Maria fu una
missione di protezione, di difesa, di salvaguardia e di sussistenza… La Chiesa
ha bisogno di essere difesa; ha bisogno di essere conservata, alla scuola di Nazaret,
povera e laboriosa, ma viva, cosciente e disponibile per la sua missione messianica.
Questo bisogno di protezione, oggi, è grande per restare indenne e per agire
nel mondo… La missione di san Giuseppe è la nostra: custodire il Cristo
e farlo crescere in noi e intorno a noi» (Angelus, 19 marzo 1970).
Il 19 marzo 1973, Paolo VI diceva: «Giuseppe è il protettore del Cristo
al suo ingresso nel mondo, il protettore della Vergine Maria, della sacra famiglia,
il protettore della Chiesa, il protettore di coloro che lavorano. Tutti noi possiamo
dire: il nostro protettore».
Le liturgie orientali fanno eco agli insegnamenti dei Papi: «O Giuseppe! gloria
a colui che ti ha onorato, gloria a colui che ti ha incoronato, gloria a colui che
ti ha fatto patrono delle nostre anime» (rito melchita).
«O Giuseppe! porta a Davide la buona novella: ecco, sei padre di Dio. Tu hai
visto la Vergine incinta, coi pastori tu hai cantato Gloria, coi Magi ti sei prostrato,
con l’angelo hai trattato delle cose divine. Prega dunque il Cristo, nostro Dio,
che salvi le nostre anime » (rito bizantino).
Testo
tratto da B. Martelet, Giuseppe di Nazaret. L’uomo di fiducia, Roma: 1980.